Dubai ha detto di no. Matacena non sarà estradato in Italia per espiare la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa che la Corte di Cassazione aveva ridotto da cinque a tre anni di reclusione.
Le vicinanze alla ‘ndrangheta ritenute in sentenza, esauritesi come comprovato dai Giudici di legittimità nell’anno 1998, non sono titolo di reato a Dubai e, nel rispetto dei trattati internazionali, l’estradizione non può essere concessa. E’ la dimostrazione, afferma Matacena : “che negli Emirati Arabi vengono rispettati i diritti del cittadino”.
Il tema è di ampio respiro e ripropone l’annosa questione sull’esistenza del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, della sua tipicità, della possibilità di inalvearlo in una ipotesi normativa specifica che indichi, nel rispetto del principio di tassatività della norma penale, quali condotte, come connotate, da quale volontà sostenute, portino alla condanna.
Il concorrente esterno, infatti, è nel nostro ordinamento figura di mera matrice giurisprudenziale ovvero creata non dal legislatore ma dai giudici per rispondere all’esigenza di punire efficacemente l’operato di chi agisce appannaggio di una associazione malavitosa senza entrare appieno nei meccanismi partecipativi di essa; di chi si muove in un’area grigia e sfumata in modo fattivo e finalisticamente orientato alla vita del sodalizio ma senza farne parte.
E, tuttavia, la zona grigia per la sua indefinita ampiezza svela l’iniquità di un meccanismo che vuole a parametro di punibilità un reato che non è norma che, in sostanza, non esiste. La creazione, infatti, applica le norme sul concorso di persone nel reato, all’art. 416 bis del codice penale (associazione mafiosa). Non partecipazione, dunque, per il concorrente esterno, ma mero concorso nel reato.
Appare evidente come si tratti di un escamotage di “giustizia” che sfugge a qualsiasi controllo di specificità e consente di assoggettare a sanzioni gravi condotte sfaccettate ed ampie al punto da lasciare alle forbici della libera interpretazione del giudice una smisurata apertura. A chi giudica è dato, infatti, rinvenire nelle strette maglie residue tra partecipazione piena e favoreggiamento al consesso sodale, ipotesi di azione punibile a cavallo tra l’ una e l’ altra e modulare di conseguenza il rigore sanzionatorio.
In realtà, le differenze di condotta, a volte sfumate, tra l’essere un componente di un consesso mafioso – colui che non solo è, ma fa parte dell’associazione, come specificano le Sezioni Unite della Suprema Corte – il cui agire è dinamico e funzionale alla vitalità del sodalizio; e l’essere un mero favoreggiatore, ossia offrire un contributo anche occasionale ma determinante quale aiuto al raggiungimento delle finalità, generali o settoriali, dell’associazione, trovano adeguata risposta nel codice penale e nella discrezionalità dei magistrati di applicare le pene dal massimo al minimo della previsione edittale.
In ultima analisi, dunque, non solo il concorso esterno in associazione mafiosa è reato inesistente, non tipico e, di conseguenza in conflitto con il principio di tassatività che deve regolare la materia penale, ma non appare neppure necessario un intervento riformatore stante l’assenza di vuoti normativi non colmabili con il libero, a volte troppo, convincimento del giudice.
Maria Brucale, Avvocato del Foro di Roma
Il Garantista della Calabria, 14 Luglio 2014