Coronavirus, il Csm boccia il Decreto del Governo sulle Carceri perché inadeguato ed insufficiente


Consiglio Superiore della MagistraturaIl Consiglio Superiore della Magistratura, riunitosi lo scorso 26 marzo a Roma a Palazzo dei Marescialli, con pochi Consiglieri presenti e tanti da remoto, ha bocciato l’operato del Governo, per quanto concerne le misure adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19 negli Istituti Penitenziari della Repubblica, contenute nel Decreto Legge n. 18/2020 cd. “Decreto Cura Italia”. Il parere del Plenum del Csm è stato approvato con una maggioranza risicata (12 voti a favore, 7 contrari e 6 astensioni). Hanno votato contro, pur criticando il Decreto Legge del Governo, i Consiglieri laici della Lega Nord e del Movimento Cinque Stelle e i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo (il primo di Autonomia e Indipendenza, il secondo indipendente). si è astenuto il Gruppo di Area (Associazione dei Magistrati Progressisti) mentre tutti gli altri Consiglieri hanno votato a favore, compreso il Primo Presidente ed il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone e Giovanni Salvi.

In particolare, per quanto riguarda le misure introdotte con gli Articoli 123 e 124, incidenti sulla esecuzione della pena e valevoli dall’entrata in vigore del Decreto Legge fino al 30 giugno 2020, l’Assemblea di Palazzo dei Marescialli, si è pronunciata negativamente, bollandole come del tutto inadeguate ed insufficienti a far fronte alle esigenze di contenimento del contagio nelle carceri sovraffollate, esigenze che lo stesso legislatore ha di fatto ritenuto indifferibili. Infatti, l’aver reso l’utilizzo dei mezzi elettronici di controllo una condizione per la concreta fruizione della misura tutte le volte in cui la pena da eseguire sia superiore a sei mesi contribuirà significativamente a render l’istituito della detenzione domiciliare ‘in deroga’ inadeguato a conseguire le finalità, esplicitate nella relazione illustrativa, di una riduzione del sovraffollamento carcerario nell’ottica di contenere l’elevato rischio di un diffuso contagio all’interno degli Istituiti Penitenziari e di una migliore gestione dell’emergenza sanitaria. Inoltre, una parte numericamente non esigua della popolazione detenuta non potrà, infatti, avere accesso alla misura per l’indisponibilità di un effettivo domicilio. Per quanto concerne invece le licenze premio ai detenuti ammessi al regime di semilibertà, per limitare il rischio di contagio riducendo i loro rientri negli Istituti Penitenziari, il Governo ha previsto la possibilità che le licenze possano avere una durata superiore ai 45 giorni annui, sino al 30 giugno 2020, in deroga a quanto stabilito dall’Art. 52 dell’Ordinamento Penitenziario.

Secondo il parere del Consiglio Superiore della Magistratura, l’esigenza di assicurare negli Istituti Penitenziari la tutela del diritto alla salute dei detenuti, degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria, degli operatori e di tutto il personale che vi opera, l’eccezionale gravità della situazione epidemiologica del paese che rende concreto il rischio di una diffusione del contagio all’interno degli Istituti di pena, la necessità di scongiurare scelte ben più radicali e drammatiche che si imporrebbero in quest’ultimo caso, rendono indifferibile l’adozione di soluzioni atte a ridurre le condizioni di sovraffollamento carcerario. In difetto di un significativo mutamento di prospettiva da parte del legislatore, la Magistratura di Sorveglianza si troverà a svolgere un difficile ruolo di supplenza, con l’assunzione di gravi responsabilità. I Giudici di Sorveglianza, infatti, dovranno ricercare soluzioni adeguate a contemperare la sicurezza collettiva con l’esigenza di garantire la massima tutela della salute dei detenuti e di tutti coloro che operano all’interno degli Istituti Penitenziari, muovendosi in un quadro normativo che non offre strumenti per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento che, in considerazione dei gravi rischi che determina per la salute collettiva, richiede precise e urgenti scelte da parte del legislatore. Infine, in considerazione della situazione di sovraffollamento carcerario e della ratio dell’Art. 123, volto a ridurre la popolazione carceraria nella fase dell’emergenza sanitaria, si rileva l’opportunità di interventi tesi a differire l’ingresso in carcere di condannati a pene brevi per reati non gravi, per il solo periodo corrispondente alla durata dell’emergenza epidemiologica.

Parere del Consiglio Superiore della Magistratura sul “Decreto Cura Italia”

Emilio Enzo Quintieri

 

Coronavirus, aumentano gli Istituti Penitenziari attrezzati per le videochiamate tra detenuti e familiari


skype carcereLe videochiamate, usate in tempi di Coronavirus anche dai cittadini meno “social”, sono ormai concesse ai detenuti in quasi tutti gli istituti penitenziari per supplire alla mancanza di colloqui “in presenza” con i familiari imposta dalle misure di prevenzione del contagio. Un’opportunità consentita già da una circolare del 2015 del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (Dap) che aveva aperto la strada ad alcune sperimentazioni, ma che la diffusione del Covid-19 ha reso una forma di comunicazione ordinaria.

La piattaforma individuata per le garanzie di sicurezza offerte è l’applicazione Skype for business. Ma una soluzione alternativa è arrivata dalla sperimentazione dell’uso della piattaforma Cisco Webex – normalmente usata per le videoconferenze e la collaborazione in ambito aziendale – avviata nel carcere di Bollate, struttura che ospita ormai da vent’anni la Networking Academy Cisco. Una realtà di alto livello formativo frequentata da oltre mille detenuti e detenute, molti dei quali hanno conseguito certificazioni utili per il reinserimento socio-lavorativo una volta terminata la pena.

La sperimentazione si è rivelata funzionale alle esigenze di comunicazione e di sicurezza, grazie alla presenza di lunga data dell’azienda negli istituti penitenziari e alla conoscenza delle particolari caratteristiche di queste realtà. Cisco Webex, disponibile con licenza gratuita da scaricare online, si acquisisce in pochi minuti su qualsiasi dispositivo, non grava troppo sulle infrastrutture tecnologiche presenti negli istituti di pena ed è di facile e utilizzo anche per i familiari dei detenuti. L’applicazione è ora in uso in ben 30 istituti penitenziari, da quello romano di Regina Coeli a quello di San Vittore a Milano, dalla casa circondariale di Aosta a quella di Gela in Sicilia.

Si tratta di un progetto che è stato possibile realizzare in breve tempo, grazie anche alla disponibilità della direttrice di Bollate Cosima Buccoliero, all’azione della Cooperativa Universo creata da Lorenzo Lento, ‘storico’ istruttore della Networking Academy a Bollate, e al contributo dell’agente della Polizia Penitenziaria Costantino Minonne, assistente capo coordinatore e appassionato d’informatica.

Minonne, formatosi alla Cisco Academy (“fuori orario di servizio” come specifica lui), ha svolto un ruolo chiave per permettere di replicare il progetto di Bollate in altri istituti. L’agente ha fatto da tramite formativo per i colleghi dei primi trenta istituti che già si avvalgono della piattaforma: “L’impegno è quello di fornire assistenza, indicazioni in caso di dubbi e anche di accertarmi del funzionamento effettivo negli istituti in cui è stato implementato il sistema”. Grazie a Costantino e ai suoi colleghi, sempre più detenuti ogni giorno potranno non solo parlare e vedere i loro familiari, ma ritrovare scorci di ambienti casalinghi, dettagli domestici magari dimenticati.

“È consentito inquadrare ambienti dell’abitazione, ma nel rispetto delle norme di sicurezza – spiega Costantino – che per le videochiamate sono le stesse che si utilizzano per i colloqui visivi. Il familiare inquadrato mostra il documento e dalla postazione di controllo l’operatore verifica che si tratti di una persona autorizzata ai colloqui. La vigilanza è sempre scrupolosa e se compaiono persone non autorizzate, la videochiamata viene subito bloccata”.

La presenza di Costantino in carcere, anche in tempo di Coronavirus, è ormai divenuta indispensabile. “I problemi veri sono quelli con la mia famiglia che non mi vede più – conclude sorridendo – per il resto non corro rischi di contagio, perché lavoro da solo in una stanza in compagnia solo dei miei monitor”.

Antonella Barone

http://www.gnewsonline.it, 26 marzo 2020

Calabria, Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti, forse lunedì l’elezione in Consiglio Regionale


Probabilmente, nei prossimi giorni, salvo intoppi, sarà eletto il Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Regione Calabria. Infatti, il Presidente del Consiglio Regionale Nicola Irto, per lunedì prossimo 11 marzo alle ore 10 ha convocato l’Assemblea Legislativa e, tra le altre cose, all’ordine del giorno è stata iscritta anche la “Proposta di Provvedimento Amministrativo n. 234/10 “Elezione del Garante Regionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale.”

Lo scorso 11 febbraio, all’esito delle ultime visite effettuate in alcuni Istituti Penitenziari della Calabria, avevo nuovamente sollecitato il Presidente Irto, a convocare il Consiglio per procedere alla elezione del Garante Regionale, attese le numerose violazioni ai diritti umani fondamentali, con particolare riferimento a quello alla tutela della salute, riscontrate durante le visite.

Il Garante Regionale, a norma della Legge Regionale n. 1/2018, dovrà essere eletto dal Consiglio Regionale con deliberazione adottata a maggioranza dei due terzi dei Consiglieri assegnati. In mancanza di raggiungimento del quorum, dalla terza votazione, l’elezione avviene a maggioranza semplice dei consiglieri assegnati. Durerà in carica 5 anni e non sarà immediatamente rieleggibile.

L’Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Calabria ha valutato 17 candidati idonei alla carica di Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti, escludendo solo 3 candidature perché non in possesso dei requisiti e della esperienza richiesta dalla normativa e dal bando pubblico. Tra la rosa di candidati idonei e che i Consiglieri Regionali potranno votare ci sarò anche io.

Nelle scorse settimane 80 detenuti dell’Alta Sicurezza ristretti nella Casa di Reclusione di Rossano hanno indirizzato una petizione al Presidente del Consiglio Regionale della Calabria proprio per sostenere la mia candidatura a Garante Regionale.

Finalmente, dopo tanti anni di attesa, anche la Regione Calabria avrà un Autorità indipendente che si occuperà di promuovere e salvaguardare su tutto il territorio i diritti delle persone detenute o private della libertà personale, alla stregua di tutte le altre Regioni d’Italia.

Emilio Enzo Quintieri

già Consigliere Nazionale Radicali Italiani

candidato Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Calabria

Taranto, detenuto 78enne si impicca nella sua cella. Già 7 suicidi nelle Carceri italiane


Ennesimo suicidio nelle Carceri italiane. Questa volta il drammatico evento si è consumato, ieri pomeriggio, nella Casa Circondariale di Taranto. Michele Spagnuolo, 78 anni, tarantino, si è impiccato nella sua cella con una corda rudimentale stretta al collo. Era stato arrestato lo scorso 16 luglio, per aver ucciso con 41 coltellate la moglie Teresa Russo, 57 anni, sordomuta, nella loro abitazione a Trepuzzi.

Il personale di Polizia Penitenziaria è immediatamente entrato nella sua cella e dopo aver tagliato la corda ha cercato di rianimare il detenuto in attesa dell’intervento dei sanitari ma, purtroppo, non c’è stato niente da fare.

Inizialmente era stato ristretto presso la Casa Circondariale di Lecce ma, dopo pochi giorni, riuscì ad ottenere gli arresti domiciliari. A novembre, si era allontanato dall’abitazione, dove era sottoposto alla misura cautelare domiciliare, venne rintracciato dalle Forze dell’Ordine e condotto in Carcere, dopo aver patteggiato la pena di 6 mesi di reclusione per evasione. Il prossimo 20 marzo si sarebbe dovuta tenere la prima udienza del processo per l’omicidio della moglie con rito abbreviato.

Con quello di Spagnuolo, salgono a 7 i detenuti che si sono tolti la vita, in questi 2 mesi, nei 190 Istituti Penitenziari d’Italia che, a fronte di una capienza regolamentare di appena 50 mila posti, ospitano oltre 60 mila persone. Solo nel Carcere di Taranto, in cui potrebbero essere ristrette 306 persone, sono presenti 607 detenuti (20 donne), 30 dei quali stranieri.

Emilia Romagna: la Garante Desi Bruno “bene internet per i detenuti, ma verificare l’attuazione”


Desi Bruno, Garante Regionale Detenuti Emilia RomagnaL’auspicio di Desi Bruno, la figura di Garanzia dell’Assemblea legislativa, è che “si possa arricchire il percorso trattamentale della popolazione detenuta, pur nel rispetto delle esigenze di sicurezza”. La indicazioni contenute nella circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che regolamenta la possibilità di accesso a internet da parte dei detenuti “non si possono che registrare positivamente, rappresentando un primo passo verso l’apertura all’utilizzo delle moderne tecnologie informatiche”, ma sarà necessario “verificare che tipo di attuazione troveranno nelle singole realtà penitenziarie”.

A sostenerlo è Desi Bruno, Garante regionale delle persone private della libertà personale, che cita a proposito l’esempio del decreto del Presidente della Repubblica del 2000 che aveva aperto all’utilizzo della strumentazione informatica: “Nella pratica le autorizzazioni in tal senso da parte delle direzioni sono state più che eccezionali, anche nella nostra realtà regionale”, sottolinea la figura di garanzia dell’Assemblea legislativa

In ogni caso, l’auspicio della Garante è che queste nuove opportunità “possano arricchire il percorso trattamentale della popolazione detenuta, pur nel rispetto dell’esigenze di sicurezza”, anche perché, ricorda, “le Regole penitenziarie europee del 2006 hanno affermato che il trattamento penitenziario deve avvicinarsi il più possibile alle condizioni di vita, di organizzazione del lavoro e di studio delle persone libere”.

La circolare in questione, prosegue Bruno, prevede che detenuti e internati possano utilizzare l’accesso a internet “per sviluppare percorsi trattamentali complessi, valorizzando le esperienze innovative di telelavoro, formazione e didattica già realizzate in alcuni istituti penitenziari”. Importante anche il passaggio che “invita le strutture penitenziarie in cui sono collocati detenuti comuni a implementare l’utilizzo di strumenti di comunicazione audiovisiva per favorire il mantenimento delle relazioni familiari”.

In ogni caso, specifica Bruno, nel nuovo modello “sarà prevista, in funzione delle specifiche esigenze legate ai percorsi trattamentali individuali, la navigazione su siti selezionati sulla base di convenzioni, accordi e contratti stipulati con i soggetti esterni che offrono opportunità trattamentali, prevedendo in ogni caso modalità di accesso guidate e sicure verso i siti previsti”. Inoltre, “le limitazioni poste all’infrastruttura di rete consentiranno al detenuto di consultare esclusivamente i siti per i quali è stato autorizzato e le postazioni saranno collocate nelle sale comuni dedicate alle attività trattamentali, anche per agevolare il controllo da parte degli operatori” e “viene consigliata la presenza di un tutor di sostegno durante l’attività, formato dagli operatori specializzati ministeriali”. Infine, assicura Bruno, “non tutte a tutte le tipologie di detenuti sarà consentito di accedere a internet, ma solo ai detenuti dei circuiti a custodia attenuata e media sicurezza” mentre “sono esclusi i detenuti in regime ex art. 41bis e per quanto riguarda i detenuti del circuito dell’alta sicurezza le direzioni valuteranno caso per caso”.

Ristretti Orizzonti, 7 novembre 2015

Carceri, Intesa Dap-Ucoii sull’accesso dei Mediatori culturali e dei Ministri di culto islamici


Santi Consolo DAPIl Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo e il Presidente dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia Izzedin Elzir hanno sottoscritto il protocollo d’intesa per l’avvio di una collaborazione con le comunità islamiche, finalizzata a favorire l’accesso di mediatori culturali e di ministri di culto negli istituti penitenziari.

“L’accordo prende avvio da positive sperimentazioni già attuate in diverse realtà penitenziarie dove forte è la presenza di detenuti musulmani e detenuti provenienti da paesi di fede musulmana”, informa una nota. Il protocollo, definito dal Dap e dall’Ucoii intende promuovere azioni mirate all’integrazione culturale avvalendosi dei mediatori indicati dall’Ucoii, anche attraverso la stipula di convenzioni con università ed enti che cureranno la formazione dei volontari cui è data la possibilità di accedere con continuità negli istituti penitenziari.

“Le azioni congiunte stabilite dal protocollo per progetti di mediazione culturale e per il sostegno religioso alle persone detenute di fede islamica rendono concreta – continua la nota – la libertà di culto con valido sostegno religioso e morale. La stipula del protocollo è stata anche l’occasione per approfondire ulteriori aspetti di collaborazione tra Dap e Ucoii, quale ad esempio l’apprendimento dell’italiano per i detenuti di lingua araba, e viceversa, puntando su detenuti in grado di ricoprire il ruolo di docenti per i compagni di detenzione, anche attraverso l’uso dei personal computer, un utile supporto per lo studio delle lingue, il cui utilizzo è stato disciplinato dal Dap con la recente circolare emanata il 2 novembre”.

“Una modalità – sottolinea il capo del Dap – che responsabilizza i detenuti, essi stessi protagonisti dell’esigenza di una reciproca conoscenza e del rispetto delle diverse culture, con indubbi vantaggi per la sicurezza degli istituti penitenziari”. L’attuazione del protocollo sarà preceduta da una fase sperimentale di sei mesi attivata in otto importanti istituti penitenziari.

Detenuto ammesso al lavoro esterno al Carcere di Paola. Soddisfatti i Radicali


Casa CircondarialeFinalmente anche nella Casa Circondariale di Paola, uno dei detenuti è stato ammesso al lavoro esterno. Speriamo che non sia l’unico e che, presto, questa possibilità venga data anche ad altri cittadini ristretti. Lo riferisce l’esponente dei Radicali Italiani Emilio Quintieri che, nell’occasione, ringrazia per l’attività svolta la Direzione della Casa Circondariale di Paola e la Magistratura di Sorveglianza di Cosenza, ognuna per la parte di propria competenza. Da qualche giorno, infatti, Luca Cicerale, un detenuto lavorante all’interno dell’Istituto e già beneficiario di permessi premio, attualmente allocato nel reparto a custodia attenuata, potrà uscire tutti i giorni dal Carcere e farvi ritorno la sera per andare a lavorare in un locale commerciale sul Tirreno.

Il lavoro esterno al carcere non è nulla di “eccezionale” – continua il radicale Quintieri – perché questo strumento, di ampia operatività, è espressamente previsto dall’Art. 21 dell’Ordinamento Penitenziario anche se, purtroppo, in Calabria, è quasi del tutto inattuato. Possono essere ammessi al lavoro esterno i condannati, gli internati e gli imputati sin dall’inizio della detenzione per svolgere attività lavorativa, per frequentare corsi di formazione professionale e, grazie ad un recente provvedimento del legislatore proposto dall’ex Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, per prestare attività a titolo volontario e gratuito in progetti di pubblica utilità in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, le unioni di comuni, le aziende sanitarie locali, o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato o, infine, per prestare la propria attività a titolo volontario e gratuito a sostegno delle vittime dei reati da loro commessi. Ci sono alcuni “limiti” per l’ammissione dovuti, ad esempio, ai condannati per reati associativi o altri di grave allarme sociale previsti dall’Art. 4 bis. Questi detenuti possono essere assegnati al lavoro all’esterno solo dopo aver espiato almeno un terzo della pena o comunque di non più di cinque anni. Anche gli ergastolani, esclusi quelli ostativi, vi possono essere ammessi dopo aver scontato almeno dieci anni di pena. Non possono, invece, essere ammessi al lavoro all’esterno per svolgere lavori a titolo di volontariato i detenuti e gli internati per il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso (Art. 416 bis c.p.) e per reati commessi per favorire le attività di stampo mafioso.

Il lavoro all’esterno deve essere previsto nel programma di trattamento elaborato dall’Equipe dell’Istituto, disposto dal Direttore ed approvato dal Magistrato di Sorveglianza se si tratta di condannati ed internati o disposto dal Direttore dell’Istituto previa approvazione dell’Autorità Giudiziaria competente nel caso di imputati. Le disposizioni previste dall’Art. 21 possono essere applicate anche per l’assistenza all’esterno dei figli minori di dieci anni (Art. 21 bis) e per consentire visite al minore infermo (Art. 21 ter). La possibilità di svolgere un’attività lavorativa costituisce, per i detenuti, se non l’unico, il più importante strumento rieducativo. Ed infatti, l’Art. 15 della Legge Penitenziaria, annovera esplicitamente tra gli “elementi del trattamento” il lavoro tra i mezzi per darvi attuazione prevedendo che venga assicurato salvo impossibilità. L’Art. 20, poi, dedicato alla disciplina dello stesso, sottolinea la necessità che gli Istituti Penitenziari favoriscano in ogni modo la destinazione dei detenuti al lavoro perché svolge una funzione normalizzatrice e correttiva in quanto sottrae i reclusi alle conseguenze negative dell’ozio, favorisce il loro trattamento rieducativo ed offre loro la possibilità di ricavare un guadagno, col quale soddisfare le loro necessità, pagare il mantenimento carcerario e sussidiare la famiglia.

Nel dicembre 2012, per come ci ha riferito in Parlamento il Vice Ministro della Giustizia On. Enrico Costa, rispondendo ad una delle Interrogazioni da me sollecitate – prosegue Emilio Quintieri – il Comune di Paola ha sottoscritto un Protocollo di intesa con la locale Casa Circondariale, avente validità triennale, con il quale avrebbero dovuto essere avviati al lavoro esterno ai sensi dell’Art. 21 della Legge Penitenziaria, un congruo numero dei detenuti ristretti nell’Istituto per lavori di pubblica utilità. Ad oggi, sono quasi trascorsi i 3 anni, ma non è stata data esecuzione al protocollo stipulato e non se ne comprendono i motivi. Pertanto – conclude l’esponente del Partito Radicale – mi auguro che il Sindaco di Paola Basilio Ferrari e la sua Giunta rispettino il Protocollo che hanno stipulato con il Carcere e lo rinnovino visto che siamo in prossimità della sua scadenza, dando la possibilità ai detenuti di uscire dall’Istituto per svolgere un attività lavorativa, a titolo volontario ed a beneficio della collettività.

Cosenza, Festa della Donna, i Giovani del Pd regalano i Braccialetti “Made in Carcere”


braccialetti_madeincarcereContinuano le iniziative politico – culturali portate avanti dal Circolo dei Giovani Democratici “Federico Aldrovandi” di Cosenza, coordinato dal giovane Gaspare Galli. Oggi, in occasione della Festa della Donna, i Giovani del Pd, hanno inteso regalare alle loro iscritte e simpatizzanti non le classiche composizioni floreali di mimose ma i braccialetti sartoriali “Made in Carcere” realizzati dalle donne detenute, ristrette nei vari Istituti Penitenziari d’Italia, sostenendo il nuovo progetto solidale della Cooperativa no-profit “Officina Creativa” fondata nel 2007 da Luciana Delle Donne, una delle tre realtà italiane che si sono presentate come partner potenziali della rete internazionale di imprenditori del sociale “Ashoka”, presentata nei giorni scorsi in Italia.

Una encomiabile iniziativa a supporto di tante donne che vogliono lasciarsi alle spalle un passato difficile. “E’ un progetto molto ambizioso perché il nostro desiderio è quello di far lavorare in Italia quante più carceri femminili possibili – spiega Luciana Delle Donne all’Adnkronos – E’ stata una bellissima esperienza perché si vede proprio quanto l’essere umano ha bisogno di lavorare e di ricostruire la propria dignità. Per me è una palestra di vita continua”.

E c’è una ragione precisa anche dietro alla scelta proprio del braccialetto, un oggetto pensato in questo caso per essere indossato sempre, ma che ha un valore in più, dal momento che può essere utilizzato in tanti modi (un po’ a simboleggiare le tante strade che ognuno di noi può trovarsi percorrere nel corso della sua vita) e che è realizzato con materiali di recupero (perché le cose belle nascono anche, e soprattutto, dalle seconde occasioni): “Oggi tutti al polso vogliono avere qualcosa di colorato. Possedere un braccialetto “Made in Carcere” significa scegliere di sostenere un approccio etico, sociale e ambientale importante. La qualità e l’eticità dei braccialetti e, più in generale, di tutti i prodotti realizzati all’interno delle sezioni femminili di alcuni istituti penitenziari è certificato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) del Ministero della Giustizia attraverso il marchio “Sigillo”.

Tutto il ricavato della vendita dei 380 mila braccialetti, che sono in vendita anche nei Supermercati Conad di tutta Italia, in questo caso, andrà interamente alle donne detenute e all’Associazione ‘D.i.re’, Donne in rete contro la violenza a cui aderiscono 70 centri antiviolenza che operano tramite l’accoglienza telefonica, colloqui personali, con l’ospitalità in case rifugio etc. Ma non finisce qui. Luciana Delle Donne infatti anticipa che in programma c’è la realizzazione da parte delle detenute anche di 12mila tovagliette che verranno distribuite sempre dalla stessa catena di supermercati.

Tra le convinte sostenitrici dell’iniziativa a Cosenza, anche l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia che, da tempo, come Dirigente Politico e come Parlamentare, si occupa anche delle problematiche afferenti il “Pianeta Carcere” con visite ispettive negli Istituti, Interrogazioni al Governo e proposte di legge alla Camera dei Deputati.