Fiandaca: la riforma Bonafede cancella la prescrizione, un istituto giuridico di grande civiltà


Perché la riforma Bonafede cancella un istituto di grande civiltà. Rischio pastrocchio con i “correttivi” del Pd. Specie nell’ottica di un anziano professore di diritto penale, l’attuale conflitto politico sulla prescrizione appare sorprendente e al tempo stesso molto preoccupante.

Siamo arrivati al punto, nel nostro paese, di rischiare di stravolgere un istituto giuridico di grande civiltà perché il movimento pentastellato, in nome di presunte sue ragioni identitarie, pretende di imporne una riforma ispirata a un punitivismo smodato?

Oltretutto, questa ossessione punitiva appare politicamente opportunistica in quanto strumentalizza, per lucrare consensi elettorali, pulsioni emotive di punizione alimentate da sentimenti collettivi di paura, rabbia, frustrazione, indignazione, invidia sociale, rancore, risentimento e rivalsa diffusi in periodi di crisi e insicurezza come quello in cui viviamo.

Che l’idea grillina di bloccare in via definitiva la prescrizione dopo la sentenza di primo grado nasca, in fondo, da un avallo politico del bisogno emotivo di rendere imprescrittibile ogni illecito penale – come a volere “eternare” la riprovevolezza e la castigabilità degli autori di reato additati quali nemici del popolo – è una ipotesi esplicativa tutt’altro che azzardata o peregrina.

Come studi di filosofia e psicologia della punizione da tempo mettono in evidenza, infatti, il diritto penale e la punizione coinvolgono (anche a livello inconscio) meccanismi psichici profondi, canalizzando in forma istituzionalizzata tendenze aggressivo-ritorsive insite negli atteggiamenti punitivi declinati in chiave prevalentemente retributiva.

Se così è, fa benissimo ora il Pd a cercare di porre argine al fanatismo repressivo dei Cinque stelle. Ma, stando alle cronache giornalistiche di questi giorni, le linee ispiratrici della proposta dem non risultano ancora chiare. E incombe per di più il rischio che, nel tentativo di trovare una soluzione di compromesso col mantenimento del blocco della prescrizione così come voluto da Bonafede, ne esca fuori alla fine un complessivo pastrocchio.

Affrontare in un articolo di giornale complicate questioni tecnico-giuridiche non è, certo, possibile. Anche limitandosi all’essenziale, non si può peraltro prescindere da una premessa e da qualche rilievo di massima. Cominciando dalla premessa, va ricordato che l’istituto della prescrizione deve la sua genesi alla presa d’atto che la repressione dei reati non può costituire un obiettivo prioritario a ogni costo.

Piuttosto, sono in gioco rilevanti interessi ed esigenze concorrenti, che vengono appunto in rilievo per effetto del decorrere del tempo rispetto al reato commesso, e che vanno perciò bilanciati con l’interesse a punire. Beninteso, si tratta di preoccupazioni concorrenti che si collocano a monte del problema dell’efficiente funzionamento della macchina giudiziaria e dei tempi del processo, che occorrerebbe accorciare perché spesso in Italia troppo lunghi.

Anche se il dibattito corrente si concentra soprattutto sulle lungaggini del processo, non bisognerebbe infatti trascurare che le ragioni “classiche” della prescrizione hanno in primo luogo a che fare col diritto penale sostanziale e con gli stessi fini della pena, come ha sinora più volte riconosciuto pure la Corte costituzionale.

Il punto essenziale è questo: a misura che aumenta la distanza temporale tra il reato commesso e il momento in cui interviene la condanna, decresce la necessità pratica di punire dal duplice punto di vista della prevenzione generale e della prevenzione speciale. Ciò sia perché col passare degli anni sfuma l’allarme sociale, e viene meno il pericolo che altri siano per suggestione imitativa indotti a compiere delitti simili; sia perché col trascorrere del tempo il reo può essere diventato un’altra persona, può essersi spontaneamente ravveduto, per cui non avrebbe più senso e scopo applicargli una pena in chiave rieducativa. Si aggiunga inoltre, da un punto di vista probatorio, che quanto più un caso è lontano nel tempo, tanto più difficile ne risulta la prova nell’ambito del processo.

Questi fondamenti classici della prescrizione sono divenuti, ormai, obsoleti a causa di un riemergente retribuzionismo intransigente e rabbioso, per cui la maggioranza dei cittadini oggi esige che tutti i reati (dai più gravi ai più lievi) vengano perseguiti e sanzionati “senza se e senza ma”?

Certo è che i suddetti fondamenti stanno alla base anche del modello di disciplina della prescrizione così come previsto in origine nel nostro codice penale, e come poi riveduto (in maniera, peraltro, non poco discutibile) con la riforma Cirielli del 2005. Si tratta, invero, di un modello che riflette esigenze repressive modulate sulla differente gravità dei reati, per cui i termini prescrizionali dipendono dalle soglie di pena legislativamente riferite alle diverse figure criminose. (E va esplicitato che esso non viene abrogato dalla riforma Bonafede, che piuttosto vi si sovrappone dall’esterno con effetti – come vedremo tra poco – distorsivi).

È vero che, in anni più recenti, sono andate affiorando preoccupazioni ancorate soprattutto al principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), con un tendenziale spostamento dell’attenzione riformatrice sul terreno processuale. Privilegiato soprattutto dai processualisti e dal mondo della prassi giudiziaria, questo tipo di approccio ha ispirato la riforma Orlando del 2017 nella parte in cui questa ha previsto tempi massimi di sospensione della prescrizione in rapporto a distinte fasi processuali (nella misura di tre anni complessivi nel periodo intercorrente tra la sentenza di primo grado e quelle dei due gradi successivi).

La riforma Bonafede approvata quest’anno, che ha invece stabilito il blocco definitivo della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e che è destinata a entrare il vigore il 1° gennaio 2020 (quindi tra meno di un mese), è stata in realtà concepita così affrettatamente, da non lasciare tempo sufficiente per verificare i concreti effetti della ancora recente riforma Orlando. Questo non è certo un modo di legiferare razionale e responsabile. Ma l’obiezione principale è di merito più che di metodo, e fa leva sulle implicazioni gravemente distorsive del sistema penale che la concreta entrata in vigore del blocco recherebbe con sé.

Come si è infatti già rilevato in sede specialistica (alludo, in particolare, ad acuti commenti critici di Domenico Pulitanò), la eguale imprescrittibilità di reati eterogenei rispetto ai quali l’art. 157 del codice penale (destinato comunque a restare invariato) continuerebbe in linea di principio a prevedere, in ragione del corrispondente livello di gravità, tempi di prescrizione differenziati, porrebbe serissimi problemi di compatibilità costituzionale: innanzitutto, col principio di eguaglianza-ragionevolezza; e, in secondo luogo, col principio di rieducazione nelle ipotesi di condanne a parecchi anni di distanza dal reato commesso (problemi di compatibilità che sfocerebbero in ricorsi alla Corte costituzionale nei casi concreti di sentenze divenute, appunto, definitive dopo la scadenza del termine di prescrizione previsto in astratto dal diritto penale sostanziale).

Bene dunque hanno fatto le Camere penali a lanciare un allarmato appello pubblico del seguente tenore: “Il penale perpetuo, che si appresta ad entrare in vigore, appiattisce indiscriminatamente la misura del tempo dell’oblio, uniformando dopo il primo grado tanto i delitti più gravi, quanto le più bagatellari delle contravvenzioni”.

Le proposte correttive del Pd si preoccupano di rimediare in qualche modo alla irrazionalità costituzionalmente sindacabile di un tale indiscriminato appiattimento? Si legge sulla stampa che i dem intenderebbero conciliare il blocco della prescrizione voluto da Bonafede con nuove soluzioni normative finalizzate ad accorciare i tempi del processo. Ma in quali forme si pensa di potere tecnicamente tradurre questo compromesso?

Può essere ragionevole perseguire compromessi funzionali alla tenuta di questo traballante governo. Ma, se il contrasto sulla prescrizione non giustifica forse una crisi governativa, è pur vero che la complessità e la rilevanza anche costituzionale del tema non vanno sottovalutate. Il modo di affrontarlo incide infatti in ogni caso, e in misura assai rilevante, sulle libertà, i diritti e financo le prospettive esistenziali dei cittadini in carne e ossa.

Giovanni Fiandaca – Professore di Diritto Penale presso l’Università di Palermo

Il Foglio, 12 dicembre 2019

Franco Muto scarcerato perchè lo prevede la Legge. Quella che l’On. Magorno ha approvato


Non riesco a capire l’inopportuna ed assurda polemica montata in questi giorni da alcuni soggetti, tra i quali il Senatore del Partito Democratico ed Avvocato del Foro di Paola Ernesto Magorno, riguardo all’avvenuta scarcerazione del settantanovenne Franco Muto e la sottoposizione alla misura cautelare personale degli arresti domiciliari presso la sua abitazione di Cetraro.

Ritengo molto grave che un Parlamentare della Repubblica nonché Avvocato, commenti un provvedimento giurisdizionale, muovendo critiche del tutto infondate e fuoriluogo, nei confronti dei Magistrati che hanno legittimamente sostituito la custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, nei confronti di una persona che ne aveva diritto. Il Senatore Magorno, infatti, dovrebbe sapere che non solo Franco Muto ma tutti gli indagati ed imputati che hanno compiuto settant’anni, non possono essere sottoposti alla custodia cautelare in carcere, salvo esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, come prevede l’Art. 275 comma 4 del Codice di Procedura Penale.

Dovrebbe senz’altro saperlo visto che nel 2014, quando era alla Camera dei Deputati, insieme a tutto il Gruppo Parlamentare del Partito Democratico, votò a favore della riforma del Codice di Procedura Penale in materia di misure cautelari personali in cui, tra le altre cose, si stabilì che la custodia in carcere, dovesse essere la extrema ratio, applicabile soltanto qualora ogni altra misura fosse inadeguata, imponendo al Giudice della cautela, un più gravoso onere motivazionale, soprattutto per quanto concerne l’attualità e la concretezza delle esigenze cautelari e non meramente concreto come in precedenza. Inoltre, il legislatore, con la riforma del 2015 (Legge n. 47/2015), ha stabilito che le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede, selezionando solo alcuni reati, talmente gravi ed allarmanti dal punto di vista sociale, (quelli previsti dagli Artt. 270, 270 bis e 416 bis del Codice Penale) che impongono l’applicazione della custodia inframuraria, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.

E’ noto che il Muto, all’esito di un giudizio celebrato non con il rito abbreviato quindi allo stato degli atti ma con il rito dibattimentale, in cui sono stati sentiti dal Tribunale di Paola decine di collaboratori di giustizia, ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, testimoni, etc., sia stato assolto dal grave delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, per il quale era stato tratto in arresto, venendo condannato solo per intestazione fittizia di beni, aggravata dal metodo mafioso, alla pena di anni 7 e mesi 10 di reclusione.

Tra l’altro, proprio a seguito dell’assoluzione per mafia riportata nell’ambito dell’Operazione Frontiera, al Muto, il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, aveva revocato anticipatamente il regime detentivo speciale di cui all’Art. 41 bis comma 2 dell’Ordinamento Penitenziario a cui era sottoposto nella Casa Circondariale di Milano Opera, così come peraltro avvenuto in altri casi analoghi.

Mi sembra che il tutto sia avvenuto nel pieno e rigoroso rispetto della Legge e che non ci siano stati favoritismi o interpretazioni estensive della norma da parte dei Magistrati per far scarcerare il Muto. Oppure, secondo il Senatore ed Avvocato Magorno, bisognava tenerlo illegittimamente in carcere e magari anche al regime 41 bis, solo perché sospettato di essere un capomafia o per la sua pessima biografia penale, esponendo anche lo Stato ad ulteriori condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ?

Onorevole Magorno ma la Costituzione della Repubblica che pone il principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla Legge stabilito all’Art. 3 vale anche per Franco Muto oppure no?

16 settembre 2019 – http://www.cosenzachannel.it

Emilio Enzo Quintieri

già Consigliere Nazionale Radicali Italiani

Bimbi in carcere, Lega Nord e Cinque Stelle votano contro le misure alternative per le detenute madri


La maggioranza giallo-verde, impegnata nell’esame dello schema di decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario, ha bocciato l’ipotesi di introdurre misure alternative al carcere per le detenute madri con figli al seguito. Una scelta duramente criticata dal Pd, che accusa il governo di essere “sordo” nei confronti di questa particolare categoria di detenute, anche alla luce di recenti fatti di cronaca (come il caso della donna del carcere romano di Rebibbia che ha ucciso i suoi bambini).

“Avevamo dei principi cardine nella legge delega, che attuava il decreto legislativo predisposto dal governo Gentiloni, principi che sostenevano una riforma del sistema penitenziario più giusta e mirata”, spiega la senatrice Valeria Valente, vicepresidente del gruppo Pd.  “Quello schema prevedeva, ad esempio, per le madri detenute misure alternative al carcere fino al compimento di un anno del bambino, al fine di assicurare una maggiore tutela del rapporto con i figli piccoli. Ci è stato risposto dal governo che leggi per tutelare le madri detenute già esistono. Questo è vero, ma il punto era come potenziare quella impostazione, perché le strutture di accoglienza alternative alla prigione, come le case famiglia protette e gli Icam (istituti di custodia attenuata per detenute madri, ndr.) sono poche e non sufficienti”.

“Quanto è avvenuto stamattina in commissione è grave e preoccupante – conclude Valente – il voto di oggi testimonia una grave involuzione di cultura giuridica che, dimenticando ogni umanità e allontanandosi dalla funzione rieducativa della pena, vede M5S seguire la Lega su una strada che nulla ha a che vedere con il miglioramento nel nostro sistema penitenziario e giudiziario”.

In tutta Italia i bambini che vivono reclusi in vari istituti di pena sono 62: poco meno della metà sono figli di straniere. Si trovano in cella perché non esistono alternative familiari.

Monica Rubino

http://www.repubblica.it – 25/09/2018

 

Quintieri candidato alla Camera dei Deputati per +Europa con Emma Bonino nel Collegio Cosenza – Crotone


Per affrontare le grandi questioni del nostro tempo occorrono risposte più ampie che può dare solo un’Italia più europea in un’Europa unita e democratica. Un’Europa per il benessere e contro la povertà, per le libertà fondamentali e contro ogni forma di discriminazione, per l’accoglienza e l’integrazione con regole certe e contro l’indifferenza, per la sicurezza e contro il terrorismo. Un’Europa votata all’innovazione tecnologica e alla ricerca scientifica, alla valorizzazione del patrimonio storico e ambientale, alla tutela della concorrenza in un mercato aperto e alla creazione di opportunità e lavoro.

Vogliamo farlo a partire dall’Italia, abbattendo i muri reali e immaginari eretti dai nazionalismi, dall’odio e dal populismo e dobbiamo farlo perché la Storia ha dimostrato dove questi portano: indietro, mai avanti. È tempo di dire che per guardare al futuro dell’Italia non serve meno Europa, anzi.

Per avere – anche in Italia – più crescita, più diritti, più democrazia, più libertà, più opportunità, più sicurezza, più rispetto dell’ambiente, serve più Europa.

Per queste ragioni Radicali italiani, Forza Europa e Centro Democratico alle prossime elezioni hanno deciso di promuovere +EUROPA con Emma Bonino.

Nella Circoscrizione Elettorale della Calabria, per la Camera dei Deputati, nel Collegio Plurinominale denominato “Calabria 1” che comprende i Collegi Uninominali “Calabria 1” (Castrovillari), “Calabria 2” (Corigliano Calabro), “Calabria 3” (Cosenza) e “Calabria 5” (Crotone), la lista + Europa con Emma Bonino ha candidato Emilio Enzo Quintieri, dopo la capolista Caterina Forelli.

Quintieri, 31 anni, cetrarese abitante a Cosenza, laureando in Giurisprudenza, è membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e capo della delegazione visitante gli Istituti Penitenziari, autorizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

C’è tanto lavoro da fare per rendere il nostro Paese più libero e democratico. Questi sono gli otto “più” per i quali tutti noi di +Europa ci impegniamo a lottare con fiducia, determinazione e concretezza. Per voi e per il futuro dell’Italia.

Programma + Europa con Emma Bonino (clicca per leggere)

COLLEGIO PLURINOMINALE CALABRIA 1

Collegio Uninominale Calabria 1 (Castrovillari) ne fanno parte gli elettori di: Acquaformosa, Acquappesa, Aieta, Altomonte, Amantea,  Belmonte Calabro, Belvedere Maritittimo, Bisignano, Bonifati, Buonvicino, Castrovillari, Cerzeto, Cervicati, Cetraro, Civita, Cleto, Diamante, Fagnano Castello, Falconara Albanese, Firmo, Fiumefreddo Bruzio, Frascineto, Fuscaldo, Grisolia, Guardia Piemontese, Laino Borgo, Laino Castello, Lattarico, Longobardi, Lungro, Malvito, Maierà, Mongrassano, Morano Calabro, Mormanno, Mottafollone, Orsomarso, Paola, Papasidero, Praia a Mare, Roggiano Gravina, Rota Greca, San Basile, San Benedetto Ullano, San Donato di Ninea, San Lucido, San Marco Argentano, San Martino di Finita, San Nicola Arcella, San Pietro in Amantea, San Sosti, Sangineto, Santa Caterina Albanese, Santa Domenica Talao, Santa Maria del Cedro, Sant’Agata di Esaro, Saracena, Scalea, Serra d’Aiello, Tarsia, Torano Castello, Tortora, Verbicaro.

Collegio Uninominale Calabria 2 (Corigliano) ne fanno parte gli elettori di: Acri, Albidona, Alessandria del Carretto, Amendolara, Bocchigliero, Calopezzati, Caloveto, Campana, Canna, Cariati, Cassano allo Ionio, Castroregio, Cerchiara di Calabria, Corigliano Calabro, Cropalati, Crosia, Francavilla Marittima, Mandatoriccio, Longobucco, Montegiordano, Nocara, Oriolo, Paludi, Pietrapaola, Plataci, Rocca UImperiale, Roseto Capo Spulico, Rossano, San Cosmo Albanese, San Demetrio Corone, San Giorgio Albanese, San Giovanni in Fiore, San Lorenzo Bellizzi, San Lorenzo del Vallo, Santa Sofia d’Epiro, Scala Coeli, Spezzano Albanese, Terranova da Sibari, Terravecchia, Trebisacce, Vaccarizzo Albanese, Villapiana.

Collegio Uninominale Calabria 3 (Cosenza) ne fanno parte gli elettori di: Aiello Calabro, Altilia, Aprigliano, Belsito, Bianchi, Carolei, Carpanzano, Casali del Manco, Castiglione Cosentino, Castrolibero, Celico, Cellara, Cerisano, Colosimi, Cosenza, Dipignano, Domanico, Figline Vegliaturo, Grimaldi, Lago, Lappano, Luzzi, Malito, Mangone, Marano Marchesato, Marano Principato, Marzi, Mendicino, Montalto Uffugo, Panettieri, Parenti, Paterno Calabro, Pedivigliano, Piane Crati, Pietrafitta, Rende, Rogliano, Rose, Rovito, San Fili, San Pietro in Guarano, San Vincenzo La Costa, Santo Stefano di Rogliano, Scigliano, Spezzano della Sila, Zumpano.

Collegio Uninominale Calabria 5 (Crotone) ne fanno parte gli elettori di: Albi, Andali, Belcastro, Belvedere di Spinello, Botricello, Caccuri, Carfizzi, Carlopoli, Casabona, Castelsilano, Cerenzia, Cerva, Cicala, Cirò, Cirò Marina, Cotronei, Cropani, Crotone, Crucoli, Cutro, Fossato, Serralta, Isola di Capo Rizzuto, Magisano, Marcedusa, Melissa, Pentone, Pallagorio, Petilia Policastro, Petronà, Rocca di Neto, Roccabernarda, San Mauro Marchesato, San Nicola dell’Alto, San Pietro Apostolo, Santa Severina, Savelli, Scandale, Sellia, Sellia Marina, Serrastretta, Sersale, Settingiano, Sorbo San Basile, Strongoli, Taverna, Tiriolo, Umbriatico, Verzino, Zagarise.

Le Elezioni Politiche per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica si terranno Domenica 4 marzo 2018 dalle ore 07,00 alle ore 20,00. La scheda elettorale che verrà consegnata al cittadino sarà la medesima per la Camera e per il Senato. L’elettore dispone di un’unica scheda, sulla quale potrà esprimere un unico voto. La scheda recherà il nome del candidato nel Collegio Uninominale e, per il Collegio Proporzionale, il contrassegno di ciascuna lista o coalizione di liste ad esso collegate. I contrassegni delle liste hanno riportati a fianco i nominativi dei candidati nel Collegio Plurinominale. Il voto può essere espresso tracciando un segno sul rettangolo contenente il contrassegno della lista e i nominativi dei candidati nel Collegio Plurinominale. Il voto così espresso sarà valido ai fini dell’elezione del candidato nel Collegio Uninominale ed a favore della lista nel Collegio Plurinominale. Basta, dunque, tracciare un segno sul simbolo di + Europa con Emma Bonino, lista apparentata col Partito Democratico.

Taranto, 8 medici indagati per omicidio colposo del detenuto Antonio Fiordiso


Carcere di TarantoAntonio Fiordiso, 32 anni, è morto in carcere un anno fa, l’8 dicembre 2015. Rigettando la richiesta di archiviazione della procura, il gip chiede di effettuare ulteriori indagini sulla sua morte. Sono otto gli iscritti al registro degli indagati per la morte di Antonio Fiordiso, morto in carcere un anno fa, l’8 dicembre 2015.
Sono i medici che erano di guardia presso l’ospedale di Taranto quella maledetta notte in cui Antonio morì, ridotto ad un fantasma, immerso nelle sue feci: A. S., 34 anni di Lizzano; A. M., 43 anni di Terlizzi (Ba); N. M., 50 anni di Taranto; F. S., 39 anni di Conversano; O. B., 36 anni di Pulsano; B. P. 38 anni di Locorotondo; e gli psichiatri O. N. 47 anni di Noci e M. M., 34 anni di Lizzano, tutti indagati per avere, per ragioni in corso di accertamento, causato per negligenza, imperizia e imprudenza e con violazione delle leges artis, la morte di Antonio Fiordiso.
La sostituta procuratrice della Repubblica Maria Grazia Anastasia ha anche disposto “accertamenti tecnici irripetibili”, come aveva richiesto il giudice delle indagini preliminari Pompeo Carriere, accogliendo la richiesta di Oriana Fiordiso, zia di Antonio e sua unica parente.
La Procura ha nominato i consulenti Alberto Tortorella, medico legale e Salvatore Silvio Colonna, anestesista rianimatore. Per Paolo Vinci, avvocato della zia di Antonio, tra i maggiori esperti italiani di malasanità, è una “bella pagina della Giustizia coniugata con la Verità, la cui ricerca deve essere sempre perseguita e mai sottesa”.
Infatti il pm Lelio Festa, chiedendo l’archiviazione aveva rilevato una “insussistenza di profili di responsabilità penale” nella condotta del personale sanitario e della sorveglianza coinvolti. Invece il gip ha disposto la prosecuzione delle indagini, perché il pm “avrebbe dovuto disporre la riesumazione della salma e un esame autoptico urgente”, come aveva chiesto, inascoltata, la zia nella sua denuncia all’indomani della morte del nipote.
Nel caso poi che l’autopsia sia impraticabile, si procederà ad una perizia medico-legale “di scienza” che accerti le cause della morte.
Il gip inoltre, rigettando la richiesta di archiviazione del pm, ha disposto che vengano sentiti i detenuti, il personale penitenziario e il personale dell’ospedale SS. Annunziata e Moscati di Taranto, dove fu ricoverato Antonio, ormai quasi incosciente, disidratato e denutrito.
Antonio Fiordiso aveva 32 anni, una vita ai margini, abbandonato dalla madre e con il padre che, con problemi psichiatrici ed entrando e uscendo per piccoli reati dal carcere, aveva condannato il figlio alla stessa vita. Antonio aveva sempre goduto di ottima salute, arrestato per piccoli furti, non aveva mai fatto uso di droghe pesanti. Poi la situazione nel carcere di Lecce precipita e in tre mesi Antonio, prima trasferito ad Asti, comincia ad essere spostato in altri istituti di detenzione e ospedali.
La zia, quando lo rivede dopo tre mesi in cui nessuno le aveva comunicato, nonostante numerose richieste, dove lo stessero trasferendo, si ritrova davanti ad un simulacro d’uomo. Ha la prontezza di spirito di filmarlo e fotografarlo. Antonio è semi-incosciente: denutrito, contratto, con vistosi ematomi lunghi e stretti sui fianchi, escoriazioni.
Alle interrogazioni dei deputati Elisa Mariano e Salvatore Capone (Pd), il Ministro della Giustizia risponde ricostruendo gli ultimi mesi di vita. Così si apprende che Antonio era stato picchiato in carcere da alcuni detenuti di origine rumena. Tre mesi dopo morirà, ridotto così: “Stato settico in paziente con polmonite a focolai multipli bilaterali. Diabete tipo 2. Grave insufficienza renale. Tetraparesi spastica”, versava in uno stato di “progressiva astenia, con tremori, ipoalimentazione e progressiva chiusura relazionale”. Non si conoscono le cause della sua fine disumana, ma l’iscrizione nel registro degli indagati dei medici di guardia e degli psichiatri, è l’inizio di una pagina della Giustizia tutta da scrivere.

Marilù Mastrogiovanni

Il Manifesto, 15 dicembre 2016

Intervista di Radio Radicale all’On. Enza Bruno Bossio (Pd) sull’Ergastolo Ostativo


On. Bruno Bossio PD Carcere OperaIntervista di Radio Radicale all’On. Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, sull’Ergastolo Ostativo presso il Carcere di Milano Opera 

Intervento dell’On. Enza Bruno Bossio al Convegno “L’inferno della speranza : riflessioni sull’Ergastolo Ostativo”

 

Bruno Bossio (Pd) : “L’ergastolo ostativo va superato modificando l’Art. 4 bis Op”


On. Enza Bruno Bossio“L’inferno della speranza. Riflessioni sull’ergastolo ostativo”. E’ stato questo il tema su cui si è dibattuto in un convegno svoltosi ieri presso la Casa di Reclusione di Opera a Milano, organizzato dalla Camera Penale “Gian Domenico Pisapia”, dal Ministero della Giustizia e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia. Al convegno, che ha riunito intorno allo stesso tavolo magistrati, giuristi, accademici e rappresentanti istituzionali, ho avuto l’onore di partecipare in quanto prima firmataria di un disegno di legge sottoscritto da numerosi parlamentari del Partito Democratico, Partito Socialista e Sinistra Ecologia e Libertà, che propone la modifica dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

Il dibattito ha innanzitutto sottolineato il carattere incostituzionale dell’ergastolo ostativo
ed ha preso spunto dalla proposta di un gruppo di detenuti di Opera che individua le condotte riparatorie tese a superare la ostatività. I condannati all’ergastolo definito ostativo, in base alla normativa vigente, non possono accedere alle misure di rieducazione e di reinserimento nella società. Papa Francesco ha definito l’ergastolo ostativo una forma di “pena di morte occulta”.
L’ergastolo ostativo è una pena inflitta al 70 % degli ergastolani ai quali, dopo lunghissimi anni di detenzione e dopo la perdita di ogni contatto con il contesto criminale, è precluso l’accesso a quei benefici minimi che l’ordinamento penitenziario concede, semplicemente perché non collaboranti in processi che magari si sono già chiusi da anni. Si tratta di una realtà di dolore resa ancora più drammatica dalle criticità del sistema carcerario italiano di cui la Casa di Opera è un’eccezione positiva.

La proposta di legge affida al giudizio della magistratura di sorveglianza la valutazione della sussistenza dei requisiti che consentono l’accesso ai benefici. Ovviamente è la magistratura competente che è chiamata ad assumersi la responsabilità di riconoscere al detenuto i requisiti che escludono l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica, eversiva e l’assenza della pericolosità sociale e consentire, così, l’accesso alle misure di rieducazione e reinserimento nella società.

Con questo disegno di legge non si propone nessuno ‘sconto di pena’ per i mafiosi irriducibili, né la liberazione di ‘migliaia di pericolosi criminali’, come vanno affermando in maniera strumentale e distorcente i colleghi Giarrusso e Sarti del M5S. Se approvata, questa norma consentirà, sempre previa rigorosa valutazione della magistratura di sorveglianza, la possibilità di accesso al lavoro esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione.

Insomma si tratta solo di rendere la pena dell’ergastolo più compatibile con gli standards richiesti dalla nostra Carta Costituzionale e dall’Unione Europea anche al fine che, dopo un lungo periodo di detenzione, possano prevalere le esigenze umanitarie. Ritengo assai grave che da una parte si cristallizzi per sempre una pena perpetua per persone che oggi sono altra cosa rispetto al tempo del compimento del crimine e dall’altra invece possa considerarsi fatto ordinario la scarcerazione per decorrenza dei termini.

Insomma, come diceva Aldo Moro ‘la pena non è passionale e smodata vendetta privata ma risposta calibrata dell’ordinamento giuridico’. Per questo, rivolgendomi ai detenuti presenti all’incontro ho ricordato le parole di Marco Pannella (molto evocato nel convegno) “mi auguro che la vostra speranza diventi anche la nostra speranza”.

On. Enza Bruno Bossio

Deputato del Partito Democratico

18 Giugno 2016

Detenuto suicida nel Carcere di Paola, l’On Bruno Bossio interroga il Ministro Orlando


On. Enza Bruno Bossio - PDNei giorni scorsi, il caso del detenuto Maurilio Pio Morabito, 46 anni, di Reggio Calabria, morto suicida in una cella del Reparto di Isolamento della Casa Circondariale di Paola, in Provincia di Cosenza, lo scorso 29 aprile 2016, intorno all’una di notte, è finito sulla scrivania del Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando grazie ad una circostanziata Interrogazione Parlamentare, con richiesta di risposta scritta, presentata dall’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputata del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia.

Il Morabito, che aveva avuto problemi di tossicodipendenza, da circa un mese, dopo essere stato trasferito dalla Casa Circondariale “Arghillà” di Reggio Calabria, si trovava ristretto presso la Casa Circondariale di Paola, dovendo espiare una pena detentiva di 4 mesi di reclusione. Il suo fine pena era previsto per il prossimo 30 giugno.

L’Onorevole Bruno Bossio, grazie anche alle informazioni acquisite dalla visita ispettiva effettuata da una Delegazione dei Radicali Italiani guidata dal radicale Emilio Enzo Quintieri, effettuata nei giorni successivi al decesso del Morabito, ha riferito che quest’ultimo avrebbe posto in essere il gesto autosoppressivo mediante impiccagione, utilizzando una coperta, che è stata annodata a forma di cappio alla grata della finestra della cella, nel reparto di isolamento, del predetto Istituto Penitenziario che, all’epoca dei fatti, ospitava 182 persone detenute a fronte di altrettanti posti detentivi.

Nell’ambito della visita ispettiva, la Delegazione Radicale, aveva potuto verificare che la cella n. 9 in cui si è impiccato il Morabito era “liscia” cioè priva dell’arredo ministeriale, sporca e maleodorante e che il citato detenuto non era stato sottoposto a “sorveglianza a vista” nonostante, già in altre occasioni, avesse manifestato propositi suicidiari e compiuto vari atti autolesionistici, nonché distrutto due celle, una delle quali mediante l’incendio di un materasso posta nel primo reparto detentivo e l’altra nel reparto di isolamento dirimpetto alla cella in cui si è impiccato.

Sul decesso del Morabito, la Procura della Repubblica di Paola, a seguito della denuncia dei familiari, ha aperto un Procedimento Penale, al momento nei confronti di ignoti, per il delitto di istigazione o aiuto al suicidio previsto e punito dall’Art. 580 del Codice Penale al fine di appurare le cause, le circostanze e le modalità del decesso. Infine, la predetta Autorità Giudiziaria, oltre ad aver disposto l’acquisizione dei filmati delle telecamere di sorveglianza presenti nel reparto detentivo, ha anche ordinato l’esame autoptico sulla salma del Morabito, effettuato lo scorso 7 maggio presso l’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria dal Dottore Mario Matarazzo che dovrà concludere la relazione peritale nelle prossime settimane.

Nell’Interrogazione (atto n. 4-13360 del 07/06/2016, Seduta n. 633 della Camera dei Deputati) sono stati richiamati, oltre al suicidio di Morabito, gli altri 12 suicidi e le altre 21 morti per malattia, assistenza sanitaria disastrata, overdose o per cause ancora da accertare, avvenuti dall’inizio del 2016, negli Istituti Penitenziari italiani. Dal 2000 ad oggi, i “morti di carcere” sono stati 2.527, 900 dei quali per suicidio. La maggior parte dei suicidi che avvengono negli stabilimenti penitenziari – ha denunciato con forza la Deputata calabrese – si è verificata nei reparti di isolamento e, ancor di più, nelle “celle lisce”, cioè completamente vuote, (come quella in cui il Morabito è stato collocato, per diversi giorni, in condizioni al limite della tollerabilità, nella Casa Circondariale di Paola) nonostante, da tempo, tali pratiche (collocazione dei detenuti in isolamento ed in celle lisce), secondo gli esperti, siano ritenute “assolutamente controproducenti” poiché pur togliendo dalla cella tutto ciò che potrebbe essere usato dai detenuti per suicidarsi, il modo di farlo lo trovano lo stesso.

In tanti Istituti Penitenziari – come proprio la stessa Onorevole Bruno Bossio ha già avuto modo di denunciare al Governo – con altra Interrogazione a risposta in Commissione Giustizia, rimasta inevasa, a seguito della visita ispettiva alla Casa di Reclusione di Rossano e, direttamente, al Dott. Santi Consolo, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria durante la sua audizione presso la Commissione Bicamerale Antimafia – l’utilizzo del reparto e dell’istituto dell’isolamento in modo difforme dalla normativa vigente in materia e cioè all’infuori dei casi stabiliti dall’Art. 33 dell’Ordinamento Penitenziario (motivi giudiziari, sanitari o disciplinari).

Ministro Orlando (2)Ha richiamato anche il fatto che il detenuto Morabito avesse, più volte, chiesto con delle missive, di essere trasferito in un Istituto Penitenziario dotato di una “Sezione Protetta” poiché aveva fondato timore di essere vittima di aggressioni, avendo ricevuto minacce di morte conseguenti a non meglio precisati fatti occorsi quando era ristretto presso la Casa Circondariale Arghillà di Reggio Calabria. Inoltre, stando a quanto riferito dai familiari del detenuto morto suicida, sarebbero state numerose le richieste di colloquio fatte anche al Direttore della Casa Circondariale di Paola e mai tenute in considerazione dallo stesso, in violazione di quanto prescrive l’Art. 75 c. 1 dell’Ordinamento Penitenziario.

Pertanto, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, ha chiesto al Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando, di conoscere : a) se e di quali informazioni disponga in ordine ai fatti rappresentati, anche con riferimento ai casi specifici segnalati e se questi corrispondano al vero; b) se non ritenga, in via cautelativa, di assumere le iniziative, per quanto di competenza, nel rispetto dell’attività della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, volte ad avviare una indagine amministrativa interna al fine di chiarire la causa, le circostanze e le modalità del decesso del detenuto Morabito ed appurare se nei confronti dello stesso siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza custodiale e sanitaria, previste e necessarie, e quindi se non vi siano responsabilità disciplinarmente rilevanti in capo al personale dell’Amministrazione Penitenziaria ; c) quali siano le motivazioni che hanno condotto all’improvviso trasferimento del Morabito dalla Casa Circondariale di Arghillà di Reggio Calabria alla Casa Circondariale di Paola chiarendo, altresì, per quali ragioni, il predetto detenuto non sia stato trasferito, sin da subito o comunque dopo le sue richieste, presso altro Istituto Penitenziario dotato di reparti “protetti” visto che era stato gravemente minacciato ed aveva fondato timore di essere aggredito invece di essere tenuto a giudizio dell’interrogante, impropriamente, nel reparto di isolamento della Casa Circondariale di Paola; d) se e quali problemi di salute presentava il detenuto Morabito all’atto della visita obbligatoria di primo ingresso presso la Casa Circondariale di Arghillà di Reggio Calabria e poi presso quella di Paola, ricavabili dal suo diario clinico e se risulti se lo stesso, durante tutto il periodo detentivo, sia stato adeguatamente assistito dal punto di vista sanitario; se intenda chiarire, infine, se lo stesso fosse sottoposto a particolari trattamenti terapeutici per le sue condizioni personali; e) se risulti veritiero il fatto che il detenuto Morabito abbia chiesto, più volte, di poter avere un colloquio col Direttore della Casa Circondariale di Paola e che le sue istanze siano rimaste tutte inevase; f) se risulti che, il Direttore della Casa Circondariale di Paola offra, con particolare frequenza, ai detenuti la possibilità di poter avere con lo stesso dei periodici colloqui individuali e se e quante volte il predetto si sia recato ad ispezionare i locali ove sono ristretti i medesimi, anche tramite la visione delle annotazioni apposte negli appositi registri previsti dalla normativa ; g) per quali motivi, il signor Morabito, sia stato recluso nell’istituto di cui in premessa visto che la pena da espiare era di soli 4 mesi di reclusione e se, in ogni caso, corrisponde al vero che questi abbia presentato istanza alla competente Magistratura di Sorveglianza per la concessione di una misura alternativa alla detenzione prevista dall’Ordinamento Penitenziario (detenzione domiciliare, affidamento, e altro) ed in caso affermativo, per quali ragioni, gli sia stata negata ed h) se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare che l’isolamento nei confronti dei detenuti venga disposto solo ed esclusivamente in circostanze eccezionali e, comunque, nei soli casi tassativi stabiliti dal legislatore, proibendo all’Amministrazione Penitenziaria di utilizzare sezioni o reparti di isolamento per altri motivi in applicazione di quanto disposto dall’Articolo 73 del Regolamento di Esecuzione Penitenziaria e se non ritenga, altresì, di dover intervenire con urgenza per emanare delle direttive soprattutto per quanto attiene l’esecuzione dell’isolamento, poiché, ancora oggi, come accertato dalla Delegazione Radicale nella Casa Circondariale di Paola, esistono delle “celle lisce”, prive di ogni suppellettile, in cui vengono collocati i detenuti che, invece, dovrebbero essere posti secondo l’interrogante in “camere ordinarie” che presentino le caratteristiche indicate dall’Articolo 6 dell’Ordinamento Penitenziario.

Interrogazione n. 4-13360 dell’On. Bruno Bossio (clicca per leggere)

Visita dei Radicali al Carcere di Sondrio con i Senatori Del Barba e Della Vedova


Carcere di SondrioAll’interno delle iniziative promosse dal Partito Radicale per il Capodanno del 2016 (Marco Pannella e Rita Bernardini sono stati ieri sera al carcere di Rebibbia e stamane in quello di Regina Coeli a Roma, con -fra gli altri- il Vicepresidente della Camera Roberto Giacchetti), una delegazione di Radicali Sondrio composta da Claudia Osmetti e Giovanni Sansi ha partecipato mercoledì 30 dicembre 2015 a una visita ispettiva alla casa circondariale di Sondrio, in via Caimi. Erano presenti anche il senatore Pd Mauro Del Barba e il sottosegretario agli Affari esteri Benedetto Della Vedova. A seguire si è svolto un incontro con il garante comunale dei diritti delle persone limitate nella libertà personale, Francesco Racchetti.

“Abbiamo riscontrato una situazione di sovraffollamento sostanziale: a fronte dell’ultima relazione datata aprile 2015 del garante dei detenuti di Sondrio, infatti, al 20 dicembre 2015 nel carcere di via Caimi risultano 35 persone detenute (più una in permesso) contro una capienza regolamentare di 27 posti”, commenta Claudia Osmetti di Radicali Sondrio e membro del Comitato nazionale di Radicali italiani. “Certo una condizione migliorata rispetto alla presenza di oltre 60 detenuti di tre anni fa, ma sicuramente non ottimale.

La struttura è antiquata: i servizi igienici sono fatiscenti, la sala computer (ristrutturata di recente) non è attrezzata, ci sono solo un paio di pc nella biblioteca. La maggior parte dei detenuti è straniera, motivo per cui una volta a settimana viene organizzato un corso di lingua italiana. Sono state fatte delle migliorie, come il parquet nuovo nella palestra, ma gli attrezzi sono ancora vecchi. Anche la sala colloqui è stata ristrutturata, ora è presente anche una sala adiacente per le visite famigliari”.

“Che il carcere di Sondrio sia una struttura piccola e con problemi tutto sommato più contenuti rispetto alle grandi realtà carcerarie del resto del Paese non è una scusante”, conclude Osmetti: “Bisogna ricordare che il diritto a una vita dignitosa dell’ultimo dei carcerati, anche in Valtellina, è il diritto a una vita dignitosa di tutti”. Nel corso della visita è stato richiesto agli agenti della polizia penitenziaria di compilare il questionario del Partito Radicale sullo stato effettivo della condizione carceraria sondriese: sarà cura di Radicali Sondrio rendere noti i dati non appena disponibili.

Alessia Bergamini

http://www.ilgiorno.it – 31 Dicembre 2015

Riforma legge sugli Stupefacenti, la proposta degli On. Bruno Bossio e Stumpo (Pd)


Cannabis legaleCannabis legale, un ulteriore prezioso contributo alla discussione parlamentare in materia di legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati e riforma del Testo Unico sugli Stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990) da parte degli Onorevoli Enza Bruno Bossio e Nico Stumpo, Deputati del Partito Democratico eletti in Calabria. Rispetto alle altre iniziative legislative presentate in Parlamento, propone la riduzione del trattamento sanzionatorio (pene detentive e pecuniarie) – nello specifico la reclusione da 1 a 4 anni e della multa da euro 1.000 a euro 5.000 relativamente alle sostanze di cui alle tabelle I e III previste dall’articolo 14 c.d. “droghe pesanti” e la reclusione da 6 mesi a 3 anni e della multa da euro 500 a euro 2.500 relativamente alle sostanze di cui alle tabelle II e IV previste dal medesimo art. 14 c.d. “droghe leggere” – per i fatti di lieve entità (Art. 73 c. 5) a prescindere dal tipo di sostanza, ribadendo l’applicabilità della non punibilità per la particolare tenuità del fatto (Art. 131 bis cp) e della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato (Art. 168 bis cp).

L’atto di iniziativa parlamentare, abbinato a quello dell’Intergruppo Cannabis legale e ad altre proposte di legge, prevede espressamente la depenalizzazione dell’uso personale di gruppo degli stupefacenti (Art. 73 c. 7 ter); stabilisce la perentorietà del termine concesso al Prefetto (40 giorni) per l’adozione dei provvedimenti per gli illeciti amministrativi e la non applicabilità delle sanzioni, in automatico, a chi giustifichi di non aver potuto ottemperare a presentarsi al colloquio dal Prefetto (Art. 75 c. 4); abolisce completamente le misure di prevenzione (Art. 75 bis); propone l’abolizione completa delle pene accessorie, diverse dalla confisca, per i condannati al termine della pena detentiva (divieto di espatrio, revoca patente di guida, etc) in ossequio al principio costituzionale di finalizzazione rieducativa della pena (Art. 85); prevede la riforma della misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato nei confronti dello straniero condannato a pena espiata se risulti socialmente pericoloso all’esito di una procedura giurisdizionale camerale partecipata avanti al Magistrato di Sorveglianza e che la revoca della misura escluda o faccia cessare gli effetti di altre eventuali espulsioni amministrative. Viene, in sostanza, recepita l’indicazione della Corte Costituzionale circa la necessità di applicare la misura di sicurezza, al termine della pena, soltanto qualora il condannato sia concretamente ed attualmente socialmente pericoloso. Inoltre, ai commi successivi, è sancito che la revoca della misura pronunciata dal Giudice escluda o faccia cessare gli effetti di altri provvedimenti di espulsione di natura amministrativa e che dei provvedimenti adottati dalla Magistratura di Sorveglianza venga data immediata comunicazione, a cura della cancelleria, alla Autorità Provinciale di Pubblica Sicurezza competente (Art. 86).

Commissione Giustizia Camera DeputatiLa proposta dei Deputati Bruno Bossio e Stumpo, introduce il diritto di Sindacato Ispettivo di varie Autorità (Parlamentari, Consiglieri Regionali, Magistrati, etc.) e per i loro accompagnatori nelle Comunità Terapeutiche pubbliche e private convenzionate nonché la possibilità di accesso alle predette strutture, previa autorizzazione da parte dei Responsabili, dei Ministri del Culto cattolico e di altri Culti (Art. 135 bis). La proposta di legge AC 3447 del 24/11/2015 degli On. Enza Bruno Bossio e Nico Stumpo è stata assegnata alle Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali che si sono riunite giovedì 26 Novembre 2015 alle ore 16 presso la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati (Relatori On. Daniele Farina di Sel e Anna Margherita Miotto del Pd) per avviare l’esame in sede referente prima di approdare all’esame dell’Aula nel prossimo mese di dicembre, ove conclusi i lavori delle Commissioni Parlamentari.

Proposta di Legge n. 3447 On. Bruno Bossio e Stumpo (clicca per scaricare)

Resoconto Commissioni riunite Giustizia e Affari Sociali Camera dei Deputati del 26 Novembre 2015 (clicca per scaricare)