Dirsi garantista oggi è un outing coraggioso più o meno come dirsi gay una trentina di anni fa, soprattutto se a farlo è un leader della sinistra italiana che, come noto, ha sostenuto per oltre vent’anni l’insindacabilità assoluta della mano giudiziaria e la coincidenza schiacciante tra giudizio penale e responsività politica.
Ma quando uno invoca il garantismo, usa una parola grossa e impegnativa. Lo sa, il Presidente Renzi? Lo sa, per dire, che garantismo non vuol dire innocentismo, soprattutto quando si tratta di amici, ma significa un complesso molto ampio di cose, un’opzione di fondo che potremmo sintetizzare con la regola che il cittadino e i suoi diritti nel confronto con l’autorità dello Stato vengono prima di ogni altra cosa, compresa la migliore vittoria sul Male?
Qualche dubbio viene, a ripensare alle recenti dichiarazioni del Renzi ante-outing che, a proposito dello scandalo Expo, diceva che il problema non erano le regole (che non avevano bisogno di modifiche), ma i ladri. I ladri. Detto di persone indagate e arrestate da poche ore, ancora in attesa di poter dire la loro, altro che della sentenza definitiva.
Anche i primi programmi leopoldiani, se ci si fa mente locale, qualche perplessità sull’outing garantista del Premier la facevano venire: l’idea di Zingales di trattare la corruzione della politica con una pacificazione in stile sudafricano, concedendo amnistia tombale in cambio di confessioni generali e preventive con la solenne rinuncia ad ogni futura intenzione di impegno politico, era proprio la morte del garantismo.
Magari adesso Matteo Renzi l’ha capito che quello non è garantismo e che un paese onesto è costruito sull’onestà delle regole, non su quella delle persone. E allora ce lo dimostri, che è garantista. Dica chiaramente e con coraggio che il nostro sistema di giustizia garantista non è e richiede una riforma integrale, a partire dalle fondamenta. Dalla madre di tutte le regole garantiste, quella per cui chi giudica dev’essere diverso da chi accusa e da chi difende.
Metta la sua etichetta garantista in testa ai dodici punti di intervento sulla giustizia presentati con il ministro Orlando e li intitoli, tutti, alla realizzazione dei principi del giusto processo, sanciti, ancora solo teoricamente, dall’articolo 111 della Costituzione. Così potremo essere tranquilli del fatto che quando si parla di prescrizione, in quei punti, non si intende tirare al rialzo dei termini, dichiarando ai cittadini che in Italia non bastano 7 anni e mezzo per fare un processo per i reati di minore gravità e non ne bastano dodici o trenta, per quelli puniti con sene più alte e, quindi, più gravi. E saremo sicuri che non è intenzione sua e del suo ministro di giustizia bloccare la prescrizione al l’esercizio dell’azione penale o alla sentenza di primo grado, come piace ai pubblici ministeri, barattando la fine-mai del processo e della potestà punitiva dello Stato con l’obiettivo illusorio di persegui re ogni male della società.
E potremo tirare un respiro di sollievo di fronte al le ipotesi di eliminazione del giudizio d’appello pure queste suggerite da autorevoli esponenti delle Procure, che sembrano annidarsi nella non meglio definita “accelerazione del processo penale”.
Che queste cose sono incompatibili con il garantismo e con i principi del giusto processo. Non è garantista costruire un processo che siccome non è soggetto al limite della prescrizione del reato assoggetta il cittadino, imputato o vittima, a soste nere la pressione e le conseguenze fino a un momento imponderabile, ad assoluta discrezione di chi ha il potere di decidere.
Non è garantista abbattere il diritto di difesa del cittadino togliendogli la facoltà di replica alla sentenza di condanna di primo grado, tanto per pareggiare i conti della ragionevole durata del processo, squilibrati dal tempo infinito che senza il limite della prescrizione si concederebbe a pm e giudici per arrivare alla conclusione del giudizio. Se il premier è garantista dovremo aspettarci una legge sulla responsabilità civile dei magistrati che, senza inscenare rese dei conti, restituisca rispetto alla volontà popolare espressa con il referendum radicale del 1987, tradita con un meccanismo che non consente nemmeno di accedere alla richiesta della riparazione del torto subito. E anche una riforma del Csm che metta fine sul serio al dominio delle correnti, di cui abbiamo visto le migliori performances nelle ultime ore, prevedendo magari, perché no, un meccanismo elettorale a sorteggio.
Il premier è garantista? Ci faccia vedere, allora, che la rivoluzione garantista della giustizia la vuole davvero, a prescindere dalle consultazioni popolari. E dai diktat o dai veti pronunciati dalla magistratura associata, da quella delle stanze del Governo o dell’aula del Csm. E qui, proprio qui, nella capacità di resistere e contrastare questi imperativi, che viene il bello dell’essere garantisti. Garantisti sul serio, non perché è cool.
Emilia Rossi
Il Garantista, 17 luglio 2014
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