Il Governo vuole smantellare il Dipartimento della Giustizia Minorile. Contrari i Radicali Italiani


Minori - Polizia PenitenziariaIl Ministero della Giustizia sta per smantellare – è questione di ore – uno dei pochi settori funzionanti, quello della giustizia minorile, da sempre impegnata con successo nel recupero dei ragazzi che entrano a far parte del circuito penale. Ciò accade mentre gli si affidano nuovi compiti, come quello di accogliere anche i giovani detenuti da 21 ai 25 anni.

Il Dipartimento della Giustizia Minorile (DGM), infatti, è quello sul quale sembra voler abbattersi con maggiore violenza la mannaia dei tagli in quanto il Governo ha previsto sia la scomparsa dell’attuale specifica Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari, sia la drastica riduzione dei dirigenti di seconda fascia, cuore del DGM. Come se ciò non bastasse, la scure si abbatterà anche su assistenti sociali, educatori e amministrativi peraltro già notevolmente ridimensionati dalle cesure precedenti.

Insomma, il Governo italiano si appresta ad annientare l’unico settore della Giustizia italiano non raggiunto dalle condanne sistematiche della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Al Satyagraha che sto portando avanti nella forma dello sciopero della fame da 16 giorni, con Marco Pannella e altri 190 cittadini, aggiungo anche questo obiettivo, questa volta non per ripristinare la legalità perduta, ma per mantenere quella c’è in un comparto che finora l’Italia ha potuto mostrare in Europa come un fiore all’occhiello.

On. Rita Bernardini

Segretario Nazionale Radicali Italiani

 

Caro Renzi… ecco due o tre cose da fare subito per essere davvero garantisti


Matteo Renzi PremierDirsi garantista oggi è un outing coraggioso più o meno come dirsi gay una trentina di anni fa, soprattutto se a farlo è un leader della sinistra italiana che, come noto, ha sostenuto per oltre vent’anni l’insindacabilità assoluta della mano giudiziaria e la coincidenza schiacciante tra giudizio penale e responsività politica.

Ma quando uno invoca il garantismo, usa una parola grossa e impegnativa. Lo sa, il Presidente Renzi? Lo sa, per dire, che garantismo non vuol dire innocentismo, soprattutto quando si tratta di amici, ma significa un complesso molto ampio di cose, un’opzione di fondo che potremmo sintetizzare con la regola che il cittadino e i suoi diritti nel confronto con l’autorità dello Stato vengono prima di ogni altra cosa, compresa la migliore vittoria sul Male?

Qualche dubbio viene, a ripensare alle recenti dichiarazioni del Renzi ante-outing che, a proposito dello scandalo Expo, diceva che il problema non erano le regole (che non avevano bisogno di modifiche), ma i ladri. I ladri. Detto di persone indagate e arrestate da poche ore, ancora in attesa di poter dire la loro, altro che della sentenza definitiva.

Anche i primi programmi leopoldiani, se ci si fa mente locale, qualche perplessità sull’outing garantista del Premier la facevano venire: l’idea di Zingales di trattare la corruzione della politica con una pacificazione in stile sudafricano, concedendo amnistia tombale in cambio di confessioni generali e preventive con la solenne rinuncia ad ogni futura intenzione di impegno politico, era proprio la morte del garantismo.

Magari adesso Matteo Renzi l’ha capito che quello non è garantismo e che un paese onesto è costruito sull’onestà delle regole, non su quella delle persone. E allora ce lo dimostri, che è garantista. Dica chiaramente e con coraggio che il nostro sistema di giustizia garantista non è e richiede una riforma integrale, a partire dalle fondamenta. Dalla madre di tutte le regole garantiste, quella per cui chi giudica dev’essere diverso da chi accusa e da chi difende.

Metta la sua etichetta garantista in testa ai dodici punti di intervento sulla giustizia presentati con il ministro Orlando e li intitoli, tutti, alla realizzazione dei principi del giusto processo, sanciti, ancora solo teoricamente, dall’articolo 111 della Costituzione. Così potremo essere tranquilli del fatto che quando si parla di prescrizione, in quei punti, non si intende tirare al rialzo dei termini, dichiarando ai cittadini che in Italia non bastano 7 anni e mezzo per fare un processo per i reati di minore gravità e non ne bastano dodici o trenta, per quelli puniti con sene più alte e, quindi, più gravi. E saremo sicuri che non è intenzione sua e del suo ministro di giustizia bloccare la prescrizione al l’esercizio dell’azione penale o alla sentenza di primo grado, come piace ai pubblici ministeri, barattando la fine-mai del processo e della potestà punitiva dello Stato con l’obiettivo illusorio di persegui re ogni male della società.

E potremo tirare un respiro di sollievo di fronte al le ipotesi di eliminazione del giudizio d’appello pure queste suggerite da autorevoli esponenti delle Procure, che sembrano annidarsi nella non meglio definita “accelerazione del processo penale”.

Che queste cose sono incompatibili con il garantismo e con i principi del giusto processo. Non è garantista costruire un processo che siccome non è soggetto al limite della prescrizione del reato assoggetta il cittadino, imputato o vittima, a soste nere la pressione e le conseguenze fino a un momento imponderabile, ad assoluta discrezione di chi ha il potere di decidere.

Non è garantista abbattere il diritto di difesa del cittadino togliendogli la facoltà di replica alla sentenza di condanna di primo grado, tanto per pareggiare i conti della ragionevole durata del processo, squilibrati dal tempo infinito che senza il limite della prescrizione si concederebbe a pm e giudici per arrivare alla conclusione del giudizio. Se il premier è garantista dovremo aspettarci una legge sulla responsabilità civile dei magistrati che, senza inscenare rese dei conti, restituisca rispetto alla volontà popolare espressa con il referendum radicale del 1987, tradita con un meccanismo che non consente nemmeno di accedere alla richiesta della riparazione del torto subito. E anche una riforma del Csm che metta fine sul serio al dominio delle correnti, di cui abbiamo visto le migliori performances nelle ultime ore, prevedendo magari, perché no, un meccanismo elettorale a sorteggio.

Il premier è garantista? Ci faccia vedere, allora, che la rivoluzione garantista della giustizia la vuole davvero, a prescindere dalle consultazioni popolari. E dai diktat o dai veti pronunciati dalla magistratura associata, da quella delle stanze del Governo o dell’aula del Csm. E qui, proprio qui, nella capacità di resistere e contrastare questi imperativi, che viene il bello dell’essere garantisti. Garantisti sul serio, non perché è cool.

Emilia Rossi

Il Garantista, 17 luglio 2014

Carceri, Dopo il caso Torreggiani, 10 mila detenuti in meno in prigione


cedu strasburgoI reclusi nelle patrie galere sono scesi a 55.800, il minimo storico degli ultimi dieci anni, escluse le brevi boccate d’ossigeno dei provvedimenti di clemenza. Per la prima volta, negli ultimi 20 anni, si registra una diminuzione progressiva senza indulti e ammistie nonché il livello più basso nel rapporto tra posti regolamentari (49mila) e detenuti presenti. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando quantifica in 10mila unità la riduzione rispetto alla sentenza Torreggiani della Corte di Strasburgo.

Merito sia della sentenza della Cassazione sulle droghe sia delle misure “svuota-carceri” approvate nei mesi scorsi. L’ultima è il decreto legge entrato in vigore il 28 giugno sia per risarcire (in danaro o con uno sconto di pena) i detenuti che abbiano subito una cerebrazione in tutto o in parte “inumana e degradante”, sia per escludere la custodia cautelare in carcere quando il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena da eseguire non sarà superiore a 3 anni (articolo 8 del dl).

Norma, quest’ultima che aveva provocato “l’allarme scarcerazioni” dell’Anm con riferimento a una serie di reati di “alta pericolosità sociale”: stalking, furti in abitazione, piccole rapine, maltrattamenti in famiglia ma anche reati dei colletti bianchi (dalla corruzione al finanziamento dei partiti ai reati finanziari).

Ieri, con il primo sì al dl carceri della commissione Giustizia della Camera, la norma è stata parzialmente corretta con un emendamento del relatore David Ermini (Pd), che esclude dal divieto di carcerazione preventiva i delitti a elevata pericolosità sociale, come mafia, terrorismo, rapina, estorsione, stalking, furto in abitazione, maltrattamenti in famiglia, lasciando aperte le porte del carcere anche quando non siano possibili gli arresti domiciliari per mancanza di un luogo idoneo. La correzione, invece, non riguarda i reati dei colletti bianchi, per ì quali le porte del carcere resteranno chiuse ogni volta che la “prognosi” del giudice sarà contenuta nei limiti dei 3 anni di pena definitiva. Dunque, per costoro resta soltanto l’ipotesi-domiciliari.

Alle critiche dell’Anm (“La “prognosi” non viene fatta sulla pena edittale, ma su quella concretamente irrogata, che quindi può ben scendere al di sotto del minimo previsto dalla legge”), Ermini replica che non è così: “La pena non va calcolata al lordo di riti alternativi e attenuanti generiche, ma con riferimento solo al minimo edittale, che per corruzione e concussione supera i 3 anni” spiega il relatore, buttando acqua sul fuoco.

Ma non convince Rodolfo Sabelli, presidente dell’Anm, secondo cui “la legge impone” di tener conto almeno delle “generiche”. In ogni caso, saranno a “rischio” scarcerazione (con passaggio agli arresti domiciliari) gli indagati per reati gravi come l’induzione (da 3 a 8 anni), l’abuso d’ufficio (da 1 a 4), i reati finanziari. “Se un giudice decide di mandare in prigione un indagato si prende una grossa responsabilità e quindi – conclude Ermini – potrà motivare che, allo stato, la pena finale si prospetta superiore a 3 anni”.

Il problema si è già posto – indirettamente – per Giancarlo Galan e per altri detenuti in attesa di giudizio: a maggio, prima dell’entrata in vigore del dl, i colletti bianchi in carcere erano “quasi raddoppiati” rispetto all’anno scorso e poiché il di si applica ai procedimenti in corso, molte carcerazioni preventive si stanno già trasformando in arresti domiciliari (ad uscire sono soprattutto gli appellanti, anche se condannati in primo grado).

Difficile quantificare visto che non ci sono automatismi. In generale, va registrata la quasi quotidiana uscita di 2-300 detenuti: l’emergenza sovraffollamento potrebbe quindi essere superata a breve. Il dl carceri andrà in aula tra venerdì e lunedì e dovrà essere convertito in legge entro il 26 agosto.

Oltre ai risarcimenti e al divieto (temperato) di custodia in carcere se la pena finale è contenuta in 3 anni, prevede anche l’ulteriore divieto del carcere preventivo nei confronti degli infra-venticinquenni. Finora il limite era 21 anni, ma il di stabilisce che nella fascia 21-25 anni spetterà al giudice valutare la situazione di pericolosità.

Donatella Stasio

Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2014

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite “boccia” le carceri italiane


Nazioni UniteEnnesimo rimprovero all’Italia per quanto riguarda il sistema penitenziario e giudiziario, compresa la protezione dei diritti dei migranti. Questa volta è il turno dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, il quale senza mezzi termini dichiara attraverso l’esperto Mads Andenas: “Quando gli standard minimi non possono essere garantiti in altro modo, il rimedio è la scarcerazione”.

Il Gruppo di lavoro dell’Onu è giunto in Italia per monitorare le loro richieste fatte dopo la visita del 2008. “Per garantire il rispetto delle nonne sui diritti umani ora all’Italia è richiesta un’azione rapida e decisa – sottolinea Andenas – quindi chiediamo alle autorità italiane di dare seguito alle nostre raccomandazioni sul sovraffollamento e alla sentenza Torreggiarli della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

La segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini – in sciopero della fame dal 30 giugno per chiedere a governo e parlamento risposte immediate sulle cure negate ai detenuti, per scongiurare le morti in carcere e anche sulla tortura del 41bis – denuncia che il rapporto dell’organismo dell’Onu è stato completamente censurato dai mezzi di informazione. E, insieme al leader radicale Marco Pannella – che da ieri ha intrapreso un digiuno totale della fame e della sete – si domanda se la censura non sia per caso determinata da qualche “manina super informata”, per non disturbare il, premier Renzi e il ministro della Giustizia Orlando.

Il Gruppo di esperti dell’Onu ha accolto con favore le recenti riforme per ridurre la durata delle pene, il sovraffollamento nelle carceri e il ricorso alla custodia cautelare. Secondo l’articolo 8 del Decreto Legge n. 92 del 2014 la custodia cautelare non può essere più applicata nei casi in cui il giudice ritenga che l’imputato, se riconosciuto colpevole, sarà condannato a meno di tre anni. “Questo limiterà il ricorso improprio alla custodia cautelare, usata come pena” osserva sempre Andenas, Ma per il gruppo di lavoro dell’Onu c’è ancora preoccupazione per l’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio e resta la necessità di monitorare e contenere il ricorso sproporzionato alla custodia cautelare nel caso di cittadini stranieri e rom, anche minorenni. Per questo motivo l’esperto ha osservato che molte delle raccomandazioni contenute nella Lettera al Parlamento del Presidente Napolitano del 2013 sulla detenzione, comprese le proposte in materia di amnistia e provvedimenti di clemenza, sono oggi più urgenti che mai per garantire il rispetto del diritto internazionale.

Per quanto riguarda i diritti dei migranti, il Gruppo di lavoro ha accolto con favore la recente abolizione del reato di clandestinità, tuttavia ha notato con preoccupazione che quest’ultimo rimane sempre un illecito amministrativo. “Restiamo inoltre seriamente preoccupati per la durata della detenzione amministrativa (con un limite massimo stabilito per legge di 18 mesi) e per le condizioni di detenzione nei Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie), ma siamo incoraggiati dalle recenti iniziative legislative per ridurre il periodo massimo di trattenimento a 12 mesi, o addirittura a se” riferisce Andenas.

Destano preoccupazione le segnalazioni relative a rimpatri sommari di individui, compresi minori non accompagnati e adulti richiedenti asilo: “Questi rimpatri sommari violano gli obblighi dell’Italia, derivanti dal diritto nazionale, europeo ed interazionale, di garantire una procedura di asilo equa ed evitare il respingimento, e il divieto di espulsione dei minori non accompagnati” sottolinea Andenas.

Il gruppo di lavoro dell’Onu ha poi osservato che il carcere duro del 41 bis non è stato ancora adeguato ai requisiti internazionali in materia di diritti umani. Pur accogliendo con favore la sentenza della Corte Costituzionale in materia di accesso alla difesa, gli esperti sì rammaricano che il governo non abbia ancora adottato alcuna misura per migliorare e accelerare il controllo giurisdizionale delle ordinanze che impongono o estendono questo regime detentivo. “Queste misure restrittive devono essere riesaminate periodicamente al fine di garantire la conformità con i principi di necessità e proporzionalità”, ha dichiarato sempre Andenas.

L’Altro commissariato dell’Onu esorta il Governo italiano ad istituire un’autorità nazionale indipendente per i diritti umani in conformità con i Princìpi di Parigi e ha inoltre incoraggiato la rapida approvazione del disegno di legge sul reato specifico di tortura. Il gruppo di lavoro promette di presentare una ulteriore relazione al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, con osservazioni e suggerimenti più dettagliati, augurandosi che il loro sguardo indipendente possa essere accolto come un contributo costruttivo ai processi politici, legislativi e giudiziari italiani.

Damiano Aliprandi

Il Garantista, 17 Luglio 2014

Decreto detenuti, Conclusi i lavori in Commissione Giustizia. Il Decreto Legge passa all’esame dell’Aula della Camera


Commissione Giustizia Camera DeputatiLa commissione Giustizia della Camera ha concluso l’esame degli emendamenti al dl Detenuti. Da quanto si apprende il provvedimento – a causa della mancanza dei pareri – dovrebbe arrivare in aula giovedì della prossima settimana.

Nomina veloce magistrati sorveglianza

Il Consiglio superiore della magistratura potrà attribuire le funzioni di magistrato di sorveglianza, al termine del tirocinio, anche prima del conseguimento della prima valutazione di professionalità. È quanto prevede un emendamento del relatore, David Ermini (Pd), al dl Detenuti, approvato dalla commissione Giustizia alla Camera.

Nel dettaglio l’emendamento – come anticipato da Public Policy – specifica che la speciale nomina potrà essere disposta solo verso i 370 nuovi magistrati ordinari assegnati con il decreto ministeriale del 20 febbraio 2014, e solo nel caso in cui “sussista una scopertura superiore al 20% dei posti di magistrato di sorveglianza in organico”.

Anticipo scadenza commissario carceri

La commissione Giustizia ha approvato l’emendamento del relatore, David Ermini (Pd), al dl Detenuti che – come anticipato da Public Policy – anticipa la scadenza del commissario straordinario del governo per le infrastrutture carcerarie, il prefetto Angelo Sinesio, al 31 luglio 2014 anziché al 31 dicembre 2014.

Esclusione stalker da revoca custodia cautelare

La non applicabilità della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari, valida in caso di sospensione condizionale della pena o di pena non superiore ai tre anni, non si applicherà ai reati di lesione aggravata per maltrattamenti in famiglia, stalking e ai reati gravissimi – come quelli, per esempio, di mafia o di terrorismo – contenuti nel comma 4-bis della legge n. 354 del 26 luglio 1975. È quanto prevede, in sintesi, un emendamento del relatore, David Ermini (Pd), al dl Detenuti approvato dalla commissione Giustizia alla Camera. La non applicabilità della custodia cautelare è contenuta nell’articolo 8 del decreto.

Dipendenti dap non ricollocabili in ministeri

Il personale appartenente ai ruoli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) oltre a non poter essere comandato o distaccato – per i prossimi due anni – presso altre pubbliche amministrazioni, come stabiliva inizialmente il testo del Decreto Detenuti – non potrà essere trasferito nemmeno in altri ministeri. È quanto chiarisce un emendamento del Movimento 5 stelle al dl Detenuti approvato dalla commissione Giustizia della Camera. L’emendamento, nello specifico, interviene sull’articolo 7 del decreto sulle Misure in materia di impiego del personale appartenente ai ruoli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria.

Public Policy, 17 luglio 2014

“Aveva la faccia sporca di sangue, per le botte che non aveva preso”


Ostinata Goccia

In questi giorni è successa una cosa che mi ha fatto molto piacere e aspettavo che passasse la giornata di ieri, per poterlo pubblicare sul blog.

La settimana scorsa, mi è stato chiesto di scrivere una lettera sulla nostra esperienza del carcere, mia e di mio marito.

Questa lettera è stata pubblicata sul numero di ieri, del quotidiano “Il Garantista”.

Quello che segue, è il testo.

Io sono una persona cattiva.

Se così non fosse , allora perché avrebbero dovuto dirmi questo: “Lei è un pessimo esempio per suo marito. E’ interdetta dai futuri colloqui!”. La signora comandante me lo disse, davanti alla faccia di R. coperta di sangue, per le botte che “non” aveva preso.

Sono cattiva, perché in malafede pensai che lo avessero picchiato loro. Questo è il carcere. La verità che non ti aspetti.

Perché “dentro”, la spiegazione non è mai semplice. R. aveva la faccia e…

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Padova, Agente Penitenziario arrestato : “Sono cocainomane, ma non ho mai spacciato”


Poliziotto PenitenziarioIn due sono rimasti zitti, mentre un collega ha parlato. Per raccontare la “sua verità” al gip Mariella Fino, il magistrato che ha firmato l’ordinanza destinata a spedire in carcere due rappresentanti della polizia penitenziaria del carcere Due Palazzi (l’assistente Pietro Rega responsabile del 5° piano e l’agente Luca Bellino), agli arresti domiciliari quattro agenti (Roberto Di Profio, Angelo Telesca, Paolo Giordano e Giandomenico Laterza), mentre altri nove colleghi sono indagati in stato di libertà. Roberto Di Profio ha cercato di difendersi, respingendo ogni accusa, pur ammettendo la propria dipendenza dalla cocaina.

L’agente ha raccontato che, da alcuni anni, assume la “polvere bianca”. Difficile negarlo: le intercettazioni telefoniche contenute nell’ordinanza confermano che, quasi quotidianamente, Di Profio contattava al telefono pusher nordafricani per ordinare la cocaina da consumare “in tre… quattro…”. Droga che, secondo gli investigatori, veniva anche venduta ai detenuti.

L’agente (assistito dall’avvocato Eleonora Danieletto) ha voluto difendere il suo onore e ha insistito “voglio curarmi”. Pur confessando i propri sbagli, l’uomo ha detto di essersi sempre comportato correttamente sul lavoro. La prova? Avrebbe spesso aiutato i detenuti, contribuendo alla loro rieducazione: nel suo piano (il 6° e il 7°) molti si laureano in Filosofia.

Mai spacciato droga, poi, ha insistito. Anche loro difesi dall’avvocato Danieletto, hanno preferito avvalersi della facoltà di non rispondere gli assistenti Paolo Giordano (l’aspirante porno-attore che distrubuiva i suoi filmini hard dietro le sbarre, soprannominato il poeta o il pittore) e Angelo Telesca (il Condor).

Il primo deve rispondere di spaccio aggravato; il secondo è in una posizione più critica perché accusato pure di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio. Giordano, peraltro, è agli arresti domiciliari in un alloggio riservato al personale nel complesso del Due Palazzi e condivide la stanza con un collega indagato in stato di libertà.

Già interrogati Pietro Rega (difensore l’avvocato Roberta Barin) e Luca Bellino (avvocato Annamaria Marin), rinchiusi nel carcere militare di Santa Maria Capua a Vetere: entrambi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Cristina Genesin

Il Mattino di Padova, 16 luglio 2014

Carceri, le Nazioni Unite richiamano l’Italia. Pannella in sciopero della sete


Nazioni Unite OnuL’Italia dovrebbe fare uno sforzo per “eliminare l’eccessivo ricorso alla detenzione e proteggere i diritti dei migranti”. A chiedere alle autorità italiane “misure straordinarie” sul tema è un comunicato del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria reso noto al termine di una visita di tre giorni nel paese (7-9 luglio).

“Quando gli standard minimi non possono essere altrimenti rispettati, il rimedio è la scarcerazione”, ha detto Mads Andenas, Presidente del Gruppo. Gli esperti ricordano le raccomandazioni formulate dal Presidente Giorgio Napolitano nel 2013, incluse le proposte in materia di amnistia e indulto, e le considerano “quanto mai urgenti per garantire la conformità al diritto internazionale”.

Per l’Onu le recenti riforme tese a ridurre la durata delle pene detentive, il sovraffollamento carcerario e il ricorso alla custodia cautelare sono positive, ma sussistono preoccupazioni per l’elevato numero di detenuti in regime di custodia cautelare ed il ricorso sproporzionato alla custodia cautelare per gli stranieri e i Rom, minori compresi.

L’Italia – spiega il gruppo dell’Onu – non ha una politica generale di detenzione obbligatoria per tutti i richiedenti asilo e migranti irregolari, ma restiamo preoccupati per la durata della detenzione amministrativa e per le condizioni detentive nei Centri di identificazione ed espulsione”.

Gli esperti si dicono inoltre preoccupati per i resoconti dei rimpatri sommari e per il fatto che “il regime detentivo speciale previsto dall’articolo 41 bis” per i mafiosi non è ancora stato allineato agli obblighi internazionali in materia di diritti umani. Composto da cinque esperti, il gruppo di lavoro dovrebbe presentare un rapporto al Consiglio Onu dei diritti umani nel settembre 2015.

Monica Ricci Sargentini

Corriere della Sera, 12 luglio 2014

http://www.radioradicale.it/l-onu-all-italia-carceri-troppo-affollate-trovate-alternative-alla-detenzione

Palombarini (Magistratura Democratica) : Le Carceri e le colpe dell’Italia. Occorre approvare il reato di Tortura


Carceri-San-Vittore-by-Inside-CarceriPare proprio che sia impossibile per l’Italia adeguarsi ai principi europei (e della civiltà) in materia di trattamento da riservare alle persone arrestate o fermate dalla polizia. A suscitare allarme non ci sono soltanto le ricorrenti cronache giudiziarie relative a processi contro agenti accusati di avere provocato la morte di qualche giovane.

Ci sono anche le sentenze delle Corti internazionali a ricordarci la situazione. Nel giro di una settimana, infatti, l’Italia ha riportato due condanne dinanzi alla Corte europea dei diritti umani, una per i maltrattamenti inflitti dalle forze dell’ordine a una persona in stato di arresto (sentenza 24 giugno 2014, Alberti contro Italia), e un’altra, otto giorni dopo, per i maltrattamenti a molti detenuti nel carcere di Sassari (sentenza Saba contro Italia).

Non si tratta di sentenze che stabiliscono nuovi principi di diritto. Entrambe costituiscono semplici conferme della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione). Esse meritano tuttavia attenzione perché ricordano, una volta ancora, che in Italia le violenze fisiche e morali perpetrate dalle forze dell’ordine sulle persone in Stato di privazione della libertà personale rimangono prive di adeguate sanzioni. Il caso Saba, in particolare, è esemplare.

I fatti risalgono all’aprile del 2000, quando alcuni detenuti del carcere di Sassari denunciarono le violenze di ogni genere subite da parte della polizia penitenziaria in occasione di una perquisizione della struttura (agenti di altri stabilimenti vennero inviati a Sassari per rafforzare la guarnigione locale).

Dopo vari tentativi di insabbiamento o di minimizzazione da parte di alcune pubbliche autorità, grazie all’opera di un coraggioso pubblico ministero, Mariano Brianda, si aprirono le indagini che portarono alla richiesta di rinvio a giudizio per novanta persone tra agenti ed altri membri dell’amministrazione penitenziaria in relazione ai delitti di violenza privata, lesioni personali aggravate ed abuso d’ufficio, commessi nei confronti di un centinaio di detenuti.

Dei sessantuno imputati che scelsero il rito abbreviato solo dodici furono condannati, con pene da quattro mesi a un anno e mezzo di reclusione, tutte sospese, per i delitti di violenza privata aggravata e abuso di autorità contro arrestati o detenuti (art. 608 del codice penale). In appello le condanne divennero definitive per nove di loro, ad alcuni dei quali vennero altresì applicate lievi sanzioni disciplinari.

Quanto agli altri ventinove imputati, soltanto in nove vennero rinviati a giudizio, mentre per venti fu pronunciata sentenza di non luogo a procedere. Pur ritenendo accertato che si fosse verificato un episodio violenza inumana e gratuita, nel corso del quale i detenuti erano stati costretti a denudarsi, insultati, minacciati e in taluni casi anche picchiati (sono queste le parole dei giudici), il Tribunale prosciolse tutti gli imputati: due di loro per carenza di prove, gli altri sette per sopravvenuta prescrizione dei reati.

Oltre al rammarico per la gravità dei fatti e per la cattiva fama che il nostro paese si va costruendo a livello internazionale, ciò che colpisce è la modestia delle conseguenze che subiscono coloro che quella cattiva fama determinano. La prescrizione è la regina delle ciambelle di salvataggio.

Ma l’assenza nel nostro ordinamento del reato di tortura (la cui introduzione, prevista da convenzioni sottoscritte dall’Italia, è stata più volte sollecitata anche da organismi internazionali), determina per coloro che sono riconosciuti colpevoli l’inflizione di pene modestissime, di regola sospese.

E le misure disciplinari che conseguono a condanne simboliche sono altrettanto simboliche. Ciò induce a pensare che siano forti in molti ambienti i sentimenti di solidarietà verso coloro che violano le regole a danno delle persone detenute. Infatti, sono trascorsi più di dieci anni dai fatti di Sassari, ma la situazione, anche normativa, non si è modificata.

Giovanni Palombarini (Magistratura Democratica)

Messaggero Veneto, 16 luglio 2014