Nessun traffico di droga, assolto il radicale Quintieri. Chiederà 500 mila euro di danni


Emilio Quintieri - Luigi MazzottaNel tardo pomeriggio di ieri, intorno alle ore 17,30, il Tribunale di Paola in composizione collegiale (Del Giudice, Presidente, Paone e Mesiti, Giudici a latere), in nome del popolo italiano, ha pronunciato la sentenza di primo grado nell’ambito dell’Operazione Antidroga “Scacco Matto”, istruita dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Paola su delega della locale Procura della Repubblica e che portò all’arresto, tra gli altri, anche del cetrarese Emilio Quintieri, in quel periodo candidato nella circoscrizione calabrese alla Camera dei Deputati con la Lista Radicale “Amnistia, Giustizia e Libertà” promossa da Marco Pannella ed Emma Bonino.

Il Collegio giudicante, disattendendo la richiesta avanzata dal Pubblico Ministero Valeria Teresa Grieco che concludeva per la condanna dell’esponente radicale alla pena di 3 anni di reclusione e 6.000 euro di multa, riqualificati i fatti come di lieve entità ex Art. 73 comma 5 D.P.R. nr. 309/1990 (quasi il massimo atteso che la pena prevista è la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da euro 1.032 ad euro 10.329), ha riconosciuto l’innocenza dell’imputato assolvendolo con la formula più ampia “perché il fatto non sussiste” per tutti e cinque i capi di imputazione (capi 3, 10, 11, 12 e 20) che gli erano stati ascritti nell’ordinanza custodiale e nel decreto di giudizio immediato, provvedimenti entrambi firmati dal Gip del Tribunale di Paola Carmine De Rose. L’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere era stata persino confermata dal Tribunale del Riesame di Catanzaro (Perri, Presidente, Natale e Tarantino, Giudici a latere) che aveva rigettato il ricorso proposto dall’Avvocato Sabrina Mannarino del Foro di Paola, difensore di fiducia del Quintieri, con il quale veniva diffusamente contestato il quadro indiziario e cautelare e, per l’effetto, chiesto l’annullamento e la revoca della misura o, in subordine, la sostituzione della stessa con altra meno afflittiva. Su questa specifica questione, l’imputato Quintieri, che è intervenuto personalmente in udienza, si è soffermato per stigmatizzare l’operato dei Giudici catanzaresi leggendo brevi passi dell’ordinanza da loro vergata, che già all’epoca dei fatti non aveva alcun fondamento. Ed infatti, secondo il Riesame nei confronti del Quintieri vi era la sussistenza della “gravità indiziaria” per i delitti a lui ascritti nella imputazione provvisoria, poiché dagli atti di indagine e, in particolare, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dagli inquirenti – rituali e pienamente utilizzabili – il cui contenuto appariva esplicito ed univoco, nonché dalle attività di riscontro (osservazioni, pedinamenti e sommarie informazioni di tossicodipendenti) posti in essere dagli organi di Polizia Giudiziaria, emergevano gravi indizi di colpevolezza a suo carico, senza necessità di altri riscontri esterni. “Vorrei sapere dove sono queste intercettazioni telefoniche ed ambientali visto che negli atti non ve né traccia così come vorrei sapere chi ha compiuto queste osservazioni e pedinamenti visto che i Carabinieri quando sono stati sentiti in aula hanno riferito tutt’altro.” Per quanto riguarda, invece, i cinque tossicodipendenti – sulla cui posizione il Tribunale ha trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per quanto di competenza – l’esponente radicale, ha detto che questi soggetti sono “inattendibili ed inaffidabili” e che le dichiarazioni rese nei suoi confronti sono tutte “false e calunniose” e prive di ogni minimo riscontro, anzi smentite da altri dati acquisiti durante l’istruttoria dibattimentale, lamentando altresì che “non si possono fare processi in queste condizioni”.

Per Quintieri, complessivamente, la “carcerazione preventiva” è durata un anno venendo ristretto in carcere, prima a Paola e poi a Cosenza (dal 13/02/2013) poi sottoposto agli arresti domiciliari “aggravati” in Fagnano Castello (dal 04/09/2013) e, successivamente, scarcerato e sottoposto all’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per tre volte alla settimana (dal 23/12/2013 al 13/02/2014). Attualmente, per gli stessi fatti, è sottoposto alla misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza che gli impone particolari divieti e restrizioni anche alla libertà personale, misura per la quale, a breve, chiederà la revoca.

Visto che il Codice di Procedura Penale, in adempimento di un preciso obbligo posto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, riconosce all’imputato il diritto di ottenere un’equa riparazione per la ingiustizia sostanziale della custodia cautelare subita e per gli ulteriori danni morali arrecati sul piano familiare sociale e fisico, considerato anche che al momento dell’arresto Emilio Quintieri era candidato al Parlamento, non appena l’assoluzione diverrà irrevocabile, chiederà alla Corte di Appello di Catanzaro la condanna dello Stato a 500.000 euro di risarcimento, il massimo previsto attualmente dalla legge, non lasciando nulla di intentato nei confronti di chiunque altro abbia sbagliato, abusando delle proprie funzioni.

In poche ore, all’esponente dei Radicali Italiani, è pervenuta la solidarietà di oltre 500 persone tra cui numerosi Deputati e Senatori, Sindaci, Consiglieri Regionali, Funzionari dell’Amministrazione Penitenziaria, Giuristi, Magistrati, Docenti Universitari e Presidenti di Associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani.

Giustizia, Boom di innocenti in cella anche nel 2015. Maglia nera per il Distretto di Catanzaro


togheLa top ten degli errori giudiziari dell’anno. Quattro milioni arrestati ingiustamente negli ultimi 50 anni. In compenso dal 1998 al 2014 gli inquirenti riconosciuti colpevoli sono solo quattro.

Milioni di persone incarcerate ingiustamente, migliaia le vittime di errori giudiziari, centinaia di milioni di euro per risarcire chi, da innocente, ha subìto i soprusi di una giustizia letteralmente allo sfascio. I numeri che descrivono il penoso stato del nostro sistema giudiziario non lasciano scampo e immortalano uno scenario disastroso a cui nessun governo è riuscito, finora, a porre rimedio. Il sito errorigiudiziari.com, curato da Valentino Maimone e Benedetto Lattanzi, ha messo in rete i 25 casi più eclatanti del 2015 di cittadini innocenti precipitati nella inestricabile ragnatela della malagiustizia italiana. Casi che contribuiscono a rendere il panorama del nostro impianto giudiziario, come certificano più fonti (Unione Camere Penali, Eurispes, Ristretti Orizzonti, ministero della Giustizia), più fosco di quanto si pensi.

Se dall’inizio degli anni 90 gli italiani finiti ingiustamente dietro le sbarre sono stati circa 50mila, negli ultimi 50 anni nelle nostre carceri sono passati 4 milioni di innocenti. E se nell’arco di tempo che va dal 1992 al 2014 ben 23.226 cittadini hanno subìto lo stesso destino, per un ammontare complessivo delle riparazioni che raggiunge i 580 milioni 715mila 939 euro, i dati più recenti attestano che la situazione non accenna a migliorare. Come comunicato dal viceministro della Giustizia Enrico Costa, infatti, dal 1992, anno delle prime liquidazioni, al luglio del 2015 “è stata sfondata la soglia dei 600 milioni di euro” di pagamenti. Per la precisione: 601.607.542,51. Nello stesso arco di tempo, i cittadini indennizzati per ingiusta privazione della libertà sono stati 23.998. Nei primi sette mesi del 2015, inoltre, le riparazioni effettuate sono state 772, per un totale di 20 milioni 891mila 603 euro. Nei 12 mesi del 2014, invece, erano state accolte 995 domande di risarcimento, per una spesa di 35,2 milioni di euro. Numeri che avevano fatto registrare un incremento dei pagamenti del 41,3 per cento rispetto al 2013, anno in cui le domande accettate furono 757, per un totale di 24 milioni 949mila euro. In media lo Stato versa circa 30 milioni di euro all’anno per indennizzi. I numeri a livello distrettuale riferiti ai risarcimenti per ingiusta detenzione collocano al primo posto Catanzaro con 6 milioni 260mila euro andati a 146 persone. Seguono Napoli (143 domande liquidate pari a 4 milioni 249mila euro), Palermo (4 milioni 477mila euro per 66 casi), e Roma (90 procedimenti per 3 milioni 201mila euro).

Nel 2014 è stato registrato un boom di pagamenti anche per quanto riguarda gli errori giudiziari per ingiusta condanna. Dai 4.640 euro del 2013, che fanno riferimento a quattro casi, si è passati a 1 milione 658mila euro dell’anno appena trascorso, con 17 casi registrati. La liquidazione, infatti, è stata disposta per più di 1 milione di euro per un singolo procedimento verificatosi a Catania, e poi per altre 12 persone a Brescia, due a Perugia, una a Milano e l’ultima a Catanzaro. Dal 1992 al 2014 gli errori giudiziari sono costati allo Stato, dunque al contribuente italiano, 31 milioni 895mila 353 euro. Ma il ministero della Giustizia, aggiornando i dati, ha certificato che fino al luglio del 2015 il contribuente ha sborsato 32 milioni 611mila e 202 euro.

La legge sulla responsabilità civile dei magistrati è stata varata la prima volta nel 1988 e modificata, per manifesta inefficacia, solo nel febbraio di quest’anno. I dati ufficiali accertano che dal 1988 al 2014 i magistrati riconosciuti civilmente responsabili dei loro sbagli, con sentenza definitiva, sono stati solo quattro. Secondo l’Associazione nazionale vittime errori giudiziari, ogni anno vengono riconosciute dai tribunali 2.500 ingiuste detenzioni, ma solo un terzo vengono risarcite. Stefano Livadiotti, nel libro “Magistrati, l’ultracasta”, scrive che le toghe “hanno solo 2,1 probabilità su 100 di incappare in una sanzione” e che “nell’arco di otto anni quelli che hanno perso la poltrona sono stati lo 0,065 per cento”.

Luca Rocca

Il Tempo, 30 dicembre 2015

Belluno, il Tribunale di Venezia condanna lo Stato a risarcire un ex detenuto con 5.800 euro


Casa Circondariale di BellunoUn bellunese che è passato per Busto Arsizio e Padova ha incassato 5.800 euro. Si è avvalso di una sentenza emessa della Corte europea e di un decreto legge. Cella sovraffollata? Una tortura.

Meno di tre metri quadrati a testa danno diritto alla richiesta di un risarcimento danni allo Stato, sulla base della sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo e del decreto legge numero 92 dell’anno scorso.

Un ex detenuto bellunese, difeso dall’avvocato Mario Mazzoccoli ha ottenuto 5.800 euro per i 730 giorni passati in spazi angusti, tra le carceri di Busto Arzizio e Due Palazzi di Padova. Non aveva abbastanza spazio vitale, insieme ad altri carcerati e, quando è uscito ha presentato un ricorso di fronte al giudice civile di Venezia, entro il termine previsto di sei mesi. Gli spettano otto euro per ciascun giorno di detenzione in condizioni difficili. E il conto torna.

Nel caso fosse stato ancora detenuto, invece, avrebbe spuntato uno sconto di pena pari a un giorno ogni dieci trascorsi nelle stesse condizioni. L’uomo è in stato di libertà ormai da qualche settimana e ha anche trovato un lavoro. Era stato condannato a un certo numero di anni, per vari e non meglio identificati reati e quasi 24 mesi li ha passati con uno spazio vitale intorno troppo esiguo per essere considerato umano.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo è dell’8 gennaio di due anni fa e rappresenta una pesante condanna nei confronti dell’Italia e del suo sistema penitenziario. Il caso di Torreggiani e di altri ricorrenti era stato posto all’attenzione della Corte nell’agosto del 2009. È stato depositato da sette ricorrenti contro lo Stato per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea, che proibisce trattamenti inumani e degradanti. I detenuti stanno scontando la pena nelle case circondariali di Busto e Piacenza. Ogni cella era occupata da tre detenuti, ognuno dei quali aveva meno di tre metri quadrati, come proprio spazio personale. Letti a castello e mobilio esclusi.

La Corte considera che non solo lo spazio vitale indicato non sia conforme alle previsioni minime individuate dalla propria giurisprudenza, ma anche che tale situazione detentiva sia aggravata dalle generali condizioni di mancanza di acqua calda, mancanza di ventilazione e luce. Questa situazione costituisce una violazione dei requisiti minimi di vivibilità provocando una situazione di vita degradante. I danni morali subiti in violazione dell’articolo 3 della Convenzione è stata quantificata per loro in una somma di circa 100 mila euro a testa.

Gigi Sosso

Corriere delle Alpi, 4 ottobre 2015

Malagiustizia, lo Stato ha speso 600 milioni di euro per risarcire le vittime dei Magistrati. Solo nel 2014 spesi 35 milioni di euro


giustizia2Mentre non si sopiscono le polemiche nella magistratura per la legge sulla responsabilità civile dei giudici, vale la pena ricordare che da due anni a questa parte, la relazione annuale presentata dalla direzione generale del ministero della Giustizia per il contenzioso e per i diritti umani inizia sempre allo stesso modo.

“La materia dei ritardi della giustizia ordinaria costituisce la gran parte del contenzioso seguito. Per altro il numero e l’entità delle condanne (allo Stato di risarcimento ai cittadini, ndr.) rappresentano annualmente una voce importante del passivo del bilancio della Giustizia, voce la cui eliminazione dovrebbe porsi come prioritario obiettivo dell’amministrazione”.

E poi quantificano una cifra che, invece, puntualmente, di anno in anno diventa sempre più ingente. Solo per i risarcimenti legati alla ragionevole durata dei processi, lo Stato italiano ha “un debito che a metà del 2014 ammontava ad oltre 400 milioni di euro”. Una cifra a cui vanno ulteriormente aggiunti vari milioni di euro di risarcimento per altri danni causati dalla magistratura italiana ai cittadini, tra cui l’ingiusta detenzione o l’errore giudiziario.

La relazione della direzione generale del ministero evidenzia un particolare che farebbe sorridere, se non piangere. Oltre all’ammontare del debito dovuto dallo Stato per i processi lumaca, nel solo 2014 a questa cifra si sono aggiunti “mille ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell’uomo per lamentare il pagamento ritardato degli indennizzi” già fissati per i cittadini che hanno subìto un danno per l’eccessivo ritardo dei processi. Pur non quantificando gli eventuali risarcimenti dovuti né la loro conclusione, la relazione resa pubblica all’inizio di quest’anno certifica anche che nel 2014 sono stati presentati 37 nuovi ricorsi per la responsabilità civile dei magistrati (ancora regolamentati dalla vecchia legge). Questi ricorsi vanno a sommarsi agli oltre tremila ricorsi presentati tra il 1989 e il 2012.

Bisogna passare ad un’altra relazione di un’altra direzione generale, quella dei servizi del Tesoro che si occupa materialmente di liquidare i risarcimenti pecuniari, per comprendere quanto sia enorme la piaga degli errori giudiziari in Italia. Con questo termine sono indicati tutti quei casi di persone condannate con una sentenza divenuta definitiva e che poi stati assolti da un processo di revisione. Nel 2014 si è registrato per gli indennizzi di questi casi un vero e proprio record: si è passati dai 4mila euro dovuti nel 2013 per 4 casi di errore agli 1,6 milioni di euro dovuti per i 17 nuovi errori giudiziari. Di questi indennizzi, in particolare, 1 milione è stato disposto come risarcimento per la vittima di un errore a Catania, mentre gli altri 600 mila euro sono andati a 12 persone di Brescia, due di Perugia, una di Milano, una di Catanzaro. Dal 1991, quando con la legge Vassalli sono stati erogati i primi risarcimenti, fino al 2012 lo Stato ha pagato 575 milioni 698 mila euro per i casi di malagiustizia. Tra i nuovi casi che si stanno discutendo nei tribunali, a Catania spicca quello di Giuseppe Gulotta, ingiustamente condannato al carcere per 22 anni e poi assolto perché il fatto non sussiste, che ha chiesto 69 milioni di euro di risarcimento.

La legge prevede che vengano risarciti anche tutti quei cittadini che sono stati ingiustamente detenuti, anche solo nella fase di custodia cautelare, e poi assolti magari con la formula piena. Nel solo 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3 per cento dei pagamenti rispetto al 2013. Dal 1991 al 2012 lo Stato per questo motivo ha dovuto spendere 580milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente sbattuti dietro le sbarre negli ultimi 15 anni. Tra le città con un maggior numero di risarcimenti nel 2014, in pole position c’è Catanzaro (146 casi), seguita da Napoli (143 casi).

Chiara Rizzo

Tempi, 28 febbraio 2015

Catanzaro: 2,3 milioni di risarcimenti per ingiuste detenzioni, un record negativo


carcere-620x264Catanzaro conquista il secondo posto a livello nazionale nella drammatica classifica dei rimborsi dovuti a chi è stato ingiustamente in carcere. Un record per nulla positivo, secondo solo a Palermo. Le cifre provengono dal Ministero dell’Economia, che materialmente liquida le somme.

La statistica semestrale dei fascicoli per ingiusta detenzione vede in testa proprio la città siciliana, con 35 casi e risarcimenti per 2 milioni e 790 mila euro. Seguono Catanzaro, con 2,3 milioni; Roma, con 1,3 milioni, e Napoli con 1 milione e 235mila euro.

Solo nei primi sei mesi del 2014 lo Stato ha già pagato 16 milioni e 200 mila di euro di risarcimenti per 431 casi di ingiusta detenzione nelle carceri. Un dato che si aggiunge a quello degli oltre 567 milioni di euro pagati a partire dal 1992 per le 22.689 richieste autorizzate. E ai 30 milioni e 650 mila euro sborsati per i soli errori giudiziari, cioè quelli sanciti dopo un processo di revisione che ha dichiarato innocenti soggetti precedentemente condannati in via definitiva.

Ma “al di là delle cifre – osserva il vice ministro della Giustizia, Enrico Costa – che certo servono a misurare l’entità del fenomeno, bisogna comprendere meglio quali vicende si nascondano dietro i numeri. Bisogna andare oltre i dati, per capire meglio come si produca l’errore: per questo ritengo si debba quanto prima avviare un’istruttoria in merito”.

“Il solo passaggio all’interno del carcere – afferma Costa – è un’esperienza che segna e spesso spezza una vita. Dietro i numeri ci sono storie personali che vanno analizzate non solo per prevenire il pagamento di ingenti somme da parte dello Stato, ma anche per capire perché e in che fase, principalmente, si apra la falla: se per esempio prevalga un’errata valutazione di fatti e circostanze o piuttosto una applicazione della custodia cautelare non corretta.

Noi, per esempio, non desumiamo dai dati se la percentuale maggiore di ingiusta detenzione si determini nella fase preliminare con ordinanze dei gip o in quelle successive. Ma sarebbe importante capirlo”.

Per Costa, un veicolo di possibile intervento per introdurre contromisure potrebbe essere proprio il provvedimento sulla custodia cautelare all’esame della Camera. Ma in prima battuta serve un supplemento di indagine per comprendere il fenomeno. Un’istruttoria, appunto. Che tra l’altro Costa riterrebbe utile anche su un altro versante: quello della responsabilità civile dei magistrati. L’ambito e i meccanismi non sono esattamente gli stessi, ma alla base c’è comunque un errore che può essere riconosciuto come danno, sebbene i casi di risarcimento siano stati molto pochi nel corso degli anni.

L’intenzione di Costa è di “chiedere ed esaminare anche i fascicoli relativi alla responsabilità civile per avere un quadro chiaro”, tanto più in un momento in cui l’intera materia oggetto di un disegno di legge di riforma all’esame del Senato. E l’idea di una commissione sugli errori dei magistrati piace all’Unione camere penali, che invita l’Anm, “stabilmente impegnata in un’azione di contrasto a tutto campo delle politiche di riforma del sistema giudiziario”, a riflettere sulle cifre fornite da Costa.

L’Opinione, 16 ottobre 2014

I risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri ? Vengono quasi sempre negati dalla Magistratura di Sorveglianza


cella detenuti 1I dati ufficiali sui risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri, dove ci fu un intervento della Corte Europea, sono a dir poco incredibili, finora è stato risarcito un solo detenuto con quattromila euro. Molti altri si vedono respingere l’istanza con la non ammissibilità, altri non hanno avuto nessuna risposta. Qui nel nostro paese non esiste nessuna forma di risarcimento, né per l’invivibilità nelle carceri, né quando sei detenuto ingiustamente.

C’era stata una sentenza della Corte Europea che obbligava l’Italia a rispettare il principio di umanità nella detenzione, riprovando l’incredibile sovraffollamento dei nostri Istituti di pena. Ma poi questa sentenza non ha avuto esecutività e la Corte Europea di fatto annullava la prima sentenza, concedendo all’Italia altro tempo e altre soluzioni. Per questo ci fu un decreto, approvato in un consiglio dei ministri che sanciva un risarcimento irrisorio per detenzioni inumane.

Oggi i dati ufficiali delineano un dato inquietante. Nessuno viene risarcito per questo, solo una persona è stata risarcita in forma esigua. Una tragica e triste constatazione: una volta detenuto non hai più diritti, in nessun senso, sia per le detenzioni illegali, in quanto poi una volta assolto nessuno ti risarcisce e anche nelle detenzioni in condizioni incredibili avviene lo stesso, nessun risarcimento. Quando varchi la soglia di un carcere per te i diritti finiscono per sempre. Finiscono anche quando risulti innocente, immagina se vieni condannato. Rimane solo l’indicibile sofferenza che il carcere produce sugli individui.

Giulio Petrilli

Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2014

Carceri, Radicali : i risarcimenti ai detenuti sono un fallimento, porteremo le prove alla Corte di Strasburgo


Isernia 1Ieri sera a Radio Carcere (la trasmissione condotta da Riccardo Arena su Radio Radicale) la Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, ha parlato dello stop ai ricorsi pronunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione (trattamenti inumani e degradanti).

Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, la Corte Edu nel respingere 19 ricorsi provenienti dall’Italia, ha dichiarato di “non avere prove per ritenere che il rimedio preventivo e quello compensativo introdotti dal governo con i decreti legge 146/2013 e 92/2014, non funzionino”. La Corte di Strasburgo ha inoltre deciso di mettere uno stop anche ai quasi 4.000 ricorsi ricevuti in questi anni dai detenuti delle carceri italiane.

“Come abbiamo già documentato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con il nostro dossier del 22 maggio (non consegnato per tempo ai delegati dalla burocrazia europea) – ha dichiarato la Segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini – proveremo che i rimedi previsti dal Governo italiano non solo sono umilianti per chi ha subito trattamenti equiparabili alla tortura, ma nemmeno funzionano per come è organizzata oggi la Magistratura di sorveglianza, inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta. Toccherà ancora una volta a noi e alle associazioni del mondo penitenziario armarsi di nonviolenza e di molta precisione e pazienza per impedire che la “peste italiana” della negazione di diritti umani fondamentali si diffonda anche in Europa. Lo faremo con i detenuti e le loro famiglie”.

http://www.radicali.it, 1 ottobre 2014

Padova: cella troppo piccola, detenuto risarcito con 4.800 euro e sconto di pena


Casa Circondariale di PadovaPrima applicazione del decreto voluto dall’Europa contro la “detenzione inumana”. Ad un carcerato albanese condannato a 6 anni, liquidati 4.808 euro: era stato detenuto 701 giorni in meno di 3 metri.

Risarcimento di 4.808 euro per 601 giorni di detenzione in condizioni inumane di sovraffollamento carcerario, e 10 giorni di detrazione della pena sui residui 100 giorni che ancora gli restavano da scontare: è la prima applicazione a Padova del “rimedio compensativo” introdotto dal decreto legge 92 del 26 giugno per placare Strasburgo ed evitare una raffica di condanne dell’Italia da parte della Corte europea dei Diritti dell’uomo, che con le sentenze Sulejmanovic il 16 luglio 2009 e Torreggiani l’8 gennaio 2013 aveva indicato in 3 metri quadrati per detenuto lo spazio minimo in cella sotto il quale la detenzione diventa automaticamente “trattamento disumano e degradante”, cioè tortura.

Il decreto legge introduce una riduzione di pena di 1 giorno di detenzione per ogni 10 giorni trascorsi in condizioni inumane, oppure il risarcimento di 8 euro al giorno se la detenzione si è già conclusa. Ad oggi, tuttavia, pur a fronte di parecchie migliaia di richieste già formulate dai detenuti in tutta Italia, molti uffici di Sorveglianza o non hanno ancora maturato un orientamento (come Milano e Napoli, che per priorità lavorano intanto sullo smaltimento delle istanze di “liberazioni anticipata” passibili di determinare l’urgente messa in libertà dei detenuti richiedenti); oppure stanno adottando – come a Vercelli – una linea restrittiva che sfocia in molte dichiarazioni di inammissibilità dei ricorsi.

Diversa l’interpretazione a Padova, e in genere nel distretto di Venezia come pure a Genova. Nel caso esaminato dalla giudice di sorveglianza Linda Arata, un carcerato albanese condannato a 6 anni (per associazione a delinquere, prostituzione minorile, violenza privata e falsa testimonianza) lamentava tutta la propria attuale detenzione nella casa di reclusione di Padova. La giudice ha però circoscritto il titolo di risarcimento al periodo in cui si è ricostruito che il detenuto era stato in cella con altre due persone, situazione che faceva scendere lo spazio disponibile pro capite a 2 metri e 85 centimetri: misura nella quale la giudice, in dissenso dal ministero della Giustizia che ora ha fatto reclamo contro l’ordinanza, ha escluso il bagno “in quanto mero vano accessorio della camera detentiva”, e “gli arredi inamovibili come l’armadio”, conteggiando invece “letto e tavolino e sgabelli in quanto arredi che possono essere spostati”.

Con questi paletti sono risultati 701 i giorni trascorsi in cella dal detenuto albanese in condizioni disumane. Dall’esecuzione della pena residua di 100 giorni la giudice gli ha allora detratto 10 giorni (appunto uno ogni dieci), tolti i quali il detenuto è tornato in libertà il 2 settembre. Per gli altri pregressi “601 giorni di detenzione in condizioni di illegalità”, la giudice ha “applicato il criterio di liquidazione residuale del risarcimento predeterminato dal legislatore” di 8 euro al giorno, per un totale quindi di 4.808 euro.

Luigi Ferrarella

Corriere della Sera, 25 settembre 2014

Carceri : E’ entrata in vigore la Legge sui risarcimenti ai detenuti che hanno subito trattamenti inumani e degradanti


cella detenuti 1È in vigore da oggi la legge di conversione del decreto del che prevede misure compensative per i detenuti che hanno subito un trattamento inumano, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale di ieri. Risarcimenti, in denaro o attraverso sconti di pena, stretta sulle misure cautelari, novità sulla detenzione minorile e più agenti di polizia penitenziaria i punti principali della legge, che ha avuto il 2 agosto via libera definitivo con il voto di fiducia del Senato al decreto licenziato il 24 luglio dalla Camera.

Il decreto era stato messo a punto dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dal ministro della Giustizia Andrea Orlando e approvato dal Cdm il 20 giugno. La legge contiene le misure previste dopo la “promozione” dell’Italia da parte del Consiglio d’Europa, per gli interventi sull’emergenza carceraria. Alla scadenza prevista dalla sentenza Torreggiani, che ha condannato l’Italia per la situazione delle carceri, Strasburgo ha infatti valutato positivamente le azioni avviate dal governo, rimandando un ulteriore “esame” a giugno del prossimo anno.

Cosa prevede la legge

Otto euro al giorno di indennizzo o sconti di pena per i detenuti che hanno vissuto o tuttora vivono in carcere in condizioni inumane. Ecco, in sintesi, le principali novità della legge sui rimedi compensativi in vigore da oggi.

Risarcimenti

Sconti di pena o soldi ai detenuti reclusi in “condizioni inumane”. Per compensare la violazione della Convenzione sui diritti dell’uomo, se la pena è ancora da espiare è previsto un abbuono di un giorno per ogni dieci durante i quali è avvenuta la violazione del diritto a uno spazio e a condizioni adeguate. Per chi non si trova più in carcere è previsto un risarcimento pari a 8 euro per ciascuna giornata di detenzione trascorsa in condizioni non conformi alle indicazioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. La richiesta, in questo caso, va fatta entro 6 mesi dalla fine della detenzione. Da qui al 2016 per i risarcimenti saranno disponibili 20,3 milioni di euro.

Stretta sul carcere preventivo

Divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena non superiore ai 3 anni. In altri termini, se il giudice ritiene che all’esito del giudizio la pena irrogata non sarà superiore ai 3 anni, per esigenze cautelari potrà applicare solo gli arresti domiciliari. La norma non vale però per i delitti ad elevata pericolosità sociale (tra cui mafia e terrorismo, rapina ed estorsione, furto in abitazione, stalking e maltrattamenti in famiglia) e in mancanza di un luogo idoneo per i domiciliari. Viene ribadito invece il divieto assoluto (norma già esistente) del carcere preventivo e dei domiciliari nei processi destinati a chiudersi con la sospensione condizionale della pena. Chi trasgredisce ai domiciliari, peraltro, va in carcere.

Benefici minori a under 25

Le norme di favore previste dal diritto minorile sui provvedimenti restrittivi si estendono a chi non ha ancora 25 anni (anziché 21 come oggi). In sostanza, se un ragazzo deve espiare la pena dopo aver compiuto i 18 anni ma per un reato commesso da minorenne, l’esecuzione di pene detentive e alternative o misure cautelari sarà disciplinata dal procedimento minorile e affidata al personale dei servizi minorili fino ai 25 anni. Sempre che il giudice, pur tenendo conto delle finalità rieducative, non lo ritenga socialmente pericoloso.

Ai domiciliari senza scorta

A meno che non prevalgano esigenze processuali o di sicurezza, l’imputato che lascia il carcere per i domiciliari lo farà senza accompagnamento delle forze dell’ordine.

Più Magistrati di Sorveglianza

Qualora l’organico sia scoperto di oltre il 20% dei posti, il Csm in via eccezionale (riguarda solo i vincitori del concorso bandito nel 2011) destinerà alla magistratura di sorveglianza anche i giudici di prima nomina. È anticipata al 31 luglio la scadenza del commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria.

Più agenti penitenziari

Cresce di 204 unità l’organico della polizia penitenziaria, con un saldo finale che vedrà meno ispettori e più agenti. Giro di vite su comandi e distacchi del personale Dap presso altri ministeri o amministrazioni pubbliche, per due anni saranno vietati.

Lo Stato certifica con Legge la disumanità delle nostre Carceri


Venezia 6Il decreto anti-sovraffollamento è l’immagine dell’impotenza dello Stato. Immaginiamo che un turista prenoti una stanza d’albergo con bagno e all’arrivo riceva la sgradita sorpresa dell’assenza dei servizi igienici in camera.

Certamente gli spetterà un indennizzo, ma è difficile credere che accetterà di rimanere lì. Il paragone può sembrare irriverente ma in realtà calza con il rimedio introdotto per chi sconta la pena in condizioni che violano la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Facciamo un passo indietro, per comprendere cosa è accaduto.

Il 2 agosto è stato convertito in legge il D.L. 92/2014, che contiene due importanti novità, passate pressoché in silenzio complice il clima vacanziero, in tema di sovraffollamento carcerario e di limiti della custodia cautelare. In particolare, il detenuto in condizioni carcerarie disumane (cioè una cella inferiore a 3 mq, spazio minimo invalicabile secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) può fare istanza al Magistrato di Sorveglianza, il quale disporrà a titolo di risarcimento del danno una riduzione di un giorno della pena detentiva per ogni dieci di permanenza in carcere in tale situazione. In alternativa, la legge riconosce al detenuto un importo in denaro di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in violazione dei parametri di vivibilità.

Ora, si può fare della facile ironia sui criteri prescelti dal legislatore e discutere se il forfait stabilito (a stento pizza e caffè in un locale di modeste pretese) compensi le sofferenze di chi si trova ristretto in carcere, o se sia congruo lo sconto di pena di tre giorni al mese.

Ma il vero punto in discussione è il singolare principio sottostante: il riconoscimento e l’accettazione dello status quo, l’impossibilità di eliminare il pregiudizio in itinere, la consequenziale sensazione di impotenza e di resa dello Stato. In definitiva la pretesa punitiva abdica alla funzione assegnata dalla Carta Costituzionale: nel silenzio imbarazzato e reticente, certifica di fatto le modalità disumane dell’esecuzione della pena.

Senonché, l’articolo 27 comma 3 Cost. vieta i trattamenti disumani e assegna alla pena un compito di reinserimento sociale. Ebbene, è addirittura paradossale immaginare una finalità special-preventiva per il condannato che viva con modalità giudicate lesive dei suoi diritti naturali. La norma approvata certifica dunque l’inconsueto ossimoro di una pena detentiva disumana risocializzante. L’ipocrisia regna sovrana e si fa scudo della cronica carenza di risorse economiche per la costruzione di nuove carceri.

Analoghe perplessità desta l’articolo 8, che vieta la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se il giudice ritiene che la pena detentiva da scontare non supererà i tre anni. Obiettivo nobile ridurre il sovraffollamento carcerario ed evitare il carcere a chi in carcere quasi certamente non andrà in caso di condanna definitiva, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Perché al giudice viene richiesto, più che una valutazione prognostica, un vaticinio, dovendo immaginare a distanza di anni, in base alle future prove, allo sviluppo del processo, la pena detentiva in concreto che si infliggerà, dipendente anche dal comportamento processuale dell’imputato e cioè da un parametro per definizione ignoto al Gip all’atto in cui applica la misura cautelare.

A peggiorare le cose l’emendamento che deroga al divieto e consente il carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (si tratta di un variopinto catalogo, dove convivono stalking, maltrattamenti in famiglia, incendio boschivo e numerosi altri).

A parte le censure di costituzionalità per non avervi ricompreso altri reati di pari importanza, non si comprende la limitazione intervenuta: se infatti l’imputato è innocente sino a condanna definitiva e quindi la custodia cautelare rimedio eccezionale, se anche in ipotesi di condanna il reo non andrà in carcere per effetto della normativa vigente, la norma deve valere per ogni tipo di reato, non essendovi liste di proscrizione, per le quali il clamore della piazza risuoni più forte delle garanzie dell’individuo.

Andrea R. Castaldo

Il Mattino, 7 agosto 2014