Salta il piano svuotacarceri: sono finiti i braccialetti elettronici per i detenuti


braccialetto-elettronico-938x535Non ci sono più i braccialetti elettronici e quindi i detenuti se ne tornano in carcere. In quanti? Chi lo sa, forse un paio di migliaia, forse molti di più. E il sovraffollamento, quest’estate, cioè nel periodo peggiore per le carceri, potrebbe raggiungere punte da record. Un disastro, un vero disastro.

Il tutto per colpa di una incredibile leggerezza del Ministero dell’Interno, alla quale, pare, nessuno riesce a trovare rimedio.
Le cose stanno così: il capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Giovanni Melillo, ha scritto ai Procuratori delle Corti di appello di tutt’Italia pregandoli di estendere l’informazione a tutti i distretti giudiziari. Nella sua lettera Melillo spiega che la logica e la legge vorrebbero che fosse aumentato l’uso dei braccialetti elettronici al posto della detenzione in carcere, ma che purtroppo questi braccialetti non ci sono, come è spiegato in una lettera che a sua volta il ministero della Giustizia ha ricevuto dal capo della polizia Alessandro Pansa. E Melillo, nella lettera che allega a Pansa (qui sotto nella foto),

lettera ministero.jpg-p18ru8sv1k109m2n21sd8soh14uhsnocciola un po’ di cifre. Il ministero aveva a disposizione 2000 braccialetti, ottenuti attraverso la convenzione con Telecom. Però poi è successo che il Consiglio di Stato ha cancellato la convenzione con Telecom, perché troppo costosa. Allora adesso, per avere nuovi braccialetti, bisogna fare una nuova convenzione. Ma i tempi della burocrazia non sono velocissimi e per fare questa nuova convenzione, e poi per costruire i braccialetti, ci vogliono alcuni mesi.

Al 19 giugno, giorno nel quale è stata scritta la lettera di Pansa, i braccialetti utilizzati erano 1600. Ne restavano 400 a disposizione. Ma Pansa dice che questi 400 bastano sì e no per giugno, e da luglio in poi non ci saranno più braccialetti. Se 400 braccialetti vengono distribuiti in poco più di 10 giorni, si può capire quanto sia l’ordine di grandezza dell’esigenza di braccialetti ogni mese. Pansa spiega che i nuovi braccialetti non potranno essere pronti prima di marzo-aprile. Da oggi a marzo-aprile (sempre che, come è probabile, Pansa non sia stato ottimista sui tempi) passano sette otto mesi, e ad occhio in sette otto mesi il bisogno di braccialetti potrebbe essere di sette otto mila. Uno sproposito.
Ora toccherà ai magistrati decidere cosa fare, caso per caso. Il ministero non dà indicazioni. Il decreto svuotacarceri prevede l’uso massiccio della detenzione a domicilio con l’uso del braccialetto. Questo sistema – che può piacere o invece non piacere, e a molti non piace: però è definito da una legge dello Stato – è stato studiato per garantire un uso nella detenzione più ridotto e contemporaneamente per rassicurare la comunità. I magistrati dovranno decidere chi lasciare comunque ai domiciliari, anche senza braccialetto, e chi invece spedire in carcere. La legge svuotacarceri a questo punto è fallita, è diventata inutile.

Di chi è la colpa di questo assurdo pasticcio? Soprattutto, come è chiaro dalla letture delle due lettere, la colpa è del ministero dell’Interno. E il ministro Orlando, con la sua lettera ai procuratori e ai presidenti delle Corte d’Appello, lo fa capire chiaramente. In particolare la colpa può essere attribuita al vecchio ministero dell’Interno, quello guidato, come ricordate, dalla Cancellieri. Che fece il guaio della convenzione miliardaria con Telecom. Ma anche del ministero del governo Letta (Alfano) che non ha provveduto in tempo a trovare un’altra soluzione per i braccialetti.
Di chiunque sia la colpa, gli esiti di questo inquacchio possono essere tragici. Se di qui a marzo il numero dei detenuti dovesse crescere anche solo di qualche migliaio di unità, è chiaro che la situazione diventerebbe insostenibile. Con buona pace dell’Europa che qualche settimana fa si è fidata delle promesse italiane sulla normalizzazione delle carceri.

Paolo Comi

Il Garantista, 03 Luglio 2014

Carceri, Caos assoluto sul risarcimento ai detenuti. Magistratura di Sorveglianza al collasso


toga_avvocatoE’ in vigore dal 28 giugno il D.L. 92 del 2014, che dovrebbe offrire ristoro ai detenuti che abbiano vissuto in condizioni inumane e degradanti la loro carcerazione. Oltre all’abominio degli otto euro per ogni giorno di tortura a chi sia stato scarcerato, il decreto dispone che il detenuto, che abbia patito per più di 15 giorni (quindici giorni di tortura non hanno mai fatto male a nessuno! Per quelli, ti danno otto euro al giorno!) una carcerazione in condizioni tali da violare l’art. 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali, possa presentare, personalmente o a mezzo del difensore munito di procura speciale, un’istanza al magistrato di sorveglianza, chiedendo, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva da espiare pari a un giorno per ogni dieci durante i quali il richiedente ha subito il pregiudizio.

Se la carcerazione inumana e degradante si è patita o si patisce in custodia cautelare – che in ipotesi potrebbe non portare mai ad una condanna detentiva da espiare e sulla quale applicare la decurtazione – si può chiedere il risarcimento in denaro, i famosi 8 euro, al Tribunale del capoluogo del distretto dove si ha la residenza che deciderà in composizione monocratica.

Attenzione però. La domanda per chi è stato scarcerato, può essere proposta entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o di custodia cautelare. Se, dunque, hai subito per anni l’orrore e l’afflizione di una carcerazione bestiale ma sei libero da più di sei mesi, nessun risarcimento ti è dovuto.

Se invece il detenuto aveva già adito la Corte di Strasburgo per denunciare la violazione dell’art. 3 della convenzione, può chiedere il risarcimento con le consuete modalità, entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto legge, solo se il suo ricorso non è già stato valutato in termini di ricevibilità. Ciò implica che è imposto al detenuto che affronta l’alea del giudizio a Strasburgo di rinunciare ex ante al risarcimento. Se è “intervenuta una decisione sulla ricevibilità” (dunque  anche se non è ricevibile?), il rimedio risarcitorio è precluso.

E’ già caos assoluto. Chi deve attestare, provare, certificare che lo stato di carcerazione del richiedente abbia in effetti violato la convenzione europea di riferimento? Sarà il detenuto ad affermarlo nel proporre l’istanza, ma chi verificherà l’effettività del patito e lamentato pregiudizio? Sarà il direttore del carcere a dover dire se nella cella del richiedente gli è stato concesso uno spazio vitale aderente alle normative europee? Se ha goduto dei tre metri quadri, tolto il mobilio, valutati come minimo spazio accettabile per una detenzione “umana”?

Direbbe il direttore di un carcere che nel suo istituto i detenuti sono o sono stati trattati come bestie? Si dovrà disporre perizia per misurare le celle e i metri fruibili per singolo ristretto? E se sì, a carico di chi sarà posto l’onere di liquidazione delle spese peritali? E se un detenuto lamenta una carcerazione inumana in tante carceri diverse, lontane tra loro, per essere stato trasferito come accade da una punta all’altra del nostro bel paese, si dovrà interpellare ogni carcere? Si dovrà fare istanza a ciascun magistrato di sorveglianza competente per territorio? Il decreto nulla dice. Le difficoltà applicative ed i dubbi interpretativi sono enormi.

La palla è nelle mani di una magistratura di sorveglianza già al collasso e già incapace di sopperire ad un carico di lavoro via via crescente cui a giorni si aggiungerà una valanga di richieste risarcitorie. I tempi delle decisioni si preannunciano lunghissimi, ben lontani dalla sostanza della decretazione di urgenza: provvedere con immediatezza a risolvere una situazione di imminente problematicità. Ai detenuti, già torturati o in immanente condizione di tortura, la triste constatazione che nulla è stato fatto.

Avv. Maria Brucale

Il Garantista, 03 Luglio 2014