Adriano Sofri: L’ergastolo ostativo in Italia è uno scempio ! Una pena di morte centellinata


Adriano-SofriLe armi, Trump, e quel sondaggio sulla pena di morte in America. Un accreditato sondaggio annuale, di cui ho letto sul New York Times, avverte che per la prima volta nella storia la maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti si dichiara contraria alla pena di morte. La trovo una formidabile notizia, sostanzialmente e simbolicamente. Verrà il giorno in cui si conoscerà il nome dell’ultimo giustiziato, e forse non è lontano. Nel 1994, poco più di vent’anni fa, era l’80 per cento degli americani a dichiararsi in favore della pena capitale.

Le tendenza opposta non ha fatto che crescere poi, per una serie di cause: lo spaventoso numero di assassinati legali dimostrati poi innocenti, le peripezie dei metodi dell’omicidio legale, i costi finanziari eccetera, ma soprattutto il turbamento crescente per la contraddizione fra quella pratica e una società che si vuole civile. Questo complicato intreccio di cause era riassunto dall’Economist a gennaio (ne trovate un resoconto sul Post.it): è interessante che a quella data si valutasse che i favorevoli alla pena di morte fossero ancora il 60 per cento. Ci sono due ragioni peculiari per congratularsi della notizia sul sondaggio: che viene in un periodo in cui particolarmente calda è la discussione sul “libero” spaccio di armi, e nel periodo in cui tiene metà della scena un personaggio come Trump. La speranza sul progressivo rigetto della schifezza della pena di morte è amareggiata da un suo complemento americano ma non solo americano. Là le voci contrarie alla pena capitale ricorrono spesso all’argomento del carcere inesorabilmente a vita, una pena di morte centellinata.

Non solo americano, perché come si sa, se solo lo si voglia sapere, l’Italia ha introdotto una mostruosa dizione giuridica, l’ergastolo cosiddetto “ostativo”, che cioè non può mai avere fine per quanto tempo trascorra e quali che siano i cambiamenti attraversati dal condannato, salvo che questi “collabori”, cioè denunci altre persone. Condizione ulteriormente mostruosa e caricatura del pentimento beninteso.
L’ergastolo “ostativo” è una micidiale violenza fatta al dettato e allo spirito della Costituzione. Oggi lo denunciano prima di tutto con voci intelligenti e sconvolgenti molti di quegli ergastolani che hanno saputo riscattarsi in carcere e nonostante il carcere, e con loro “i soliti radicali” (anch’io) e un numero crescente di persone che hanno professionalmente a che fare con la giustizia, la galera e i detenuti: giuristi, magistrati, avvocati, dirigenti e personale di carceri. Il Papa, anche, che al suo Stato ha provveduto in fretta. Oggi succede anche che all’ergastolo “ostativo” siano contrari anche i maggiori responsabili dell’amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia. Bel paradosso, cui contrasta l’estensione progressiva e quasi per inerzia dell’ergastolo “ostativo” a categorie di condannati diverse da quelle che pretesero di giustificarne l’introduzione. Americani e italiani, ancora uno sforzo.

Adriano Sofri

Il Foglio, 5 ottobre 2016

Bernardini (Radicali): Sofri ha sbagliato a rinunciare all’incarico. Il Sappe pensi a quanto accade nelle Carceri


Rita BernardiniAdriano Sofri ha rinunciato all’incarico assegnatogli dal ministero della Giustizia.

La polemica scoppiata sulla sua nomina, le critiche del sindacato delle guardie penitenziarie, ma forse soprattutto le voci del figlio e della vedova Calabresi lo devono aver convinto.

Sulla vicenda, però, c’è stata grande imprecisione. L’elenco dei consiglieri nominati per gli ‘Stati generali dell’esecuzione penale’ pubblicato dal ministero il 19 maggio 2015 non comprendeva il nome di Sofri, perché il suo era un incarico differente.

INCARICO A TITOLO GRATUITO. «Non si trattava di una consulenza pagata, ma di un incarico da coordinatore di uno dei 18 tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia», spiega Rita Bernardini, radicale di lungo corso che per la grazia di Sofri e di Bompressi ha condotto una lunga battaglia. Anche lei è stata chiamata da Andrea Orlando come coordinatrice del tavolo sull’affettività e le relazioni territoriali, un ruolo che è «a titolo gratuito, prevede solo un rimborso spese».

E come Sofri, Bernardini è pregiudicata per la giustizia italiana: «Cosa dirà il Sappe quando saprà che sono stata condannata per disobbedienza civile sulle droghe leggere?».

Il decreto del 19 giugno con cui il ministero ha nominato i coordinatori dei tavoli tematici, che prevede il rimborso spese nei limiti di legge

Sofri ha lasciato: cosa ne pensa?

Mi spiace, capisco il suo stato d’animo, ma secondo me ha sbagliato.

Perché?

Perchè Adriano Sofri ha dimostrato il suo valore umano e civile con l’esemplarità della sua vita, anche per come ha vissuto l’esperienza del carcere.

Cosa intende?

Lo dimostra quello che ha scritto, le sue battaglie per i diritti umani non solo in Italia. A me non interessa entrare nella sua vicenda giudiziaria, mi basta guardare la storia degli ultimi suoi tre decenni. Ripeto: esemplare. Quando stava in carcere ha rinunciato a molti di quei benefici che gli spettavano di diritto. Ai Capece & company tutto questo non interessa.

Lei pensa dunque che fosse la persona giusta?

Una persona di valore che sa cos’è il carcere, che è culturalmente preparata poteva dare un contributo importante.

Come giudica le loro critiche?

Che dovrebbero rileggersi la Costituzione italiana riflettendo sul significato rieducativo della pena. Dovrebbero concentrarsi di più sul loro lavoro sindacale; sul fatto, per esempio, che gli agenti di polizia penitenziaria sono fra le forze di polizia quelli che sono rimasti più indietro in termini di stipendi e di carriere.

L'elenco dei coordinatori dei tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia

Ma è corretto che lo Stato paghi una persona condannata per un crimine che ha offeso la comunità?

Guardi che questo era un incarico gratuito e per Sofri sarebbe stato un modo di mettersi al servizio della comunità, come ha già fatto e fa senza avere avuto incarichi. Nel decreto di nomina è spiegato che non ci sono emolumenti e che gli eventuali rimborsi spese devono essere documentati (io vorrei pubblicamente) e nei limiti della legge e delle ristrettezze di bilancio. Quando ho collaborato con la commissione istituita dalla Cancellieri non ho chiesto nemmeno un euro di rimborso perché le riunioni si tenevano a Roma e io vivo a Roma.

NELLE IMMAGINI

  1. Il decreto del 19 giugno con cui il ministero ha nominato i coordinatori dei tavoli tematici, che prevede il rimborso spese nei limiti di legge.
  2. L’elenco dei coordinatori dei tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia.

Giovanna Faggionato

http://www.lettera43.it – 23 Giugno 2015

Adriano Sofri, ex Leader di Lotta Continua : Una condanna è per sempre


Adriano-Sofri«Fine pena mai» è la tetra formula che compare sulle cartelle biografiche delle persone condannate all’ergastolo in Italia. Fino al 1987 voleva dire che il detenuto sarebbe morto dietro le sbarre, poi con la riforma dell’ordinamento, è stato stabilito che dopo 10 anni si può accedere ai permessi, dopo 20 alla semilibertà e dopo 26 alla libertà condizionale. Funziona così (eccetto per i condannati per i reati ostativi – Art. 4 bis O.P., che nello specifico caso degli ergastolani sono la maggior parte, che non usciranno mai più dal Carcere, neanche per brevi permessi, se non dopo morti, salvo che collaborino con la Giustizia ai sensi dell’Art. 58 ter O.P. Emilio Quintieri).

Adriano Sofri è stato condannato nel 1990 a 22 anni di carcere in quanto mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi. È uscito nel 2012 per decorrenza dei termini. Il processo, invero, fu controverso: lui si è sempre assunto la ‘responsabilità morale’ dell’omicidio, ma ha sempre negato ogni responsabilità diretta, ritenendosi innocente dal punto di vista penale. Comunque uno la voglia mettere, lasciando da parte il merito delle accuse e ogni valutazione sui cosiddetti Anni di Piombo (a proposito, sarebbe anche il caso di cominciare a parlare di certi temi inquadrandoli da un punto di vista storico, prima o poi. Ma questo è un altro discorso), Adriano Sofri è oggi un uomo libero a tutti gli effetti: ha scontato la sua pena, può andare dove preferisce e fare quello che vuole. Questo dovrebbe essere pacifico in ogni stato di diritto, in ogni democrazia, ovunque. Poi è venuto fuori che il 19 giugno scorso il ministero della Giustizia ha indicato proprio Sofri tra i membri di uno dei tavoli di lavoro che il governo vorrebbe mettere in piedi per riformare il sistema carcerario italiano, una delle vergogne più grandi del paese, definito a più riprese dagli osservatori indipendenti come «disumano e degradante».

La nomina di Sofri avrebbe una certa logica, a ben guardare: a parte che ogni detenuto potrebbe offrire prospettive interessanti sulle patrie galere, bisogna riconoscere che l’ex Lotta Continua è uno dei massimi esperti italiani sul tema. Ne ha scritto spesso sui giornali, nel 2002 diede alle stampe il libro «Altri Hotel», uno dei documenti più importanti per capire la detenzione e quello che vuol dire. Insomma, è una voce che verrebbe ascoltata ovunque proprio perché competente in materia. Ovviamente le cose non sono andate così. Circostanza in effetti ovvia a guardare la qualità del dibattito italiano in generale e sulle carceri in particolare. Così, la polemica è scoppiata con un comunicato del Sappe (il sindacato degli agenti di polizia penitenziaria) che ha bollato la scelta del ministero come «inaccettabile, inammissibile, intollerabile e insopportabile», ha invocato l’intervento di Mattarella, ha buttato lì che «gli italiani onesti e con la fedina penale immacolata pagheranno con le loro tasse le trasferte, i pasti ed i gettoni di presenza» al reprobo e suggellato il tutto con quello che probabilmente ritenevano essere un paradosso: «E’ come far sedere Totò Riina al tavolo di revisione del 41 bis».

Sui social network c’è voluto pochissimo perché scoppiasse il finimondo. Su Twitter l’hashtag #Sofri è schizzato in testa ai trend topic nel giro di pochi minuti. Alla fine, proprio Sofri ha annunciato che, dopo essere stato semplicemente interpellato al telefono, non parteciperà ai futuri tavoli a tema, ritenendo di averne abbastanza «delle fesserie in genere e delle fesserie promozionali in particolare». La risposta, recapitata al Foglio, smonta una per una le accuse piovute dal sindacato di Polizia: Sofri ha dichiarato di aver esplicitamente richiesto di non ricevere nemmeno un centesimo per la sua consulenza e ha aggiunto che comunque «Riina, benché non sia necessariamente ‘il massimo competente del 41 bis’ ne è certo competente: e troverei del tutto ragionevole che, in una seria indagine sulla realtà del 41 bis, venisse anche lui interpellato in qualità di ‘competente’. Questo genere di competenza ed esperienza non ha infatti a che fare con l’innocenza, o la colpevolezza, o la gravità della colpevolezza, di chi finisce in carcere».

Il problema, a guardare la qualità della polemica e degli intervenuti, è che il dibattito pubblico italiano si conferma spaventosamente manettaro, quando si parla di giustizia e di ingiustizia. Chi ha subito una condanna, può anche averla scontata tutta fino all’ultimo giorno, ma sarà sempre e comunque destinato a dover subire l’ostracismo da parte del sedicente consesso civile. La riabilitazione non esiste e sembra quasi che la galera sia esclusivamente uno strumento punitivo per chi ha fatto il cattivo, cosa che non sta scritta nemmeno sul Codice di Hammurabi.

Per non dire che, nel caso specifico, non si dibatte della colpevolezza o dell’innocenza di Sofri, ma semplicemente di quello che potrebbe essere il suo parere su un tema per il quale lui è indubbiamente preparato, sia nella teoria sia nella pratica. Ma la cosa più scoraggiante in assoluto è che il dibattito pubblico in tema di giustizia sembra valere soltanto quando si parla di «tintinnar delle manette», possibilmente tante, alla faccia della Costituzione, dello stato di diritto, dell’umanità e del buon senso. Ma nel paese in cui un avviso di garanzia è già una condanna, in fondo, non dovrebbe stupire che il fine pena sia sempre mai.

Mario Di Vito

23 Giugno 2015, http://www.glistatigenerali.com

Zampa (Pd) : Sollecitato il Governo ad impegnarsi per le Biblioteche nelle Carceri


“I libri sono come l’acqua per tutti i carcerati, o come una zattera. La prigione è un naufragio e non è un caso che all’inizio d’estate le pagine di varietà ricomincino con la domanda: Che libro vi portereste su un’isola deserta?”.

Così Adriano Sofri ha rilanciato su Repubblica il tema della lettura, spesso negata, dietro le sbarre. Che libro vi portereste in carcere? dovrebbe essere la domanda, se questo fosse possibile. Una risposta viene da Sandra Zampa, vice presidente del Pd e della Commissione bicamerale Infanzia e Adolescenza che oggi, proprio ricordando l’appello di Sofri, ha sollecitato il Governo a impegnarsi per la diffusione della lettura e la libera circolazione dei libri nelle carceri italiane. Un richiamo, in realtà al Parlamento, al rispetto della legge 354 del 1975 che prevede l’esistenza di una biblioteca in ogni istituto penitenziario.

“Condividendo pienamente la riflessione di Sofri, con il collega Walter Verini abbiamo presentato una risoluzione che impegna il governo a censire le biblioteche degli istituti penitenziari italiani e a favorire la circolazione dei libri, anche stranieri, e dei giornali – scrive Zampa in una nota. Di grandissima importanza per tutti, la lettura è strumento di crescita e di riflessione e rappresenta, soprattutto per i minori detenuti, una possibilità per restare inseriti nel mondo che li attende, per costruire una identità rinnovata e rintracciare così nuovi e migliori percorsi esistenziali”.

Sofri chiudeva così il suo appello: “I liberi si castigano spesso accontentandosi del mondo virtuale. I prigionieri sono mutilati anche di quello”. Una riflessione che la deputata Pd rilancia: “La lettura può favorire il riscatto personale e solo da questo nasce il riscatto sociale cui ogni individuo ha diritto, così secondo la nostra Costituzione secondo la quale “le pene devono tendere alla rieducazione”, quindi al reinserimento nella società, quando è possibile, ma sempre e comunque alla salvaguardia della dignità umana”.

Dire, 6 agosto 2014

Santa Maria Capua Vetere (Ce): nella Casa circondariale manca anche l’acqua corrente


Casa Circondariale Santa Maria Capua VetereCaro Garantista, scrivere della situazione della casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere significa passare concretamente in rassegna tutte le gravi difficoltà legate alla piaga del sovraffollamento carcerario, che da tempo ormai caratterizza gli istituti di pena italiani e quelli campani con particolare urgenza. Un problema, quello del sovraffollamento delle nostre galere, nel quale si riflettono tanti aspetti del malfunzionamento della giustizia italiana.

La nuova struttura è stata costruita nei primi anni Novanta, nel periodo delle “carceri d’oro”, e presenta diverse criticità strutturali. Problemi d’infiltrazione, ad esempio, ma anche legati al fatto che la struttura penitenziaria non è connessa all’acquedotto del comune. Ciò significa che i detenuti possono usufruire di acqua corrente solo per poche ore al giorno, con tutto ciò che ne consegue non solo sotto profilo igienico, ma anche sanitario. L’erogazione idrica sarebbe inoltre compromessa a causa di impianti inadeguati e, come se non bastasse, l’Arpac – l’Agenzia regionale protezione ambientale – avrebbe accertato la non potabilità dell’acqua.

Una situazione assurda, ben descritta nell’interrogazione parlamentare che il senatore Vincenzo D’Anna ha presentato con l’aiuto dei radicali di Caserta, che riguarda anche il cortile antistante la struttura penitenziaria affollato dai parenti dei detenuti, in attesa di poter effettuare colloqui con i propri familiari e che attendono il proprio turno alle intemperie sia durante la stagione invernale che in quella estiva. Risulta la non presenza di servizi igienici idonei. Inoltre la struttura, completamente isolata dal centro urbano, è sprovvista di una linea di comunicazione di trasporto pubblico. Una situazione degradante di costante violazione dei diritti umani fondamentali, sia per i reclusi che per i parenti che si recano a trovare i propri cari.

Da anni, con instancabile determinazione, l’associazione Radicale “Legalità e Trasparenza” di Caserta denuncia, con le armi della non-violenza, la situazione della struttura carceraria in provincia di Caserta. A questa denuncia si sono aggiunti il partito Socialista di Caserta e il senatore D’Anna, ma la situazione di degrado risulta ancora poco conosciuta dai cittadini del casertano. Sono in tanti a pensare, infatti, che queste strutture siano simili ad alberghi dove i detenuti vivono in condizioni dignitose.

L’urgenza della battaglia di Marco Pannella, del Presidente Napolitano, del Papa e di Adriano Sofri, si vive concretamente dentro e fuori la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere. Una struttura che, da dati risalenti al 2013, ha una capienza regolamentare di 600 unità e ospita 940 detenuti, tra cui il 30 per cento stranieri e il 25 per cento tossicodipendenti. E un caso che conferma l’urgenza di un provvedimento di amnistia e, contemporaneamente, richiede una rivoluzione culturale illuminista, che ripristini davvero la certezza della pena ricordando che un detenuto ha il diritto ad una nuova prospettiva di vita e non alla vendetta delle istituzioni.

Allo stato attuale, non ho nessun timore a sostenere che tali strutture andrebbero abolite, poiché rappresentano luoghi di tortura e spesso di morte. Diffondere informazione, raccogliere dati, monitorare gli istituti di pena è necessario per tutelare la dignità umana e anche a Caserta cerchiamo di farlo con la passione che caratterizza le nostre battaglie. Battaglie di diritto, legalità e umanità.

Domenico Letizia, Associazione Radicali Caserta

Il Garantista, 29 Giugno 2014