Strasburgo condanna l’Italia per la morte di un detenuto. Vicenda analoga a quella avvenuta nel 2016 nel Carcere di Paola


Strasburgo condanna ancora l’Italia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, riunita in un Comitato composto da Armen Harutyunyan, Presidente, Pere Pastor Vilanova e Pauliine Koskelo, Giudici, nella causa promossa da Santo Citraro e Santa Molino contro Italia (Ricorso n. 50988/13), dopo aver deliberato in Camera di Consiglio il 28 aprile 2020, con Sentenza del 4 giugno 2020, ha dichiarato, all’unanimità, la Repubblica Italiana responsabile della violazione dell’elemento materiale dell’Articolo 2 della Convenzione condannandola anche al risarcimento dei danni (32 mila euro per danno morale e 900 euro per le spese, oltre alla maggioranza dovuta per eventuali imposte ed interessi) da versare, entro tre mesi, in favore dei ricorrenti.

I ricorrenti, signori Citraro e Molino, il 24 luglio 2013, introdussero un ricorso alla Corte di Strasburgo contro l’Italia, ai sensi dell’Art. 34 della Convenzione Europea, lamentando la violazione degli Articoli 2 e 3 della Convenzione, ritenendola responsabile del suicidio per impiccagione del loro figlio Antonio Citraro, 31 anni, di Terme Vigliatore, avvenuto nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 2001, mentre era detenuto nella cella n. 2 del reparto “sosta”, presso la Casa Circondariale di Messina.

All’epoca dei fatti, la morte di Citraro, in un primo momento venne etichettata come un suicidio e subito dopo, grazie alle denunce della famiglia, come omicidio colposo: il Gup del Tribunale di Messina dispose il rinvio a giudizio del Direttore dell’Istituto, di sei Agenti della Polizia Penitenziaria e del Medico Psichiatra per i reati di favoreggiamento, falso per soppressione, omicidio colposo, abuso dei mezzi di correzione e lesioni personali. Ma gli imputati, in tutti i gradi di giudizio, vennero assolti da ogni accusa.

I genitori del giovane detenuto però non si arresero e, dopo aver esaurito i rimedi giurisdizionali interni, assistititi dall’Avvocato Giovambattista Freni del Foro di Messina, proposero ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nei giorni scorsi, dopo 19 anni, ha finalmente condannato l’Italia per le sue responsabilità. In particolare, i ricorrenti, lamentavano la violazione dell’Articolo 2 della Convenzione sostenendo, tra l’altro, che l’Amministrazione Penitenziaria, per mancanza di precauzioni e per negligenza, non avesse adottato le misure necessarie e adeguate idonee a impedire il suicidio del loro figlio, affetto da disturbi psichici, tant’è vero che in precedenza aveva più volte posto in essere atti di autolesionismo compresi tentativi di suicidio, che avevano portato il Magistrato di Sorveglianza di Messina a disporre il suo ricovero nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, provvedimento rimasto inevaso (solo pochi minuti prima del decesso di Citraro dal Ministero della Giustizia arrivò l’ordine di traduzione presso l’Opg).

Ebbene, la Corte di Strasburgo, ha deciso di condannare la Repubblica Italiana ritenendola responsabile in quanto l’Art. 2 della Convenzione obbliga lo Stato non soltanto ad astenersi dal provocare la morte in maniera volontaria e irregolare, ma anche ad adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione. Tale obbligo sussiste, ancora di più, dal momento in cui le Autorità Penitenziarie siano a conoscenza di un rischio reale e immediato che la persona detenuta possa attentare alla propria vita.

Nel caso in questione, l’Amministrazione Penitenziaria, era perfettamente a conoscenza dei disturbi psichici e della gravità della malattia di cui era affetto il giovane detenuto, degli atti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio che aveva posto in essere, dei suoi gesti e pensieri suicidi e dei segnali di malessere fisico o psichico (aveva completamente distrutto la cella, impedendo l’ingresso al personale, e faceva discorsi deliranti e paranoici).

Per tali motivi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha ritenuto che le Autorità Penitenziarie non abbiano adottato le misure ragionevoli che erano necessarie per assicurare l’integrità del detenuto Antonio Citraro. Infatti, nella sentenza, i Giudici Europei scrivono chiaramente che “… le Autorità si sono sottratte al loro obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita di Antonio Citraro. Pertanto, vi è stata violazione dell’elemento materiale dell’Articolo 2 della Convenzione.”

La vicenda della morte di Antonio Citraro è analoga a quella di tanti altri detenuti, parimenti affetti da disturbi psichici, verificatasi negli Istituti Penitenziari d’Italia. Tra le tante morti similari, ricordo particolarmente quella di Maurilio Pio Morabito, 46 anni, avvenuta il 29 aprile 2016, a poche settimane dal suo fine pena (30 giugno 2016), mentre era detenuto presso la Casa Circondariale di Paola. Morabito, come Citraro, si è impiccato nella cella n. 9 del reparto di isolamento, dopo aver posto in essere diversi atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, rifiutato di assumere i farmaci per timore di essere avvelenato ed anche di recarsi a colloquio con i propri familiari. Aveva finanche incendiato e distrutto, ripetutamente, le altre celle in cui era precedentemente allocato e per tale ragione era stato posto per diversi giorni in una cella liscia (cioè priva di ogni suppellettile), sporca e maleodorante, senza nemmeno essere sorvegliato a vista, lasciandogli addosso solo le mutande ed una coperta. Proprio utilizzando quest’ultima, che è stata annodata a forma di cappio alla grata della finestra della cella, di notte, è riuscito a togliersi la vita.

Per la vicenda di Morabito, i familiari, non hanno ottenuto giustizia in sede penale, in quanto il procedimento è stato archiviato dal Gip del Tribunale di Paola su conforme richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica. Recentemente però, assistiti dagli Avvocati Corrado Politi e Valentino Mazzeo del Foro di Reggio Calabria, hanno citato in giudizio il Ministero della Giustizia per sentirlo condannare al risarcimento dei danni. La causa attualmente è in corso presso il Giudice Civile del Tribunale di Reggio Calabria (ed io sono tra le persone che verranno sentite in merito dall’Autorità Giudiziaria).

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Causa Citraro e Molino contro l’Italia (clicca per leggere)

Reggio Calabria, ennesimo detenuto morto suicida. Ed il Consiglio Regionale continua a non eleggere il Garante


Nelle Carceri calabresi, si continua a morire. Ed il Consiglio Regionale della Calabria (che si riunirà il 1 agosto) continua a non eleggere il Garante Regionale dei Diritti delle persone detenute o private della libertà personale, nonostante espressamente diffidato ad adempiere ! Oggi l’ennesimo decesso di un detenuto, in custodia cautelare, presso la Casa Circondariale “Arghillà” di Reggio Calabria. L’uomo, Golomaschi Antonio Petru, cittadino rumeno, senza fissa dimora, incensurato, da tempo presente a Reggio Calabria, arrestato il 16 luglio scorso dalla Polizia di Stato per un presunto sequestro di minore, si è impiccato nella sua cella.

Nonostante l’Avv. Valentino Mazzeo del Foro di Reggio Calabria, suo difensore d’ufficio, abbia chiesto al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Reggio Calabria Dott. Domenico Armoleo, di disporre una perizia psichiatrica e nelle more il ricovero del suo assistito detenuto in una struttura sanitaria esterna, poiché probabilmente affetto da gravi disturbi psichiatrici come emerso già all’atto dell’arresto, il Giudice ha respinto l’istanza, confermando la custodia in carcere.

Si tratta della solita tragedia annunciata, afferma Emilio Enzo Quintieri, già Consigliere Nazionale dei Radicali Italiani e candidato Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Calabria. Mi domando per quale motivo il Gip di Reggio Calabria non abbia accolto la richiesta del difensore disponendo una consulenza psichiatrica ed il ricovero in una struttura sanitaria per questo poveraccio, anziché tenerlo nel sovraffollato Carcere di Arghillà (360 detenuti presenti a fronte di una capienza di 302 posti), Istituto in cui peraltro risulta carente, oltre al personale di Polizia Penitenziaria (113 unità a fronte delle 160 previste dalla pianta organica) e della professionalità giuridico pedagogica (4 funzionari a fronte dei 7 previsti), l’assistenza sanitaria ed in modo particolare quella specialistica di tipo psichiatrico (6 ore settimanali con circa 100 detenuti con problemi psichiatrici di cui circa 30 ad alto rischio suicidario) nonché quella psicologica (8 ore settimanali). Ad oggi, sono 77 i detenuti morti negli Istituti Penitenziari d’Italia, 28 dei quali per suicidio. Ed in Calabria, in questi pochi mesi del 2019, sono morti 4 detenuti, 2 dei quali si sono tolti la vita. Segnalerò l’ennesimo vergognoso decesso, conclude l’ex Consigliere Nazionale dei Radicali Italiani, al Garante Nazionale dei Diritti dei Detenuti ed al Garante Comunale di Reggio Calabria e solleciterò la presentazione di una Interrogazione Parlamentare a risposta scritta ai Ministri della Giustizia e della Salute per conoscere la dinamica e le cause della morte del detenuto e se durante la sua permanenza in Istituto abbia avuto tutta la sorveglianza e l’assistenza sanitaria di cui aveva bisogno, in forma adeguata ed efficiente.