L’Italia è troppo feroce con i detenuti. Una nuova condanna dalla Corte Europea


Cedu1Gli agenti colpevoli degli atti di violenza avvenuti nel 2000 nel carcere sardo non hanno ricevuto pene proporzionali al reato commesso nei confronti di Valentino Saba.

Da Strasburgo nuova tegola sull’Italia per trattamenti inumani ai danni dei detenuti, Per la seconda volta in. pochi giorni la Corte europea dei diritti umani ha condannato il nostro Paese per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per le violenze delle forze dell’ordine su persone fermate o arrestate, Dopo il caso di Dimitri Alberti, i giudici di Strasburgo ieri hanno riconosciuto le violenze subite da Valentino Saba il 3 aprilo 2000 all’interno del carcere San Sebastiano di Sassari, Saba è uno dei detenuti che denunciarono quei pestaggi, ora lo Stato dovrà versargli 15mila euro per danni morali.

Ma non è tutto. Stavolta la Cedu è andata oltre il riconoscimento delle violenze, condannando l’Italia anche per non aver pienamente soddisfatto il requisito di un’indagine approfondita ed efficace, come stabilito nella propria giurisprudenza. Nel mirino dei giudici i tempi lunghi del processo e il proscioglimento per prescrizione di molti degli imputati. Nella sentenza i giudici sottolineano inoltre che le autorità italiane non hanno indicato se le persone sotto processo siano state sospese durante il procedimento, come stabilisce la giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

“Finalmente, dopo 14 anni giustizia viene fatta ma, ancora ima volta, per arrivarci è stato necessario l’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha commentato Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone, “Riteniamo indegne per un per un paese civile come l’Italia, che dovrebbe riconoscere a tutti un trattamento rispettoso e degno della persona umana, queste continue condanne, Ed è altresì grave che, quando violazioni dell’articolo 3 avvengono, il nostro sistema giudiziario non riesca a ripristinare situazioni di giustizia, Questo anche perché in Italia non esiste il delitto di tortura. Se ci fosse stato i tempi di prescrizione non sarebbero stati così brevi”.

“Per questo – prosegue Gonnella – riteniamo non più rinviabile la convocazione di un tavolo politico che dia risposte ferme su temi come l’inserimento del reato di tortura nel codice penale; l’impunità per chi commette atti dì violenze verso persone che si hanno in. custodia; meccanismi di educazione e formazione adeguati per il personale delle forze dell’ordine”.

“Per quanto ancora il Parlamento potrà sottrarsi dall’affrontare il più ampio dibattito sulla giustizia e sulla responsabilità, davanti al popolo elettore, di votare un’amnistia alla luce del sole contro l’imbroglio di una giustizia che si ritrova sempre di più ad essere violenta contro i deboli, ma raggirabile dai forti? Quanto occorrerà ancora aspettare per introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura la cui negazione mina le fondamenta dello Stato di Diritto?

È con questo volto che il Premier Matteo Renzi vuole presiedere il semestre europeo?” chiedono la segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini| e la segretaria dell’associazione “Il detenuto ignoto”, Irene Testa.

I fatti di Sassari erano così descritti nel terzo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione: “Il 27 marzo 2000 i detenuti del carcere San Sebastiano di Sassari iniziarono una protesta pacifica rumoreggiando con le sbarre della cella a mezzanotte meno un quarto, Colpirono con. le posate sulle grate, danno fuoco alle lenzuola, fecero esplodere le bombolette di gas. Alla loro protesta seguì quella dei direttori. A causa del loro sciopero, infatti, i detenuti furono lasciati senza viveri del “sopravvitto” e senza sigarette.

Il 3 aprile 2000 venne organizzato uno sfollamento generale dei detenuti da trasferire in altri istituti dell’isola. Durante la traduzione una trentina di detenuti vennero brutalmente picchiati, I parenti protestarono. Scattarono le prime denunce, l’associazione Antigone il 18 aprile incontrò i vertici dell’amministrazione penitenziaria. Il 20 aprile le madri dei giovani detenuti picchiati organizzarono una fiaccolata.

Il 3 maggio la procura emise 82 provvedimenti di custodia cautelare, di cui 22 in carcere e 60 agli arresti domiciliari, Verniero coinvolti il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direttrice, il comandante del reparto”. Nel rapporto anche il tragico racconto dì alcuni detenuti; “Gavino P,, cella 75, gli dà il cambio, Quel giorno, al momento dell’incursione era nella fossa dei leoni, un cortile a cui si accede passando attraverso un tunnel. Stesso percorso, braccia dietro la schiena, fino alle sale colloqui.

“Quel giorno, da quando ini hanno messo le manette mi sono come spento. Ricordo che mi hanno denudato, che qualcuno mi ha detto che così mi stancavo di fare il boss, Ho fatto anche finta di svenire, con la speranza che mi mollassero, ma loro ini picchiavano anche a terra. Nella sala colloqui ho visto uno dì noi tutto sporco, se l’era fatta addosso”.

“Il comandante mi aveva afferrato l’orecchio, cercava di strapparmi l’orecchino – dice un altro detenuto, Massimo D. Una guardia era intervenuta per difendermi”. “Con te facciamo i conti dopo”, gli aveva detto il comandante, Costantino C. chiude la lista testimoniale. “Così la finisci dì fare il galletto”, gli avevano detto, Fra le immagini più terribili quella dì un compagno, con la testa immersa in un secchio d’acqua”.

Micol Ranieri

Il Garantista, 2 luglio 2014

Carceri, al San Sebastiano la legalità cedette il passo alla “galleria degli orrori”


Carcere di Sassari San SebastianoIl 3 aprile del 2000 settanta agenti in mimetica fecero una mattanza nelle celle. I detenuti furono fatti spogliare e poi furono massacrati prima di essere trasferiti. Il giudizio più duro, una fotografia fatta di parole, è contenuto nella sentenza che applica la prescrizione.

“Quel giorno nella casa circondariale di Sassari si passò da un luogo di detenzione legale, dove la libertà è privata a seguito di precise regole, anche costituzionali, a luogo dove la legalità cedette il passo alle manifestazioni di istinti, di rancori repressi, di spirito di rivalsa, di volontà di mostrare la propria durezza al nuovo comandante”.

Quando scrisse queste parole, nel 2010, il giudice Massimo Zaniboni del tribunale di Sassari era consapevole che il tempo aveva giocato a favore dei sette agenti imputati di avere partecipato alla più violenta ritorsione collettiva che uomini in divisa abbiano mai messo in atto nei penitenziari italiani. Quando il giudice descrisse quella che definì “la galleria degli orrori” di San Sebastiano, nelle motivazioni della sentenza di uno dei tanti processi, erano trascorsi dieci anni da quella mattina del 3 aprile del 2000.

Era l’ora d’aria quando, rispondendo a una chiamata collettiva ai penitenziari di tutta l’isola, settanta agenti in mimetica entrarono nelle celle e nei “passeggi” del carcere e cominciarono a picchiare selvaggiamente i detenuti dopo averli costretti a spogliarsi. Ad attenderli nella grande rotonda c’erano i vertici dell’amministrazione penitenziaria: il provveditore regionale Giuseppe Della Vecchia, la direttrice del carcere Maria Cristina Di Marzio, il nuovo comandante Ettore Tomassi. Di quest’ultimo è rimasta, a eterna memoria del delirio collettivo di quel giorno, l’immagine di un uomo ebbro di potere che nella sala colloqui trasformata in stanza delle torture urlava “sarò il vostro dio” ai detenuti nudi e sanguinanti.

Poi si disse che la situazione era sfuggita di mano, che qualcuno si era fatto male durante un trasferimento di massa ma solo perché aveva reagito. Non era andata così. Tutto era cominciato il 17 marzo quando, richiamati dal clamore mediatico scatenato dalla rumorosa “rivolta delle posate” sbattute dai detenuti contro le sbarre per protestare contro le condizioni di vita nel carcere, a San Sebastiano erano arrivati cinque commissari del Comitato parlamentare per i problemi nei penitenziari.

Quel giorno i detenuti parlarono, raccontarono, denunciarono ad alta voce cose che raggelarono il sorriso sui volti dei vertici dell’amministrazione penitenziaria. E anche il carcere, la vecchia prigione, si presentò nella sua veste lisa e indecente. Giuseppe Della Vecchia disse di non essersi mai vergognato tanto. Qualcuno doveva pagare per quella cocente umiliazione. Il 3 aprile, mentre i detenuti sfilavano nudi verso la sala colloqui, qualcuno in divisa forse provò paura e vergogna. Ma nessuno alzò un dito per ristabilire lo stato di diritto. Anche questa è storia.

Daniela Scano

La Nuova Sardergna, 02 Luglio 2014

Antigone : introdurre subito il delitto di tortura nel Codice Penale


Cella carcerePer la seconda volta in pochi giorni l’Italia viene condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per la violazione dell’art. 3 della Convezione per le violenze delle forze dell’ordine su persone fermate o arrestate.

Dopo il caso di Dimitri Alberti, stavolta la corte riconosce le violenze subite da Valentino Saba il 3 aprile 2000 all’interno del carcere di Sassari dove era detenuto. Ma stavolta la Corte Europea va oltre il riconoscimento delle violenze, condannando l’Italia anche per non aver pienamente soddisfatto il requisito di un’indagine approfondita ed efficace, come stabilito nella propria giurisprudenza, arrivando così alla prescrizione per molti degli imputati.

“Finalmente, dopo 14 anni – dichiara Patrizio Gonnella, presidente nazionale di Antigone – giustizia viene fatta ma, ancora una volta, per arrivarci è stato necessario l’intervento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Riteniamo indegne per un per un paese civile come l’Italia – che dovrebbe riconoscere a tutti un trattamento rispettoso e degno della persona umana – queste continue condanne. Ed è altresì grave che, quando violazioni dell’articolo 3 avvengono, il nostro sistema giudiziario non riesca a ripristinare situazioni di giustizia. Questo anche perché in Italia non esiste il delitto di tortura. Se ci fosse stato i tempi di prescrizione non sarebbero stati così brevi”.

“Per questo – prosegue Gonnella – riteniamo non più rinviabile la convocazione di un tavolo politico che dia risposte ferme su alcuni temi per i quali la discussione non è più rinviabile: l’inserimento del reato di tortura nel codice penale; l’impunità per chi commette atti di violenze verso persone che si hanno in custodia; meccanismi di educazione e formazione adeguati per il personale delle forze dell’ordine”.

Si ricorda che fu proprio Antigone a sollevare il caso delle violenze nel carcere di Sassari quando fu avviata la più grande inchiesta continentali mai avvenuta nella storia per la violenza nelle carceri. In questo caso si trattava di detenuti comuni. Furono coinvolti con arresti quasi 100 fra poliziotti e operatori.

Di seguito un estratto del terzo rapporto sulle condizioni di detenzione “Antigone in carcere” nella quale si parlava del caso.

“Il 27 marzo 2000 i detenuti del carcere San Sebastiano di Sassari iniziarono una protesta pacifica rumoreggiando con le sbarre della cella a mezzanotte meno un quarto. Colpirono con le posate sulle grate, danno fuoco alle lenzuola, fecero esplodere le bombolette di gas. Alla loro protesta seguì quella dei direttori. A causa del loro sciopero, infatti, i detenuti furono lasciati senza viveri del “sopravvitto” e senza sigarette. Il 3 aprile 2000 venne organizzato uno sfollamento generale dei detenuti da trasferire in altri istituti dell’isola.

Durante la traduzione una trentina di detenuti vennero brutalmente picchiati. I parenti protestarono. Scattarono le prime denunce, l’associazione Antigone il 18 aprile 2000 incontrò i vertici dell’Amministrazione penitenziaria. Il 20 aprile le madri dei giovani detenuti picchiati organizzarono una fiaccolata. Il 3 maggio 2000 la Procura emise 82 provvedimenti di custodia cautelare, di cui 22 in carcere e 60 agli arresti domiciliari. Vennero coinvolti il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, la direttrice, il comandante del reparto”.

[…] “Gavino P., cella 75, gli dà il cambio. Quel giorno, al momento dell’incursione era nella fossa dei leoni, un cortile a cui si accede passando attraverso un tunnel. Stesso percorso, braccia dietro la schiena, fino alle sale colloqui.

“Quel giorno, da quando mi hanno messo le manette mi sono come spento. Ricordo che mi hanno denudato, che qualcuno mi ha detto che così mi stancavo di fare il boss. Ho fatto anche finta di svenire, con la speranza che mi mollassero, ma loro mi picchiavano anche a terra. Nella sala colloqui ho visto uno di noi tutto sporco, se l’era fatta addosso. […]

“Il comandante mi aveva afferrato l’orecchio, cercava di strapparmi l’orecchino – dice un altro detenuto, Massimo D. – Una guardia era intervenuta per difendermi. “Con te facciamo i conti dopo”, gli aveva detto il comandante. Costantino C. chiude la lista testimoniale. “Così la finisci di fare il galletto”, gli avevano detto. Fra le immagini più terribili quella di un compagno, con la testa immersa in un secchio d’acqua”.