Lo Stato certifica con Legge la disumanità delle nostre Carceri


Venezia 6Il decreto anti-sovraffollamento è l’immagine dell’impotenza dello Stato. Immaginiamo che un turista prenoti una stanza d’albergo con bagno e all’arrivo riceva la sgradita sorpresa dell’assenza dei servizi igienici in camera.

Certamente gli spetterà un indennizzo, ma è difficile credere che accetterà di rimanere lì. Il paragone può sembrare irriverente ma in realtà calza con il rimedio introdotto per chi sconta la pena in condizioni che violano la Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo. Facciamo un passo indietro, per comprendere cosa è accaduto.

Il 2 agosto è stato convertito in legge il D.L. 92/2014, che contiene due importanti novità, passate pressoché in silenzio complice il clima vacanziero, in tema di sovraffollamento carcerario e di limiti della custodia cautelare. In particolare, il detenuto in condizioni carcerarie disumane (cioè una cella inferiore a 3 mq, spazio minimo invalicabile secondo la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) può fare istanza al Magistrato di Sorveglianza, il quale disporrà a titolo di risarcimento del danno una riduzione di un giorno della pena detentiva per ogni dieci di permanenza in carcere in tale situazione. In alternativa, la legge riconosce al detenuto un importo in denaro di 8 euro per ciascun giorno di detenzione in violazione dei parametri di vivibilità.

Ora, si può fare della facile ironia sui criteri prescelti dal legislatore e discutere se il forfait stabilito (a stento pizza e caffè in un locale di modeste pretese) compensi le sofferenze di chi si trova ristretto in carcere, o se sia congruo lo sconto di pena di tre giorni al mese.

Ma il vero punto in discussione è il singolare principio sottostante: il riconoscimento e l’accettazione dello status quo, l’impossibilità di eliminare il pregiudizio in itinere, la consequenziale sensazione di impotenza e di resa dello Stato. In definitiva la pretesa punitiva abdica alla funzione assegnata dalla Carta Costituzionale: nel silenzio imbarazzato e reticente, certifica di fatto le modalità disumane dell’esecuzione della pena.

Senonché, l’articolo 27 comma 3 Cost. vieta i trattamenti disumani e assegna alla pena un compito di reinserimento sociale. Ebbene, è addirittura paradossale immaginare una finalità special-preventiva per il condannato che viva con modalità giudicate lesive dei suoi diritti naturali. La norma approvata certifica dunque l’inconsueto ossimoro di una pena detentiva disumana risocializzante. L’ipocrisia regna sovrana e si fa scudo della cronica carenza di risorse economiche per la costruzione di nuove carceri.

Analoghe perplessità desta l’articolo 8, che vieta la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari se il giudice ritiene che la pena detentiva da scontare non supererà i tre anni. Obiettivo nobile ridurre il sovraffollamento carcerario ed evitare il carcere a chi in carcere quasi certamente non andrà in caso di condanna definitiva, ma la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni.

Perché al giudice viene richiesto, più che una valutazione prognostica, un vaticinio, dovendo immaginare a distanza di anni, in base alle future prove, allo sviluppo del processo, la pena detentiva in concreto che si infliggerà, dipendente anche dal comportamento processuale dell’imputato e cioè da un parametro per definizione ignoto al Gip all’atto in cui applica la misura cautelare.

A peggiorare le cose l’emendamento che deroga al divieto e consente il carcere per una serie di reati di grave allarme sociale (si tratta di un variopinto catalogo, dove convivono stalking, maltrattamenti in famiglia, incendio boschivo e numerosi altri).

A parte le censure di costituzionalità per non avervi ricompreso altri reati di pari importanza, non si comprende la limitazione intervenuta: se infatti l’imputato è innocente sino a condanna definitiva e quindi la custodia cautelare rimedio eccezionale, se anche in ipotesi di condanna il reo non andrà in carcere per effetto della normativa vigente, la norma deve valere per ogni tipo di reato, non essendovi liste di proscrizione, per le quali il clamore della piazza risuoni più forte delle garanzie dell’individuo.

Andrea R. Castaldo

Il Mattino, 7 agosto 2014

 

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