Trieste: lettera di un detenuto “in 10 dentro celle da 5 e non abbiamo le cure necessarie”


Carcere di Trieste“Vi scrivo per la seconda volta, per gli stessi motivi dell’altra, cioè per il motivo dell’ammucchiamento di persone come me a vivere come bestie, e trattate soprattutto”.

È una lettera dal carcere, spedita subito dopo la visita di un parlamentare che ha definito il Coroneo “decoroso”, e la replica dei volontari di San Martino al Campo che hanno raccontato di molte tristi condizioni di vita e mancanze.

Il detenuto: “Nelle celle da 5 viviamo in 10, non abbiamo cure necessarie e medicinali, ho avuto un incidente perché qui niente è a norma, e lì sono stato umiliato davanti a tutta la gente, incatenato per 6 ore, senza farmi fumare una sigaretta e farmi bere neanche un bicchiere d’acqua”. In più, “non c’è nessuna riabilitazione per quando uno esce. Anzi, tutto il contrario. Il sistema carcerario non funziona”.

“Il sovraffollamento – risponde l’Azienda sanitaria che da quest’anno ha in carico la sanità in carcere, non più della Regione – riguarda tutti gli istituti penitenziari e la Sanità ha ben poche possibilità di incidere”. Ma l’Ass1 risponde sulle cure sanitarie soprattutto: “L’attività ambulatoriale è attiva di mattina e di pomeriggio, da lunedì a sabato e la domenica e nei festivi al mattino, si prenotano visite specialistiche, gli specialisti dei distretti vanno in carcere, dove c’è anche un elettrocardiografo per la trasmissione telematica degli esami al centro Cardiovascolare o all’Unità coronarica”.

Prosegue l’Azienda sanitaria: “Le visite specialistiche vengono fatte da cardiologi, infettivologi, medico del Centro malattie sessualmente trasmesse, medici e psicologi del Dipartimento delle dipendenze (un infermiere del quale è presente 365 giorni all’anno di mattina e di sera fino alle 23 per somministrare terapie), medici e infermieri del Dipartimento di salute mentale”.

In più “il dentista accede con cadenza settimanale o bisettimanale secondo le esigenze, la ginecologa su chiamata, di notte e nei festivi c’è sempre un medico in guardia attiva, in caso di urgenze i 3 infermieri sempre presenti possono chiamare il 118, e il personale di sorveglianza e sanitario è stato istruito su come intervenire in caso di arresto cardiaco”.

Sotto controllo sanitario chi maneggia alimenti, “farmaci tutti disponibili anche fuori prontuario se richiesti in modo documentato dal medico”. Quanto alla “mancata riabilitazione”, si dice che vi sono “corsi di formazione sul disagio psichico”. Entrando “in possesso” delle strutture sanitarie del carcere la commissione tecnica a inizio anno aveva messo a referto condizioni ambientali e strutturali veramente critiche. “Abbiamo – afferma l’Azienda sanitaria – la massima collaborazione del direttore del carcere e dei suoi collaboratori a superare i vari problemi esistenti”.

di Gabriella Ziani

Il Piccolo, 8 luglio 2014

Castrovillari : Non sorvegliarono la loro collega detenuta. Condannate due Agenti di Polizia Penitenziaria


carcere-castrovillariSi è concluso, nei giorni scorsi, presso il Tribunale di Castrovillari (Cosenza), il processo di primo grado scaturito dal suicidio del Vice Sovrintendente della Polizia Penitenziaria Fabrizia Germanese, 44 anni, calabrese, avvenuto nel maggio 2008 nella locale Casa Circondariale ove si trovava detenuta da due giorni, in custodia cautelare, perchè trovata in possesso di 9 kilogrammi di eroina, provenienti dall’Albania.

Per la sua morte, su richiesta del Pubblico Ministero Baldo Pisani, vennero tratti a giudizio tre Agenti di Polizia Penitenziaria con l’accusa di concorso in omicidio colposo per violazione dell’obbligo di sorveglianza a vista. Gli imputati erano : Rosa Ruberto, 52 anni, Nadia Bartolotta, 26 anni e Mimma Lauria, 41 anni, tutte e tre di Castrovillari. Entrambe, inizialmente, erano state indagate anche per istigazione ed aiuto al suicidio.

Gli veniva contestato di non aver adeguatamente sorvegliato la loro collega detenuta così come espressamente ordinato dal Comandante di Reparto ma anche di non aver provveduto al ritiro dei lacci delle scarpe con i quali, poi, si è impiccata all’interno del bagno della cella. Gli Agenti della Polizia Penitenziaria sono stati difesi dagli Avvocati Roberto Laghi, Gennaro La Vitola, Michele Donadio ed Antonio Bonifati.

Ad incastrare le colleghe della Germanese, appartenente al Gruppo Operativo Mobile (G.O.M.) della Polizia Penitenziaria, è stata senza ombra di dubbio, l’attività peritale svolta dai Medici Legali Roberto De Stefano e Raffaele Mauro nominati dalla Procura della Repubblica di Castrovillari. Infatti, nell’ambito degli accertamenti, contrariamente a quanto sostenuto dagli imputati che asserivano di aver tenuto sempre sotto controllo la detenuta, è emerso che, la stessa, era passata a miglior vita almeno da due ore (e non da pochi minuti) dal momento in cui venne dato l’allarme.

Per questo motivo, due delle tre colleghe della Vice Sovrintendente Fabrizia Germanese, finite a giudizio, sono state ritenute colpevoli dei reati contestati e condannate alla pena di 4 mesi di reclusione dal Giudice Monocratico Loredana De Franco.

 

Operazione Antidroga della Polizia Penitenziaria a Taranto. Arrestato un Infermiere per spaccio di Marijuana


00022TARANTO

Era solito introdurre droga all’interno del penitenziario pugliese approfittando della sua professione di infermiere ma è incappato nella trappola tesagli dagli uomini del Reparto di Polizia Penitenziaria di Trani, al comando del Commissario Giovanni La Marca e del Direttore dell’Istituto Stefania Baldassari, con l’ausilio del distaccamento Cinofili Antidroga dei “baschi azzurri”.

L’uomo, C. F., 52 anni, di Manduria (TA), al momento dell’ingresso nei reparti detentivi è stato segnalato dal poliziotto a quattro zampe “Vera” mediante la classica “raspata” e al controllo gli Agenti della Penitenziaria hanno scoperto che aveva nascosto la droga all’interno di un flacone di bagno doccia.

La droga, abilmente preparata e suddivisa in 11 dosi di marijuana, per un peso complessivo di 28 grammi, era occultata e confezionata in involucri di cellophane insieme al liquido.

L’infermiere in questione è stato immediatamente arrestato e posto alle dipendenze della Procura della Repubblica di Taranto per i reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, con l’aggravante di aver commesso il reato all’interno di un penitenziario.

Polizia Penitenziaria, 07 Luglio 2014

http://www.polizia-penitenziaria.it

Caso Provenzano, Bernardini (Radicali): Ennesimo trattamento disumano nelle nostre Carceri


Rita Bernardini, Segretaria Nazionale RadicaliVecchio, gravemente malato, tenuto in vita da macchine e sondini, incapace di intendere e di volere, ma nonostante ciò considerato ancora un terribile pericolo pubblico. E’ questa la storia della fine di Bernardo Provenzano, ex storico boss di Cosa Nostra, mantenuto in regime di carcere duro (41-bis) malgrado le sue gravissime condizioni di salute. Una vicenda avvolta dal classico silenzio dei media, che rivela l’ennesimo caso di trattamento disumano perpetrato nelle carceri italiane e, con esso, l’inarrestabile violazione dei principi dello Stato di diritto.

Dopo aver trascorso un lungo periodo nel carcere di Parma (dove, nel 2012, ha anche tentato il suicidio), il “capo dei capi”, oggi 81enne e affetto da patologie neurologiche, è stato trasferito l’8 aprile scorso nel carcere milanese di Opera, per poi essere ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo. Qui i medici non hanno potuto far altro che constatare le precarie condizioni di salute dell’ex padrino corleonese.

Nel certificato inviato dai medici al gup di Palermo (davanti al quale pende il procedimento in cui il boss è imputato per la trattativa Stato-mafia) e al Tribunale di Sorveglianza di Roma (competente su tutto il territorio nazionale sulle istanze di revoca del carcere duro), si parla infatti di “stato clinico del paziente gravemente deteriorato e in progressivo peggioramento“, nonché di “stato cognitivo irrimediabilmente compromesso”, per poi concludere ribadendo l'”incompatibilità con il sistema carcerario” del detenuto Provenzano.

Parole molto chiare, quelle dei medici milanesi, che fanno tornare alla mente la discutibile decisione con la quale, appena tre mesi fa, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha negato la sospensione del carcere duro chiesta dagli avvocati di Provenzano e soprattutto avallata da ben tre diverse procure (Palermo, Caltanissetta, Firenze). Nonostante l’ex boss siciliano sia ormai incapace di comunicare con l’esterno, infatti, secondo il Guardasigilli egli continuerebbe a rappresentare un soggetto “pericoloso”.

A richiamare l’attenzione sulle gravi condizioni di salute di Provenzano era stato, nelle settimane scorse, il figlio Angelo, che, dalle pagine de Il Garantista, aveva raccontato il suo ultimo incontro con il padre (“Lo chiamo tante volte, ma non riesco neppure ad attrarre il suo sguardo, perché guarda il soffitto. Se lo portiamo fuori dall’ospedale può vivere 48 ore”) e denunciato l’assurda situazione che lo costringe a non poter svolgere il compito di amministratore di sostegno affidatogli dai giudici tutelari di Milano: “Le mie nuove funzioni (compresa la richiesta di cartella clinica) non potrò esercitarle, se non con il consenso del Ministero”.

Ora, di fronte alle proteste del figlio e all’aggravarsi delle condizioni di Provenzano, l’ultima beffa: “Sebbene sia ridotto al lumicino − denuncia Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani −, il tribunale di sorveglianza di Roma ha rimandato la decisione sulla revoca del 41-bis al 3 ottobre, abbondantemente superate le ferie estive”.

Anche il principio del rispetto della dignità umana (già costantemente screditato), insomma, va in vacanza: “Abbiamo istituzioni − nota Bernardini − che, quanto al rispetto di diritti umani fondamentali, si pongono allo stesso livello di criminalità di coloro che affermano di voler combattere”.

Ermes Antonucci

Agenzia Radicale, 08 Luglio 2014

Provenzano resta in 41 bis. Se ad ottobre sarà ancora vivo il Tribunale di Sorveglianza di Roma deciderà se revocargli il carcere duro


Perché Ponzio Pilato è, nell’immaginario collettivo, sinonimo di viltà ?

Perché è, rappresenta il potere, gli viene chiesto di decidere, di scegliere e si lava le mani. Lascia al popolo le sua responsabilità, se ne scarica e sa che il popolo deciderà morte.

Si è celebrata il 20 giugno 2014 avanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, l’udienza per stabilire se Bernardo Provenzano dovesse restare in 41 bis, regime carcerario differenziato. La difesa chiedeva, con l’avallo delle Procure DDA di Palermo, Caltanissetta e Firenze che, alla luce delle numerose perizie in atti che ne certificavano le drammatiche condizioni di salute, uno stato cognitivo gravemente ed irrimediabilmente decaduto nonché l’incapacità di comunicare con l’esterno, venisse revocato il 41 bis nei confronti del Provenzano. L’odioso regime di carcerazione, infatti, si traduceva, nella specie, soltanto in una tortura vindice che colpiva gli stretti congiunti del malato ormai moribondo, privati della pietosa possibilità di fargli una carezza. Intanto a Milano, su impulso del Magistrato di Sorveglianza, si era discusso se sospendere la carcerazione del Provenzano, proprio in virtù del quadro clinico ormai disperato. I Giudici Milanesi avevano disposto una ulteriore perizia e fissato al 03 ottobre l’udienza di trattazione per decidere, facendo salva una eventuale anticipazione ove necessitata dal precipitare della situazione sanitaria del detenuto.

Dopo due settimane di attesa, anche il Tribunale di Sorveglianza di Roma decideva pedissequamente un rinvio della questione 41 bis, al 03 ottobre. Quando si dice le coincidenze!

“Il Tribunale, ritenuta la necessità ai fini del decidere, vista la relazione dell’Azienda Ospedaliera San Paolo in data 11.06.2014 – scrive a Roma il giudice relatore nel provvedimento di rinvio – dispone l’acquisizione di informazioni più dettagliate e precise in ordine alla storia clinica, alla diagnosi, alle patologie riscontrate, con indicazione di esami clinici e strumentali effettuati e relativi esiti soprattutto in merito alle patologie neurologiche”. Un rinvio a quattro mesi di distanza che non ha giustificazione alcuna. Le informazioni richieste sono in possesso del carcere e potevano essere inviate in giornata, anche in corso di udienza. Aspettare la decisione di Milano. Questo è il senso palese. Ma cosa diceva la relazione del San Paolo richiamata? “Paziente in stato clinico gravemente deteriorato ed in progressivo peggioramento, allettato, totalmente dipendente per ogni atto della vita quotidiana. Stato cognitivo gravemente ed irrimediabilmente compromesso, portatore di pluripatologie cronicizzate, di catetere vescicale a permanenza, alimentazione spontanea impossibile se non attraverso catetere venoso centrale, sondino naso gastrico, evacuazione dell’alvo difficoltosa, mantenuta con clisteri quotidiani e, occasionalmente con svuotamento manuale delle feci. Si ritiene il paziente incompatibile con il regime carcerario. L’assistenza sanitaria di cui necessità sarebbe erogabile solo in ambiente sanitario di lungodegenza”.

Questa era la relazione. Di che altri accertamenti, esami e verifiche avevano bisogno per affermare che Bernardo Provenzano non è più un boss? Che non è forse nemmeno più un uomo se non ha impeti, volontà, azioni, linguaggio? Ancora almeno altri quattro mesi di 41 bis, dunque. Altri quattro mesi in cui i figli guarderanno il loro caro nel silenzio, per pochi minuti, attraverso un vetro divisore. Lo vedranno immobile, sofferente, con lo sguardo perso e spento e non potranno toccarlo.

Ponzio Pilato si lava le mani e lo sa che il popolo sceglie morte.

Avv. Maria Brucale e Avv. Rosalba Di Gregorio

difensori di Bernardo Provenzano

Il Garantista, 08 Luglio 2014