Migliucci (Camere Penali) : “Separare le carriere è un obbligo costituzionale, basta con un solo Csm”


Avv. Beniamino MigliucciMigliucci, neopresidente delle Camere penali: “Separare le carriere è un obbligo costituzionale, basta con un solo Csm”.

Bisogna ripartire dalla separazione delle carriere. Separare, separare, separare”. A parlare così è Beniamino Migliucci, neopresidente dell’Unione delle camere penali. L’esortazione, ripetuta tre volte, evoca un altro appello, quello a “resistere, resistere, resistere, come sul Piave”, pronunciato nel 2002 dall’ex procuratore generale di Milano Saverio Borrelli.

Allora, come oggi, la sola ipotesi di separare i percorsi della magistratura inquirente e giudicante era considerata un vulnus “all’indipendenza del giudice penale e alla signoria della legge”. E allora come oggi la Procura di Milano è al centro dell’attenzione: questa volta a tenere banco è lo scontro tra il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, e il suo aggiunto Alfredo Robledo.

Uno scontro che, a sentire l’avvocato Migliucci, “danneggia la credibilità delle toghe, con un Consiglio superiore della magistratura in balia delle correnti, costitutivamente incapace dì gestire e disciplinare i conflitti interni”.

A proposito della separazione tra pm e giudice, Migliucci, altoatesino con padre napoletano, è implacabile: “La magistratura può essere in disaccordo, ma le leggi le fa il Parlamento. Separare le carriere è la conseguenza obbligata della riforma costituzionale del 1999”.

Il riferimento è all’inserimento nell’articolo del giusto processo fondato sul “contraddittorio tra le partì, in condizioni dì parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Perché il dettato costituzionale abbia attuazione, pm e giudici non possono far parte dello stesso Csm.

“L’imparzialità è requisito del giudizio, la terzietà riguarda l’ordinamento. Affinché il giudice sia effettivamente terzo, le carriere devono seguire percorsi distinti. Attualmente pm e giudice sono colleghi, siedono nei medesimi organi del Csm, si valutano a vicenda e ciò comporta una debolezza strutturale per la difesa”.

Secondo Migliucci il diritto alla difesa, garanzia costituzionale, è sempre più svilito. “L’intangibilità dei colloqui tra assistito e difensore, garantita dalla legge, viene puntualmente aggirata. La formazione della prova nel dibattimento è mortificata, come pure l’oralità del processo. Insomma, l’avvocato è guardato con sospetto, come se la difesa fosse un optional”.

Così il rito accusatorio, introdotto formalmente nel 1989, soffoca sotto il peso d’innumerevoli rigurgiti inquisitori. “Manca un controllo giurisdizionale vero e imparziale su una serie di passaggi che gli inquirenti gestiscono come vogliono, con un potere straripante. Per esempio, sul momento effettivo dell’iscrizione nel registro degli indagati e sulla richiesta di proroga delle indagini. Raramente il giudice nega al pm il ricorso a strumenti di ricerca della prova invasivi come le intercettazioni telefoniche e ambientali. E in molti procedimenti, soprattutto di criminalità organizzata, vengono frequentemente depositati i soli interrogatori che discrezionalmente gli inquirenti ritengono di poter far conoscere, a loro insindacabile giudizio. Ma che giustizia è quella in cui il cittadino è nelle mani del pm?”.

Il potere prevaricante delle toghe fa da contraltare alla debolezza della politica: “Va riaffermato il primato della politica. I politici li scelgono i cittadini che possono licenziarli a ogni elezione. I magistrati no”. Il processo penale deve tornare a essere “la verifica della pretesa punitiva dello Stato nei confronti del cittadino”, un momento laico di accertamento delle responsabilità individuali e non il luogo della crociata contro il nemico di turno.

In Italia, secondo Migliucci esiste una questione democratica: le leggi le fa il Parlamento oppure i cento magistrati collocati negli uffici legislativi dei ministeri? “L’Unione ha partecipato a molte commissioni. La storia è sempre la stessa: si producono documenti destinati a rimanere lettera morta, mentre a decidere sono i soliti burocrati togati. Nella Corte costituzionale tutti gli assistenti sono magistrati. Perché non si può ricorrere ad altre figure, come accademici e avvocati?”.

Il governo Renzi ha messo in cantiere alcuni progetti di riforma penale che non convincono Migliucci. “Se i testi rimarranno quelli che abbiamo letto in bozza, i magistrati possono dormire sonni tranquilli. Siamo totalmente contrari alla riforma della prescrizione così come alla limitazione dell’appello. Se si vuole la ragionevole durata del processo bisogna agire a monte, non ridurre i diritti degli imputati. Senza l’appello, Enzo Tortora sarebbe stato condannato. Il doppio giudizio è una garanzia irrinunciabile”.

Però i processi in Italia spesso sono senza fine. “Nel 70 per cento dei casi la prescrizione scatta nelle indagini preliminari. Sono i pm a decidere arbitrariamente quali fascicoli portare avanti e quali no. Nei tribunali ci sono enormi disfunzioni organizzative, sanarle farebbe risparmiare molto tempo”. Per il presidente del Senato, Pietro Grasso, già magistrato, sarebbe meglio limitare appello e ricorsi in Cassazione, “Gli appelli sono limitati nei sistemi anglosassoni in cui le carriere sono separate e le assoluzioni di primo grado non possono essere appellate dal pm. È un altro pianeta” dice Migliucci.

E il caso de Magistris? “Per noi è innocente fino a sentenza di condanna definitiva. Non ci è mai piaciuto il garantismo a corrente alternata. Ciò detto, chi di Severino ferisce di Severino perisce. Restiamo convinti che, come per Silvio Berlusconi, anche per l’ex sindaco di Napoli questa normativa, avendo carattere sanzionatorio, non abbia efficacia retroattiva”.

C’è anche la questione de! capo dello Stato: deporrà davanti ai magistrati di Palermo e due boss mafiosi hanno espresso la volontà di assistere in videoconferenza. “È un’evidente prova di forza. Il tribunale non ha voluto prendere atto della sentenza della Consulta che ha definito inequivocabilmente il perimetro delle prerogative costituzionali. Ma la richiesta dei boss non è paradossale perché il contraddittorio va garantito. Così il presidente Napolitano, rimasto inascoltato su amnistia, Csm e correnti, questa volta sarà inevitabilmente ascoltato”.

Annalisa Chirico

Panorama, 10 ottobre 2014

Ma perché sul potere dei Magistrati devono decidere altri Magistrati ?


giustizia-500x375I quotidiani hanno iniziato a pubblicare indiscrezioni sulle proposte di riforma della giustizia, che il Ministro Orlando si appresta a presentare in Consiglio dei Ministri. Come sempre accade, ormai dall’epoca di mani pulite, quando si parla di amministrazione della giustizia, gli animi si scaldano.

Al confronto si sostituisce l’urlo e l’insulto. Alla fine diventa difficile anche capire di cosa si discute. I livelli di analisi si mischiano e tutto si riduce ad una rissa inconcludente.

Quello che colpisce di più è che dietro ogni proposta di riforma si avverte che alla fin fine il quesito, intorno al quale ruota il dibattito, è se la proposta sia a favore o contro i magistrati. Non a caso essa diventa ogni volta oggetto di trattativa con la magistratura, sia nella sua espressione istituzionale, il Consiglio superiore della Magistratura, e sia nella sua espressione associativa, l’Associazione Nazionale Magistrati.

Uno sprovveduto potrebbe, allora, pensare che il tema in discussione abbia a che fare con la retribuzione dei magistrati o con la loro progressione in carriera. Niente di tutto questo: sono temi che non vengono neppure sfiorati. Gli stipendi sono periodicamente adeguati secondo parametrici matematici e la carriera si svolge secondo il criterio del non demerito.

Ed, allora, cosa si intende dire quando si afferma che una riforma è con o contro i magistrati? Su quale argomento governo e forze politiche devono negoziare con la magistratura? Se si va a guardare il merito del contenzioso, si deve rilevare che la discussione riguarda temi quali quelli delle condizioni perché sia disposta la custodia cautelare in carcere, o della immunità parlamentare, o della abolizione di vecchie incriminazioni o della introduzione di nuove incriminazioni. Quando la magistratura non è d’accordo parte un fuoco di sbarramento sul piano sia politico e sia giudiziario.

Sul piano politico, vi sono forze fiancheggiatrici che fanno proprie le posizioni della magistratura ed aggrediscono violentemente le opinioni difformi. Sul piano giudiziario si assiste ad un’opera interpretativa di svuotamento delle novità e, quando è necessario, ad una molteplicità di immediati ricorsi alla Corte Costituzionale affinché le novità sgradite siano cassate.

A ben riflettere, tuttavia, questi temi nulla hanno a che vedere con la posizione ed il trattamento dei magistrati. Essi, viceversa, riguardano direttamente tutt’altra cosa: il potere dei magistrati. E qui sta il punto. È istituzionalmente corretto che il potere dei magistrati sia oggetto di trattativa con gli stessi magistrati? La Costituzione, invocata molto spesso a vanvera, davvero prevede che il potere di mettere in carcere e di condannare, istituzionalmente affidato ai magistrati, non si esaurisca nel potere di dare applicazione alla legge del Parlamento, ma si estenda al potere di negoziare la legge da applicare?

La politica ha, indubbiamente, perso legittimazione e capacità trainante. Un po’ per l’inadeguatezza degli uomini ed un po’ perché nell’epoca attuale la character assassination è ormai una costante che colpisce chiunque assuma una posizione di evidenza. Questo, tuttavia, non è sufficiente a nascondere che questo modo di procedere costituisce una profonda lacerazione del tessuto democratico.

Esso realizza un trasferimento di potere non solo non contemplato dalla Costituzione, ma che ha in sé il germe pericoloso dell’idea che gli unti dal Signore siano i soli a poter risolvere i problemi di questa epoca difficile. Oggi i magistrati. Domani chissà.

Astolfo Di Amato

Il Garantista, 6 agosto 2014

Giustizia, bocciato il ddl sulla responsabilità civile dei Magistrati


MagistratiChi sbaglia non paga. E’ stato bocciato il disegno di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, voluto fortemente dal centrodestra. I senatori del Pd, i parlamentari grillini e gli ex 5 Stelle hanno approvato, in commissione Giustizia del Senato, l’emendamento del M5S che cancella l’art.1, cioè il cuore del testo. Forza Italia parla di “toghe rosse” in azione. Protesta anche Ncd.

Fronte M5s-Pd – A dare notizia del no alla “responsabilità diretta dei magistrati” è stato Enrico Cappelletti, capogruppo del M5S in Commissione giustizia del Senato, in una nota in cui rivendica il “grande risultato” per il gruppo. “A favore dell’emendamento soppressivo – si legge – hanno votato M5S, Pd e Sel. Contro Forza Italia, Nuovo Centrodestra, Scelta Civica e Lega Nord. Abolendo l’articolo 1”, ha spiegato Cappelletti, “sono state soppresse le norme che minavano l’indipendenza della magistratura nel nostro paese. In tutti gli ordinamenti dei paesi occidentali in caso di errore giudiziario non esiste infatti la previsione di responsabilità civile diretta dei magistrati: è infatti lo Stato che paga e poi si può rivalere a sua volta sul magistrato. Il disegno di legge rappresentava l’ennesimo tentativo berlusconiano di limitare l’indipendenza e l’autonomia della magistratura nel nostro paese”.

Forza Italia dichiara guerra – Lo stop in Commissione ha fatto infuriare Forza Italia che ha subito protestato per la decisione di Pd e M5s: “Con un colpo di mano in Commissione Giustizia”, ha dichiarato il senatore forzista Lucio Malan, “i senatori Pd e M5s hanno affossato il ddl Buemi-Nencini-Longo. Per i seguaci di Renzi e Grillo, dunque, i magistrati devono continuare ad essere gli unici cittadini che non subiscono alcuna conseguenza per i danni provocati dai loro errori, anche se clamorosi”. Protesta anche Altero Matteoli: “Renzi ha mostrato tutti i suoi limiti, incapace di opporsi agli storici diktat che il Pd, ex Pci-Pds-Ds, subisce da certi influenti settori della magistratura”. “In Commissione Giustizia c’è ormai una nuova maggioranza trasversale”, ha aggiunto un altro senatore di Forza Italia, Franco Cardiello, “si tratta di un fatto politico che non potrà non avere conseguenze. Da oggi cambieremo atteggiamento”. La mossa del Pd la dice tutta sulla coerenza di Renzi che solo qualche mese fa aveva espresso la “necessità di una riforma radicale della giustizia”. Di certo l’inizio è pessimo.

http://www.liberoquotidiano.it, 29 aprile 2014