Riattivata la sartoria nel Carcere di Castrovillari. Le detenute producono mascherine anti Covid


Mentre l’Italia era in lockdown e l’epidemia Covid manifestava tutta la sua virulenza, in molte realtà penitenziarie del Paese si è scelto di dare il proprio contributo nella lotta al virus, facendosi carico del confezionamento di mascherine.

Così in diverse strutture di pena ci si è ingegnati per capire come avviare la produzione. La Casa Circondariale di Castrovillari “Rosetta Sisca”, su input del suo Direttore Giuseppe Carrà, ha scelto di rimettere in attività la sartoria nella sezione femminile: “Certamente la difficoltà nel reperimento dei dispositivi di protezione individuale che in marzo risultavano introvabili, ha giocato un ruolo importante nella decisione di riattivare la sartoria, ma – ha raccontato Carrà – la valenza trattamentale del progetto ha dato la spinta propulsiva. Il carcere deve e può essere lo strumento per restituire alla società dei cittadini migliori”.

L’istituto calabrese non è nuovo a esperienze di inclusione sociale e di giustizia ripartiva e, nel solco già tracciato dalle precedenti esperienze, in tempi brevissimi, ha avviato il progetto-mascherine: tre detenute, abili nei lavori sartoriali, hanno immediatamente manifestato l’entusiasmo e la voglia di dare il loro contributo nei difficili giorni di emergenza per l’epidemia da Covid 19, “prestando il loro lavoro punto dopo punto, taglio dopo taglio, per ricucire, non solo il tessuto, ma anche lo strappo con la società”.

Come spiegato dal Direttore dell’Istituto Carrà “il lavoro è uno degli elementi fondamentali che la nostra legislazione prevede per la rieducazione, ancor di più quando si tratta di volontariato: l’auspicio è di distribuire gratuitamente questi fondamentali strumenti di tutela sanitari anche sul territorio”.

Il risultato ottenuto nella realizzazione della mascherine, di assoluto rilievo, è frutto della sinergia e del lavoro di squadra tra le diverse componenti che animano l’istituto calabrese, dall’area sicurezza con il Comandante di Reparto della Polizia Penitenziaria Carmine Di Giacomo, all’area trattamentale con il Funzionario Giuridico Pedagogico Luigi Bloise. I presidi sanitari, soggetti a specifica autorizzazione dell’Università degli Studi di Catania, contribuiscono così alla sicurezza dei cittadini e danno sostanza allo sforzo rieducativo di chi sta scontando la pena.

Complimenti all’Amministrazione Penitenziaria, centrale e periferica, per questa ennesima lodevole iniziativa ed alle tre sarte detenute per il loro prezioso contributo nella produzione e confezionamento dei dispositivi individuali di protezione per fronteggiare questa emergenza sanitaria.

 

 

Coronavirus, il Csm boccia il Decreto del Governo sulle Carceri perché inadeguato ed insufficiente


Consiglio Superiore della MagistraturaIl Consiglio Superiore della Magistratura, riunitosi lo scorso 26 marzo a Roma a Palazzo dei Marescialli, con pochi Consiglieri presenti e tanti da remoto, ha bocciato l’operato del Governo, per quanto concerne le misure adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19 negli Istituti Penitenziari della Repubblica, contenute nel Decreto Legge n. 18/2020 cd. “Decreto Cura Italia”. Il parere del Plenum del Csm è stato approvato con una maggioranza risicata (12 voti a favore, 7 contrari e 6 astensioni). Hanno votato contro, pur criticando il Decreto Legge del Governo, i Consiglieri laici della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle e i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo (il primo di Autonomia e Indipendenza, il secondo indipendente). si è astenuto il Gruppo di Area (Associazione dei Magistrati Progressisti) mentre tutti gli altri Consiglieri hanno votato a favore, compreso il Primo Presidente ed il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone e Giovanni Salvi.

In particolare, per quanto riguarda le misure introdotte con gli Articoli 123 e 124, incidenti sulla esecuzione della pena e valevoli dall’entrata in vigore del Decreto Legge fino al 30 giugno 2020, l’Assemblea di Palazzo dei Marescialli, si è pronunciata negativamente, bollandole come del tutto inadeguate ed insufficienti a far fronte alle esigenze di contenimento del contagio nelle carceri sovraffollate, esigenze che lo stesso legislatore ha di fatto ritenuto indifferibili. Infatti, l’aver reso l’utilizzo dei mezzi elettronici di controllo una condizione per la concreta fruizione della misura tutte le volte in cui la pena da eseguire sia superiore a sei mesi contribuirà significativamente a render l’istituito della detenzione domiciliare ‘in deroga’ inadeguato a conseguire le finalità, esplicitate nella relazione illustrativa, di una riduzione del sovraffollamento carcerario nell’ottica di contenere l’elevato rischio di un diffuso contagio all’interno degli Istituiti Penitenziari e di una migliore gestione dell’emergenza sanitaria. Inoltre, una parte numericamente non esigua della popolazione detenuta non potrà, infatti, avere accesso alla misura per l’indisponibilità di un effettivo domicilio. Per quanto concerne invece le licenze premio ai detenuti ammessi al regime di semilibertà, per limitare il rischio di contagio riducendo i loro rientri negli Istituti Penitenziari, il Governo ha previsto la possibilità che le licenze possano avere una durata superiore ai 45 giorni annui, sino al 30 giugno 2020, in deroga a quanto stabilito dall’Art. 52 dell’Ordinamento Penitenziario.

Secondo il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, l’esigenza di assicurare negli Istituti Penitenziari la tutela del diritto alla salute dei detenuti, degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, degli operatori e di tutto il personale che vi opera, l’eccezionale gravità della situazione epidemiologica del paese che rende concreto il rischio di una diffusione del contagio all’interno degli Istituti di pena, la necessità di scongiurare scelte ben più radicali e drammatiche che si imporrebbero in quest’ultimo caso, rendono indifferibile l’adozione di soluzioni atte a ridurre le condizioni di sovraffollamento carcerario. In difetto di un significativo mutamento di prospettiva da parte del legislatore, la Magistratura di Sorveglianza si troverà a svolgere un difficile ruolo di supplenza, con l’assunzione di gravi responsabilità. I Giudici di Sorveglianza, infatti, dovranno ricercare soluzioni adeguate a contemperare la sicurezza collettiva con l’esigenza di garantire la massima tutela della salute dei detenuti e di tutti coloro che operano all’interno degli Istituti Penitenziari, muovendosi in un quadro normativo che non offre strumenti per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento che, in considerazione dei gravi rischi che determina per la salute collettiva, richiede precise e urgenti scelte da parte del legislatore. Infine, in considerazione della situazione di sovraffollamento carcerario e della ratio dell’Art. 123, volto a ridurre la popolazione carceraria nella fase dell’emergenza sanitaria, si rileva l’opportunità di interventi tesi a differire l’ingresso in carcere di condannati a pene brevi per reati non gravi, per il solo periodo corrispondente alla durata dell’emergenza epidemiologica.

Parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul “Decreto Cura Italia”

Emilio Enzo Quintieri

 

Coronavirus, aumentano gli Istituti Penitenziari attrezzati per le videochiamate tra detenuti e familiari


skype carcereLe videochiamate, usate in tempi di Coronavirus anche dai cittadini meno “social”, sono ormai concesse ai detenuti in quasi tutti gli istituti penitenziari per supplire alla mancanza di colloqui “in presenza” con i familiari imposta dalle misure di prevenzione del contagio. Un’opportunità consentita già da una circolare del 2015 del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) che aveva aperto la strada ad alcune sperimentazioni, ma che la diffusione del Covid-19 ha reso una forma di comunicazione ordinaria.

La piattaforma individuata per le garanzie di sicurezza offerte è l’applicazione Skype for business. Ma una soluzione alternativa è arrivata dalla sperimentazione dell’uso della piattaforma Cisco Webex – normalmente usata per le videoconferenze e la collaborazione in ambito aziendale – avviata nel carcere di Bollate, struttura che ospita ormai da vent’anni la Networking Academy Cisco. Una realtà di alto livello formativo frequentata da oltre mille detenuti e detenute, molti dei quali hanno conseguito certificazioni utili per il reinserimento socio-lavorativo una volta terminata la pena.

La sperimentazione si è rivelata funzionale alle esigenze di comunicazione e di sicurezza, grazie alla presenza di lunga data dell’azienda negli istituti penitenziari e alla conoscenza delle particolari caratteristiche di queste realtà. Cisco Webex, disponibile con licenza gratuita da scaricare online, si acquisisce in pochi minuti su qualsiasi dispositivo, non grava troppo sulle infrastrutture tecnologiche presenti negli istituti di pena ed è di facile e utilizzo anche per i familiari dei detenuti. L’applicazione è ora in uso in ben 30 istituti penitenziari, da quello romano di Regina Coeli a quello di San Vittore a Milano, dalla casa circondariale di Aosta a quella di Gela in Sicilia.

Si tratta di un progetto che è stato possibile realizzare in breve tempo, grazie anche alla disponibilità della direttrice di Bollate Cosima Buccoliero, all’azione della Cooperativa Universo creata da Lorenzo Lento, ‘storico’ istruttore della Networking Academy a Bollate, e al contributo dell’agente della Polizia Penitenziaria Costantino Minonne, assistente capo coordinatore e appassionato d’informatica.

Minonne, formatosi alla Cisco Academy (“fuori orario di servizio” come specifica lui), ha svolto un ruolo chiave per permettere di replicare il progetto di Bollate in altri istituti. L’agente ha fatto da tramite formativo per i colleghi dei primi trenta istituti che già si avvalgono della piattaforma: “L’impegno è quello di fornire assistenza, indicazioni in caso di dubbi e anche di accertarmi del funzionamento effettivo negli istituti in cui è stato implementato il sistema”. Grazie a Costantino e ai suoi colleghi, sempre più detenuti ogni giorno potranno non solo parlare e vedere i loro familiari, ma ritrovare scorci di ambienti casalinghi, dettagli domestici magari dimenticati.

“È consentito inquadrare ambienti dell’abitazione, ma nel rispetto delle norme di sicurezza – spiega Costantino – che per le videochiamate sono le stesse che si utilizzano per i colloqui visivi. Il familiare inquadrato mostra il documento e dalla postazione di controllo l’operatore verifica che si tratti di una persona autorizzata ai colloqui. La vigilanza è sempre scrupolosa e se compaiono persone non autorizzate, la videochiamata viene subito bloccata”.

La presenza di Costantino in carcere, anche in tempo di Coronavirus, è ormai divenuta indispensabile. “I problemi veri sono quelli con la mia famiglia che non mi vede più – conclude sorridendo – per il resto non corro rischi di contagio, perché lavoro da solo in una stanza in compagnia solo dei miei monitor”.

Antonella Barone

http://www.gnewsonline.it, 26 marzo 2020

Coronavirus, l’Onu striglia l’Italia: liberate i detenuti, specie quelli più anziani e malati o non pericolosi


pol pen sorveglianza regiaAnche l’Onu chiede ai governi mondiali di porre in atto tutte le misure possibili per ridurre il numero delle persone detenute in carcere, tra le più vulnerabili in caso di contagio. La richiesta è arrivata mercoledì da Michelle Bachelet, due volte presidente del Cile e attualmente Alto commissario Onu per i diritti umani.

Intervenendo da Ginevra, la Bachelet ha chiesto disposizione in particolare per le persone più anziane, malate, o non pericolose. “Il Covid-19 ha iniziato a colpire carceri, prigioni, centri di detenzione per migranti, case di cura e ospedali psichiatrici, e rischia di essere devastante per le popolazioni estremamente vulnerabili di tali istituzioni. I governi dovrebbero rilasciare ogni persona detenuta senza una base giuridica sufficiente, compresi prigionieri politici e altri detenuti semplicemente per aver espresso opinioni critiche o dissenzienti”, è stato l’appello della Bachelet.

E l’Italia? Ai deputati che lo hanno interpellato durante il question time a Montecitorio, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha spiegato che a sette giorni dall’entrata in vigore del decreto “sono 50 i detenuti” che hanno beneficiato degli arresti domiciliari, mentre sono 150 “quelli in semilibertà cui è stata concessa una licenza in modo da non farli rientrare in carcere la sera”. Intanto i casi di contagio in carcere ci sono, eccome. “Ce ne sono quindici”, è costretto ad ammettere il Guardasigilli. E dove vengono messi? “In isolamento”, si limita a dire Bonafede.

Intanto però i casi di contagio in carcere ci sono, eccome. «Ce ne sono quindici», è costretto ad ammettere il Guardasigilli. E dove vengono messi? «In isolamento», si limita a dire Bonafede.

Il tutto mentre solo pochi giorni fa rivolte scoppiavano in decine di carceri in tutta Italia, con 15 detenuti morti tra Modena, Rieti e Bologna mentre erano sotto la custodia e la responsabilità dello Stato.

Per fare un esempio nella vicina Francia il ministro della giustizia ha annunciato il rilascio di 5.000 detenuti. Nel Paese del presidente Macron sono sette i detenuti risultati positivi al coronavirus, uno è morto e 315 sono in prigione.

Il Riformista – 26 marzo 2020

http://www.ilriformista.it