Buemi (Psi) : Nessuno c’è l’ha con i Magistrati ma, quando sbagliano. anche loro debbono pagare


Sen. Enrico Buemi PSI“L’Anm grida al lupo, quando il lupo, di fatto, ha fatto marcia indietro”. Esordisce cosi’ il Senatore Enrico Buemi, Capogruppo del Partito Socialista Italiano (PSI) in Commissione Giustizia a Palazzo Madama, interpellato dal Velino, a proposito della reazione del sindacato delle toghe alle linee guida del Governo sulla riforma della giustizia in materia di responsabilità civile dei magistrati. Buemi, che e’ relatore della norma al Senato e che sulla responsabilità civile dei magistrati ha presentato la pdl n. 1070, spiega che la sanzione applicabile in caso di colpa grave del magistrato “e’ molto limitata rispetto all’elaborazione fatta in commissione Giustizia, dove si profilava che il minimo recupero economico potesse essere intorno al 50% del danno arrecato”. Mentre nelle linee guida della riforma del ministro della Giustizia Andrea Orlando e’ previsto che il risarcimento per chi ha subito il danno può arrivare fino al 50% dello stipendio annuo netto del magistrato al momento in cui sono avvenuti i fatti.

“Una briciola di incremento – commenta Buemi – rispetto a una situazione che prima era irrisoria. Stiamo infatti parlando di qualche migliaio di euro di incremento, passando dal 30% al 50% dello stipendio, e cioè a 25/30 mila euro di risarcimento del danno, in più col vincolo del prelievo mensile di un massimo del quinto dello stipendio”. Il risarcimento previsto dal ministero non e’ proporzionale al danno. “Di fronte a un danno che potrebbe essere di decine di migliaia di euro, penso in particolare ai magistrati del civile, c’e’ una non proporzionalità, tra il danno arrecato e la sanzione applicata”, osserva Buemi.

Un discorso che vale anche per i comportamenti che prevedono la limitazione della libertà. “I magistrati – spiega ancora Buemi – non hanno mai risposto civilmente per gli arresti prolungati nel tempo che hanno generato azioni di risarcimento da parte di coloro che li hanno subiti. In 25 anni di applicazione della norma Vassalli – ricorda il senatore Psi – solo quattro casi sono andati a compimento, ma nessuno ha avuto un’azione di rivalsa”. Insomma “il lupo non c’e’ e nessuno c’e’ l’ha con i magistrati che svolgono azione meritoria – osserva Buemi rispondendo alle preoccupazione dell’Anm – inoltre e’ sempre un giudice che deve stabilire se un altro giudice ha commesso o no colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni”.

Quando la riforma passerà all’esame del Parlamento “chiederò ai colleghi un atteggiamento coerente e lo chiederò anche al presidente del Consiglio, che in più riprese ha detto che ci deve essere lo stesso tipo di recupero rispetto al danno arrecato. Non dico che ci debba essere un recupero al cento per cento, ma ci deve essere una proporzionalità – ribadisce Buemi – tra il danno arrecato e l’azione di concorso all’indennizzo della parte che ha subito il danno, un indennizzo che non può essere irrisorio”.

Il Ministro della Giustizia Orlando annuncia la nomina del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria


Orlando, Festa Penitenziaria“Nei prossimi giorni proporrò al Consiglio dei Ministri la nomina del nuovo capo del Dap”, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Lo ha preannunciato l’Onorevole Andrea Orlando, Ministro della Giustizia al termine di un incontro tenutosi al Dicastero di Via Arenula, ricordando che si era impegnato a questo passaggio dopo il via libera al decreto carceri e dopo la sentenza di Strasburgo.

Il nuovo Capo del Dap prenderà il posto di Giovanni Tamburino che è stato esautorato dalle sue funzioni il 27 maggio 2014 poichè il nuovo Governo guidato da Matteo Renzi non gli ha riconfermato il mandato nel termine previsto (90 giorni) dalla Legge . L’attuale reggente è Luigi Pagano, Vice Capo Vicario del Dipartimento che in questo periodo ha retto la responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria.

 

Ma perché sul potere dei Magistrati devono decidere altri Magistrati ?


giustizia-500x375I quotidiani hanno iniziato a pubblicare indiscrezioni sulle proposte di riforma della giustizia, che il Ministro Orlando si appresta a presentare in Consiglio dei Ministri. Come sempre accade, ormai dall’epoca di mani pulite, quando si parla di amministrazione della giustizia, gli animi si scaldano.

Al confronto si sostituisce l’urlo e l’insulto. Alla fine diventa difficile anche capire di cosa si discute. I livelli di analisi si mischiano e tutto si riduce ad una rissa inconcludente.

Quello che colpisce di più è che dietro ogni proposta di riforma si avverte che alla fin fine il quesito, intorno al quale ruota il dibattito, è se la proposta sia a favore o contro i magistrati. Non a caso essa diventa ogni volta oggetto di trattativa con la magistratura, sia nella sua espressione istituzionale, il Consiglio superiore della Magistratura, e sia nella sua espressione associativa, l’Associazione Nazionale Magistrati.

Uno sprovveduto potrebbe, allora, pensare che il tema in discussione abbia a che fare con la retribuzione dei magistrati o con la loro progressione in carriera. Niente di tutto questo: sono temi che non vengono neppure sfiorati. Gli stipendi sono periodicamente adeguati secondo parametrici matematici e la carriera si svolge secondo il criterio del non demerito.

Ed, allora, cosa si intende dire quando si afferma che una riforma è con o contro i magistrati? Su quale argomento governo e forze politiche devono negoziare con la magistratura? Se si va a guardare il merito del contenzioso, si deve rilevare che la discussione riguarda temi quali quelli delle condizioni perché sia disposta la custodia cautelare in carcere, o della immunità parlamentare, o della abolizione di vecchie incriminazioni o della introduzione di nuove incriminazioni. Quando la magistratura non è d’accordo parte un fuoco di sbarramento sul piano sia politico e sia giudiziario.

Sul piano politico, vi sono forze fiancheggiatrici che fanno proprie le posizioni della magistratura ed aggrediscono violentemente le opinioni difformi. Sul piano giudiziario si assiste ad un’opera interpretativa di svuotamento delle novità e, quando è necessario, ad una molteplicità di immediati ricorsi alla Corte Costituzionale affinché le novità sgradite siano cassate.

A ben riflettere, tuttavia, questi temi nulla hanno a che vedere con la posizione ed il trattamento dei magistrati. Essi, viceversa, riguardano direttamente tutt’altra cosa: il potere dei magistrati. E qui sta il punto. È istituzionalmente corretto che il potere dei magistrati sia oggetto di trattativa con gli stessi magistrati? La Costituzione, invocata molto spesso a vanvera, davvero prevede che il potere di mettere in carcere e di condannare, istituzionalmente affidato ai magistrati, non si esaurisca nel potere di dare applicazione alla legge del Parlamento, ma si estenda al potere di negoziare la legge da applicare?

La politica ha, indubbiamente, perso legittimazione e capacità trainante. Un po’ per l’inadeguatezza degli uomini ed un po’ perché nell’epoca attuale la character assassination è ormai una costante che colpisce chiunque assuma una posizione di evidenza. Questo, tuttavia, non è sufficiente a nascondere che questo modo di procedere costituisce una profonda lacerazione del tessuto democratico.

Esso realizza un trasferimento di potere non solo non contemplato dalla Costituzione, ma che ha in sé il germe pericoloso dell’idea che gli unti dal Signore siano i soli a poter risolvere i problemi di questa epoca difficile. Oggi i magistrati. Domani chissà.

Astolfo Di Amato

Il Garantista, 6 agosto 2014

La responsabilità civile dei Magistrati esiste dal 1988, in 26 anni solo 4 condanne


Da quando esiste la legge sulla responsabilità civile i magistrati non hanno mai sborsato un euro. C’è una legge che regola la responsabilità civile dei giudici. Esiste dal 1988 ed è nota con il nome di “Legge Vassalli”.

Quella norma prevede in teoria che lo Stato, se costretto a risarcire un cittadino per un errore giudiziario, possa rivalersi sul giudice. In teoria, appunto. Perché in pratica quest’ultima circostanza si è verificata zero volte. Da 26 anni cioè non è ma successo che un magistrato abbia pagato per un proprio errore. Il che fa comprendere per quale motivo il ministro della Giustizia Andrea Orlando intenda rivedere la norma. Meno comprensibili sono le resistenze opposte dall’Anm. Soprattutto se si pensa che ogni anno vengono intentate, per esempio, decine di migliaia di cause per errori sanitari (circa 600mila dal 1994), e che di queste un terzo si conclude con una condanna.

Su una cosa il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli batte con insistenza, riguardo alla responsabilità civile: non vanno toccati i filtri di ammissibilità. Il che di fatto equivale a dire che la legge Vassalli deve sopravvivere così com’è. Perché i “filtri” – cioè la valutazione di ammissibilità delle cause per danno giudiziario – rappresentano il punto decisivo: se non si tolgono quelli non cambia niente. E se non cambia niente i giudici continueranno a non risarcire un euro. Un euro che sia uno, e non è un’iperbole.

Dall’introduzione della legge Vassalli sulla responsabilità civile dei magistrati, infatti, non è mai successo che lo Stato si rivalesse su un giudice. Mai, neppure una volta in 26 anni, perché la Vassalli è dell’88. Venne approvata per recepire l’esito di un referendum promosso dai radicali l’anno prima. Dopo 26 anni, con tutto il rispetto del grande giurista di cui porta il nome, si può dire che quella legge è una presa in giro. Non nelle intenzioni, evidentemente, ma nei fatti sì.

Solo 4 condanne

In 26 anni solo 4 volte è capitato che arrivasse a sentenza definitiva una causa di risarcimento intentata contro lo Stato per un errore giudiziario. Parliamo di 4 volte in 26 anni, cioè in media viene condannato un giudice ogni 6 anni e mezzo. Dopodiché neppure in queste 4 misere occasioni il giudice in questione ha tirato fuori un soldo. Perché? Lo si deve proprio alla formulazione della legge Vassalli. Che su un punto si è rivelata particolarmente vaga: l’obbligo di rivalsa da parte dello Stato. Tale obbligo è formulato in modo talmente vago che di fatto non esiste. Cosicché neppure in una delle 4 occasioni in cui lo ha dovuto pagare un cittadino per colpa di un giudice, lo Stato ha provveduto ha rivalersi sul responsabile.

Certo, seppure lo avesse fatto, il giudice non avrebbe comunque tirato fuori un euro dalle proprie tasche. Dalle buste paga di tutti i magistrati italiani infatti viene trattenuta una piccola quota che serve a pagare l’assicurazione sulla responsabilità civile. A quanto ammonta? “Io ho smesso di fare il giudice nel 2001: all’epoca la trattenuta era di 100mila lire l’anno”, ricorda il presidente della commissione Giustizia del Senato Francesco Nitto Palma. Oggi si arriva a circa 150 euro l’anno. Cifra davvero bassa: per una categoria di medici particolarmente esposta alle cause civili come quella dei chirurghi possono scattare premi assicurativi superiori ai 15mila euro, come segnala l’Ordine dei medici di Pavia. In pratica per ogni euro pagato all’assicurazione da un giudice, un chirurgo ne paga 100.

Le polizze farsa

Come si può intuire la posizione rigida assunta dall’Anm su questa materia rischia di perpetuare un effetto paradossale, di certo non voluto: ossia di preservare non solo l’intangibilità delle toghe ma anche il lucro delle assicurazioni. In 26 anni di legge Vassalli le compagnie hanno occupato il tempo a stappare champagne. Due conti: oggi a ogni magistrato vengono trattenuti in media 150 euro l’anno per la polizza; moltiplicato per i 9.000 magistrati italiani fa un milione e 350mila euro l’anno; moltiplicato per 26 anni, pure a tenere conto dell’inflazione, siamo intorno ai 30 milioni di euro. Una cifra regalata alle assicurazioni, pulita. Perché come detto, in questi 26 anni le compagnie non hanno mai dovuto pagare neppure un risarcimento.

È pur vero che in qualche modo l’interesse delle toghe coincide con quello degli assicuratori. Se infatti le maglie della responsabilità civile fossero allargate, come vorrebbe fare il ministro Andrea Orlando, e aumentasse il rischio di veder condannati gli errori giudiziari, da una parte le compagnie comincerebbero finalmente a risarcire qualche danno, dall’atra aumenterebbero anche i premi assicurativi. Cioè potrebbe succedere che lo Stato debba trattenere dalla busta paga di un magistrato una cifra un po’ più consistente degli attuali 150 euro. Sempre di soldi si tratta, dunque. Di soldi e di rischi: roba da broker più che da guardasigilli.

La rivalsa

Ecco perché nella riforma di Orlando ci sono almeno altri due aspetti, oltre all’eliminazione dei filtri di ammissibilità, che tengono in allarme l’Associazione nazionale magistrati. Il primo è la definizione precisa dell’obbligo di rivalsa da parte dello Stato. Secondo la scheda tematica pubblicata l’altro ieri sul sito del ministero della Giustizia, la rivalsa sarebbe automatica non solo nel caso estremo del dolo (lo è già oggi) ma anche di fronte a una particolare fattispecie di colpa grave: la cosiddetta “mancanza per negligenza inescusabile”.

Il secondo motivo di tensione tra governo e giudici è l’estensione dei casi nei quali un giudice può essere citato in giudizio: l’esecutivo pensa di recepire un’indicazione della Corte europea, secondo cui la responsabilità civile di un giudice deve essere prevista anche in caso di mancata adesione alla giurisprudenza comunitaria. L’Anm vorrebbe che questa casistica venisse limitata il più possibile. Il match, come si vede, è destinato ad andare avanti per parecchie riprese.

Enrico Novi

Il Garantista, 6 agosto 2014