Coronavirus, Di Rosa (TdS Milano): Ministro Bonafede bisogna mandare i detenuti ai domiciliari. Lo Stato rispetti le sue Leggi


Giovanna Di Rosa Presidente TdS di MilanoLa Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Giovanna Di Rosa: “Non viene garantito il distanziamento sociale. Ci deve essere un meccanismo automatico per mandare a casa i detenuti”.

Quando lo Stato prende in carico una persona per fargli espiare una pena deve fare in modo che ciò avvenga in condizioni di legalità e di tutela delle esigenze di salute. Se non è possibile, cosa l’ha messa a fare in carcere? Che messaggio viene dato quando lo Stato per primo non rispetta le regole?”, tuona Giovanna Di Rosa, Presidente del Tribunale di sorveglianza di Milano.

La Presidente Di Rosa sta fronteggiando l’emergenza Covid-19 da un’aula d’udienza ubicata al piano terra del Palazzo di giustizia del capoluogo lombardo. Gli uffici della Sorveglianza, posti all’ultimo piano, sono andati distrutti la scorsa settimana a seguito di un violento incendio causato da un cortocircuito.

Presidente, com’è la situazione adesso?

Di disagio estremo. Siamo accampati. L’Ufficio di Sorveglianza di Milano aveva diverse stanze, adesso è concentrato in un unico ambiente al cui interno abbiamo allestito, in maniera estremamente precaria, cinque postazioni. Il problema è che non abbiamo i fascicoli: dobbiamo andarli a recuperare di volta in volta nel piano incendiato dove però non c’è più l’illuminazione ed è tutto avvolto dalla cenere.

E nelle carceri milanesi

La difficoltà principale, per mancanza di spazio, è quella di riuscire a garantire il “distanziamento sociale” per scongiurare il contagio. Ma non essendoci lo spazio per quelli in regime normale, che sono di più di quelli che dovrebbero essere.

Come ci si organizza?

A San Vittore, ad esempio, per creare le zone d’isolamento stanno pensando di chiudere il centro clinico. E i malati, allora, dove si mettono?

Alcuni giorni fa ha inviato, con la collega della Sorveglianza di Brescia Monica Lazzaroni, una nota al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede con alcune proposte per fronteggiare l’emergenza Covid. Può illustrarcene qualcuna?

Premesso che il sistema è responsabile del sovraffollamento, in questo momento di grandissima emergenza ci deve essere un meccanismo automatico per la concessione dei domiciliari.

Senza passare dal Magistrato di sorveglianza?

Esatto: l’applicazione della detenzione domiciliare, se vogliamo alleggerire le strutture, deve essere automatica. Ad esempio, per chi ha un residuo di pena sotto ai due anni e la disponibilità di un domicilio. Ovviamente non deve aver partecipato alle ultime rivolte. Le attuali procedure per la concessione delle misure alternative al carcere sono fatte per tempi ordinari e non sono compatibili con quelli della pandemia. Bisogna fare l’istruttoria, attendere il visto del pm, tutta una seria di passaggi che rendono lungo l’iter. Il diretto vivente deve adattare le sue norme alla situazione sanitaria.

Il ministro ha risposto?

A oggi (ieri per chi legge, ndr), no.

Anche il personale delle Sorveglianza è stato colpito dal virus?

I Tribunali di sorveglianza sono stati decimati, ci sono stati contagi, il personale è a casa autodecimato. Già per carenze di personale erano disorganizzati, ora hanno ricevuto il colpo di grazia.

La strada maestra è un provvedimento legislativo “chiaro”?

Sì. Penso anche a quello per non mandare in esecuzione ordini di carcerazione per sentenze che hanno avuto un lunghissimo iter processuale e arrivano a tanti anni dalla data di commissione del fatto. Non mi pare il caso adesso di procedere con nuovi accessi.

E per chi è in custodia cautelare?

Ci siamo già coordinati con il Gip e con la Corte d’appello affinché sia incentivata il più possibile la detenzione domiciliare.

Oltre alla mancanza di spazi, nelle carceri mancano pure le mascherine e i prodotti igienizzanti…

Ultimamente a Milano c’è stata una loro fornitura da parte di alcuni privati. Ma affidare allo spontaneismo la gestione delle carceri non può diventare un sistema: la solidarietà è un valore costituzionale che lo Stato deve rispettare.

Pensa che non ci sia piena consapevolezza dei rischi di un contagio di massa nelle carceri?

C’è esitazione ed incertezza. Non compete a me fare valutazioni politiche, penso però che qualsiasi decisione debba essere accompagnata dalla preventiva verifica dei luoghi. Io conosco benissimo le carceri e so come si vive al loro interno. Invito tutti a fare altrettanto, andando a vedere con i propri occhi e non da dietro un pc. Vuole aggiungere qualcosa? Voglio solo dire che, nonostante l’incendio, non ci siamo fermati neanche un giorno. L’impegno è massimo e saremo all’altezza della responsabilità che abbiamo.

Paolo Comi

Il Riformista, 7 aprile 2020

Detenuto 32enne con fine pena a novembre si impicca nel Carcere di Aversa. E’ il sedicesimo del 2020


agente penitenziario cancelloAncora un suicidio negli Istituti Penitenziari d’Italia. Un detenuto romeno, Emil V., 32 anni, si è tolto la vita impiccandosi con delle lenzuola all’alba nella sua cella che condivideva con altri quattro compagni. L’uomo era ristretto presso la Casa di Reclusione di Aversa “Filippo Saporito”, in Provincia di Caserta, per espiare una condanna definitiva per rapina che avrebbe terminato a novembre, tra pochi mesi. Purtroppo, nonostante i soccorsi immediati da parte del personale di Polizia Penitenziaria addetto alla sorveglianza, per il 32enne non c’è stato niente da fare.

In questo tempo così disperato e così intenso si continua a morire di carcere e in carcere. Emil era detenuto per rapina e sarebbe uscito a novembre. Non faceva colloqui, non aveva mai avuto sanzioni disciplinari. Gli altri suoi quattro compagni di cella non si sono accorti del suo gesto disperato. Sebbene il fenomeno dei suicidi in carcere sia in diminuzione, e aumentano i casi di autolesionismo, il suicidio di una persona privata della libertà, in particolare, costituisce, da un lato, il fallimento più evidente del ruolo punitivo dello Stato. E la politica e l’opinione pubblica vivono l’indifferenza. Lo dice Samuele Ciambriello, Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Campania.

La questione penale è seria e per essere concretamente valutata necessita di verità, trasparenza e di una riconsiderazione complessiva, e l’autolesionismo e in casi estremi il suicidio, rappresentano l’ultima residuale forma di reclamo, di richiesta di attenzioni da parte di un universo di disperati che, nella gran parte dei casi, non possiede molte altre alternative per far sentire la propria presenza.

Il carcere di Aversa – aggiunge il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti – in questi giorni aveva attirato la mia attenzione, positivamente, per i provvedimenti fatti dal Magistrato di Sorveglianza per la detenzione domiciliare in seguito al Decreto 123, erano usciti 8 detenuti, altri 12 aspettano i fantomatici braccialetti e nove relazioni sanitarie sono in attesa delle decisioni del Magistrato. Il carcere è una lente particolare attraverso cui guardare la nostra società e, per tale ragione, chiedersi anche che fare dopo le restrizioni dei contatti con l’esterno causa corona virus non riguarda soltanto la vita dei detenuti, ma quella degli Agenti di Polizia Penitenziaria, dell’area educativa, delle direzioni delle carceri e degli operatori socio sanitari, conclude Ciambriello.

Con il decesso di Emil V. salgono a 48 i detenuti morti negli Istituti Penitenziari d’Italia dall’inizio dell’anno di cui 16 per suicidio.

Coronavirus, scarcerati oltre 4 mila detenuti. 37 detenuti, 158 Agenti e 5 Operatori Penitenziari positivi al Covid-19


Pol Pen Covid-19Sono oltre 4 mila i detenuti usciti dagli Istituti Penitenziari a partire dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. Lo riporta, in una nota, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Al 29 febbraio scorso, poco tempo dopo le prime indicazioni inviate dal DAP agli istituti per la prevenzione del contagio da Covid-19, erano presenti 61.230 detenuti. Alla mattina di oggi, 6 aprile, se ne contano 57.137: cioè 4.093 in meno.

Diversi i fattori che hanno inciso, in misura differente, sul calo di presenze: l’esecuzione della pena nel domicilio dovuta all’applicazione dell’art. 123 del decreto-legge 18/2020 e alla legge 199/2010; i motivi sanitari dovuti al contagio da coronavirus o a situazioni di incompatibilità con lo stato di salute del detenuto; il maggior ricorso di permessi ai semiliberi, che in tal modo possono evitare il rientro serale in istituto. Da segnalare anche l’improvvisa diminuzione dei reati che ha causato la conseguente riduzione degli arresti in flagranza.

Sul fronte dei contagi, 37 sono i detenuti che risultano al momento contagiati, di cui nove ricoverati presso strutture ospedaliere mentre sono 8 quelli già guariti. Sono 158 invece i soggetti positivi al tampone fra le quasi 38 mila unità di Polizia Penitenziaria, di cui sedici ricoverati, tutti dispensati dal servizio. Cinque invece i contagiati fra il personale dell’Amministrazione Penitenziaria appartenenti al comparto funzioni centrali.

Marco Belli

http://www.gnewsonline.it, 6 aprile 2020

Coronavirus, Il Governo non sta tutelando la salute dei detenuti


carcere foto chiavi sbarreSaranno solo tremila i beneficiari della detenzione domiciliare prevista per i carcerati dal decreto Cura Italia e “non si possono stabilire distanze di un metro in celle di 3 metri per 3 se al loro interno sono recluse 4 persone. Si azzera ogni reattiva difesa immunitaria”.

“Le pene che oltrepassano la necessità di conservare il deposito della salute pubblica sono ingiuste di lor natura”, scriveva Cesare Beccaria, ma il suo monito si è perso durante l’emergenza pandemica in atto. Le istituzioni sono immobili e il totale caos normativo di natura interpretativa e applicativa sulle misure detentive carcerarie rende tutto più complicato.

Eppure “Il diritto alla salute”, anche “intramurario”, è annoverato tra i diritti fondamentali e considerato diritto naturale, riconosciuto dalle convenzioni internazionali. La stessa “quarantena”, fu istituita a livello sovranazionale nel XIV secolo come strumento di protezione contro il dilagare della peste nera – ma è sancito soprattutto dall’articolo 32 della Costituzione Italiana.

Non sono bastate le esortazioni dell’Associazione nazionale magistrati, del Consiglio superiore della Magistratura e dello stesso Papa a convincere il governo ad affrontare con risolutiva determinazione la situazione all’interno degli istituti penitenziari. Sono delle vere e proprie bombe epidemiologiche non solo per i detenuti ma anche per i detenenti: la deflagrazione sarebbe distruttiva.

Il 15 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha redatto delle linee guida applicabili in ambiente detentivo allo scopo di prevenire la diffusione del Sars-Cov 19. Tra queste raccomandazioni innanzitutto quella di osservare la distanza fisica di un metro. Ma come si può pensare, in Italia, di poter far rispettare questa cautela? Prossemica impossibile. Ed eccolo lì, il ritorno al problema del sovraffollamento carcerario che affligge il nostro paese. Secondo i dati del 29 febbraio forniti del Ministero della Giustizia, in Italia ci sono 61.230 detenuti (di questi soltanto 41.873 risultano essere condannati in via definitiva) a fronte di una capienza pari a 50.931 posti.

L’Italia, non a caso, è stata condannata più volte, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Corte di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante dei detenuti, costretti a vivere in spazi angusti e in pessime condizioni igienico sanitarie. “È insopportabile che io, ogni anno, debba fare lo stesso resoconto; che nulla sia cambiato; che nonostante l’evidenza drammatica di una condizione disumana, non un passo sia stato compiuto, per rendere più degna l’esecuzione penitenziaria”, ha detto Luca Bisori, presidente della Camera penale di Firenze. Sempre L’Oms ha raccomandato misure di protezione personale quali igiene delle mani, disinfestazione degli ambienti e uso di mascherine protettive. Ma ancora una volta sembra difficile pensare che siano reperiti i dispositivi sanitari necessari per tutti coloro che ruotano attorno alle strutture carcerarie, quando mancano in molti ospedali italiani.

“Il tema della compatibilità carceraria, cioè a dire del poter scontare la propria pena in galera è uno dei nodi cruciali del sistema penitenziario italiano”, spiega l’avvocato Salvatore Staiano, esperto di diritto penale e penitenziario, convinto che si debba evitare che i detenuti vivano un situazioni di abbattimento, di afflizione psicologica dovuta all’assoluta impossibilità difensiva contro il mostro invisibile del coronavirus. “Non si possono stabilire distanze di un metro in celle di 3 metri per 3 se al loro interno sono recluse 4 persone – continua l’Avvocato Staiano -, vi consegue una assoluta destrutturazione psicologica, i detenuti si sentono abbandonati e vinti. Si azzera ogni reattiva difesa immunitaria”.

Il carcere, infatti, cagiona, depauperandolo, un indebolimento del sistema immunitario e a dimostrarlo sarebbero i dati relativi al dilagare dell’epatite C, dell’Hiv e dei problemi psichiatrici e di astinenza da sostanze stupefacenti. Il Decreto Cura Italia, che ha introdotto misure per contrastare gli effetti provocati dall’emergenza epidemiologica in atto, – viste anche le numerose rivolte scoppiate all’interno delle carceri a causa della “serrata” che aveva bloccato, per tutelare la salute dei reclusi, ogni contatto con l’esterno, vietando così ai carcerati i colloqui con i familiari -, prevede la detenzione domiciliare per chi debba scontare una pena o un residuo di pena fino a 18 mesi. Previsione, diremmo sommessamente, debole e inefficace; potendosi bene elevare la quota di pena ad anni 3 comunque restando all’interno delle previsioni “liberatorie” dello stesso ordinamento penitenziario.

Ma saranno poco meno di tremila i beneficiari di questa misura. Inoltre, tale previsione, escludendo tutti i condannati per i reati ostativi, creerebbe una discriminazione: si andrebbe a tutelare la salute solo di una categoria di detenuti; basterebbe sogliare il beneficio anche in afferenza alla peculiare elevata pericolosità del detenuto postulante. Come se non bastasse, nel nostro sistema processuale, pur essendo considerato il carcere come extrema ratio, risulta che il 30% dei detenuti sia in carcerazione preventiva e in attesa di un esito definitivo, il che non esclude vi possa essere una assoluzione.

Forse, la pandemia in atto, potrebbe incentivare l’utilizzo di misure alternative alla detenzione. Se si considerasse il coronavirus elemento oggettivo di inapplicabilità della custodia carceraria, si alleggerirebbe la pressione delle presenze non necessarie nelle case circondariali, permettendo così il mantenimento della distanza di un metro e tutelando il diritto alla salute di 61.230 detenuti e di circa 45.000 soggetti che sostengono, orbitandone all’interno, l’intero sistema penitenziario.

Laura Caroleo

linkiesta.it, 6 aprile 2020

Coronavirus, il Pg della Cassazione Salvi: “Rischio epidemia, alleggerire le carceri”


CORTE DI APPELLO, INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIOCoronavirus, il Pg della Cassazione Salvi invia un messaggio alle Corti d’Appello di tutta Italia, chiedendo di privilegiare arresti domiciliari e braccialetto elettronico, salvo i casi di assoluta gravità. Il giurista Gian Luigi Gatta: “È giusto perché adesso la priorità è la salute pubblica”. Mentre la politica si divide, la magistratura si organizza da sé, sfruttando le leggi già in vigore, per affrontare e tentare di risolvere l’emergenza carceraria nei giorni durissimi del Coronavirus e dopo le rivolte di marzo. Il primo aprile, il Procuratore Generale della Cassazione Giovanni Salvi, dopo una riunione via web con i Pg di tutta Italia, ha sottoscritto un documento di 19 pagine che, sfruttando le leggi attualmente in vigore, tenta di affrontare il surplus di detenuti chiusi nelle patrie galere che, per oggettiva mancanza di spazio, non possono rispettare le regole anti Covid-19 ovviamente obbligatorie per tutti gli italiani.

La parola chiave con cui si chiude il testo è “detenzione domiciliare semplice”, indicata come la strada maestra da seguire. Non siamo di fronte ad alcuna forzatura, ma semplicemente allo sforzo di interpretare e applicare le norme già esistenti”.

Come scrive Gian Luigi Gatta, docente di diritto penale all’Università di Milano e direttore di “Sistema penale”, rivista online sulla giustizia che pubblica la circolare di Salvi e la commenta, “l’idea di fondo del documento è che l’esigenza di tutelare la salute pubblica, prevenendo la diffusione del contagio nelle sovraffollate carceri italiane, è in questo momento una priorità, che suggerisce ai pubblici ministeri l’opportunità di valutare le diverse opzioni che la legislazione vigente mette a disposizione per ridurre la popolazione penitenziaria”.

E infatti il punto di partenza è proprio questo: “Nel sistema processuale italiano il carcere è l’extrema ratio”. Di conseguenza, mai come in queste ore, “occorre incentivare le misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere” e questo “limitatamente ai delitti che fuoriescono dal perimetro presuntivo di pericolosità e con l’ulteriore necessaria eccezione legata ai reati da codice rosso”.

Derivano da qui due input per i pubblici ministeri: “Arginare la richiesta e l’applicazione di misure cautelari e procrastinare l’esecuzione delle misure emesse dal gip”. Poi, valutare il fermo per l’indiziato di delitto e l’arresto in flagranza, privilegiando i domiciliari. Ancora accelerare la convalida dell’arresto e il processo per direttissima. Visto che i delitti sono in calo addirittura del 75% probabilmente per l’obbligo di stare in casa, il consiglio del Pg Salvi ai suoi colleghi è quello di optare per gli arresti domiciliari anche con braccialetto. “Ad eccezione dei casi di rilevante gravità e di assoluta incompatibilità, si dovrebbe privilegiare, rispetto alla custodia cautelare in carcere, la scelta degli arresti domiciliari, ove necessario anche con l’uso del braccialetto elettronico, se disponibile”.

E se i braccialetti, com’è evidente dall’affannosa ricerca che in queste ore ne sta facendo il Guardasigilli Alfonso Bonafede, non ci sono? “In caso di indisponibilità – consiglia Salvi – la giurisprudenza di legittimità in materia impone comunque un bilanciamento delle diverse esigenze, tra cui quella della tutela della salute individuale e collettiva è particolarmente significativa”.

Il Pg della Cassazione consiglia, in quel caso, di “applicare la detenzione domiciliare semplice: il detenuto dovrà essere controllato con i mezzi ordinari fino a quando non dovesse essere possibile applicare il dispositivo di controllo, a meno che non sussistano gravi motivi ostativi alla concessione della misura”. A ciò si aggiunge il suggerimento di sospendere o rinviare le misure cautelari già emesse e di rinviare quelle per le pene sotto i 4 anni. Per chiudere ancora con le parole di Gatta si tratta di “un documento di particolare interesse non solo per la prassi, ma anche per il valore che assume, in questo particolare momento che sta attraversando il Paese e, con esso, la giustizia penale”.

Secondo il giurista il testo è “la sintesi di riflessioni maturate da chi è chiamato, istituzionalmente, a prendere decisioni che incidono non solo sulla libertà personale e sui diritti fondamentali dei detenuti, ma anche – nel contesto di un’epidemia in corso – sulla salute pubblica di tutti i cittadini, compresi gli operatori penitenziari e di pubblica sicurezza, che si trovano a contatto con le persone private della libertà personale”.

Gatta considera “pregevole, a fronte dell’evidente insufficienza degli strumenti legislativi di nuovo conio, lo sforzo di cercare soluzioni nel diritto vigente, anche attraverso l’attività interpretativa e la proposta di adattare, allo scopo, soluzioni giurisprudenziali già sperimentate”.

Liana Milella

La Repubblica, 4 aprile 2020

Coronavirus, l’ex Pm Edmondo Bruti Liberati: “Se il carcere va fuori controllo, è a rischio la sicurezza pubblica”


Edmondo Bruti Liberati“Bisogna scarcerare subito”. Per l’ex Procuratore di Milano di fronte all’emergenza coronavirus “ridurre il sovraffollamento è urgente, prima che la situazione possa diventare ingestibile”.

“Si sente dire che nulla è e sarà più come prima dopo il Covid-19. È possibile pensare forse che il pianeta carcere sia in un altro sistema solare?”. È questo il fil rouge che segue l’ex Procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati nella sua riflessione con Repubblica sulle conseguenze del coronavirus sulla giustizia e sul carcere. Se nulla è e sarà più come prima, anche l’approccio alle scarcerazioni dovrà essere differente, perché “se il carcere va fuori controllo, sarà di conseguenza a rischio la sicurezza pubblica”. Quindi “è nell’interesse generale della collettività, se si vuole, delle persone “per bene”, che il carcere sia gestibile, facendo uscire un numero significativo di detenuti, con esclusione delle categorie di pericolosi”. I braccialetti? “Adesso lasciamoli perché comunque è fuori del mondo la sicurezza matematica che nessuno di coloro che usciranno dal carcere commetta nuovi reati”.

Carcere, giustizia, coronavirus. Un’emergenza quotidiana come questa diventa inevitabilmente dramma. Con 58mila detenuti coinvolti e migliaia di cittadini alle prese con una giustizia online. Che impressione le fa tutto questo?

“Nell’Ottocento i grandi carceri venivano costruiti in città come Regina Coeli a Roma e San Vittore a Milano come ammonimento della sorte che spetta a chi viola la legge. Oggi queste strutture, ormai al centro delle città, ci ammoniscono che non si tratta di un altro mondo, del tutto separato. Da qualche decennio in carcere sono andate anche persone diverse dalla malavita tradizionale: tossicodipendenti provenienti da famiglie che hanno vissuto il dramma di non essere riusciti a sottrarre i loro figli da quella spirale e anche, per reati economici o di corruzione, persone di ambienti “per bene”. Questa, molto parziale, “livella” ha costretto molte persone “per bene” che sarebbero state chiuse nell’ideologia “legge e ordine” e del “buttare la chiave delle celle” a fare esperienza di quanto provvidenziali siano le misure alternative al carcere”.

Lei la vede così? Io scorgo soprattutto interpretazioni e sensibilità diverse a seconda delle appartenenze ideologiche…

“Le mura di cinta del carcere non tracciano la linea tra i buoni e i cattivi. In carcere sono legittimamente detenute persone condannate per aver commesso un reato o in custodia cautelare, quando il sistema di giustizia ha ritenuto questa misura indispensabile. Per tutta la mia carriera, come giudice e come pubblico ministero, mi sono occupato di penale e per diversi anni sono stato magistrato di sorveglianza. In carcere ho conosciuto sia molti violenti e sopraffattori, sia persone, anche tra condannati per reati non lievi, che non potevo liquidare nella categoria dei “cattivi””.

Giusto il primo aprile, anche il Pg della Cassazione Giovanni Salvi ha ribadito che “il carcere è sempre l’estrema ratio”, quindi se lo è in condizioni normali, adesso più che mai è necessario evitarlo…

“Il Procuratore Generale, prima di indicare possibili interpretazioni, ha posto in modo netto la seguente questione: “L’emergenza coronavirus costituisce un elemento valutativo nell’applicazione di tutti gli istituti normativi vigenti”. Covid-19 ha mutato il nostro modo di vita, ha determinato sofferenze e lutti, conseguenze drammatiche sull’occupazione e sull’economia. Nulla è e sarà più come prima, si dice. È possibile pensare forse che il pianeta carcere sia in un altro sistema solare?”

Giovanna Di Rosa, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano, ha inviato una lettera ufficiale agli altri capi degli uffici per chiedere uno stop alle carcerazioni. Misura giusta, inevitabile, oppure eccessiva?

“I magistrati di sorveglianza sono impegnati, in condizioni difficilissime, nell’applicazione degli istituti che consentono misure alternative al carcere, ma sulla base della loro esperienza ne hanno indicato l’assoluta insufficienza a far fronte a una situazione eccezionale”.

Anche lei è stato Magistrato di Sorveglianza a Milano negli anni Settanta e ha vissuto le rivolte di quel periodo…

“Il carcere è relativamente isolato rispetto all’esterno, ma non è impermeabile. Oltre all’ingresso dei nuovi arrestati, vi è una serie di contatti con l’esterno che passano per gli agenti penitenziari e anche per tutte le persone che contribuiscono alla gestione della struttura. In caso di epidemia la situazione rischia di andare fuori controllo; sarebbe difficile garantire protezioni adeguate agli stessi agenti penitenziari. Tra i detenuti il timore per l’infezione, eventualmente anche sollecitato e sfruttato da quei, pochi ma di peso, detenuti pericolosi, potrebbe rendere la situazione ingestibile. Le prime vittime delle rivolte in carcere sono i detenuti non pericolosi (la grande maggioranza), assoggettati alle sopraffazioni dei, pochi, pericolosi, quando il controllo non è più assicurato dalla polizia penitenziaria. Le ricadute di una situazione fuori controllo sull’ordine e la sicurezza pubblica sarebbero disastrose”.

Ci spiega con semplicità che si può fare per alleggerire (e non “svuotare” termine orribile) le carceri?

“Ridurre il sovraffollamento del carcere è oggi necessario e urgente. Senza aspettare situazioni che potrebbe divenire ingestibili. Tutti gli argomenti “umanitari” sono già stati messi in campo. Ma a chi fosse insensibile propongo un messaggio in termini utilitaristici. È nell’interesse generale della collettività, se si vuole, delle persone “per bene”, che il carcere sia gestibile, facendo uscire un numero significativo di detenuti, con esclusione delle categorie di pericolosi. Nell’interesse dell’ordine e della sicurezza pubblica. Nessuno, ovviamente, può garantire che per i detenuti che dovessero uscire vi sia “recidiva zero”. Ma la situazione di quasi-coprifuoco che è in atto di fatto riduce di molto la concreta possibilità di mettere in atto quei reati predatori che più possono preoccupare”.

Lei ritiene che un’ipotesi di indulto o amnistia, come sollecitano i Radicali e le Camere penali, sia praticabile?

“Vi è un ruolo oggi per gli intellettuali: personaggi pubblici autorevoli, non solo giuristi, di diverse tendenze, compresi sostenitori di “legge e ordine”, di “tough on crime”, ma consapevoli dell’eccezionalità della situazione si impegnino a far passare un messaggio di razionalità, che possa far breccia nell’opinione pubblica e indurre tutte le forze politiche, anche della attuale opposizione, a un’assunzione di responsabilità”.

Il suo è un sì a misure di clemenza?

“No, affatto. Oggi un indulto è impraticabile, ma vi sono misure che possono portare a una limitata, ma significativa e immediata diminuzione dei detenuti. Le disposizioni del decreto legge n.18 del 17 marzo 2020 sono del tutto insufficienti. La prossima sede parlamentare della conversione del decreto legge apre due astratte possibilità; quella, perniciosa, di emendamenti che restringano le pur limitate disposizioni finora introdotte e quella, virtuosa, di emendamenti che coraggiosamente amplino l’ambito di operatività delle misure già introdotte e vi aggiungano altre misure deflattive”.

A cosa sta pensando?

“Le proposte tecniche non mancano, dall’ampliamento della detenzione domiciliare, a quello delle riduzioni di pena per la cosiddetta “liberazione anticipata per buona condotta”, alla sospensione degli ordini di esecuzione per i reati non gravi. Si veda, da ultimo, il documento del 23 marzo dell’Associazione italiana dei professori di diritto penale. Per i semiliberi si ipotizza che non rientrino in carcere la sera e così dovrà essere per un periodo non breve. Ma altrettanto si deve fare per gli ammessi al “lavoro all’esterno”, una condizione giuridica diversa, ma nella pratica assimilabile alla semilibertà. Aggiungo un aspetto che può apparire minore, ma non lo è”.

E sarebbe?

“L’inevitabile riduzione dei colloqui ha creato situazioni di tensione e molti detenuti comunque possono avere contatti solo telefonici con le loro famiglie. Sia questa l’occasione di un cambio di filosofia. Il 90% delle persone presenti in carcere non fa parte della criminalità organizzata: smettiamo di considerare le telefonate un “premio” da centellinare. Nei limiti delle possibilità pratiche consentiamo – ripeto, ai detenuti non di criminalità organizzata – la massima possibilità di telefonate, che possono comunque essere soggette a controllo. Consentire di mantenere i contatti con le famiglie non è solo, oggi, un gesto di umanità, ma è anche un investimento sulla futura risocializzazione del detenuto”.

I braccialetti elettronici. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede li sta cercando disperatamente. Teme l’effetto boomerang di possibili fughe. Ma questi braccialetti servono o no? Soprattutto, adesso, non rallentano le scarcerazioni?

“Non riusciamo a produrre in numero sufficiente mascherine, camici e apparecchi di respirazione. Pensa qualcuno, il Ministro o altri, che oggi vi possa essere una bacchetta magica che faccia comparire quei braccialetti che ieri non c’erano? Ho già detto che è fuori del mondo la sicurezza matematica che nessuno di coloro che usciranno dal carcere commetta nuovi reati. Ma indiscusse statistiche di lungo periodo hanno dimostrato che la percentuale di recidiva è enormemente più bassa per coloro che sono stati ammessi a misure alternative alla detenzione. Lasciamo realisticamente perdere ora i braccialetti e pensiamoci per il futuro quando potranno contribuire a ridurre gli ingressi in carcere di persone non pericolose. Oggi, con una Italia bloccata, le stesse possibilità di fuga sono ridotte. Piuttosto potrebbe essere necessario pensare a strutture essenziali dove far alloggiare e quindi poter controllare coloro che un domicilio non l’hanno”.

Un’ultima riflessione sulla giustizia e sui processi civili e penali via web: come li giudica? C’è una possibile lesione del diritto alla difesa? Manca il faccia a faccia tra il giudice che condanna guardando negli occhi il suo prossimo condannato? È una via costituzionalmente lecita? O stiamo infrangendo i pilastri del diritto creando un precedente pericoloso?

“L’emergenza è stata l’occasione che ha “costretto” molte sedi giudiziarie a recuperare il gap informatico allineandosi alle esperienze degli uffici più avanzati. Molte di queste prassi di emergenza, finora sottoutilizzate per pigrizia di alcuni e mancanza di iniziative del Ministero della Giustizia, dovranno andare a regime. Il modulo del lavoro dal domicilio, soprattutto per il personale amministrativo, consentirà di affrontare anche in futuro situazioni particolari con vantaggio anche per l’efficienza del sistema giudiziario”

Davvero il suo è un giudizio totalmente positivo?

“No, perché alla fine la macchina della giustizia si regge anche sul contatto quotidiano faccia a faccia (magari a distanza di un metro), sul parlarsi di persona tra tutti coloro che operano nei palazzi di giustizia: magistrati, avvocati, amministrativi, forze di polizia. Questo mi ha insegnato un’esperienza di quasi mezzo secolo: una parola di sostegno a un collega in difficoltà, uno scambio franco con un avvocato, un incoraggiamento a un amministrativo sopraffatto dai numeri, un confronto con la polizia giudiziaria, un atteggiamento reciprocamente rispettoso con l’imputato (e per me il saluto, lo sguardo di conforto di chi mi incontrava nel palazzo di giustizia in un momento tragico della mia vita privata). Diverso il discorso per il processo: anche qui molto si può e si dovrà fare in via telematica; in questa situazione di emergenza, con strumenti di presenza a distanza, si sono potute fare le udienze per direttissima ed evitare il collasso del sistema. Ma poi giudici, pubblici ministeri, avvocati e imputati nei momenti salienti del processo dovranno vedersi in faccia, sempre a distanza di un metro”.

Liana Milella

La Repubblica, 5 aprile 2020

Coronavirus, il Csm boccia il Decreto del Governo sulle Carceri perché inadeguato ed insufficiente


Consiglio Superiore della MagistraturaIl Consiglio Superiore della Magistratura, riunitosi lo scorso 26 marzo a Roma a Palazzo dei Marescialli, con pochi Consiglieri presenti e tanti da remoto, ha bocciato l’operato del Governo, per quanto concerne le misure adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19 negli Istituti Penitenziari della Repubblica, contenute nel Decreto Legge n. 18/2020 cd. “Decreto Cura Italia”. Il parere del Plenum del Csm è stato approvato con una maggioranza risicata (12 voti a favore, 7 contrari e 6 astensioni). Hanno votato contro, pur criticando il Decreto Legge del Governo, i Consiglieri laici della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle e i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo (il primo di Autonomia e Indipendenza, il secondo indipendente). si è astenuto il Gruppo di Area (Associazione dei Magistrati Progressisti) mentre tutti gli altri Consiglieri hanno votato a favore, compreso il Primo Presidente ed il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone e Giovanni Salvi.

In particolare, per quanto riguarda le misure introdotte con gli Articoli 123 e 124, incidenti sulla esecuzione della pena e valevoli dall’entrata in vigore del Decreto Legge fino al 30 giugno 2020, l’Assemblea di Palazzo dei Marescialli, si è pronunciata negativamente, bollandole come del tutto inadeguate ed insufficienti a far fronte alle esigenze di contenimento del contagio nelle carceri sovraffollate, esigenze che lo stesso legislatore ha di fatto ritenuto indifferibili. Infatti, l’aver reso l’utilizzo dei mezzi elettronici di controllo una condizione per la concreta fruizione della misura tutte le volte in cui la pena da eseguire sia superiore a sei mesi contribuirà significativamente a render l’istituito della detenzione domiciliare ‘in deroga’ inadeguato a conseguire le finalità, esplicitate nella relazione illustrativa, di una riduzione del sovraffollamento carcerario nell’ottica di contenere l’elevato rischio di un diffuso contagio all’interno degli Istituiti Penitenziari e di una migliore gestione dell’emergenza sanitaria. Inoltre, una parte numericamente non esigua della popolazione detenuta non potrà, infatti, avere accesso alla misura per l’indisponibilità di un effettivo domicilio. Per quanto concerne invece le licenze premio ai detenuti ammessi al regime di semilibertà, per limitare il rischio di contagio riducendo i loro rientri negli Istituti Penitenziari, il Governo ha previsto la possibilità che le licenze possano avere una durata superiore ai 45 giorni annui, sino al 30 giugno 2020, in deroga a quanto stabilito dall’Art. 52 dell’Ordinamento Penitenziario.

Secondo il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, l’esigenza di assicurare negli Istituti Penitenziari la tutela del diritto alla salute dei detenuti, degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, degli operatori e di tutto il personale che vi opera, l’eccezionale gravità della situazione epidemiologica del paese che rende concreto il rischio di una diffusione del contagio all’interno degli Istituti di pena, la necessità di scongiurare scelte ben più radicali e drammatiche che si imporrebbero in quest’ultimo caso, rendono indifferibile l’adozione di soluzioni atte a ridurre le condizioni di sovraffollamento carcerario. In difetto di un significativo mutamento di prospettiva da parte del legislatore, la Magistratura di Sorveglianza si troverà a svolgere un difficile ruolo di supplenza, con l’assunzione di gravi responsabilità. I Giudici di Sorveglianza, infatti, dovranno ricercare soluzioni adeguate a contemperare la sicurezza collettiva con l’esigenza di garantire la massima tutela della salute dei detenuti e di tutti coloro che operano all’interno degli Istituti Penitenziari, muovendosi in un quadro normativo che non offre strumenti per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento che, in considerazione dei gravi rischi che determina per la salute collettiva, richiede precise e urgenti scelte da parte del legislatore. Infine, in considerazione della situazione di sovraffollamento carcerario e della ratio dell’Art. 123, volto a ridurre la popolazione carceraria nella fase dell’emergenza sanitaria, si rileva l’opportunità di interventi tesi a differire l’ingresso in carcere di condannati a pene brevi per reati non gravi, per il solo periodo corrispondente alla durata dell’emergenza epidemiologica.

Parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul “Decreto Cura Italia”

Emilio Enzo Quintieri

 

Cascini (Csm): «Ci illudiamo di tenere il virus chiuso nelle carceri: e se la bomba esplodesse?»


«Conosciamo la dinamica. Non è nuova: il carcere come zona altra, separata. L’illusione del muro che ci dividerebbe da chi è dentro: dentro ci sono solo i cattivi, fuori i buoni. Io sono fra i buoni, pensano molti, e non voglio sapere cosa avviene al di là del muro. Ecco in sintesi la drammatica, assurda logica in base alla quale ancora una volta trattiamo il carcere. Anche stavolta, anche di fronte all’emergenza coronavirus. Noi consiglieri di Area abbiamo cercato di portare in plenum un contributo di pragmatismo. Non siamo riusciti a ottenere fino in fondo tale esito».

Giuseppe Cascini, Procuratore Aggiunto a Roma finché non è stato eletto al Csm per il gruppo di Area, appunto, non è un buonista. Non è tra quelli che lui stesso definisce «l’altro estremo della dialettica con gli ultra rigoristi, costituito da vorrebbe sempre risparmiare la sanzione». Cascini non è un buonista ma è pragmatico: «Davvero sappiamo come fare a gestire l’eventuale esplosione di una bomba epidemiologica dietro le sbarre? E se non c’è un piano chiaro, non sarebbe meglio consentire una concessione dei domiciliari a chi ha residui di pena bassi anche più ampia dell’attuale, e rinviare gli ordini di carcerazione di 6 mesi per le condanne entro i 4 anni?».

Sì, forse sarebbe meglio. E invece l’Italia, per il resto apprezzata in tutto il mondo quanto a misure di contrasto dell’emergenza, solo nel gestire la parte relativa al carcere sembra farsi superare dall’Iran: perché?

Dall’Iran, certo. Anche dalla Somalia. Pochi giorni fa ha liberato un buon numero di detenuti.

E com’è possibile?

Perché quando si discute del carcere lo si fa col classico schema del dialogo fra sordi. Prevale l’ideologia, si accantona il pragmatismo.

Forse i rigoristi pensano che se aumentassero i contagiati in carcere, ci sarebbe la possibilità di isolarli.

Dove? Non mi risulta che il nostro sistema penitenziario disponga di spazi liberi. Se ci fossero, non saremmo stati condannati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per l’inumano sovraffollamento dei nostri istituti.

Andiamo dritti verso la catastrofe?

Vorrei solo porre alcuni interrogativi. Parto dalle premesse, dai dati noti. I nostri detenuti non alloggiano in camere singole con bagno. Dormono in camere multiple, dividono i servizi, spesso cucinano e consumano pasti sempre all’interno di quello spazio. Dividono in tanti quegli spazi comuni che non sono certo smisurati, sono costantemente a stretto contatto con gli agenti di polizia penitenziaria. Se dunque noi che viviamo fuori, me compreso, ci siamo giustamente autoconsegnati all’isolamento domestico, con eccezione per poche assolute necessità, è altrettanto chiaro che chi si trova in un penitenziario non può osservare la prescrizione del distanziamen-to di un metro.

E questa è la premessa.

Aggiungo che se le carceri fossero meno affollate sarebbe comunque difficile evitare che vi si diffonda il contagio. Ma sarebbe o no un po’ meno difficile? Ciò detto, parliamo della salute di tutti, non solo dei reclusi. Parliamo di una possibile bomba epidemiologica, che potrebbe esplodere

Crede si sottovaluti l’inevitabile osmosi fra dentro e fuori dal carcere? Che ci si dimentichi per esempio degli agenti, i quali dormono pu sempre a casa, e dei detenuti che nelle prossime settimane finiranno di scontare la pena e torneranno fra noi?

È l’illusione di cui le ho detto prima: l’illusione del carcere come mondo chiuso. Secondo cui potremmo lasciarli là dentro chiusi col loro virus: non verranno a infettare anche noi. No, non è così. Gli agenti entrano ed escono, tutti i giorni. Così come gli psicologi, i volontari, i cappellani. La realtà è assai diversa dall’illusione: così come i problemi del carcere infettano la società, perché un detenuto a cui non sia stato assicurato un trattamento davvero rieducativo, risocializzante, torna fuori più criminale di com’era entrato in carcere, così è per il virus. Non si può impedire che la quota di reclusi destinata fisiologicamente a uscire per fine pena veicoli all’esterno l’eventuale contagio diffusosi dietro le sbarre. E oltre che di salute in senso stretto, è anche un problema di sicurezza.

Perché?

Immaginiamo cosa accadrebbe se aumentasse notevolmente il numero dei contagiati fra gli agenti penitenziari: dovrebbero andare in quarantena, in congedo per malattia. E chi gestirebbe la sicurezza dentro gli istituti? Proprio le rivolte di inizio marzo dimostrano come i detenuti possano impadronirsi di una struttura. Immaginiamo cosa accadrebbe se cominciasse a diffondersi il virus tra di loro e, appunto, nella polizia.

E invece chi al Csm non condivide la sua linea ribatte che non si può concedere nulla ai rivoltosi.

Dico di più: non mi allineo alla visione per cui in carcere ci vanno solo i poveracci. No. Ci vanno persone responsabili di atti criminali. Ma mi chiedo: visto che noi consiglieri di Area proponiamo di concedere i domiciliari a chiunque abbia un residuo fino a 24 mesi di pena, anche senza il vincolo del braccialetto e con l’esclusione dei reati ex articolo 4 bis, chi si dice contrario davvero pensa che una persona a cui resta poco da scontare trovi conveniente darsi alla fuga? O davvero credete che nelle circostanze di paralisi della vita collettiva come l’attuale, ci siano significativi rischi di reiterazione dei reati? A me pare che non vi sia neppure la materia per commetterli, i reati.

In una proposta di emendamento inoltrata al ministro della Giustizia, il Cnf chiede di sospendere in modo esplicito il termine dei 30 giorni che, una volta ordinata la carcerazione, consente di chiedere le pene alternative. Pare tanto più sensato se si considera che i servizi sociali a cui chiedere l’affidamento in prova ora sono chiusi.

Certo, assolutamente. Si rischia di sottoporre alla misura inframuraria anche chi avrebbe potuto scontare la pena all’esterno ed evitare così di contribuire a sovraffollare ulteriormente le carceri. In realtà a me sembrerebbe indiscutibile che, una volta sospesi tutti i termini processuali, anche quelli relativi agli ordini di esecuzione smettano di correre. Ma vede, siamo all’altra proposta che noi consiglieri di Area abbiamo avanzato per la definizione del parere del Csm, e che non ha trovato il necessario ascolto: abbiamo chiesto di non eseguire affatto, per 6 mesi, gli ordini di esecuzione rispetto a tutte le condanne entro i 4 anni, escluso sempre il 4 bis. Al di là del nodo sospensione, sappiate che ci sono molti reati a bassa pericolosità per i quali la richiesta di misure alternative non è prevista, a cominciare dai furti. Avremmo avuto un po’ meno ingressi. E invece no. Continuiamo a chiudere gli occhi su cosa potrebbe avvenire se dentro le carceri quella bomba epidemiologica esplodesse davvero.

Errico Novi

Il Dubbio, 28 marzo 2020