Zampa (Pd) : Sollecitato il Governo ad impegnarsi per le Biblioteche nelle Carceri


“I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera. La prigione è un naufragio e non è un caso che all’inizio d’estate le pagine di varietà ricomincino con la domanda: Che libro vi portereste su un’isola deserta?”.

Così Adriano Sofri ha rilanciato su Repubblica il tema della lettura, spesso negata, dietro le sbarre. Che libro vi portereste in carcere? dovrebbe essere la domanda, se questo fosse possibile. Una risposta viene da Sandra Zampa, vice presidente del Pd e della Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza che oggi, proprio ricordando l’appello di Sofri, ha sollecitato il Governo a impegnarsi per la diffusione della lettura e la libera circolazione dei libri nelle carceri italiane. Un richiamo, in realtà al Parlamento, al rispetto della legge 354 del 1975 che prevede l’esistenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario.

“Condividendo pienamente la riflessione di Sofri, con il collega Walter Verini abbiamo presentato una risoluzione che impegna il governo a censire le biblioteche degli istituti penitenziari italiani e a favorire la circolazione dei libri, anche stranieri, e dei giornali – scrive Zampa in una nota. Di grandissima importanza per tutti, la lettura è strumento di crescita e di riflessione e rappresenta, soprattutto per i minori detenuti, una possibilità per restare inseriti nel mondo che li attende, per costruire una identità rinnovata e rintracciare così nuovi e migliori percorsi esistenziali”.

Sofri chiudeva così il suo appello: “I liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello”. Una riflessione che la deputata Pd rilancia: “La lettura può favorire il riscatto personale e solo da questo nasce il riscatto sociale cui ogni individuo ha diritto, così secondo la nostra Costituzione secondo la quale “le pene devono tendere alla rieducazione”, quindi al reinserimento nella società, quando è possibile, ma sempre e comunque alla salvaguardia della dignità umana”.

Dire, 6 agosto 2014

Camere Penali : Sulla responsabilità civile dei Magistrati condividiamo la politica del Governo


Giustizia3Le linee guida pubblicate dal Ministero sul tema della responsabilità civile dei magistrati vanno esattamente nella direzione auspicata dall’Unione. A questo punto la politica non deve farsi condizionare dalle solite ed interessate grida d’allarme. Le anticipazioni in tema di prescrizione e giudizio di appello, invece, ci preoccupano non poco e, se confermate, ci vedranno in prima linea contro ogni forma di arretramento.

Come penalisti italiani concordiamo con l’iniziativa del Governo, che dalle linee guida appena pubblicate sembra raccogliere alcune delle indicazioni che abbiamo sempre dato in tema di eliminazione filtro e rideterminazione delle ipotesi di responsabilità. La cosa fondamentale è ora che il Governo e le forze politiche non si facciano condizionare dalle prese di posizione ipercorporative che sono venute immediatamente dall’Anm e dai suoi corifei, e che questa riforma vada in porto nella maniera più significativa.

Questa iniziativa è il primo spiraglio che vediamo nel progressivo sviluppo del progetto di riforma, al quale si contrappongono anticipazioni di ben diverso tenore in tema di prescrizione e appello, ovviamente ancora tutte da verificare, che invece preoccupano assai l’avvocatura penale.

Il tema è sempre il medesimo: la politica deve imporre il suo primato, che si deve esercitare però sui principi propri di un sistema penale moderno e avanzato e non sul ricatto demagogico e giustizialista di chi, contro ogni evidenza statistica, strumentalizza le necessità di riforma.

L’avvocatura è pronta a fare la propria parte, anche sostenendo le iniziative positive, ma allo steso tempo dichiarando la propria determinazione incrollabile a che non ci siano arretramenti dalla strada intrapresa e a che finalmente si recepisca il monito avanzato da più parti, prima fra tutti la Presidenza della Repubblica, per la realizzazione di una vera riforma di struttura della giustizia.

http://www.camerepenali.it, 7 agosto 2014

Mattiello (Pd): Le condizioni di salute di Provenzano impongono la revoca del 41 bis


On. Davide Mattiello Pd“Le condizioni di salute di Bernardo Provenzano impongono una nuova valutazione sulla compatibilità tra detenuto e regime del 41 bis. Il regime carcerario del 41 bis introdotto nell’agosto del 1992 ha uno scopo fondamentale che ne giustifica l’estremo rigore: impedire ai mafiosi di continuare a comandare dal carcere. Questo scopo si traduce nella impossibilità per il detenuto di comunicare con l’esterno.

Oggi per Provenzano il 41 bis è assicurato dalle sue stesse condizioni di salute. Prenderne atto e sospendere l’applicazione del 41 bis per Provenzano non è soltanto un atto di giustizia proprio di uno Stato di diritto che mai confonde punizione con vendetta, ma è anche il modo migliore per salvaguardare lo stesso istituto del 41 bis da chi non lo ha mai digerito e che ha usato e usa ogni mezzo per cancellarlo dall’ordinamento: dai papelli alla Cedu”.

Così Davide Mattiello, deputato Pd della commissione Antimafia. Che aggiunge: “Guai a dare argomenti a chi voglia dimostrare che il 41 bis provoca una condizione di fatto inumana e degradante, guai a fornire alibi a chi voglia equipararlo ad una forma di tortura. Piuttosto invito il Ministro Orlando, che ha già dimostrato grande sensibilità, a verificare se il 41 bis venga applicato sempre correttamente, impedendo ai boss di comunicare con l’esterno sia direttamente, sia indirettamente”.

9Colonne, 7 agosto 2014

Lo Stato certifica con Legge la disumanità delle nostre Carceri


Venezia 6Il decreto anti-sovraffollamento è l’immagine dell’impotenza dello Stato. Immaginiamo che un turista prenoti una stanza d’albergo con bagno e all’arrivo riceva la sgradita sorpresa dell’assenza dei servizi igienici in camera.

Certamente gli spetterà un indennizzo, ma è difficile credere che accetterà di rimanere lì. Il paragone può sembrare irriverente ma in realtà calza con il rimedio introdotto per chi sconta la pena in condizioni che violano la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Facciamo un passo indietro, per comprendere cosa è accaduto.

Il 2 agosto è stato convertito in legge il D.L. 92/2014, che contiene due importanti novità, passate pressoché in silenzio complice il clima vacanziero, in tema di sovraffollamento carcerario e di limiti della custodia cautelare. In particolare, il detenuto in condizioni carcerarie disumane (cioè una cella inferiore a 3 mq, spazio minimo invalicabile secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) può fare istanza al Magistrato di Sorveglianza, il quale disporrà a titolo di risarcimento del danno una riduzione di un giorno della pena detentiva per ogni dieci di permanenza in carcere in tale situazione. In alternativa, la legge riconosce al detenuto un importo in denaro di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in violazione dei parametri di vivibilità.

Ora, si può fare della facile ironia sui criteri prescelti dal legislatore e discutere se il forfait stabilito (a stento pizza e caffè in un locale di modeste pretese) compensi le sofferenze di chi si trova ristretto in carcere, o se sia congruo lo sconto di pena di tre giorni al mese.

Ma il vero punto in discussione è il singolare principio sottostante: il riconoscimento e l’accettazione dello status quo, l’impossibilità di eliminare il pregiudizio in itinere, la consequenziale sensazione di impotenza e di resa dello Stato. In definitiva la pretesa punitiva abdica alla funzione assegnata dalla Carta Costituzionale: nel silenzio imbarazzato e reticente, certifica di fatto le modalità disumane dell’esecuzione della pena.

Senonché, l’articolo 27 comma 3 Cost. vieta i trattamenti disumani e assegna alla pena un compito di reinserimento sociale. Ebbene, è addirittura paradossale immaginare una finalità special-preventiva per il condannato che viva con modalità giudicate lesive dei suoi diritti naturali. La norma approvata certifica dunque l’inconsueto ossimoro di una pena detentiva disumana risocializzante. L’ipocrisia regna sovrana e si fa scudo della cronica carenza di risorse economiche per la costruzione di nuove carceri.

Analoghe perplessità desta l’articolo 8, che vieta la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se il giudice ritiene che la pena detentiva da scontare non supererà i tre anni. Obiettivo nobile ridurre il sovraffollamento carcerario ed evitare il carcere a chi in carcere quasi certamente non andrà in caso di condanna definitiva, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Perché al giudice viene richiesto, più che una valutazione prognostica, un vaticinio, dovendo immaginare a distanza di anni, in base alle future prove, allo sviluppo del processo, la pena detentiva in concreto che si infliggerà, dipendente anche dal comportamento processuale dell’imputato e cioè da un parametro per definizione ignoto al Gip all’atto in cui applica la misura cautelare.

A peggiorare le cose l’emendamento che deroga al divieto e consente il carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (si tratta di un variopinto catalogo, dove convivono stalking, maltrattamenti in famiglia, incendio boschivo e numerosi altri).

A parte le censure di costituzionalità per non avervi ricompreso altri reati di pari importanza, non si comprende la limitazione intervenuta: se infatti l’imputato è innocente sino a condanna definitiva e quindi la custodia cautelare rimedio eccezionale, se anche in ipotesi di condanna il reo non andrà in carcere per effetto della normativa vigente, la norma deve valere per ogni tipo di reato, non essendovi liste di proscrizione, per le quali il clamore della piazza risuoni più forte delle garanzie dell’individuo.

Andrea R. Castaldo

Il Mattino, 7 agosto 2014