Il Governo: ripristinate le Scuole nelle Carceri della Provincia di Cosenza. Quintieri (Radicali) andrò subito a verificare


“In tutti gli Istituti Penitenziari sono stati attivati percorsi didattici completi, in numero tale da consentire di accogliere tutti gli iscritti, nel rispetto della normativa vigente sul numero minimo d’iscritti per ciascuna classe.” Questo è quel che ha riferito l’On. Giuseppe De Cristofaro, Sottosegretario di Stato all’Istruzione, all’Università ed alla Ricerca del Governo Conte II, in risposta all’Interrogazione Parlamentare n. 5/02198 del 30 maggio 2019 dagli Onorevoli Alessandro Fusacchia (Più Europa) e Gabriele Toccafondi (Italia Viva), sollecitata da Emilio Enzo Quintieri, già Consigliere Nazionale dei Radicali Italiani, all’esito delle visite effettuate insieme all’esponente radicale Valentina Anna Moretti, negli Istituti Penitenziari di Paola, Cosenza, Castrovillari e Rossano, interessati da provvedimenti di soppressione e/o riduzione dell’offerta formativa per i detenuti da parte dell’Ufficio Scolastico Provinciale di Cosenza.

Il Governo ha risposto alla Camera dei Deputati durante la seduta della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione lo scorso 9 ottobre, sulla base delle notizie fornite dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria. In particolare, ha riferito che con Circolare Ministeriale n. 422 del 28 marzo 2019, è stato disposto che “in ogni caso, l’attivazione nell’ambito delle risorse dell’organico di autonomia, di almeno un primo periodo didattico in ciascun Istituto di Prevenzione” per cui, in coerenza con la stessa, l’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria ha attivato, per l’anno scolastico 2019/2020, almeno un primo periodo didattico in ciascuno degli Istituti Penitenziari. In più, è stato possibile attivare almeno un secondo periodo didattico e un terzo periodo didattico, quale percorso conclusivo del percorso di studi. Più in dettaglio, il Sottosegretario all’Istruzione De Cristofaro, ha riferito che sono stati autorizzati i seguenti percorsi:

 CASA CIRCONDARIALE DI CASTROVILLARI

 “Nella sezione carceraria di Castrovillari, sono stati autorizzati due primi periodi didattici, due secondi periodi didattici e due terzi periodi didattici, relativamente all’indirizzo professionale alberghiero e all’indirizzo tecnico di meccanica e meccatronica”. E’ stato precisato che “la proposta avanzata dalle istituzioni scolastiche di riferimento, in organico di diritto, risulta non conforme ai parametri minimi prescritti dalla normativa vigente laddove, a fronte di un numero di iscrizioni pari a 91, è stata richiesta l’autorizzazione di 17 classi, con una media di 5 iscritti per classe.”

CASA DI RECLUSIONE DI ROSSANO

“Nella sezione carceraria di Rossano sono stati autorizzati tre primi periodi didattici, un secondo periodo didattico e un terzo periodo didattico, di cui un primo periodo didattico per l’indirizzo professionale alberghiero (di nuova istituzione) e due primi, un secondo e un terzo periodo didattico per l’indirizzo tecnico di meccanica e meccatronica. Anche in questo caso, la proposta avanzata dall’istituzione scolastica di riferimento, in organico di diritto, risulta non conforme ai parametri minimi prescritti dalla normativa vigente laddove, a fronte di un numero complessivo di iscrizioni comunicate pari a 131, è stata richiesta l’autorizzazione di 11 classi con una media di 11 iscritti per classe.”

CASA CIRCONDARIALE DI COSENZA

“Nella sezione carceraria di Cosenza sono stati autorizzati due primi periodi didattici, due secondi periodi didattici e un terzo periodo didattico, di cui un primo, un secondo e un terzo periodo didattico per l’indirizzo professionale alberghiero e un primo e un secondo periodo didattico per l’indirizzo tecnico di amministrazione, finanza e marketing. Similmente, la proposta avanzata dall’istituzione scolastica di riferimento, in organico di diritto, risulta non conforme ai parametri minimi prescritti dalla normativa vigente laddove, a fronte di un numero complessivo di iscrizioni comunicate pari a 79, è stata richiesta l’autorizzazione di 9 classi, con una media di 8 iscritti a classe.”

CASA CIRCONDARIALE DI PAOLA

“Nella sezione carceraria di Paola sono stati autorizzati due primi periodi didattici, un secondo periodo didattico e un terzo periodo didattico per l’indirizzo professionale alberghiero. Stessa circostanza per la proposta avanzata dall’istituzione scolastica di riferimento, in organico di diritto, che risulta non conforme ai parametri minimi prescritti dalla normativa vigente laddove, a fronte di un numero complessivo di iscrizioni comunicate pari a 105, è stata richiesta l’autorizzazione di 9 classi, con una media di 11 iscritti per classe.”

Nei prossimi giorni, autorizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, annuncia il radicale Quintieri, andrò subito a verificare di persona se le circostanze riferite al Governo dall’Ufficio Scolastico Regionale per la Calabria siano veritiere perché alcuni numeri esposti dall’On. De Cristofaro, mi sembrano sbagliati, come ad esempio quelli relativi alla Casa di Reclusione di Rossano ove, per quanto mi risulta, i detenuti iscritti a corsi di istruzione secondaria superiore all’epoca dei fatti – secondo dati ufficiali – erano 165 e non 131 come invece rappresentato (95 detenuti Alta Sicurezza Itis, 55 media sicurezza Itis e 15 media sicurezza Ipseoa). Qualora dovessi riscontrare difformità rispetto a quanto comunicato, relazionerò immediatamente a tutte le Autorità competenti, oltre a sollecitare la presentazione di un nuovo atto di sindacato ispettivo alla Camera dei Deputati. Per il momento ringrazio gli Onorevoli Fusacchia e Toccafondi per l’Interrogazione nonché il Sottosegretario De Cristofaro per la risposta fornita.

Pisa, l’ex Ministro Carrozza (Pd) visita il Carcere Don Bosco : “è una struttura inadeguata”


On. Maria Chiara Carrozza PDVisita in carcere a Pisa, nei giorni scorsi per la deputata del Pd ed ex Ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, che ha pubblicato poi le sue riflessioni in un lungo post sul sito internet del Pd pisano. “Ho visitato – scrive Carrozza – la sezione femminile, maschile, penale e giudiziaria e ho potuto incontrare gli insegnanti volontari che insegnano ai detenuti”. Molti invece i problemi dell’edificio visto che, ha sottolineato la parlamentare, il Don Bosco “è una struttura inadeguata”.

“I locali – spiega Carrozza – avrebbero bisogno di una profonda ristrutturazione. L’impegno della direzione e del personale è tangibile, così come alcuni lavori eseguiti di recente, ma è chiaro che rimane una struttura inadeguata. A questo impegno andrebbero unite donazioni di privati che, tra l’altro, non mancherebbero neanche, ma queste operazioni sono amministrativamente e burocraticamente difficili e complesse.

È un settore nel quale intervenire perché la semplificazione sarebbe molto importante e sarebbe importante anche l’Agenda digitale, basti pensare che tutte le autorizzazioni passano per moduli cartacei”. Infine, gli spazi di svago: “Dalla ristrutturazione del campo di calcetto, alla donazione di attrezzature per la palestra, che potrebbe permettere ai detenuti di svolgere attività motorie e sportive, fino alla donazione di libri recenti e romanzi. Non mancano bei progetti, che sono fermi in attesa di finanziamento, come quello che sostiene il teatro in carcere. Qui c’è lavoro per tutti: per la politica locale e per il Governo, per chi vuole fare il volontario e per chi vuole fare donazioni. Pisa non si deve dimenticare di questo mondo”.

IL RACCONTO DELLA VISITA AL CARCERE DI PISA DELL’ON. CARROZZA

“Oggi ho visitato il carcere di Don Bosco a Pisa, ho incontrato il Direttore, il Comandante della Polizia Carceraria, e la Responsabile degli Educatori del Carcere. Con loro ho visitato il carcere femminile, maschile, penale e giudiziario. Ho potuto incontrare gli insegnanti volontari che insegnano ai detenuti, ho visto lezioni di geometria analitica, un laboratorio di pittura, lezioni di lingua e grammatica italiana ai cittadini non italiani (la maggioranza in carcere), una serra per giardinaggio, e ho incontrato i medici e terapisti del centro clinico e riabilitativo che operano nella struttura.
Avevo già visitato il carcere di Volterra da Ministro, in occasione della consegna dei diplomi, che ho effettuato personalmente nel 2013. Ogni volta si tratta di un’esperienza importante per noi parlamentari, perché ci permette di incontrare una realtà bisognosa di attenzione da parte del governo nazionale e locale.
La prima cosa che colpisce sono i locali, che avrebbero bisogno di una profonda ristrutturazione, nonostante l’impegno della direzione e del personale e lavori anche recenti, è chiaro che la struttura non è adeguata. Alcune celle hanno i servizi direttamente nello stesso locale dove si dorme.
La seconda cosa che colpisce, è che ci sarebbero anche privati intenzionati a fare donazioni per ristrutturazioni, ma questa cosa è amministrativamente e burocraticamente difficile e complessa. Ecco un settore dove dovremmo intervenire. Perché la semplificazione sarebbe importante anche in questo settore, e sarebbe importante anche l’Agenda Digitale… se penso che tutte le autorizzazioni passano per moduli cartacei, e diventano burocrazia… Sono rimasta impressionata dal lavoro degli insegnanti volontari, e delle scuole, in particolare a Pisa sono l’Istituto alberghiero e il Buonarroti che hanno rapporti con questo mondo. C’è molto da fare per le carceri: dalla ristrutturazione del campo di calcetto, alla donazione di attrezzature per la palestra, che potrebbe permettere ai detenuti di svolgere attività motorie e sportive, fino alla donazione di libri recenti e romanzi (non avanzi di scantinato, ma libri buoni e gradevoli da leggere). Ci sono dei bei progetti, che sono fermi in attesa di finanziamento, come quello che sostiene il teatro in carcere.
Infine vorrei dire che sono rimasta impressionata, perché c’è lavoro per tutti: per la politica e per il governo, per chi vuole fare il volontario e per chi vuole fare donazioni. Pisa non si deve dimenticare di questo mondo.
Perdonatemi questa descrizione forse un po’ ingenua,alcuni potranno dirmi che avrei dovuto sapere tutto già da tempo, ma questo non era il mio settore e mi sono avvicinata per mio interesse e curiosità, e soprattutto perché ho saputo delle gravi carenze di personale di polizia carceraria di cui ci sarebbe oggettivamente bisogno. Vorrei dare il mio supporto per portare l’attenzione su questo tema. Solo una percentuale bassa dei detenuti è di origine italiana, la maggioranza è straniera, e il carcere è un luogo di integrazione dove devono convivere etnie, religioni e popolazioni molto diverse da loro.
Infine vorrei ringraziare il Direttore e tutto il personale che mi ha accompagnato, ho ricevuto accoglienza e disponibilità.”

16 Novembre 2015

On. Maria Chiara CARROZZA, Deputato Partito Democratico

Giustizia, Boato : Renzi ha rotto col giustizialismo, che dagli anni 70 è stata posizione del Pci


On. Marco BoatoConversazione con Marco Boato, 71enne, piccolo padre del 1968 all’Università di Trento, poi con una lungo passato parlamentare, dai Radicali ai Verdi e all’Ulivo, si interrompe quasi subito per una chiamata al cellulare. È monsignor Loris Capovilla, storico segretario di Giovanni XXIII, oggi cardinale, che lo chiama nell’imminenza dei suoi cento anni. “Mi scusi, ma quando ho visto che era lui, non potevo non rispondere”.

Un’amicizia che dice molto di questo sociologo veneziano: cattolico, sessantottino, radicale, ecologista e grande paladino dei diritti, tanto che nel 2008, i Verdi, alleati di Prc, non lo ricandidarono perché i neocomunisti, in piena antiberlusconismo, non tolleravano il suo garantismo.

Domanda. Boato, lei, uomo di sinistra, come si trova nell’Italia di Matteo Renzi? Per qualcuno è l’anticamera dell’autoritarismo.

Risposta. La sorprenderò ma non ho maturato idee, né ho quelle tranchant di chi è più giovane di me. Su Renzi, in pratica, ho sospeso il giudizio.

D. Sorprende, in effetti, in un’Italia così visceralmente pro e contro il premier. Perché non giudica?

R. Perché sono stato colpito, e molto negativamente, dal passaggio di Renzi al governo. Un colpo di mano molto partitocratico, con la conquista della maggioranza interna di un partito, il Pd. E c’erano state quelle ampie e pubbliche rassicurazioni a Enrico Letta…

D….hashtag #enricostaisereno…

R. Esatto e poi contraddette clamorosamente e la cosa, dico la verità, mi aveva disgustato. Sono un po’ all’antica e la lealtà, secondo me, viene prima di tutto. Questa era una tara così grossa che, per non avere pregiudizi ideologici, ho pensato di sospendere il giudizio.

D. Lei è ancora in attesa di farsi un’idea, ma di questo esecutivo avrà visto cose che le sono piaciute e cose no.

R. Sì, luci ed ombre. Partiamo dalle prime.

D. Prego.

R. Fra queste c’è il fatto che il governo Renzi ha segnato una svolta nel Paese. Siamo andati avanti con Silvio Berlusconi, con Mario Monti e anche con Letta a dire, anno dopo anno, che si intravedeva la luce in fondo al tunnel della crisi. Non era vero. Oggi, con Renzi, pur con tutta la cautela, lo si deve affermare. E non solo per merito solo suo, intendiamoci.

D. Una congiuntura favorevole?

R. Sì, il petrolio a prezzi bassi, un rapporto euro dollaro ridimensionato verso la parità, la Banca centrale europea col quantitative easing: tutti fattori che agevolano la possibilità di ripresa e che danno la sensazione della fi ne di una fase di recessione che pareva non avere limiti, una recessione anche morale ed etica.

D. Ombre? Anche lei lo vede come un rischio per la democrazia?

R. Avendo combattuto, negli anni 70, la strategia della tensione, fra Piazza Fontana e i colpi di Stato striscianti, non me la sento di condividere questa immagine che una parte della sinistra del Pd e Sel danno di Renzi. Per quanto anche Berlusconi, di recente, abbia parlato di “regime”.

D. Sì ha detto che Renzi è bulimico di potere.

R. Ma io mi sono rifiutato di parlare di regime anche quando lo addebitavano al Cavaliere, figurarsi se lo accetto adesso.

D. E poi ci sono i costituzionalisti alla Gustavo Zagrebelsky, quelli che Renzi chiama i “professoroni”…

R. Sì, sì dicono che siamo sull’orlo di una democrazia autoritaria, qualcuno ha recuperato il termine di “democratura”, ma mi pare davvero fuori luogo.

D. Veniamo alle ombre…

R. Le ravviso nella legge elettorale, che non mi convince per i capilista bloccati, incostituzionali come lo era il Porcellum che nominava tutti, ma più di tutto per il passaggio dell’attribuzione del premio di maggioranza, al partito anziché alla coalizione e l’impossibilità di fare apparentamenti sotto il 40%.

D. Perché non vanno questi dettagli dell’Italicum?

R. Perché violentano un pluralismo politico che oggi è irrinunciabile, come mostrano anche altri sistemi, una volta bipolari o tripolari, come la Germania o la Gran Bretagna, e dove si registra un moltiplicarsi di nuove sigle. Se l’eccesso di frammentazione è negativo, anche l’eccesso di semplificazione non va bene. E, mi faccia aggiungere, anche il ricorso alla fiducia, per una norma elettorale, fatto mai avvenuto in Italia, è stato abbastanza brutale.

D. Dovrebbe tornare indietro, come sostengono alcuni?

R. Sì, perché potrebbe finire per essere un gigantesco boomerang. Ha fatto questa forzatura, perché nella prima stesura il premio era alla coalizione, quando ha vinto alle europee, ma ora i sondaggi, l’ultimo quello di Repubblica sabato, dicono che il Pd è poco sopra il 30%.

D. Vabbè non si può fare le leggi e modificarle a proprio uso e consumo.

R. Sì, ma il rischio, per Renzi, è andare al ballottaggio con il M5s e perdere, perché magari al secondo turno si coalizzano tutti gli scontenti. E non è solo un rischio per Renzi, lo è anche per l’Italia.

D. I grillini al governo sarebbero una jattura?

R. Guardi non demonizzo, perché quando una forza ottiene i voti di un Italiano su quattro va rispettata, però sarebbe una sciagura se arrivassero al governo. Beppe Grillo è simpaticissimo, come comico, ma lui e i suoi uomini non sono all’altezza di governare un Paese, anche se si stanno facendo le ossa in alcune amministrazioni comunali. Ma mi faccia tornare a Renzi.

D. Prego.

R. Credo che sull’Italicum potrebbe avere l’intelligenza politica di tornare indietro su capi-lista e premio alla coalizione anziché al partito, con una leggina ordinaria, mediando sia con la sua sinistra interna, sia col centrodestra.

D. E della riforma costituzionale del Senato sulla quale, secondo alcuni, il governo rischia grosso?

R. Sono abbastanza critico. Quando Renzi e Maria Elena Boschi dicono che per 30 anni non si era fatto niente su Parlamento e Titolo V, dicono una gigantesca bugia: si è fatto il federalismo, nel 2001, il centrodestra ci ha provato nel 2005, si è fatta l’elezione diretta dei presidenti regionali. E quella del governo è una riforma che, a livello costituzionale, lascia intatte alcune parti, dalla presidenza della Repubblica, alla magistratura, alla Corte costituzionale.

D. Ma sul Senato, nello specifico?

R. Che ci possa essere una camera con una rappresentanza indiretta, come in Francia, può andare anche bene, si sbaglia quando ci si richiama al Bundesrat, il senato tedesco, che non c’entra nulla: quelli sono rappresentanti dei governi dei Länder, non dei consigli. Ma non è il Senato la vera questione.

D. Vale a dire?

R. Il Titolo V, di cui si parla pochissimo, e con cui si vogliono riportare in capo allo Stato quasi tutte le competenze concorrenti di materia regionale, non solo l’energia e le infrastrutture.

D. E non va bene?

R. Fatte 100 le competenze, almeno 80 si riaccentrano. Ora, per quanto i consigli regionali abbiano dato scandalo, credo che travolgere l’intero regionalismo italiano sia un grosso errore. Anche perché non è che lo Stato centrale funzioni benissimo. Eppure si parla solo dell’elettività dei senatori.

D. Forse perché è un dissenso tutto politico della minoranza Pd, per bloccare la riforma e quindi disarcionare Renzi?

R. Mi spiace riconoscerlo, perché ho buoni amici nella minoranza dem, ma è così: giocano questa partita delle riforme contro Renzi. Legittimamente, intendiamoci, ma non nel merito delle questioni. Aspettino due anni e, al congresso, trovino qualcuno che sconfigga il segretario attuale.

D. Da vecchio ecologista, boccia Renzi sulle questioni ambientali, come fanno i suoi amici di Green Italia, Francesco Ferrante e Roberto Della Seta, che criticano lo Sblocca Italia?

R. Sui temi ambientali, questo esecutivo va all’indietro, ma succede anche per come è composta la squadra di governo.

D. Perché?

R. Perché Gian Luca Galletti all’ambiente non è un capolavoro di ambientalismo, e Federica Guidi alle attività produttive, non è un campione di innovazione nella politica industriale. Ecco, quando si polemizza sull’uomo solo al comando, non concordo tanto sul tema della leadership, ma l’essere il primus inter pares, in una compagine di governo non certo di alto livello.

D. Senta e sulla giustizia, qualche luce la vede?

R. Sì, perché Andrea Orlando, viceversa dai colleghi, così com’era stato un decente ministro dell’ambiente, ora lo è della giustizia, ed esercita l’arte del dialogo e del buon compromesso. Quello della giustizia, è un capitolo di una complessità e pericolosità enorme, io c’ho ancora le abrasioni per essermene occupato. E la magistratura, quando decide di far fuori un ministro, lo fa. Come nel 2008, dimostrò la vicenda di Clemente Mastella. A me non potevamo farmi fuori, ma decine di magistrati, lo avrebbero fatto quando ero relatore della Bicamerale: le organizzazioni corporative si opponevano a ogni ipotesi di riforma.

D. C’è chi dice che Renzi sia stato troppo morbido, alla fine, con la responsabilità civile dei giudici e abbia dato peso a magistrati come Raffaele Cantone e Nicola Gratteri per pararsi le spalle.

R. Renzi ha rotto in qualche modo col giustizialismo. Ai miei tempi, negli anni 70, la sinistra era il garantismo, ho imparato tanto nei congressi di Magistratura democratica e anche del Pci a questo riguardo, poi…

D. Poi?

R. Poi sull’onda delle tre emergenze, terrorismo, antimafia e, successivamente, la corruzione, la sinistra ha cambiato di 180 gradi la sua attitudine alla giustizia. Una mutazione genetica: ricordo colleghi di grande valore, del Pds prima, dei Ds poi, ma anche della Margherita, epurati per essersi esposti per le garanzie e lo Stato di diritto. Renzi ha dato qualche forte segnale di discontinuità. Quanto a Cantone e Gratteri…

D. Glielo stavo per chiedere…

R. Vede, sono persone stimabili, ma anche il prodotto di una stagione in cui c’è stato un conflitto permanente fra politica e giustizia. Per cui oggi ci sono troppe toghe, in aspettativa o no, che svolgono ruoli politici. Persone stimabili, ripeto, come Michele Emiliano o Luigi de Magistris, anzi sulla stima al sindaco di Napoli mi faccia mettere un punto interrogativo, persone, dicevo, che segnano una sconfitta della politica. Che quando ha paura, ricorre a un pubblico ministero o a un poliziotto.

D. Come a Roma dove, per fare l’assessorato alla legalità, hanno chiamato un ex pubblico ministero, Alfonso Sabella.

R. Nel conflitto permanente, la politica si è indebolita e, in una logica emergenziale, arriva la supplenza dei magistrati.

Goffredo Pistelli

Italia Oggi, 16 settembre 2015

Costantino (Sel) : Ma quale uso del manganello “non punitivo” ? Serve il numero sulle divise


Celeste CostantinoIl Viminale presenterà giovedì ai sindacati di polizia un documento di circa 100 pagine con le nuove regole di ingaggio per gli agenti in servizio durante i cortei e le manifestazioni. Vogliono introdurre finalmente il numero identificativo per le forze dell’ordine? Assolutamente no. Dopo le cariche della polizia agli operai della AST di Terni, il Governo Renzi che, con il ministro Alfano, ha sostenuto in parlamento una versione totalmente smentita dalle immagini tv e che finora ha scelto la strada del silenzio e del no comment, sta per introdurre l’utilizzo dello spray al peperoncino, degli idranti e del taser.

Però specificano fonti del Ministero dell’Interno, il “contatto fisico con i manifestanti deve essere l’extrema ratio” e sarà considerata una “area di rispetto”. L’ennesima retorica utilizzata da questo Governo per tutti i suoi annunci maldestri. Dicono che l’obiettivo sia tutelare “l’incolumità dei cittadini, ma anche degli agenti chiamati a garantire la sicurezza”. Una necessità condivisa. Il fatto è però i Governi che si sono alternati negli ultimi 20 anni hanno perso ogni credibilità di cui (purtroppo) hanno goduto, siano essi di centrodestra, centrosinistra o esecutivi tecnici. Abbiamo assistito ad un continuo e perpetrato uso eccessivo della forza da parte delle forze dell’ordine del nostro Paese: dagli incancellabili giorni del G8 di Genova fino alle cariche degli operai delle Acciaierie di Terni che manifestavano pacificamente a Roma.

Ci sia consentito di avere qualche dubbio nei confronti di un Governo che nelle “istruzioni operative” descrive nuove tecniche di ammanettamento, l’impiego dello spray al peperoncino, le fasce in velcro per immobilizzare “soggetti particolarmente aggressivi”, lo “sfollagente” (ma da non usare come “mezzo punitivo”!), la pistola elettrica – il taser – che l’Esecutivo ha voluto fortemente inserire un mese fa nel nostro ordinamento con la legge sulla violenza negli stadi.

Il manganello e i lacrimogeni saranno usati solo in “extrema ratio” tengono a specificare. Ma non finisce qui. Perché i sindacati di Polizia (alcuni dei quali come il Coisp e il Sap proprio in queste ore hanno dato il peggio di sé sulla vicenda di Stefano Cucchi, a testimonianza di un sistema completamente da riformare) avrebbero proposto l’utilizzo delle microtelecamere su tutti gli agenti che partecipano ai servizi di ordine pubblico.

Una proposta monca e inutile. Non è soltanto un problema di uso e abuso di armi letali e non, men che meno di chi gira le immagini nelle manifestazioni. Sarebbe molto più semplice e utile, come chiediamo da tempo, il numero identificativo sulle divise dei poliziotti in assetto antisommossa: i cittadini devono avere il diritto di risalire all’identificazione dei poliziotti in situazioni di ordine pubblico poiché lo stesso assetto delle forze dell’ordine ne impedisce il riconoscimento. Non una proposta rivoluzionaria: è già così in tantissimi Paesi europei.

Ad inizio settimana abbiamo depositato una proposta di legge per mettere a disposizione delle forze dell’ordine dei percorsi didattici, di addestramento e aggiornamento all’uso delle risorse della nonviolenza. Per fornire finalmente agli operatori addetti alla protezione dei diritti ed al controllo del territorio un quadro di riferimento coerente con la Costituzione e con la Dichiarazione universale dei diritti umani.

La nonviolenza è una grande risorsa per la democrazia, ed oggi più che mai vi è bisogno dell’impegno di tutti in difesa e a promozione della giustizia sociale. Per tutte queste ragioni oggi pomeriggio presenteremo la nostra mozione di sfiducia al ministro dell’Interno Angelino Alfano, nata dopo le cariche agli operai di Terni. Nelle sue proposte c’è solo repressione, sperimentazioni di nuove armi e iniquità. Nel suo atteggiamento l’irresponsabilità che non è consentita a un ministro dell’Interno. Esattamente il modo sbagliato per affrontare la questione “sicurezza” nel nostro Paese.

Celeste Costantino (deputata Sel)

Il Garantista, 5 novembre 2014

Il Governo risponderà all’Interrogazione dell’On. Vittorio Ferraresi ed altri sulle Carceri della Calabria


Commissione Giustizia Camera DeputatiE’ prevista per giovedì pomeriggio in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati la risposta del Governo all’Interrogazione Parlamentare n. 5/01535 presentata il 21 novembre 2013 dall’Onorevole Vittorio Ferraresi, Capogruppo del Movimento Cinque Stelle in Commissione Giustizia a Palazzo Montecitorio, su sollecitazione dell’esponente radicale calabrese Emilio Enzo Quintieri. L’atto di Sindacato Ispettivo è stato, altresì, sottoscritto dai Deputati pentastellati Dalila Nesci, Federica Dieni, Sebastiano Barbanti, Paolo Parentela, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede, Salvatore Micillo, Tancredi Turco, Giulia Sarti, Andrea Colletti e Francesca Businarolo.

L’Interrogazione, all’epoca dei fatti, rivolta ai Ministri della Giustizia e della Salute del Governo Letta, Annamaria Cancellieri e Beatrice Lorenzin, riguardava il sovraffollamento, le condizioni dei detenuti e la situazione degli Istituti Penitenziari della Calabria, con particolare riferimento alle Case Circondariali di Catanzaro e Paola. Infatti, nei 13 Istituti presenti in Calabria, a fronte di una capienza regolamentare di 2.481 posti, vi erano rinchiusi 2.684 detenuti dei quali 345 erano stranieri. Tra di essi, 1.330 erano imputati (739 in attesa di primo giudizio, 296 appellanti, 208 ricorrenti e 87 con posizione mista) mentre i condannati definitivi erano 1.353. I detenuti scarcerati grazie alla Legge “Svuota Carceri” risultavano essere solo 344, dei quali 13 donne e 40 stranieri. Il sovraffollamento carcerario riguardava tutti gli Istituti della Calabria, in cui si registravano condizioni di forte disagio, a motivo della insufficienza degli spazi, che determinavano pesanti costrizioni per i detenuti, che per tale motivo non potevano avere una quotidianità rispettosa della vita umana. In particolare, a Catanzaro, vi risultavano ristretti 590 detenuti, 330 dei quali appartenenti al circuito dell’Alta Sicurezza, a fronte di una capienza regolamentare di 354 posti. Nell’Interrogazione veniva denunciata la circostanza della implementazione della capienza regolamentare da 354 a 617 nonostante non fossero intervenuti mutamenti strutturali di rilievo atteso che il nuovo Padiglione detentivo non era ancora funzionante e quindi disponibile per essere utilizzato. Tale questione era stata sollevata, più volte, dai Radicali e dai Sindacati della Polizia Penitenziaria. Venivano, altresì, contestati i dati diramati dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria inerenti la capienza effettiva delle Carceri. Secondo gli Onorevoli interroganti, i posti disponibili complessivamente erano 1.789 e non, come indicato dal Dipartimento, 2.481, cosa che portava la percentuale del sovraffollamento al 161,37 %, attestato che il valore nazionale era del 140%.

Cella Carcere SianoSia per quanto riguarda la Casa Circondariale di Catanzaro che quella di Paola, veniva evidenziata la carenza di organico del personale di Polizia Penitenziaria ma anche degli Educatori, degli Psicologi, dei Medici e degli Infermieri. Per Catanzaro, inoltre, era stata sollevata la problematica della fatiscenza dell’edificio, della presenza all’interno ed all’esterno degli spazi detentivi, di topi e ratti, della insufficienza e della inadeguatezza delle docce che, invece, di essere in ogni camera detentiva, erano ancora in locali comuni posti all’interno del Reparto, dell’applicazione alle finestre delle celle di schermature metalliche a maglie strette che impedivano all’aria ed alla luce naturale di penetrare all’interno delle camere, della eccessiva umidità dei reparti e delle camere di detenzione per la infiltrazione di acqua piovana, della inoperosità del Magistrato di Sorveglianza competente ed altro ancora. Infine, veniva sollevata, la questione della chiusura del Centro Diagnostico Terapeutico nonostante lo stesso fosse stato già da tempo completato e consegnato all’Amministrazione Penitenziaria. Per Paola, invece, oltre al sovraffollamento particolarmente grave (a fronte di una capienza regolamentare di 161 posti, vi erano ristretti ben 300 detenuti), era stata denunciata la completa assenza di qualsivoglia attività trattamentale sia per gli imputati che per i condannati poiché la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, erano chiuse e non funzionanti. Inoltre, veniva rappresentata al Governo, l’inadeguatezza degli spazi destinati alla ricreazione all’aperto perché angusti, privi di aria e chiusi tra più fabbricati adiacenti, l’impossibilità per i detenuti di poter lavorare poiché l’unica forma di lavoro presente all’interno dell’Istituto era quella alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, la illegale attività di controllo in ore notturne delle celle da parte del personale di Polizia, censurata dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza, l’inadeguatezza delle sale destinate ai colloqui con i familiari dei detenuti per la presenza del muro divisorio in cemento armato, l’inadeguatezza delle salette destinate ai colloqui con gli avvocati per le pessime condizioni di manutenzione, la mancanza di celle per non fumatori, la mancata separazione degli imputati dai condannati ed altro.

I Parlamentari, segnalavano anche che le suddette Case Circondariali di Catanzaro e Paola, erano sprovviste di Regolamento interno che doveva essere approvato dal Ministro della Giustizia e tale fatto era stato già oggetto di reclami dai detenuti ai rispettivi Uffici di Sorveglianza, al Provveditorato Regionale ed al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Nell’Interrogazione venne rappresentata anche la condizione, particolarmente disagiata, dei detenuti stranieri ed evidenziata una criticità nella effettiva funzione svolta dai Magistrati di Sorveglianza. Infine, si denunciava che in Calabria, non era ancora stata data esecuzione alle recenti direttive sulla “sorveglianza dinamica” emanate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in seguito alla nota Sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Casa Circondariale 1Per tutti questi motivi, l’Onorevole Ferraresi unitamente ad i suoi colleghi Deputati, nell’Interrogazione chiedeva se e quali informazioni disponesse il Governo in merito ai fatti rappresentati e se questi corrispondessero al vero. In particolare, veniva chiesto ai Ministri della Giustizia e della Salute, quali fossero i dati aggiornati del sovraffollamento degli istituti Penitenziari della Calabria, facendo riferimento alla capienza regolamentare di ciascun istituto ed alle singole posizioni giuridiche dei detenuti (in attesa di giudizio, appellanti, ricorrenti, definitivi); quanti erano i detenuti tossicodipendenti presenti all’interno degli istituti calabresi e quanti quelli affetti da gravi disturbi mentali o altre gravi patologie di fatto incompatibili con lo stato di detenzione intramuraria; se era noto quanti erano i detenuti che avevano usufruito della cosiddetta legge «Svuota Carceri», varata nel 2010, e successive modifiche ed integrazioni, sino all’epoca, e quante erano le istanze in tal senso giacenti presso gli uffici di sorveglianza competenti ed allo stato non ancora evase, ed a cosa era dovuto l’eventuale ritardo nel disbrigo degli atti; se era noto quanti erano i detenuti stranieri che avevano formulato agli uffici di sorveglianza competenti istanza di espulsione dal territorio dello Stato come misura alternativa alla detenzione e quanti di questi fossero stati effettivamente espulsi ed a quanti di loro fosse stata invece negata la richiesta e per quali motivi; qual era la cifra destinata ogni anno, negli ultimi 5 anni, alla manutenzione ordinaria e straordinaria delle strutture penitenziarie calabresi; quando sarebbe stato attivato il centro diagnostico terapeutico annesso alla casa circondariale di Catanzaro Siano e se lo stesso poteva essere effettivamente utilizzato senza l’incremento del personale di polizia Penitenziaria in forza all’istituto; per quale ragione recentemente si è deciso di installare nella suddetta casa circondariale le vietate schermature metalliche a maglie strette davanti alle sbarre delle finestre delle celle, impedendo in tal modo sia l’ingresso della luce che dell’aria naturale con evidenti danni per i detenuti; per quale motivo, nella casa circondariale di Paola, la biblioteca con annessa sala lettura, il teatro, la palestra, le salette interne ai reparti per la socialità, erano chiuse e non funzionanti; se il Governo non riteneva di dover disporre con urgenza, presso la casa circondariale di Paola, il completo rifacimento delle sale destinate ai colloqui, e se non riteneva di dover intervenire per assicurare la mediazione culturale per i detenuti stranieri; quali istituti penitenziari della Calabria avevano attivato, ed in che modo, per i detenuti appartenenti al circuito della media sicurezza, la «sorveglianza dinamica», in ossequio alle direttive impartite dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ed alla luce della nota sentenza Torreggiani emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro l’Italia; se venivano effettuate le visite negli istituti penitenziari della Calabria da parte delle competenti autorità sanitarie locali e, in caso affermativo, a quando risalivano e cosa fosse emerso nelle loro relazioni in merito alle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza, con particolare riguardo alla casa circondariale di Catanzaro Siano e di Paola; con quale frequenza i magistrati di sorveglianza visitavano i locali dove si trovavano i detenuti e gli internati, in applicazione di quanto stabilito dall’articolo 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000, e ciò riferito a ciascun istituto penitenziario della Calabria ed in particolare a quello di Catanzaro Siano e Paola; qual era l’organico ed il carico di lavoro degli uffici di sorveglianza di Catanzaro e Cosenza e quali erano le ragioni di quella che agli interroganti risulta essere una inadeguata e carente attività, in virtù dei compiti specifici che la legge penitenziaria attribuiva ai suddetti uffici giudiziari; se fossero giunte al Governo, ed in particolare ai Ministri interrogati, delle segnalazioni – sia da parte dei direttori delle carceri che dei Magistrati di Sorveglianza – in merito alle condizioni in cui versavano gli istituti di pena della Calabria palesemente non rispettose della legge ed alla cronica carenza del personale della polizia penitenziaria in servizio presso dette strutture; quanti detenuti, ristretti negli istituti di pena della Calabria, avevano presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, se i Ministri interrogati ritenevano o meno che negli istituti penitenziari della Calabria, ed in particolare nella casa circondariale di Catanzaro Siano e di Paola, vi fossero state, o vi erano in corso, violazioni nei confronti dei diritti legittimi dei cittadini detenuti in contrasto con quanto previsto dagli articoli 27 e 32 della Costituzione repubblicana e se non ritenevano doveroso ed opportuno disporre con urgenza delle mirate visite ispettive presso le case circondariali calabresi al fin di avere un quadro più chiaro possibile della situazione esistente, ed intervenire in maniera appropriata tenendo in considerazione quanto segnalato con l’atto ispettivo parlamentare.

Interrogazione Parlamentare a risposta in Commissione Giustizia ai Ministri della Giustizia e della Salute

Le Camere Penali : “il diritto non è un lusso, ci battiamo anche per Provenzano”


Camere PenaliIl Presidente dell’Unione delle Camere Penali, Valerio Spigarelli, chiede la revoca del 41 bis al boss, la platea risponde con un applauso scrosciante. Una battaglia per tentare di ripristinare la separazione tra toghe e politica. il confronto con il ministro Orlando.

Sentono aria di svolta, gli avvocati penalisti riuniti a Venezia. Comprendono che il tornante della riforma proposta dal governo sulla giustizia è decisivo. E nelle linee guida del ministro Orlando intravedono scelte meno subordinate ai diktat delle toghe.

Ma anche su questo c’è più di un distinguo tra i due candidati che si contenderanno oggi la presidenza dell’Unione camere penali, Beniamino Migliucci e Salvatore Scuto. Il quindicesimo congresso dell’Ucpi, in corso a Venezia Lido da venerdì, è chiamato a scegliere tra loro due.

Le operazioni di voto sono iniziate nel tardo pomeriggio di ieri e ricominciano stamattina alle 11, nel giro di un paio d’ore ci sarà la proclamazione degli eletti. E si conoscerà dunque anche il nome del nuovo presidente, che subentra a Valerio Spigarelli.

Negli appelli al voto di ieri mattina sia Migliucci che Sento hanno fatto ricorso a toni forti. Il primo, presidente della Camera penale di Bolzano, si è scagliato contro alcune distorsioni del sistema giudiziario, in particolare contro i paradossi del patrocinio di Stato: “Con un compenso di cento euro si vuol far capire a tutti che quella funzione è un orpello, senza importanza per nessuno”, è la denuncia di Migliucci, “lo Stato si deve vergognare di se stesso nel momento in cui umilia la funzione difensiva, non l’avvocato”.

Scuto dà una lettura meno pessimista sulla condizione generale della giustizia, e in particolare sulla subordinazione della politica alle toghe: ma, avverte, “proprio alla politica dobbiamo cercare di dare strumenti per liberarsi dall’abbraccio mortale con la magistratura”.

Un congresso pieno di analisi sulla riforma, con il clou del confronto pubblico tra Spigarelli e Orlando di venerdì sera, ina anche di fiammate improvvise, come quella con cui proprio il presidente uscente si è rivolto alla platea nella sua relazione introduttiva: “Noi siamo quelli che si battono per i diritti degli ultimi, di Provenzano… sì, anche di Provenzano, non cambia la nostra difesa del diritto”. E giù un applauso impressionante.

Un segno forte che l’intera platea dei 460 delegati ha offerto, questo sulla battaglia per la revoca del 41 bis al boss delia mafia, le cui condizioni di salute non sono più compatibili con la detenzione. Un’indicazione chiara che si è ripetuta pochi minuti dopo, quando il segretario di Radicali italiani Rita Bernardini si è chiesta: “Che cosa è quella riservata a Provenzano se non una tortura? Non sarà stata introdotta nel nostro ordinamento come reato, ma in un caso del genere noi assistiamo a una tortura imposta nello Stato di diritto”.

Molto vivace anche lo scambio di opinioni avvenuto dinante il dibattito di ieri, che ha visto sfilare sul palco decine di delegati. In particolare sul significato da dare alla “visita” del Guardasigilli: Giandomenico Caiazza dice di non emozionarsi: “Non me ne fotte che viene qua, conta quello che c’è nei ddl”. È Riccardo Cattarmi a controbattere e a. sostenere che l’intervento dì Orlando ha raccolto un “consenso unanime”. Cosa che, a sentire i commenti nel foyer del Palazzo del Cinema di Venezia Lido, è molto vicina ai vero.

Errico Novi

Il Garantista, 21 settembre 2014

Giustizia: responsabilità civile dei magistrati, l’Italia rischia la procedura d’infrazione Ue


giustizia-500x375La riforma della giustizia, dopo molti annunci, ha iniziato il suo iter formale. Il decreto legge sul processo civile è partito ieri in direzione del Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Come annunciato, il decreto prevede i meccanismi di deflazione del contenzioso, l’arbitrato e la negoziazione assistita tramite gli avvocati, il taglio alle ferie dei magistrati. A partire dal 2015 i giudici si vedranno quindi tagliare le ferie da 45 a 30 giorni; i tribunali resteranno chiusi dal 6 al 30 agosto e non più dal 1 agosto al 15 settembre.

Si annunciano intanto sgravi fiscali per chi vorrà adottare i percorsi alternativi al processo. Una potente spinta verso il nuovo, unitamente a quanto già previsto: l’arbitrato sarà un titolo immediatamente esecutivo; chi perderà un processo tradizionale pagherà sempre le spese legali a chi vince; gli interessi di mora passeranno dall’I all’8%. Nessuno può prevedere quali saranno gli effetti sulla montagna di processi civili che s’imbastiscono ogni anno, ma il ministro Andrea Orlando, Pd, spera di dare un bel colpo all’arretrato (5 milioni le cause civili pendenti) e all’altissimo indice di litigiosità.

La riforma si comporrà anche di diversi disegni di legge. Uno di questi modifica i meccanismi della responsabilità civile dei giudici. Pochi sanno che sull’Italia pende l’ennesima sanzione europea. Il viceministro Enrico Costa, Ncd, ha fatto fare alcuni calcoli: dato che dal 24 novembre 2011 il nostro ordinamento (cioè la legge Vassalli del 1988) è stato dichiarato dalla Corte di Strasburgo non conforme al diritto comunitario, e che l’Italia ha ricevuto una lettera di messa in mora dalla commissione europea il 26 settembre 2013, c’è il fondato pericolo che venga aperta una procedura d’infrazione. Ciò significa che rischiamo una sanzione di almeno 37 milioni di euro (e che cresce di altri 36mila euro al dì). “Io sono certo – dice Costa – che il governo si sarebbe mosso anche a prescindere dal rischio della sanzione, in quanto la normativa del 1988 si è dimostrata fragile. Tant’è che nel nostro ddl ci sono alcune innovazioni, quali l’abolizione del filtro, che non sono oggetto di osservazioni”.

E poi c’è la giustizia fatta di incarichi. Si è alla vigilia della seduta del Parlamento per nominare i membri del Csm. Per il ruolo di vicepresidente sono in ballo l’ex sottosegretario Massimo Brutti e l’ex sindaco di Arezzo Giuseppe Fanfani, interpreti di due anime diverse del Pd. Per la Corte costituzionale crescono le quotazioni di Luciano Violante e Antonio Catricalà.

Francesco Grignetti

La Stampa, 10 settembre 2014

Carceri ancora senza una guida, nuovo Capo del Dap all’insegna dell’umanità


Polizia Penitenziaria cella detenutoIl Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è senza capo da fine maggio 2014, Era quella una data significativa perché coincideva con la decisione che il Consiglio d’Europa avrebbe dovuto prendere intorno alla situazione carceraria italiana. La decisione è stata presa, ovvero è stato previsto un altro anno di osservazione internazionale pur nella valutazione positiva di quanto nel frattempo fatto in termini di deflazione numerica e riconoscimento dei diritti dei detenuti.

Decisivo a riguardo è stato il lavoro della Commissione presieduta da Mauro Palma. Nel 2013 partivamo dall’anno zero, visti gli oltre 25 mila detenuti privi di un posto letto regolamentare e viste le condizioni di vita degradate nelle 205 prigioni del Paese, A partire dalla primavera del 2013 si sono sovrapposti interventi normativi e amministrativi diretti a produrre cambiamenti nel senso auspicato dalla Corte di Strasburgo.

Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha dunque un ruolo strategico, tanto più in una fase meno congestionata come è quella attuale. Il Dap deve avere un progetto, una mission chiara. Pochi tra co-laro che sono stati al vertice del Dap sono stati scelti per le loro competenze specifiche in ambito penitenziario. Nicolò Amato, capo Dap dal 1983 al 1993 ovvero per lunghi dieci anni, aveva le idee chiare. Basta rileggersi il suo libro Diritto, delitto, carcere del 1987.

Il nostro caro Sandro Margara aveva anche lui le idee chiare, nel senso dì proporsi quale garante di una pena rispettosa dei vincoli e delle finalità costituzionali. Margara, però, al vertice del Dap c’è stato poco meno di due anni. Fu mandato via dall’allora ministro della Giustizia Oliviero Diliberto che lo definì troppo poco incline alla sicurezza e troppo incline al trattamento. Dal 1983 il capo è sempre stato un magistrato. Spesso è finito sotto le grinfie dello spoil system. Governi di tutti colori hanno così politicizzato un. incarico che per sua natura non dovrebbe esserlo.

Il Dap, come l’Arma dei Carabinieri o la Polizia di Stato, è una organizzazione fortemente centralizzata e gerarchica. Al Dap conta il Capo e contano ì direttori generali delle singole aree. Da loro dipende la gestione di 50 mila lavoratori, 80 mila tra detenuti e persone in misura alternativa, la manutenzione di 205 istituti di pena, la costruzione di eventuali nuove carceri, i rapporti con sindaci, procure, associazioni. di volontariato. Più che nominare un capo Dap vorremmo che il Governo opti per un progetto Dap.

Un progetto individuale e collettivo che cambi il paradigma della carcerazione, che punti sulla responsabilità di detenuti e personale, che azzeri le pratiche segregative e umilianti, che punti ad aprire le celle e non a chiuderle. Conta per questo progetto chi sarà il capo Dap ma conta anche chi andrà a essere il capo del personale, chi a dirigere la formazione, chi a gestire l’ufficio detenuti, chi a tenere i rapporti con gli enti locali e le regioni o chi a bandire e seguire gli appalti milionari. Dunque ci vuole un’idea forte e dai contorni netti.

Il capo Dap è un funzionario pubblico di primissima fascia. È tra le figure di vertice dello Stato. Ha un trattamento economico e previdenziale anch’esso di primissimo livello. Sulla sua nomina vorremmo che ci fosse trasparenza, valutazione dei meriti e delle competenze complesse. Può essere un magistrato ma non deve esserlo per forza. È ragionevole che sia un magistrato a tenere i rapporti con le Procure ma non è questa la principale delle attività di un capo dell’amministrazione penitenziaria. I detenuti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis secondo comma sono circa 700. Quelli ristretti in sezioni di alta sicurezza sono circa 8 mila. Tutti gli altri 45 mila sono detenuti comuni molti dei quali privi di una particolare statura criminale.

Nei loro confronti deve prevalere una gestione di tipo trattamentale, così dice la legge. Pertanto, più giusto sarebbe collocare al vertice del Dap chi al trattamento e a una gestione umano-centrica ci crede e a essa ha dedicato una vita intera. Sarebbe bello se anche dalle varie correnti della magistratura arrivasse un segnale in questa direzione, dal quale si evinca un interesso al progetto e non al posto.

Il sistema penitenziario italiano è stato giudicato fuori dalla legalità internazionale nel 2013. Ce lo ricorda continuamente Marco Pannella grazie al quale i riflettori sul carcere non si sono mai spenti. Alla sentenza del 2013 non si è arrivati per caso ma essa è stata l’effetto di una cattiva politica e di un’amministrazione incapace di cestinare prassi degradanti sclerotizzatesi nel tempo. Un vero cambio di direzione dovrebbe prendere atto di tutto questo e modificare completamente la logica con cui procedere alle nomine, quanto meno alla luce dei tanti fallimenti del passato.

Patrizio Gonnella (Presidente di Antigone)

Il Garantista, 10 settembre 2014

Per Fabio Ferrara (i tanti Fabio Ferrara) nessuna slide, presidente Renzi, ministro Orlando ?


Centro Penitenziario SecondiglianoCi sono storie emblematiche, che fanno pensare e dicono più di cento discorsi, di mille twitter, di “farò” e “prometto di fare” in uno, dieci, cento, mille giorni. Storie come quella di un detenuto nel carcere di Napoli Secondigliano. Questo detenuto è doppiamente prigioniero: in cella, e su una sedia a rotelle. Ha uno spazio vitale ridotto, per muoversi si affida ad altri detenuti, a causa delle numerose barriere architettoniche che ci sono in carcere; in ogni carcere. Da sei mesi questo detenuto chiede di essere operato, è in sciopero della fame da dieci giorni.

 

Questo detenuto che rivendica in questo modo nonviolento un suo sacrosanto diritto, quello della salute, che lo stato ha il dovere di tutelare proprio perché lo ha privato della libertà, si chiama Fabio Ferrara.

Ferrara è sulla sedia a rotelle da diversi anni; è rimasto ferito gravemente al momento dell’arresto per concorso in tentata rapina; sei giorni di coma, poi si è risvegliato, ma da quel momento è rimasto immobilizzato. Si trova in una stanza dell’infermeria del carcere. Una stanza adatta per una sola persona, sono in due: lui in carrozzina e l’altro detenuto che lo aiuta a lavarsi, a muoversi, le funzioni più elementari. E’ difficilissima ogni azione quotidiana, anche essere lavato è un’impresa: bisogna salire e scendere le scale, non è in grado di uscire dalla cella autonomamente: deve essere trasportato in braccio poiché ci sono molte scale: anche per accedere ai colloqui o andare in bagno. Lo aiutano altri detenuti, racconta la moglie Anna Belladonna, se non fosse così, “non potrebbe fare nulla, resterebbe imprigionato in uno spazio che è di tre metri quadri scarso.

“Una condizione disumana”, la definisce Luigi Mazzotta, dell’associazione Radicali Per La Grande Napoli, che ha visitato il carcere di Secondigliano insieme al senatore Luigi Compagna. “Ferrara deve essere operato alla vescica, e attende questo ricovero da oltre sei mesi”. Sono state presentate due istanze per il differimento della pena. Il magistrato di sorveglianza, però, ha rigettato l’istanza in quanto non sussisterebbe “un serio pericolo per la vita o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose”. Il detenuto, insomma, può essere curato in carcere.

Intanto, il ricovero non arriva, la fisioterapia di cui avrebbe bisogno neanche. Nessuna slide, su vicende come questo né da parte di Renzi, né da parte del ministro Orlando. Buona giornata; e buona fortuna.

Valter Vecellio

Notizie Radicali 03 Settembre 2014

 

Carceri, le Camere Penali : “Mauro Palma nome giusto per il Dap”


Mauro PalmaL’Unione Camere Penali prende posizione: l’ex presidente del Cpt è una “figura di grande spessore e di sicura competenza”. In lizza anche i magistrati Salvi, Melillo e Consolo. E Orlando rinvia.

“Il mondo del carcere, e non solo, è in attesa da tempo di conoscere il nome del nuovo direttore del Dap”, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo Giovanni Tamburino, non confermato dal governo Renzi. Il consiglio dei ministri del 29 è andato a vuoto, e l’Unione delle camere penali italiane “si augura che l’attesa possa essere foriera di cambiamenti, peraltro in un settore che vive problemi enormi e che, pertanto, necessita di un cambiamento radicale”.

“Il primo cambiamento che viene in mente – sottolineano i penalisti – è anche quello più ovvio, ossia la scelta di affidare quella carica ad una persona che non sia un magistrato. E ciò, oltre che per iniziare ad invertire, concretamente, la tendenza in ordine ai troppi magistrati fuori ruolo, anche per scegliere secondo le reali competenze: cosa che certamente non indirizza verso una categoria che, com’è noto e come è ammesso dai suoi stessi rappresentanti, conosce poco o niente il carcere, tanto che si va affacciando l’idea di farne argomento del tirocinio”.

“La nostra società vive due paradossi – spiegano – il primo è che i titolari del potere coercitivo non sanno cosa sia la galera, il secondo è che vengono per giunta nominati capo del Dap. Lo sanno bene gli agenti di custodia, che invece il carcere lo vivono dal di dentro e che tramite il sindacato Sappe hanno proposto una figura di grande spessore e sicura competenza come il prof. Mauro Palma. Richiesta cui l’Unione non può che associarsi”.

L’ipotesi Palma – già presidente del Comitato contro la tortura del Consiglio d’Europa e presidente della commissione carcere del ministero della Giustizia – è stata lanciata dall’associazione Antigone, che difende i diritti dei detenuti.

Accanto al nome di Palma, circolano quelli di Giovanni Salvi, procuratore di Catania; di Giovanni Melillo, già procuratore aggiunto di Napoli e ora capo di gabinetto del ministero della Giustizia; e di Santi Consolo, che è stato vice capo del Dap e attualmente è procuratore generale di Caltanissetta.

Il Manifesto, 2 settembre 2014