Peculato, Abuso d’Ufficio e Furto. A giudizio l’ex Direttore e l’ex Comandante del Carcere di Favignana


Casa Circondariale 1Nei giorni scorsi sono stati rinviati a giudizio dal Giudice per le Udienze Preliminari del Tribunale di Trapani Lucia Fontana, per peculato ed abuso d’ufficio il Comandante, all’epoca dei fatti della Polizia Penitenziaria della Casa di Reclusione di Favignana ed il Direttore dello stesso Istituto Penitenziario. Sono Antonino Savalli, 40 anni di Paceco e Paolo Malato, 60 anni di Marsala. Secondo l’accusa, che è stata sostenuta dal Pubblico Ministero Franco Belvisi della Procura della Repubblica di Trapani, avrebbero utilizzato i detenuti ammessi al lavoro esterno per la pulizia dei loro alloggi e dei giardini di pertinenza e Savalli, inoltre, per il trasloco dei propri beni e masserizie e per consegne.

La norma prevederebbe che le spese per le piccole riparazioni siano a carico degli assegnatari degli alloggi di servizio e che i detenuti ammessi al lavoro esterno siano remunerati ed avviati a prestare la loro opera secondo un programma che deve essere approvato dal magistrato di sorveglianza.

Savalli e Malato invece, non avrebbero corrisposto alcun pagamento ai 6 detenuti utilizzati in “attività svolte nel loro esclusivo interesse personale” e, dunque, dai reclusi “esercitate a titolo gratuito”.

Entrambi sono inoltre accusati di essersi appropriati, “con pressoché quotidiana cadenza” di un bene prezioso quale l’acqua delle riserve idriche dell’Amministrazione Penitenziaria e, per quanto riguarda Savalli anche dei quantitativi di energia elettrica fruiti per non aver provveduto a far installare un contatore a lui intestato, sicché i costi d’uso sarebbero stati totalmente a carico della pubblica amministrazione.

Malato addirittura avrebbe disattivato il contatore dell’energia elettrica fornita nell’isola dalla società SEA e realizzato un allacciamento abusivo con lo stesso risultato che i costi sarebbero stati a carico dell’Amministrazione di appartenenza. Per questo motivo è stato accusato anche di furto.

Antonino Savalli e Paolo Malato saranno processati il prossimo 16 ottobre 2014 dinanzi al Tribunale di Trapani.

Comitato Nazionale di Radicali Italiani 11-13 luglio 2014. La Mozione Generale


 

Radicali Italiani campagna autofinanziamentoComitato Nazionale di Radicali Italiani 11-13 luglio 2014

Mozione generale

e documenti aggiuntivi

Il movimento radicale nella sua storia sessantennale ha più volte dovuto attraversare lunghi periodi di resistenza che hanno poi consentito all’Italia di realizzare grandi conquiste nel campo dei diritti umani, sociali e civili o perlomeno di rallentare il processo di desertificazione della democrazia perseguito via via con sempre maggiore violenza dal regime partitocratico nelle sue diverse manifestazioni. Oggi questo processo ha prodotto un deserto che è soprattutto di idee e si manifesta ormai nella forma della supremazia della ragion di Stato sullo Stato di diritto democratico e federalista.

Il diritto alla conoscenza è ormai negato al popolo italiano fino ad un punto di non ritorno. Il Centro d’Ascolto dei programmi radiotelevisivi ha dimostrato la precisa corrispondenza tra la percentuale di ascolti consentita ai leader e alle forze politiche in occasione della recente consultazione europea e il risultato conseguito dalle varie liste. Clamoroso il caso del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e del PD: 41,1% di ascolti consentiti, 40,8% il risultato elettorale conseguito. Quanto al movimento radicale, altrettanto eloquente è il dato che vede Marco Pannella al 349° posto ed Emma Bonino addirittura espulsa dalla classifica dei 512 esponenti politici monitorati in merito alle trasmissioni della Rai-TV.

Sulla totale illegalità del “sistema giustizia” italiano e delle carceri, ambedue pluricondannati in sede europea – il primo per l’irragionevole durata dei processi e il secondo per i trattamenti inumani e degradanti – paradigmatico è il caso del ponderoso dossier inviato il 22 maggio da Radicali italiani al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa chiamato, il 5 giugno scorso, ad esprimersi sul rispetto da parte del nostro paese della Sentenza di condanna “Torreggiani”: la burocrazia europea ha illegalmente omesso di consegnarlo, con meschine azioni di occultamento, ai 47 delegati degli Stati favorendo così un esito benevolo verso la tesi difesa dal Governo italiano, che ha ammesso la forzatura, dichiarando “sulle carceri, per ora, ci abbiamo messo una pezza”.

Persino sulle misure compensative e riparatorie, il Governo italiano non si è fatto scrupolo – con l’ultimo decreto – di gabbare la CEDU: là dove la condanna ordinava all’Italia di prevedere ricorsi interni “effettivi” e “idonei”, il Governo Renzi ha fissato il “prezzo della tortura” in 1 giorno di sconto pena per ogni 10 giorni vissuti in carcere oppure, per chi è uscito dal carcere, in 8 euro per ogni giorno di prigionia inumana e degradante. Accedere a tale “mercimonio” sarà oltretutto impraticabile considerata l’impossibilità per magistrati di sorveglianza e giudici civili di verificare per ciascun soggetto quali siano state materialmente le condizioni di detenzione.

Il Comitato Nazionale di Radicali italiani, riunito a Roma l’11-12 e 13 luglio 2014

ribadisce come obbligato un provvedimento di amnistia e di indulto quale unica riforma strutturale in grado di fermare il mancato rispetto della Costituzione italiana e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, anche secondo quanto affermato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il suo ostracizzato messaggio alle Camere.

Il Comitato sostiene il Satyagraha in corso di Marco PannellaRita Bernardini e di altri 150 cittadini esplicitamente volto, in questa fase, a fermare le morti in carcere e a garantire le cure necessarie ai detenuti malati. Da questo punto di vista è con ogni evidenza emblematico – e perciò richiamato espressamente come obiettivo dello sciopero della fame – il caso dell’ottantunenne boss di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano, tuttora trattenuto in regime di 41-bis benché le Procure della Repubblica di Palermo, Caltanissetta e Firenze si siano pronunciate nei suoi confronti per la cancellazione del “carcere duro” e malgrado non sia più chiamato a intervenire nei processi in cui è ancora coinvolto perché “incapace di intendere e di volere”.

Il Comitato rileva che la inutile crudeltà di questa situazione non fa che qualificare lo Stato italiano ad un livello di criminalità, se possibile, addirittura superiore a quella del condannato.
Nella condizione di antidemocrazia in cui si trova il Paese, il Comitato di Radicali italiani richiama il movimento alla forza e alla conseguente necessità della pratica della nonviolenza e della disobbedienza civile, nel difficile tentativo di ricercare e aprire varchi di agibilità politica nei quali la sovranità del popolo possa finalmente affermarsi.

Il Comitato auspica che il ricorso alle Giurisdizioni nazionali, europee e transnazionali sia sempre più praticato da tutti gli organi di Radicali italiani per affermare, con il ripristino della legalità, i diritti fondamentali dei cittadini. Da questo punto di vista, il Comitato esprime il massimo plauso al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, all’Associazione Luca Coscioni, e al nostro stesso movimento per tutte le iniziative già intraprese consuccesso, in attesa di pronunciamento o pressoché prossime alla presentazione.

Il Comitato impegna gli organi dirigenti a dare il massimo supporto all’Avv. Deborah Cianfanelli affinché il dossier sulla giustizia, riguardante l’irragionevole durata dei processi civili e penali, sia al più presto aggiornato e depositato presso la Corte EDU. Il Comitato sostiene altresì l’iniziativa volta a presentare un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale causato dallo Stato italiano ai suoi cittadini.

Il Comitato ribadisce che partendo dall’analisi radicale sulla permanenza e vigenza di un sistema economico finanziario fondato su capitalismo inquinato, sottocapitalizzato, bancocentrico e di relazione, le campagne in corso #sbanchiamoli#menoinquinomenopago e l’insieme di proposte sul capitalismo locale delle società partecipate da Enti locali e Regioni, oggi si confermano più che mai centrali nell’azione utile a rilanciare legalità, concorrenza, merito e innovazione, nonché a contenere il debito pubblico e quello ecologico, la spesa pubblica, la pressione fiscale e l’intermediazione indebita della politica e dei Partiti nell’economia. Il Comitato invita il governo Renzi, oltreché a far sue le misure citate, ad attivare al più presto un piano di riduzione dei trasferimenti anticompetitivi alle imprese nell’ambito del programma di tagli di spesa delineati dal commissario Cottarelli.

Il Comitato rivolge un accorato appello a tutti coloro che siano raggiunti da questa “mozione” e ne condividano premesse e obiettivi, affinché si iscrivano a Radicali italiani, al Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito così come a tutte le Associazioni dell’area radicale ricordando che solo il versamento “dell’obolo di uno scellino” da dignità e forza ad una partecipazione responsabile.

Giustizia: nessuna riforma è possibile… altrimenti scorrerà il sangue


Giustizia 2I giudici vogliono una vittoria piena. Come quella della Germania sull’Argentina. Questa settimana è la settimana decisiva per l’offensiva contro la politica. Qual è l’obiettivo? A occhio e croce rendere chiaro che nessuna riforma della giustizia è possibile, altrimenti scorrerà il sangue. Ieri i Pm hanno inaugurato la settimana con l’avviso di garanzia a Roberta Maroni. Lo accusano – se ho capito bene – di avere raccomandato a una società privata l’assunzione a termine – sei mesi – di due ragazze che conosceva.

Poi giovedì sarà la giornata clou. La Camera dovrà votare per l’arresto di Galan, nei guai per il Mose di Venezia, e intanto il processo Ruby – l’appello – si avvicinerà alla conclusione, Sono ore decisive, Domenica il partito dei Pm aveva subito una brutto schiaffo, da Dubay, dove la Corte si è messa a ridere quando ha letto “concorso esterno in associazione mafiosa” e ha risposto di non poter concedere l’estradizione dì Matacena per un reato così strampalato. Eppure i codici arabi, talvolta, sono anche loro piuttosto strampalati e medievali, evidentemente non fino al punto da presupporre che uno possa far parte di una associazione senza farne parte. Il voto alla Camera su Galan sarà davvero molto importante.

Perché lì toccherà alla politica accettare il diktat, e arrendersi ai Pm, o tentare di combattere, e dì affermare alcuni principi, tipo quello – ormai in disuso – della divisione dei poteri e dell’indipendenza del Parlamento da Palazzo di Giustizia.

Se la politica subirà il comando dei Pm (“lasciateci arrestare un deputato, Galan, anche se non esistono ì presupposti e anche se l’arresto è chiaramente illegale”) dopo avere negli anni scorsi accettato in diverse altre occasioni analoghe di genuflettersi alla magistratura, allora i magistrati potranno ben immaginare di aver vinto la partita, definitivamente, dì avere sotto scacco il sistema democratico e di potere tranquillamente imporre la non riforma della giustizia.

Il passo successivo sarà la condanna di Berlusconi, colpevole di aver fatto sesso senza far sesso con la ragazza Ruby (si potrebbe immaginare eventualmente il reato dì concorso esterno in associazione orgiastica).

La condanna di Berlusconi, che già è ai servizi sociali e – ammonito dal giudice di sorveglianza dì Milano – rischia di finire in cella, sarà l’atto con il quale si mette in stato oggettivo di intimidazione l’unico partito politico che spinge per la riforma, cioè Forza Italia. Era tanto tempo che nella lotta politica non entrava, come strumento di pressione, la minaccia dì arresto. Ora è così.

Il rischio è che la sinistra, come ha fatto tante volte negli anni passati, non capisca che la posta in gioco è l’equilibrio democratico; e immagini che questa offensiva della magistratura possa essere utile per asfaltare definitivamente il centrodestra, e che valga la pena di assecondarla, Matteo Renzi negli ultimi mesi ha dato qualche segno di risveglio, sul piano del garantismo.

Si è spinto fino a pronunciare questa parola senza mostrare sdegno. Però mi sembra ancora molto incerto. Io dubito, francamente che abbia il coraggio di sfidare la magistratura e dì difendere i diritti della politica, cioè della democrazia (cioè nostri) in un momento nel quale difendere la politica vuol dire perdere consenso. Non mi aspetto che il Pd voti contro l’arresto di Galan. Mi accontenterei se qualche deputato di sinistra, coraggioso, intrepido, dichiarasse apertamente il suo dissenso dal partito. Sarebbe come un segnale, un lampo nella notte buia delle manette.

Piero Sansonetti

Il Garantista, 15 luglio 2014

L’Unione delle Camere Penali Italiane boccia la “Riforma della Giustizia” programmata dal Governo Renzi


Avv. Valerio SpigarelliValerio Spigarelli, Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, boccia la proposta in 12 punti del governo Renzi: “Serve molto altro”.

“Mettiamola così: il progetto contiene alcune enunciazioni condivisibili. Ma nell’insieme è decisamente “pochino” per definirlo una vera riforma”. A Valerio Spigarelli, avvocato romano e dal 2010 presidente dell’Unione delle camere penali, basta questa breve premessa per colorare di scetticismo i 12 punti del “progetto di riforma della giustizia” presentato il 30 giugno dal Guardasigilli Andrea Orlando e sbandierato dal premier Matteo Renzi come “svolta epocale”.

Insomma, avvocato Spigarelli: ancora una volta… non arriverà la svolta?

Questa non è una riforma strutturale della giustizia. Da anni si parla di “grandi svolte”, ma qui non c’è nulla che attenga alla struttura costituzionale, al titolo IV: per esempio, non si propone nulla di veramente incisivo sul Consiglio superiore della magistratura; nulla sulla terzietà del giudice rispetto ad accusa e difesa; nulla sulla favola dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Anzi, semmai noto che c’è una piccola marcia indietro: i “saggi”, convocati nel 2013 da Giorgio Napolitano, avevano proposto un’Alta corte di disciplina separata per tutte le magistrature, mentre al punto numero 7 della “riforma” il ministro oggi pare volerla creare esclusivamente per la magistratura amministrativa e contabile.

Però ai punti 4 e 5 si parla del Csm: si dice che la carriera dei magistrati dev’essere basata sul merito e non sulle correnti, e che nel Consiglio dev’essere separato il ruolo di chi fa le nomine delle toghe e di chi applica le sanzioni.

Non basta. Il vero problema della giustizia italiana è che la terzietà del giudice non solo non è garantita, non c’è proprio. Il giudice resta contiguo al magistrato inquirente, ne condivide la istanze volte ad affermare la pretesa punitiva dello Sato e anzi se ne fa spesso carico in prima persona. A dimostrarlo è anche l’altissimo numero di provvedimenti di custodia cautelare: l’Italia è il solo paese europeo dove i detenuti in attesa di giudizio superano il 40% del totale. E la motivazione prevalente è quella del pericolo della reiterazione del reato: proprio perché il giudice condivide in pieno l’idea che il processo sia uno strumento di difesa sociale, non di risoluzione di una singola vicenda che contrappone lo Stato a un singolo imputato.

Lei sa, vero, che gli avvocati milanesi sciopereranno giovedì 17 luglio proprio perché in udienza un giudice ha dichiarato che, se fossero continuate le convocazioni di testi della difesa a suo parere “inutili”, in caso di condanna sarebbe stato “più duro” con gli imputati?

E hanno ben ragione di protestare. Questo problema emerge con forza anche dal saggio “I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia” (Cedam, 224 pagine, 22 euro), curato dal grande giurista bolognese Giuseppe Di Federico e sponsorizzato dall’Unione delle camere penali. Nel corso del 2013 sono stati intervistati 1.265 penalisti italiani e il libro è appena uscito. Sa che cosa racconta?

Un disastro?

Che nel 72,9% dei casi il giudice accoglie “sempre o quasi sempre” una richiesta d’intercettazione avanzata dal pm, e un altro 26% dice che questo accade “di frequente”. Che il giudice è “più sensibile alle sollecitazioni del pm rispetto a quelle del difensore”: per gli avvocati è così nel 58 per cento dei processi “ordinari” e la quota sale al 71 nei procedimenti “rilevanti”, quelli più importanti e più seguiti dai mass media. Ne esce che l’iscrizione ritardata nel registro degli indagati è una pratica lamentata dal 65,9 per cento degli avvocati. Si scopre che molti di loro denunciano di essere non soltanto intercettati mentre parlano con i loro clienti (e questo accade “sempre” o “di frequente” nel 28,9 per cento dei casi, e “a volte” nel 42,2 per cento), ma che l’intercettazione, pur se totalmente illegale, viene perfino trascritta ed utilizzata negli atti. Si scopre che il 92,1 per cento degli intervistati sostiene che, nell’esame in aula dei testimoni, il giudice pone “domande suggestive”: una pratica espressamente vietata dal codice di procedura penale a tutela del diritto di difesa.

E quali sono le soluzioni che proponete voi avvocati penalisti?

Separare le carriere. E separare il Csm: due Consigli che decidono su carriere in modo separato per giudici e magistrati inquirenti. Poi un’Alta corte di disciplina, competente sulle violazioni disciplinari dei magistrati e anche degli avvocati in grado di appello. E perché non una Scuola superiore delle tre professioni giudiziarie, dopo la laurea? Alla fine, chi ne esce sceglie se fare il pm, il giudice o l’avvocato. Servirebbe anche per dare una qualche ventilazione alla magistratura e creare una comune cultura delle regole.

Altri elementi di debolezza della proposta in 12 punti del governo?

Al punto 9 leggo: “accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione”. Ecco: chi non è d’accordo con lo slogan sui tempi? Ma il problema è proprio questo: in questi 12 punti io vedo soltanto slogan, se non battute. Il punto è che per tanti anni abbiamo avuto un premier che faceva battute e poi, purtroppo, non faceva le riforme che vagheggiava. Quello era l’originale: non vorrei che Renzi fosse l’imitazione. Slogan per intercettare la voglia di cambiamento e poi nessun atto concreto Ma torniamo al processo penale e alla prescrizione: lei sa dov’è che si prescrivono, soprattutto, i processi italiani?

Dove: in primo grado? In Corte d’appello?

Sorpresa. Nelle indagini preliminari: il 60% delle prescrizioni avviene lì, quando il fascicolo è ancora sul tavolo del pm! Il problema è che la stessa obbligatorietà dell’azione penale è una favola: a Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino, i procuratori hanno stabilito regole discrezionali per la gestione dell’arretrato, con canali preferenziali per questo o per quel tipo di reati. Ma perché ogni Procura deve andare per la sua strada? Non sarebbe meglio che la fosse la politica a indicare i reati da perseguire in modo prioritario, assumendosene la responsabilità in modo trasparente, davanti agli elettori?

Poi, a complicare ancora le cose e a garantire la prescrizione, c’è la lentezza della burocrazia tribunalizia…

Già. Lei sa a Roma quanto ci mette in media un fascicolo a passare dal Tribunale alla Corte d’appello?

No, quanto?

Sono appena 50 metri a separare i due uffici: ma la durata media per la trasmissione degli atti è 8 mesi. La prescrizione avviene nell’8% dei casi per “colpa” dell’avvocato o dell’imputato, ma nel restante 92% dei casi arriva per défaillance dello Stato. Per questo servirebbe davvero una riforma, non banali enunciazioni di principio.

Intanto la magistratura associata è comunque sul piede di guerra: ma la politica ce la farà mai a varare una riforma della giustizia veramente autonoma?

Per troppi anni la politica ha affidato le chiavi di ogni riforma in materia all’ordine giudiziario: è ovvio che quell’ordine apre e chiude le porte a seconda delle proprie convenienze. Oggi che la sinistra è al governo, però, il problema emerge. Lo stesso Giovanni Fiandaca, il giurista siciliano che il Pd ha candidato alle ultime elezioni europee (e che ora potrebbe andare al Csm, ndr) dice che vorrebbe un paese dove chi fa le leggi fa le leggi, e chi fa il giudice si limita ad applicarle. Ecco, io spero che la politica riaffermi il suo primato, uscendo dalla tutela dell’ordine giudiziario. Ma deve fare meglio di così. Molto, molto meglio.

Maurizio Tortorella

Panorama, 15 luglio 2014

Il Decreto Legge sul risarcimento per le torture ai detenuti ? L’ennesima buffonata


Carcere 2Se il nostro Paese pensava – dopo aver sfangato l’ennesima condanna da parte della Cedu (Corte Europea per i diritti dell’uomo) soltanto rimandano il discorso al prossimo anno – di risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri con il decreto legge 42/2014, presto si renderà conto di essersi sbagliato di grosso.

Soltanto tre giorni fa è entrato in vigore la nuova direttiva e già piovono critiche su critiche. In primis il decreto prevede lo sconto (oltre al risarcimento di 8 euro al giorno) di pena di un giorno per ogni detenuto che, secondo i parametri dell’Ue, costituisce “tortura”.

E quali sono questi parametri? La carcerazione vissuta in uno spazio inferiore a 7 metri quadrati. Viene da sorridere però perché le celle delle nostra patrie galere, almeno la stragrande maggioranza, non sono più grandi, in media, di 3 metri quadrati. Di conseguenza, ad essere torturati ogni giorno (e dunque risarciti) sarebbero praticamente tutti i detenuti che affollano le carceri.

In secondo luogo, l’approvazione di quanto previsto dal nuovo decreto legislativo, approvato ancora non si sa per quale motivo, è impossibile anche per altri motivi. Sia lo sconto di pena che il risarcimento non possono essere automatici. Perché? È impossibile quantificare quanti giorni reali un detenuto abbia subito di “tortura” se il “galeotto” in questione – come spesso capita- viene più volte trasferito da un carcere all’altro. Senza contare il fatto che, per analizzare i singoli casi di circa 50 mila reclusi, ci vorrebbero almeno centinaia di giudici. E solo pensarla questa cosa è inverosimile, vista anche la lentezza dei magistrati e dei processi che devono giudicare una persona colpevole o no. Quelle persone, per intenderci, che sono in carcere preventivamente in attesa di giudizio.

Se il Governo italiano pensava di sfuggire alla condanna della Cedu e sottarsi alle salatissime multe cui saremo sicuramente destinati a pagare, questo decreto legge rappresenta un autentico autogol. L’ennesimo in materia di carceri. C’è un altro dato che certifica la strategia folle dell’Italia ed è quello relativo ai soldi stanziati per i “risarcimenti”: 20 milioni di euro. Denaro che potrebbe essere investito tranquillamente per migliorare le condizioni fatiscenti delle nostre strutture carcerarie. Invece no, si preferisce dare soldi ai detenuti, piuttosto che farli vivere in una situazione quantomeno più dignitosa.

 Paolo Signorelli

http://www.lultimaribattuta.it, 15 luglio 2014

 

Ermini (Pd) : I reati ad “alto allarme sociale” non rientreranno in divieto di custodia cautelare


On. David Ermini PdI reati ad alto allarme sociale non rientreranno nel divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena non superiore ai 3 anni. Lo prevede un emendamento presentato dall’Onorevole David Ermini, Deputato del Partito Democratico al decreto legge sui rimedi risarcitori a favore dei detenuti. In base a quanto attualmente sancito dal decreto, il carcere preventivo non può essere applicato se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva non sarà superiore ai 3 anni.

L’emendamento di Ermini, relatore del provvedimento in commissione Giustizia alla Camera, stempera l’automatismo stabilendo che tale norma non vale per i delitti ad elevata pericolosità sociale, come per esempio i reati di mafia e terrorismo, rapina ed estorsione, furto in abitazione, stalking e maltrattamenti aggravati in famiglia. E non solo: secondo l’emendamento di Ermini, si potrà ricorrere alla custodia cautelare in carcere anche nel caso in cui non siano possibili gli arresti domiciliari per mancanza di un luogo idoneo.

“Sono alcune utili correzioni – spiega il deputato Pd – alla luce dei suggerimenti rivolti al legislatore nel corso delle audizioni. Il nostro obiettivo, come sempre, è quello di migliorare un testo in sintonia con quanto emerge nel confronto con gli operatori della giustizia. Credo che, una volta approvato l’emendamento, avremo una norma di buon equilibrio tra garanzie dell’imputato ed esigenze di sicurezza dei cittadini”. Il decreto legge, già calendarizzato in aula per la prossima settimana, sarà esaminato dalla commissione Giustizia a partire da domani.