D’Ascola (Senatore Ap): la “certezza della pena” appartiene al diritto penale del passato


Sen. Nico D'Ascola“Più il sistema si sbilancia nella direzione di prevedere fatti illeciti qualificati nelle forme del reato, puniti con la pena detentiva, più il problema dell’affollamento carcerario è destinato a non risolversi”. Ad affermarlo è il senatore Nico D’Ascola, responsabile giustizia Area Popolare, intervenuto al convegno sulle carceri nell’aula magna della facoltà di Architettura di Reggio Calabria.

“Reato e pena – prosegue – non costituiscono più un collegamento assolutamente indissolubile. La certezza della pena appartiene ad un diritto penale del passato, non certo ad un diritto penale del presente. Sarebbe il caso ovviamente di prenderne atto allorquando ci ricordiamo di principi fondamentali che non trovano più un corrispettivo nelle attuali esigenze di un diritto penale che ormai, perlomeno da quarant’anni, si è trasformato in questa direzione. Tra l’altro non dobbiamo dimenticare una circostanza estremamente importante, che è dimostrativa di una sorta di cortocircuito nel quale versa questa difficile e complessa disciplina.

Il punto serio della questione dovrebbe consistere nel comprendere, intanto, che l’affermazione della responsabilità penale andrebbe garantita da un sistema che, rispetto all’attuale, sia più in grado di selezionare la certa responsabilità del condannato rispetto ai casi di incerta responsabilità che dovrebbero esitare in sentenze dichiarative della non responsabilità dell’imputato”. “Quindi – conclude D’Ascola – la garanzia andrebbe certamente riferita alle fasi dell’accertamento, a pene commisurate effettivamente alla gravità del fatto e che tengano conto del principio della rieducazione”.

Carceri, Braccialetti elettronici finiti; niente arresti domiciliari i detenuti restano in cella


arresti-domiciliari-con-braccialetto-elettronico-820x427Non ascoltato l’allarme lanciato un anno fa dal Capo della Polizia Pansa. La gara d’appalto per la nuova partita non è stata svolta: mancano i fondi.

Era il 19 giugno 2014 quando con una circolare inviata ai vertici del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria il Capo della Polizia Alessandro Pansa accendeva i riflettori sull’emergenza braccialetti elettronici ormai dietro l’angolo: entro la fine del mese corrente, annunciava il prefetto nel documento recapitato al Dap, la scorta di 2.000 apparecchi diventata largamente insufficiente dopo le nuove leggi dei governi Letta e Renzi in materia di sorveglianza sugli stalker, decongestionamento carcerario e misure alternative alla detenzione per le pene inferiori ai tre anni, sarebbe finita.

Per i nuovi braccialetti, osservava ancora Pansa, si sarebbe dovuto attendere fino ad aprile del 2015, vista la necessità di predisporre un capitolato per una gara europea di fornitura. Dopo un anno e due giorni di fatalista e inerte attesa, oggi quell’allarme si trasforma nel disastro ampiamente annunciato sotto gli occhi del governo.

Perché non solo la circolare di Pansa in allora è caduta nel vuoto ma nel frattempo nemmeno la gara europea fissata per la primavera di quest’anno è stata ancora fatta. Ed è così che negli ultimi mesi a più di un detenuto ospite delle patrie galere è stata offerta l’ennesima variazione sul tema dei diritti umani calpestati: sapere che un giudice ha firmato l’ordinanza che ti permette di tornare a casa, ai domiciliari, ed essere nonostante questo costretto a rimanere in cella a oltranza perché il braccialetto che dovrà sorvegliarti non c’è.

L’ultima tragicomico obbrobrio prodotto dal sistema giudiziario e dall’universo carcerario italiano è cristallizzato in una nuova lettera, stavolta scritta da un magistrato e inviata proprio al Capo della Polizia che un anno fa sollecitava il ministero della Giustizia, quasi a sottolineare plasticamente l’ennesimo rimpallo di competenze dal sapore inconfondibilmente nostrano.

A fine aprile, mentre si vedeva obbligato a trattenere dentro le sbarre un carcerato che a suo parere meritava l’attenuazione della misura cautelare, un gip romano ha infatti scritto al prefetto Alessandro Pansa ricordando “la scarsezza degli strumenti e sollecitando l’adozione di opportune iniziative atte ad evitare che il perdurare della condizione di detenzione del sopracitato imputato dipenda dalla occasionale inadeguatezza di strumenti tecnici”.

Il detenuto, nella circostanza, è stato scarcerato solo un mese dopo la firma del magistrato. Un destino che riguarda centinaia di altri carcerati che rimangono in cella a oltranza anche se il gip ha concesso l’attenuazione della misura. Ogni nuova attivazione al momento dipende infatti dal termine di un’altra custodia cautelare. Il contratto firmato nel 2004 tra Viminale e Telecom per la fornitura, l’installazione e il monitoraggio di 2.000 braccialetti elettronici scade a fine 2018.

Già un anno fa la stessa Telecom aveva avvisato il ministero retto da Angelino Alfano che i braccialetti non sarebbero bastati. La risposta è stata che si sarebbe fatta una nuova gara (quella prevista per l’aprile scorso) che però non è stata ancora indetta. Il capitolato è pronto, si è appreso da fonti del Viminale. A mancare sarebbero però i soldi, ovvero i necessari stanziamenti del Ministero dell’Economia che permetterebbero di tamponare una situazione di crisi la cui potenziale esplosività era nota a tutti gli attori da tempo.

Per un decennio il braccialetto è rimasto un oggetto misterioso e trascurato, poi due anni fa il gip del tribunale di Roma Stefano Aprile impose alla questura di Roma di utilizzare sistematicamente gli apparecchi disponibili visto che il sistema risultava regolarmente attivato. In pochi mesi il braccialetto elettronico ha preso piede anche in altre procure e tribunali d’Italia.

Ci hanno pensato poi gli ultimi governi a trasformare l’apparecchio in uno strumento cardine nella politica di alleggerimento dei penitenziari: solo dieci giorni dopo l’allarme lanciato da Pansa lo scorso anno, infatti, il 28 giungo 2014 è entrato in vigore il decreto 92. In base alla norma ogni nuovo arrestato, ma anche chi è già detenuto in attesa di giudizio o con una sentenza non ancora definitiva, deve essere inviato agli arresti domiciliari se il giudice competente prevede per lui una pena non superiore ai tre anni. Prima ancora c’erano stati il decreto sul femminicidio, che nell’estate del 2013 ha introdotto il braccialetto come strumento di controllo per gli stalker. E poi la svuota carceri varata nell’inverno 2014, che li fece diventare praticamente obbligatori per i detenuti assegnati agli arresti domiciliari.

Il gip lo manda ai domiciliari. In cella un altro mese

Detenuto in attesa di scarcerazione. A distanza di 44 anni dal film di denuncia di Nanni Loy, da quel “Detenuto in attesa di giudizio” in cui Alberto Sordi viaggiava attraverso i soprusi e i meccanismi infernali della giustizia e del sistema penitenziario italiani sviscerandoli impietosamente con una delle sue massime prove d’attore, dall’arcipelago carcerario italiano spuntano nuovi e aggiornati capolavori di kafkiana assurdità.

Sarebbe dovuto uscire di prigione subito, dopo che il gip di Roma lo scorso 21 aprile gli aveva concesso i domiciliari a una condizione: data la sua potenziale pericolosità, gli doveva essere applicato il braccialetto elettronico. Invece un uomo detenuto a Roma, condannato in primo grado per rapina e sottoposto a custodia cautelare, prima di poter lasciare il penitenziario come deciso dallo Stato è stato costretto (sempre dallo Stato) a rimanere un altro buon mesetto dietro le sbarre a causa della penuria di braccialetti elettronici che sta mettendo a dura prova l’applicazione concreta delle già contestate misure “svuota-carceri” varate dagli ultimi due governi. La vicenda viene denunciata in una lettera spedita al ministero dell’Interno proprio dal gip che aveva concesso i domiciliari vincolati all’impiego del braccialetto.

“Ritengo doveroso rappresentare la grave situazione che si verifica a seguito della indisponibilità dei dispositivi in oggetto”, esordiva il giudice il 30 aprile scorso nella missiva spedita al Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Viminale. “A distanza di alcuni giorni dall’ordinanza”, denuncia il magistrato, “senza avere avuto alcun riscontro in merito all’esecuzione dell’ordinanza, con nota 27 aprile 2015 si sono richieste informazioni alla casa circondariale”.

È così che il gip ha scoperto che il suo provvedimento non aveva avuto applicazione. Infatti il commissariato di Spinaceto informava che il sopralluogo nel domicilio del detenuto per l’installazione dell’apparecchiatura si era concluso positivamente. Il problema, però, è che si era in attesa della “conferma di disponibilità dell’apparato”. Tenendo conto delle rassicurazioni fornite “anche in sede parlamentare”, chiosava il gip, “si sollecita l’adozione di opportune iniziative atte ad evitare che il perdurare della condizione di detenzione del sopra citato imputato dipenda dalla occasionale inadeguatezza di strumenti tecnici”.

Parole rimbalzate nel vuoto. Prima di lasciare il carcere, l’uomo ha dovuto attendere altri 20 giorni prima che venisse il suo turno di indossare uno dei preziosi e contesi braccialetti disponibili nella seleziona “parure” del Viminale.

Martino Villosio

Il Tempo, 22 giugno 2015

Lo Stato certifica con Legge la disumanità delle nostre Carceri


Venezia 6Il decreto anti-sovraffollamento è l’immagine dell’impotenza dello Stato. Immaginiamo che un turista prenoti una stanza d’albergo con bagno e all’arrivo riceva la sgradita sorpresa dell’assenza dei servizi igienici in camera.

Certamente gli spetterà un indennizzo, ma è difficile credere che accetterà di rimanere lì. Il paragone può sembrare irriverente ma in realtà calza con il rimedio introdotto per chi sconta la pena in condizioni che violano la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Facciamo un passo indietro, per comprendere cosa è accaduto.

Il 2 agosto è stato convertito in legge il D.L. 92/2014, che contiene due importanti novità, passate pressoché in silenzio complice il clima vacanziero, in tema di sovraffollamento carcerario e di limiti della custodia cautelare. In particolare, il detenuto in condizioni carcerarie disumane (cioè una cella inferiore a 3 mq, spazio minimo invalicabile secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) può fare istanza al Magistrato di Sorveglianza, il quale disporrà a titolo di risarcimento del danno una riduzione di un giorno della pena detentiva per ogni dieci di permanenza in carcere in tale situazione. In alternativa, la legge riconosce al detenuto un importo in denaro di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in violazione dei parametri di vivibilità.

Ora, si può fare della facile ironia sui criteri prescelti dal legislatore e discutere se il forfait stabilito (a stento pizza e caffè in un locale di modeste pretese) compensi le sofferenze di chi si trova ristretto in carcere, o se sia congruo lo sconto di pena di tre giorni al mese.

Ma il vero punto in discussione è il singolare principio sottostante: il riconoscimento e l’accettazione dello status quo, l’impossibilità di eliminare il pregiudizio in itinere, la consequenziale sensazione di impotenza e di resa dello Stato. In definitiva la pretesa punitiva abdica alla funzione assegnata dalla Carta Costituzionale: nel silenzio imbarazzato e reticente, certifica di fatto le modalità disumane dell’esecuzione della pena.

Senonché, l’articolo 27 comma 3 Cost. vieta i trattamenti disumani e assegna alla pena un compito di reinserimento sociale. Ebbene, è addirittura paradossale immaginare una finalità special-preventiva per il condannato che viva con modalità giudicate lesive dei suoi diritti naturali. La norma approvata certifica dunque l’inconsueto ossimoro di una pena detentiva disumana risocializzante. L’ipocrisia regna sovrana e si fa scudo della cronica carenza di risorse economiche per la costruzione di nuove carceri.

Analoghe perplessità desta l’articolo 8, che vieta la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se il giudice ritiene che la pena detentiva da scontare non supererà i tre anni. Obiettivo nobile ridurre il sovraffollamento carcerario ed evitare il carcere a chi in carcere quasi certamente non andrà in caso di condanna definitiva, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Perché al giudice viene richiesto, più che una valutazione prognostica, un vaticinio, dovendo immaginare a distanza di anni, in base alle future prove, allo sviluppo del processo, la pena detentiva in concreto che si infliggerà, dipendente anche dal comportamento processuale dell’imputato e cioè da un parametro per definizione ignoto al Gip all’atto in cui applica la misura cautelare.

A peggiorare le cose l’emendamento che deroga al divieto e consente il carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (si tratta di un variopinto catalogo, dove convivono stalking, maltrattamenti in famiglia, incendio boschivo e numerosi altri).

A parte le censure di costituzionalità per non avervi ricompreso altri reati di pari importanza, non si comprende la limitazione intervenuta: se infatti l’imputato è innocente sino a condanna definitiva e quindi la custodia cautelare rimedio eccezionale, se anche in ipotesi di condanna il reo non andrà in carcere per effetto della normativa vigente, la norma deve valere per ogni tipo di reato, non essendovi liste di proscrizione, per le quali il clamore della piazza risuoni più forte delle garanzie dell’individuo.

Andrea R. Castaldo

Il Mattino, 7 agosto 2014

 

Decreto detenuti, l’Aula della Camera respinge pregiudiziali M5S e Lega Nord


Camera dei DeputatiL’aula della Camera ha respinto le questioni pregiudiziali presentate al dl Detenuti da Movimento 5 stelle e Lega Nord: 310 contrari, 102 favorevoli.

Il dl, spiega una nota di Palazzo Chigi, “ha la finalità di adempiere alle direttive dettate da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (Cedu) nei confronti dello Stato italiano nella Sentenza Torreggiani del gennaio 2013, nella quale la Corte aveva imposto l’adozione di specifiche misure riparatorie per Detenuti che hanno scontato la pena in una condizione di sovraffollamento, imponendo a tal fine il perentorio termine, appena decorso, di un anno dalla definitività della pronuncia”.

“I giudici europei – continua la nota – hanno condannato il nostro Stato al pagamento nei confronti dei ricorrenti di somme comprese tra i 10mila euro ed i 23mila”. Il dl si occupa anche di chi già è uscito dal carcere disponendo “un risarcimento pari a 8 euro per ciascuna giornata di detenzione trascorsa in condizioni non conformi alle indicazioni della Cedu”.

Nel dl sono state poi previste anche alcune modifiche in materia di codice di procedura penale. Tra queste ci sono: gli obblighi informativi per procedimenti che incidono sullo stato di libertà di condannati da corti penali internazionali, misure di esecuzione delle ordinanze degli arresti domiciliari, la modifica dell’art. 275 del codice di procedura penale che prevede che, con una pena detentiva da irrogare che sia massimo di tre anni, non possano essere disposte le misure della custodia cautelare o degli arresti domiciliari. E ancora, altre misure previste nel dl riguardano l’esecuzione “dei provvedimenti limitativi della libertà personale” verso i minorenni che “nel corso dell’esecuzione, siano divenuti maggiorenni” ma fino ai 25 anni d’età.

Infine il governo ha predisposto alcune modifiche dell’ordinamento della polizia penitenziaria sulla “consistenza dell’organico”, tramite “un aumento della dotazione del ruolo degli agenti e assistenti e diminuzione di quella degli ispettori” e una specifica modifica all’ordinamento per fare in modo che “il magistrato di sorveglianza possa avvalersi dell’ausilio di assistenti volontari”.

Balduzzi (Sc): adempiere a obblighi Ue

“Non si tratta di far bella figura con l’Europa, ma di adempiere agli obblighi derivanti dalla sentenza Torreggiani della Corte europea dei diritti dell’uomo che non può essere ignorata”. Lo ha detto Renato Balduzzi, presidente reggente di Scelta Civica, che ha annunciato nell’Aula di Montecitorio il voto favorevole del suo movimento politico per la conversione in legge del decreto-legge che dispone in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell’articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Nel confutare i profili di illegittimità contestati in aula al provvedimento in quanto si porrebbe in contrasto con la funzione di urgenza propria del decreto legge, Balduzzi ha tenuto piuttosto a sottolineare i profili di merito del testo adottato dal Governo.

“Alla base – ha osservato il deputato piemontese – c’è l’idea della prevalenza della funzione rieducativa della pena così come prevista dall’art. 27 della nostra Costituzione. L’extrema ratio rappresentata dall’applicazione della pena detentiva, così come dimostrato da pronunce e disposizioni susseguitesi nel tempo, costituisce la cultura giuridica prevalente nel nostro ordinamento e anche questo provvedimento va in tale direzione”.

Fedriga (Ln): ci batteremo per premiare Abele, non Caino

“Le battaglie che ci troviamo ad affrontare riguardano non solo noi, ma tutto il gruppo e il movimento”. Lo ha detto il nuovo capogruppo della Lega Nord alla Camera Massimiliano Fedriga annunciando la battaglia che il Carroccio porterà avanti nei prossimi giorni contro il governo sul tema dei carcerati: “Renzi vuole regalare 8 euro al giorno ai carcerati e dare incentivi alle aziende che assumeranno i detenuti, invece di aiutare i lavoratori e le aziende. Ci batteremo perché noi vogliamo premiare Abele e non Caino”.

Public Policy, 9 luglio 2014

Risarcimenti per detenzione inumana, in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 92/2014


 Varata con decreto urgente la disciplina del rimedio “compensativo” richiesto dalla Corte di Strasburgo per la carcerazione in condizioni “disumane”.

È approdato infatti ieri nella Gazzetta Ufficiale 147 il decreto legge 92/2014 che introduce il rimedio giurisdizionale di carattere risarcitorio del danno sofferto dalle persone detenute e internate in condizioni contrarie alla dignità e all’umanità (articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), richiesto dalla stessa alta Corte con la sentenza Torreggiani dell’8 gennaio 2013.

Il ricorso, la cui disciplina è contenuta nel nuovo articolo 35-ter, legge 354/75 (articolo 1, dl 92/2014), distingue tre possibili modalità di risarcimento, correlate essenzialmente alla durata del pregiudizio subito dai soggetti ristretti.

Se il danno consiste in una detenzione in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione, protrattasi per un perìodo di tempo non inferiore ai 15 giorni, su istanza presentata dal detenuto, personalmente ovvero tramite difensore munito di procura speciale, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante il quale il richiedente ha subito il pregiudizio (comma 1, articolo 35-ter).

Il comma 2, articolo 35-ter, prevede una seconda fattispecie, integrata qualora il residuo dì pena ancora da espiare non consenta l’integrale detrazione di pena prevista dall’ipotesi precedente. Subentra allora la liquidazione in favore del richiedente, in relazione al residuo periodo e a titolo di risarcimento del danno, una somma di denaro pari a 8 euro per ciascuna giornata nella quale questi ha subito il pregiudizio. Il magistrato di sorveglianza provvede negli stessi termini anche nel caso in cui il periodo di detenzione espiato in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione sia stato inferiore a 15 giorni.

Il comma 3, articolo 35-ter, regola la terza modalità risarcitoria, che concerne il danno sofferto in relazione a periodi di custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare ai sensi dell’articolo 657, Cpp, ovvero i soggetti danneggiati che hanno terminato di espiare la pena detentiva in carcere. In questi casi, la domanda deve essere proposta, nel termine decadenziale di sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o di custodia cautelare, di fronte al tribunale del capoluogo del distretto nel cui territorio i soggetti hanno la residenza. Il tribunale decide in composizione monocratica nelle forme di cui agli articoli 737 e seguenti, Cpc, con decreto non reclamabile, liquidando il danno nelle medesime forme sopra indicate.

L’articolo 2, di 92/2014, introduce una disciplina transitoria, modellata su quella prevista dall’articolo 6 della legge 89 del 24 marzo 2001 (“legge Pinto”), applicato le con riguardo a coloro che, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano cessato di espiare la pena detentiva o non si trovino più in stato di custodia cautelare in carcere, i quali dovranno proporre l’azione risarcitoria di cui all’articolo 35-ter, comma 3, legge 354/75, entro se i mesi decorrenti dalla stessa data, a pena di decadenza.

Entro lo stesso termine, chi abbia già presentato ricorso alla Cedu per violazione dell’articolo 3, potrà formulare la domanda di risarcimento ai sensi dell’articolo 35-ter, qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della Corte europea, la domanda dovrà contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione della data di presentazione del ricorso alla Corte europea. La cancelleria del giudice adito informerà senza ritardo il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate, nel t er-mine di sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.

Arresti domiciliari, si aspetta il braccialetto elettronico

Oltre al risarcimento per detenzione inumana, il decreto legge 92/2014 introduce altre importanti novità, che spaziano dall’ordinamento penitenziario, a quello minorile; dal Codice di procedura penale all’ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria.

Viene introdotto l’obbligo per il giudice di sorveglianza che provvede su richieste di provvedimenti incidenti sulla libertà personale di condannati da tribunali o corti penali internazionali, di darne immediata comunicazione al ministro della Giustizia, che informa il ministro degli Affari esteri e, qualora previsto da accordi internazionali, l’organismo che ha pronunciato la condanna (articolo 3). In ausilio agli uffici di sorveglianza viene prevista la possibilità di impiego degli assistenti volontari, sia pure con compiti meramente ausiliari (articolo 1, comma 2).

In materia di disciplina esecutiva degli arresti domiciliari disposti in sostituzione della custodia cautelare, è riformulato l’articolo 97-bis, disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale: il giudice della cautela, in caso di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari, può autorizzare il differimento dell’esecuzione dell’ordinanza per il tempo necessario alle forze dell’ordine per acquisire la materiale disponibilità dei dispositivi elettronici di controllo (“braccialetto elettronico”).

In tema di ordinamento minorile, è modificato il testo dell’articolo 24 del Dlgs 272/1989, con estensione delle disposizioni in materia di esecuzione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti dei minorenni a chi non ha ancora 25 anni.

Il dl 92/14 interviene, inoltre, con una rimodulazione della pianta organica del Corpo di polizia penitenziaria e abbrevia la durata del corso di formazione degli agenti e vice ispettori neoassunti. È anche disposto, per due anni, il divieto di comandi e distacchi del personale del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (articolo 6 e 7).

Il quadro delle riforme si chiude con la riformulazione del comma 2-bis dell’articolo 275 del Codice di procedura penale, con riguardo alle condizioni di applicabilità della custodia cautelare in carcere (che non potrà più essere disposta se il giudice ritenga che la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni), per armonizzarne la disciplina la con le disposizioni dettate dall’articolo 656 del Codice di procedura penale, relativamente alle ipotesi di sospensione dell’esecuzione della pena detentiva (articolo 8, dl 92/2014).

Fai clic per accedere a decreto_risarcimenti.pdf

Fabio Fiorentin

Il Sole 24 Ore, 28 giugno 2014