Strasburgo condanna l’Italia per la morte di un detenuto. Vicenda analoga a quella avvenuta nel 2016 nel Carcere di Paola


Strasburgo condanna ancora l’Italia. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Prima Sezione, riunita in un Comitato composto da Armen Harutyunyan, Presidente, Pere Pastor Vilanova e Pauliine Koskelo, Giudici, nella causa promossa da Santo Citraro e Santa Molino contro Italia (Ricorso n. 50988/13), dopo aver deliberato in Camera di Consiglio il 28 aprile 2020, con Sentenza del 4 giugno 2020, ha dichiarato, all’unanimità, la Repubblica Italiana responsabile della violazione dell’elemento materiale dell’Articolo 2 della Convenzione condannandola anche al risarcimento dei danni (32 mila euro per danno morale e 900 euro per le spese, oltre alla maggioranza dovuta per eventuali imposte ed interessi) da versare, entro tre mesi, in favore dei ricorrenti.

I ricorrenti, signori Citraro e Molino, il 24 luglio 2013, introdussero un ricorso alla Corte di Strasburgo contro l’Italia, ai sensi dell’Art. 34 della Convenzione Europea, lamentando la violazione degli Articoli 2 e 3 della Convenzione, ritenendola responsabile del suicidio per impiccagione del loro figlio Antonio Citraro, 31 anni, di Terme Vigliatore, avvenuto nel tardo pomeriggio del 16 gennaio 2001, mentre era detenuto nella cella n. 2 del reparto “sosta”, presso la Casa Circondariale di Messina.

All’epoca dei fatti, la morte di Citraro, in un primo momento venne etichettata come un suicidio e subito dopo, grazie alle denunce della famiglia, come omicidio colposo: il Gup del Tribunale di Messina dispose il rinvio a giudizio del Direttore dell’Istituto, di sei Agenti della Polizia Penitenziaria e del Medico Psichiatra per i reati di favoreggiamento, falso per soppressione, omicidio colposo, abuso dei mezzi di correzione e lesioni personali. Ma gli imputati, in tutti i gradi di giudizio, vennero assolti da ogni accusa.

I genitori del giovane detenuto però non si arresero e, dopo aver esaurito i rimedi giurisdizionali interni, assistititi dall’Avvocato Giovambattista Freni del Foro di Messina, proposero ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, nei giorni scorsi, dopo 19 anni, ha finalmente condannato l’Italia per le sue responsabilità. In particolare, i ricorrenti, lamentavano la violazione dell’Articolo 2 della Convenzione sostenendo, tra l’altro, che l’Amministrazione Penitenziaria, per mancanza di precauzioni e per negligenza, non avesse adottato le misure necessarie e adeguate idonee a impedire il suicidio del loro figlio, affetto da disturbi psichici, tant’è vero che in precedenza aveva più volte posto in essere atti di autolesionismo compresi tentativi di suicidio, che avevano portato il Magistrato di Sorveglianza di Messina a disporre il suo ricovero nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto, provvedimento rimasto inevaso (solo pochi minuti prima del decesso di Citraro dal Ministero della Giustizia arrivò l’ordine di traduzione presso l’Opg).

Ebbene, la Corte di Strasburgo, ha deciso di condannare la Repubblica Italiana ritenendola responsabile in quanto l’Art. 2 della Convenzione obbliga lo Stato non soltanto ad astenersi dal provocare la morte in maniera volontaria e irregolare, ma anche ad adottare le misure necessarie per la protezione della vita delle persone sottoposte alla sua giurisdizione. Tale obbligo sussiste, ancora di più, dal momento in cui le Autorità Penitenziarie siano a conoscenza di un rischio reale e immediato che la persona detenuta possa attentare alla propria vita.

Nel caso in questione, l’Amministrazione Penitenziaria, era perfettamente a conoscenza dei disturbi psichici e della gravità della malattia di cui era affetto il giovane detenuto, degli atti di autolesionismo e dei tentativi di suicidio che aveva posto in essere, dei suoi gesti e pensieri suicidi e dei segnali di malessere fisico o psichico (aveva completamente distrutto la cella, impedendo l’ingresso al personale, e faceva discorsi deliranti e paranoici).

Per tali motivi, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha ritenuto che le Autorità Penitenziarie non abbiano adottato le misure ragionevoli che erano necessarie per assicurare l’integrità del detenuto Antonio Citraro. Infatti, nella sentenza, i Giudici Europei scrivono chiaramente che “… le Autorità si sono sottratte al loro obbligo positivo di proteggere il diritto alla vita di Antonio Citraro. Pertanto, vi è stata violazione dell’elemento materiale dell’Articolo 2 della Convenzione.”

La vicenda della morte di Antonio Citraro è analoga a quella di tanti altri detenuti, parimenti affetti da disturbi psichici, verificatasi negli Istituti Penitenziari d’Italia. Tra le tante morti similari, ricordo particolarmente quella di Maurilio Pio Morabito, 46 anni, avvenuta il 29 aprile 2016, a poche settimane dal suo fine pena (30 giugno 2016), mentre era detenuto presso la Casa Circondariale di Paola. Morabito, come Citraro, si è impiccato nella cella n. 9 del reparto di isolamento, dopo aver posto in essere diversi atti di autolesionismo, tentativi di suicidio, rifiutato di assumere i farmaci per timore di essere avvelenato ed anche di recarsi a colloquio con i propri familiari. Aveva finanche incendiato e distrutto, ripetutamente, le altre celle in cui era precedentemente allocato e per tale ragione era stato posto per diversi giorni in una cella liscia (cioè priva di ogni suppellettile), sporca e maleodorante, senza nemmeno essere sorvegliato a vista, lasciandogli addosso solo le mutande ed una coperta. Proprio utilizzando quest’ultima, che è stata annodata a forma di cappio alla grata della finestra della cella, di notte, è riuscito a togliersi la vita.

Per la vicenda di Morabito, i familiari, non hanno ottenuto giustizia in sede penale, in quanto il procedimento è stato archiviato dal Gip del Tribunale di Paola su conforme richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica. Recentemente però, assistiti dagli Avvocati Corrado Politi e Valentino Mazzeo del Foro di Reggio Calabria, hanno citato in giudizio il Ministero della Giustizia per sentirlo condannare al risarcimento dei danni. La causa attualmente è in corso presso il Giudice Civile del Tribunale di Reggio Calabria (ed io sono tra le persone che verranno sentite in merito dall’Autorità Giudiziaria).

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Causa Citraro e Molino contro l’Italia (clicca per leggere)

Paola, il Ministro della Giustizia Orlando risponde in Parlamento sulle morti in Carcere


Il Governo Gentiloni, per il tramite del Ministro della Giustizia On. Andrea Orlando, nei giorni scorsi ha risposto alle Interrogazioni a risposta scritta presentate il 16 novembre 2016 dai Senatori della Repubblica Peppe De Cristofaro, Loredana De Petris, Francesco Molinari, Ivana Simeoni, Serenella Fucksia e Giuseppe Vacciano. Lo rende noto Emilio Enzo Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, da tempo alla guida della delegazione visitante gli Istituti Penitenziari della Calabria.

Con gli atti di sindacato ispettivo n. 4-06659 e 4-06665, scrive il Ministro della Giustizia, si segnalano le vicende di Youssef Mouhcine e di Maurilio Pio Massimiliano Morabito, deceduti rispettivamente il 24 ottobre ed il 29 aprile 2016, mentre si trovavano detenuti presso la Casa Circondariale di Paola. L’argomento investe, evidentemente, su un tema di estrema delicatezza, su cui è concentrato il massimo impegno da parte del Ministero. Sugli episodi segnalati, la competente articolazione ministeriale ha avviato le opportune attività di accertamento ispettivo, parallelamente alle indagini preliminari disposte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola. L’attività ispettiva, secondo quanto comunicato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha consentito di ricostruire la vicenda relativa alla morte di Youssef Mouhcine nei seguenti termini.

Il detenuto, tratto in arresto il 5 marzo 2016, con ingresso presso la Casa Circondariale di Paola il successivo 29 aprile, stava scontando una pena definitiva a 10 mesi di reclusione, con fine pena fissato al 15 novembre 2016. Fin dall’accesso in istituto, il detenuto aveva manifestato problematiche relazionali, su sua richiesta era stato collocato da solo in una camera detentiva e manteneva, sia pur sporadici, contatti telefonici con il padre. Egli è stato seguito dai servizi sanitari e di supporto all’interno dell’istituto e la psicologa ha relazionato i risultati della sua osservazione nei seguenti termini: il detenuto ha riferito un passato di abusi di alcol, eroina e cocaina, in relazione ai quali era stato preso in carico dal Sert di Bassano del Grappa; ha manifestato durante la detenzione, fluttuazioni del tono dell’umore, con fasi di innalzamento dei livelli di ansia nel corso delle quali ha messo in atto gesti autolesionistici che, tuttavia, non sono mai parsi sintomatici di un reale desiderio suicidiario, ma connessi ad un transitorio discontrollo dell’impulsività; in concomitanza di tali eventi è stata intensificata l’attività di supporto e la frequenza delle visite psicologiche e psichiatriche, anche con prescrizione di terapia farmacologica; nel corso dei colloqui più recenti, l’ultimo dei quali del 20 ottobre 2016, aveva raggiunto un buon equilibrio psicoemotivo, anche in vista della prossima scarcerazione. La mattina del 24 ottobre 2016 il personale di Polizia Penitenziaria, aprendo la sua cella e facendovi ingresso, ha rinvenuto Youssef Mouhcine privo di vita, con la testa avvolta in una busta di plastica al cui interno si trovava il fornellino in uso con inserita la bomboletta del gas.  Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, all’esito degli accertamenti ispettivi, ha comunicato che non sono emerse responsabilità in capo al personale. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, dal canto suo, ha comunicato di essere ancora in attesa delle risultanze della consulenza medico-legale disposta per l’accertamento di cause e mezzi del decesso nell’ambito del Procedimento Penale iscritto a carico di ignoti al n. 3385/16 R.G.N.R. Mod. 44. Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha riferito che la Direzione dell’istituto penitenziario ha informato dell’evento il Consolato del Marocco, non riuscendo a contattare direttamente al numero disponibile i congiunti, i quali venivano finalmente contattati il 27 ottobre per la partecipazione della notizia. In quella sede, i familiari avrebbero rappresentato difficoltà economiche per il trasporto della salma in Marocco e prestavano assenso alla sepoltura del congiunto in Italia, con oneri sostenuti dal Comune di Paola. Ancora, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha riferito che non risulta che il detenuto sia mai stato sottoposto a maltrattamenti o a trattamenti degradanti o inumani né risulta che presso la Casa Circondariale di Paola siano utilizzate “celle lisce”.

Per quanto attiene alla vicenda relativa al decesso del detenuto Maurilio Pio Massimiliano Morabito, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha riferito che, dopo aver fatto ingresso alla Casa Circondariale di Reggio Calabria in data 1 marzo 2016, egli era stato trasferito presso la Casa Circondariale di Paola il 1 aprile, in seguito a spontanee dichiarazioni rese con le quali manifestava timori per la propria incolumità. All’ingresso presso l’istituto di Paola, il detenuto ha confermato i propri timori e, conseguentemente, è stato collocato in una cella singola, con divieto di incontro con il resto della popolazione detenuta. In data 11 aprile Morabito ha dato fuoco al materasso in dotazione, dichiarando poi al Comandante di Reparto che il suo gesto aveva rappresentato il tentativo estremo di attirare l’attenzione sui suoi timori per l’incolumità personale. Il detenuto temeva che i compagni di detenzione avessero intenzione di ucciderlo e di far apparire tale gesto come un suicidio. Dopo tale evento, la direzione della Casa Circondariale aveva avanzato richiesta al Provveditorato Regionale di trasferimento del detenuto per motivi di ordine, sicurezza ed incolumità personale. La competente articolazione ministeriale ha comunicato che Morabito era stato preso in carico dagli Operatori Penitenziari e Sanitari e che durante un colloquio condotto in data 13 aprile 2016, dallo Psichiatra e dallo Psicologo, egli ha manifestato uno stato di ansia diffusa, paura, tensione e un atteggiamento di circospezione e di sospettosità nei confronti dell’ambiente circostante, ha espresso il desiderio di essere trasferito in un istituto dotato di sezioni per appartenenti alla categoria “protetti” ed ha negato l’intenzione di compiere atti di autolesionismo. Contrariamente a ciò, in data 22 aprile 2016 è stato sventato un tentativo di suicidio ed in merito il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha riferito di aver invitato la direzione della Casa Circondariale all’applicazione delle circolari in materia di prevenzione dei suicidi, in particolare nella parte relativa alle corrette modalità di allocazione dei soggetti che manifestano situazioni di criticità o disagi psichiatrici. Riferisce ancora il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che nei giorni antecedenti alla morte il detenuto è stato oggetto di molteplici interventi sanitari quotidiani. Il 29 aprile 2016, alle ore 00,50 circa, tuttavia, il personale penitenziario, durante il giro di controllo, giunto davanti alla camera detentiva, dava l’allarme ed il medico di turno, dopo aver praticato le manovre rianimatorie, non poteva che constatare il decesso per impiccamento di Maurilio Pio Massimiliano Morabito alle ore 01,25. Sul caso dall’Amministrazione Penitenziaria non sono stati riscontrati elementi di responsabilità del personale addetto alla Casa Circondariale. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, per quanto comunicato dalla competente articolazione ministeriale, ha aperto sulla vicenda il Procedimento Penale n. 1167/2016 R.G.N.R. Mod. 44 che, dopo il deposito della relazione di consulenza medico-legale ed all’esito degli accertamenti disposti, è stato oggetto di richiesta di archiviazione non avendo la Procura ravvisato responsabilità di terzi ed essendo emersa una condotta suicidiaria del detenuto. Al 22 febbraio 2017 la richiesta di archiviazione risultava pendente presso l’Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari di Paola.

Con riguardo alle condizioni di vita detentiva presso la Casa Circondariale, l’Amministrazione Penitenziaria ha comunicato che al 16 febbraio 2017 il numero dei detenuti presenti è pari a 219 a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti detentivi. Nonostante l’esubero dei presenti rispetto alla capienza regolamentare, risultano rispettati i parametri previsti dalla Cedu per garantire lo spazio vitale di ogni singolo detenuto. Presso l’istituto penitenziario la sorveglianza è garantita così come il servizio di guardia medica, presente 24 ore su 24.

L’elevato tasso di presenza di stranieri detenuti presso il Carcere di Paola (in numero di 83), in maggioranza appartenenti alla comunità islamica, l’Amministrazione Penitenziaria ha riferito che è prossima la realizzazione di un protocollo con il mondo associativo che, oltre al progetto di mediazione culturale, possa offrire ulteriori aspetti di collaborazione. A questo ultimo riguardo ed in un’ottica generale, si rileva che in data 5 novembre 2015 è stato siglato un protocollo d’intesa fra questo Ministero e l’Unione delle comunità ed organizzazione islamiche italiane (UCOII) con l’obiettivo di migliorare il modo di interpretare la fede islamica in carcere, fornendo un valido sostegno religioso e morale ai detenuti attraverso l’accesso negli istituti di persone adeguatamente preparate. Il progetto, attualmente in fase di sperimentazione presso 8 istituti penitenziari, da un lato ha l’obiettivo di agevolare l’integrazione dei detenuti di fede islamica e garantire loro l’esercizio del diritto di culto, dall’altro stabilisce una connessione tra gli operatori volontari e gli operatori penitenziari, anche nella prospettiva del contrasto alla radicalizzazione. Nel mese di settembre 2016, inoltre, è stato rivolto al presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), alla luce della convenzione appositamente stipulata dal Ministero il 27 gennaio 2016, l’invito ad interpellare gli istituti di arabistica e di scienze islamiche delle università degli studi della Repubblica per raccogliere la disponibilità di ricercatori e dottorandi di ricerca ad operare, quali volontari, negli istituti penitenziari al fine di accrescere la comprensione e migliorare le relazioni umane con i ristretti di lingua e cultura araba.

I casi di Youssef Mouhcine e Maurilio Pio Morabito, pur con le loro specificità, rappresentano tristi manifestazioni di un fenomeno che è alla costante attenzione del Ministro e che lo vede direttamente impegnato in ogni iniziativa necessaria ed utile alla prevenzione del rischio di gesti di autolesionismo in ambiente carcerario. Finalità alla cui attuazione certamente concorre l’istituzione e la nomina, con decreti del Presidente della Repubblica 1° febbraio e 3 marzo 2016, del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Nella consapevolezza della drammaticità di ogni atto di autolesionismo, occorre osservare, sotto il profilo statistico, che a partire dal 2013 il numero di suicidi all’interno degli istituti penitenziari ha avuto un sensibile decremento. Tra il 2009 e il 2012, infatti, il numero di casi è stato sempre annualmente superiore a 55, con un picco di 63 nel 2011, mentre pari a 45 e 46 sono stati gli eventi degli anni 2007 e 2008. Grazie al miglioramento della situazione nei penitenziari, il numero si è ridotto in maniera significativa, registrando 42 casi di suicidio nel 2013, 43 nel 2014, 39 nel 2015, 39 nel 2016 e 10 sino al 28 febbraio 2017. Sul piano comparativo, poi, l’Italia, secondo le statistiche ufficiali del Consiglio d’Europa, registra uno dei tassi più bassi di casi di suicidio. Nell’ultima rilevazione del 2013, si registra un tasso di 6,5 su 10.000 casi in Italia, di 12,4 in Francia, di 7,4 in Germania, di 8,9 nel Regno Unito. I dati restano, in ogni caso, allarmanti e impongono un eccezionale sforzo dell’amministrazione penitenziaria, cui è demandata l’attuazione dei modelli di trattamento necessari alla prevenzione di ogni pericolo.

Nella delineata prospettiva e alla luce delle analisi e delle riflessioni svolte nell’ambito degli stati generali dell’esecuzione della pena, il 3 maggio 2016 il Ministro ha adottato una specifica “direttiva sulla prevenzione dei suicidi”, indirizzata al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, prescrivendo la predisposizione di un organico piano d’intervento per la prevenzione del rischio di suicidio delle persone detenute o internate, il puntuale monitoraggio delle iniziative assunte per darvi attuazione e la raccolta e la pubblicazione dei dati relativi al fenomeno. In attuazione della direttiva, il Dipartimento ha predisposto un “piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidiarie in ambito penitenziario”, cui hanno fatto seguito circolari attuative trasmesse ai provveditorati regionali. Le misure adottate dall’amministrazione penitenziaria attengono alla formazione specifica del personale, alla raccolta ed elaborazione dei dati ed all’aggiornamento progressivo dei piani di prevenzione. Sono state, inoltre, impartite istruzioni ai provveditorati regionali ed alle direzioni penitenziarie per la conclusione di intese con Regioni e servizi sanitari locali, al fine di intensificare gli interventi di diagnosi e cura, nonché l’attuazione di misure di osservazione e rilevazione del rischio. L’amministrazione ha anche operato sul piano dell’organizzazione degli spazi e della vita penitenziaria, con incentivazione di forme di controllo dinamico volte a limitare alle ore notturne la permanenza nelle celle, in modo da rendere agevole l’osservazione della persona in ambiente comune e ridurre le condizioni di isolamento. Allo stesso scopo, sono state adottate misure volte a facilitare, anche attraverso l’accesso protetto ad internet, i contatti con i familiari.

Al fine di verificare lo stato di attuazione delle misure intraprese e delle modalità di esecuzione, al livello locale prossimo agli istituti penitenziari, delle disposizioni contenute nella direttiva sulla prevenzione dei suicidi e sollecitarne, ove necessario, la completa e rapida attuazione, il 3 marzo 2017 si è svolta presso il Ministero una riunione nel corso della quale il Ministro ha incontrato, con il capo di gabinetto, tutti i referenti centrali e periferici dell’amministrazione penitenziaria. Sono state, inoltre, programmate attività di monitoraggio e verifica periodica degli interventi di prevenzione delineati, attività che saranno svolte istituto per istituto. Con la riunione si è dato l’avvio ad un tavolo in convocazione permanente che esaminerà costantemente i dati relativi allo stato di attuazione della direttiva che ogni referente è tenuto a raccogliere ed a trasmettere attraverso apposito monitoraggio. Le successive riunioni del tavolo, a partire dalla prima, si svolgono con stringente cadenza periodica. Il tema è stato, inoltre, affrontato anche nella riunione con i referenti dei tavoli tematici degli stati generali dell’esecuzione penale che, nell’ambito delle attività di monitoraggio dell’attuazione delle linee di intervento, si è tenuta il 22 marzo 2017. L’azione sin qui intrapresa risulterà ulteriormente rafforzata dalle misure contenute nella riforma dell’ordinamento penitenziario, appena approvata dal Senato, che permetterà di introdurre strumenti adeguati per garantire una funzione davvero recuperatoria e risocializzante, in chiave costituzionalmente orientata, all’esecuzione penale.

Morire di Carcere, Sono 104 i detenuti morti nei Penitenziari italiani nel corso del 2016


Carcere di PordenoneUn suicidio a settimana, celle dove si pratica la tortura, celle lisce che distruggono mente e corpo dei prigionieri. Ecco la vergogna dei penitenziari italiani

L’ultimo decesso è avvenuto il 5 dicembre, nel carcere di Cagliari. L’uomo si chiamava Igor Diana. Aveva 28 anni e dallo scorso maggio – accusato di aver ucciso i genitori adottivi – stava scontando la pena dell’ergastolo nel carcere dell’isola sarda. Ed è lì, in cella, che si è suicidato, impiccandosi. Inutile il tentativo di rianimarlo da parte del personale medico, è l’unica scarna informazione trapelata dal penitenziario di Cagliari Utta, che ha il primato dei suicidi in cella e dove nello scorso anno si sono verificati 250 casi di autolesionismo, 7 scioperi della fame collettivi, 16 detenuti hanno tentato il suicidio.

Ma la situazione carceraria è esplosiva in tutto il Paese. Sono 104 i detenuti morti nei penitenziari italiani, nel corso del 2016. Secondo una ricerca condotta da openpolis.it prendendo in esame i dati forniti dal Ministero della Giustizia, nelle carceri italiane c’è un suicidio ogni 7 giorni. È a Napoli, Poggioreale, il carcere dove di muore di più. Trentacinque sono i suicidi già censiti nell’anno in corso, accaduti soprattutto nelle galere del Sud. Senza contare le morti meno chiare, con cause ancora da accertare, ma comunque legate al disagio della detenzione. Infatti, rispetto ai dati diffusi dal Governo (prendendo in considerazione i decessi avvenuti dal 2000 ad oggi) il centro studi Ristretti orizzonti ha scoperto che i casi di suicidi in cella sarebbero di più. Già, perché in effetti quando si muore in carcere, le dinamiche non sono mai del tutto chiare. Lo sanno bene i genitori di Youssef Mouhcine, 31 anni, nazionalità marocchina, deceduto presso la casa circondariale di Paola dove era detenuto, a pochi giorni dalla sua dimissione per fine pena. Era la notte tra il 23 e il 24 ottobre 2016. È una storia che si tinge subito di giallo, perché per alcuni giorni rimane nascosta, anche alla famiglia. A farla saltar fuori è l’esponente dei radicali calabresi Emilio Enzo Quintieri il quale racconta a DINAMOpress che “nessuno aveva diffuso la notizia del tragico evento ma tramite i nostri informatori siamo riusciti a venirne a conoscenza”. E ancora: “non è la prima volta che qualcuno cerca di nascondere decessi o altri eventi critici accaduti nel carcere di Paola, come i tentativi di suicidio o come i casi di aggressione al personale dell’Amministrazione Penitenziaria.

Emilio Quintieri qualche giorno dopo le denunce è stato oggetto di una lettera pubblicata sul quotidiano La Provincia di Cosenza con la “firma anonima” di un detenuto che contribuisce a tingere di giallo, anzi di nero, i contorni di questa ennesima storia di morte in carcere. Perché è una missiva che appare molto strana, tant’è che lo stesso attivista radicale ha scritto una dura replica al direttore del quotidiano calabrese: “non le nascondo che la lettera, più che essere quella di un detenuto mi sembra quella del Direttore del Carcere o del suo difensore”, scrive Quintieri: “ho letto con attenzione la lettera apparsa sul suo giornale redatta da tale R. M. in riferimento al decesso del detenuto marocchino Youssef Mouhcine ed essendo stato chiamato più volte in causa ritengo doveroso replicare”. In particolare, rigetta al mittente l’accusa contenuta nella lettera del “detenuto” di “strumentalizzare la questione a fini politici o propagandistici facendo leva persino sul dolore dei familiari della vittima”. È chiaro che si tratta piuttosto di un tentativo di manipolazione mediatica della verità, magari involontario. Spiega l’attivista radicale: “se così non fosse, sarebbe la prima volta in assoluto che un detenuto scrive una nota pubblica per difendere l’operato del Corpo di Polizia Penitenziaria violando quello che prevedono le ‘leggi non scritte’ che i carcerati sono tenuti ad osservare rigorosamente, per di più dopo due suicidi”. E ancora: “da anni, ricevo ogni giorno decine di lettere di detenuti ma mai sino ad ora mi era capitato di leggere qualcosa di simile; una lettera perfetta, senza errori, con un lessico impeccabile”. Sarà. Quel che è certo è che intanto la procura di Paola indaga, disponendo l’autopsia; nel frattempo, i senatori Peppe De Cristofaro e Loredana De Petris di Sinistra Italiana il 16 novembre interrogano i Ministri della giustizia e degli affari esteri, per sapere perché “i familiari di Mouhcine sono stati informati del decesso soltanto diversi giorni dopo, per la precisione in data 27 ottobre 2016”. Nonostante la legge che disciplina l’ordinamento penitenziario, la n. 354 del 1975 preveda che, in casi del genere, “debba esserne data immediata notizia ai familiari con il mezzo più rapido e con le modalità più opportune”.

Non solo. La legge sulle carceri – scrivono i parlamentari: “è stata violata anche quando Mouhcine veniva tumulato presso il cimitero di Paola, nonostante i parenti dell’uomo avessero chiesto la restituzione del corpo per poter celebrare il rito islamico”. Anche qui: l’art.44 al comma 3 stabilisce che – in questi casi – la salma debba essere messa immediatamente a disposizione dei congiunti e che questa venga sepolta dall’amministrazione nel caso in cui i congiunti non vi provvedano. Ma non era questo il caso, evidentemente. Così anche il consolato generale del Regno del Marocco di Palermo – su sollecitazione dei familiari – ha chiesto lumi sulla questione. Ottenendo nessuna risposta. Come del resto, non ne hanno avuta alcuna i senatori in questione. Si sa soltanto che – secondo quanto riferito dalla direzione dell’istituto carcerario ai congiunti – Mouhcine si sarebbe suicidato nella sua cella, inalando il gas dalla bomboletta che aveva in dotazione, avvolgendosi la testa con un sacchetto di plastica. Sempre secondo quanto racconta la famiglia: l’uomo, nel corso della sua detenzione a Paola, “sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti” a pratiche di detenzione che si configurano come di vera e propria tortura, ancora oggi tollerate dall’ordinamento italiano, come lo è la cosiddetta cella liscia, il non-luogo dove era rinchiuso Mouhcine, appunto.

La chiamano così perché è una cella completamente vuota, spoglia, priva di mobili, brande, di qualsiasi oggetto che possa essere usato come appiglio. Quasi tutti i reparti di isolamento dei penitenziari italiani ne contengono almeno una. Lì dentro viene rinchiuso chi è vittima di crisi isteriche o psichiatriche, chi disobbedisce agli ordini della disciplina carceraria. È buia, stretta “dentro ha un odore nauseabondo, perché è lì, sul pavimento, che si esercitano i bisogni primari e fisiologici. Ed è disteso a terra, che il detenuto dorme. Nella cella liscia non ci sono letti”, lo racconta così, l’inferno dei penitenziari italiani, un ex dirigente del Ministero della Giustizia che preferisce rimanere anonimo: “è per non vedere più violazioni dei diritti umani, che ho lasciato il mio lavoro. Le celle lisce sembrano le segrete del Medio Evo”. Continua: “di vera e propria tortura si tratta, dal sapore medievale”. Si può essere rinchiusi lì dentro per qualche ora, qualche giorno, al massimo due settimane, prima di impazzire. Non di più. Il Dap ( dipartimento amministrazione penitenziaria) questo lo sa ed è per questo che in passato ha emanato direttive di questo tipo.

In una cella liscia ci era finito pure Mouhcine, dunque, costretto a dormire anche lui per terra sul pavimento. Raccontano i familiari: “ci disse di aver subito non meglio definiti maltrattamenti”. Quel che è certo è “che non gli veniva consentito di intrattenere, con regolarità, corrispondenza telefonica con la sua famiglia” si legge così nell’interrogazione parlamentare presentata dai senatori di Sinistra Italiana, dopo che sulla vicenda erano intervenuti – tra gli altri – i Radicali italiani, il Dipartimento politiche per l’immigrazione della Cgil di Cosenza ed il Movimento italiano diritti civili. Denunciando l’ennesimo decesso avvenuto nel carcere di Paola e stigmatizzando l’operato della direzione carceraria “per aver tenuto nascosta la notizia, e per aver provveduto alla tumulazione della salma, nonostante la richiesta di restituzione avanzata dalla famiglia per il funerale”.

Quelle strane morti nel carcere di Paola

Non è la prima volta che presso il carcere di Paola avvengono “eventi critici” del genere – scrive il senatore Giuseppe De Cristoforo che è anche membro della Commissione parlamentare straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Facendo riferimento alla morte avvenuta ad aprile scorso, nello stesso penitenziario, del detenuto Maurilio Pio Morabito, 46 anni, di Reggio Calabria, in prossimità del fine pena. Mancava un mese alla sua liberazione. Anche Maurilio si è suicidato. Aveva già manifestato intenti autolesionistici. Eppure era stato collocato – anche lui – in una cella liscia, dove si sarebbe impiccato con una coperta alla grata della finestra. Ora la Procura della Repubblica di Paola ha aperto un fascicolo di inchiesta, al momento nei confronti di ignoti, per istigazione al suicidio. Anche questa vicenda è finita in Parlamento, all’attenzione del Ministro della Giustizia Orlando. Nel dettaglio, in una interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati il 7 giugno 2016 dall’on. Vincenza Bruno Bossio, a cui lo stesso Ministro della giustizia non ha ancora fornito risposta.

Nel testo si legge che “grazie ad una visita ispettiva effettuata il 4 maggio 2016 da una delegazione dei Radicali Italiani nei giorni successivi al decesso del Morabito, si è potuto verificare che la cella n. 9 in cui si è impiccato lo stesso detenuto era liscia. Cioè era priva di ogni arredo. Non solo. Sporca e maleodorante, si legge negli atti parlamentari: “il citato detenuto non era stato sottoposto a sorveglianza a vista nonostante, già in altre occasioni, avesse compiuto vari atti autolesionistici e distrutto due celle”. Intanto, dalla relazione seguita all’ispezione dei Radicali italiani nell’ottobre scorso è emerso che nello stesso carcere quasi la metà dei detenuti sono stranieri, eppure non risultano in organico mediatori culturali, né traduttori.

Ma è l’eccessivo ricorso alle “celle zero” che inquieta particolarmente. Un modus operandi che riguarda diversi penitenziari italiani, dove l’osservatorio sulle carceri Ristretti Orizzonti – nell’ambito della ricerca Morire di carcere– ha calcolato che dagli inizi del 2000 ad oggi, 10 dicembre 2016, sono morte 2.599 persone. 925 sono stati complessivamente i suicidi. Il 77% avviene di questi atti autolesionisti avviene per impiccagione, la restante parte per asfissia da gas o avvelenamento.

Ciò che era in gioco, non era la cornice troppo frusta o troppo asettica, troppo rudimentale o troppo perfezionata della prigione, era la sua materialità nella misura in cui è strumento e vettore di potere, era tutta la tecnologia del potere sul corpo, che la tecnologia dell’«anima» – quella degli educatori, dei filosofi e degli psichiatri – non riesce né a mascherare né a compensare, per la buona ragione che essa non è che uno degli strumenti. E’ di questa prigione, con tutti gli interventi del potere politico sul corpo che essa riunisce nella sua architettura chiusa, che io vorrei fare la storia. Per puro anacronismo? No, se intendiamo con questo fare la storia del passato in termini del presente. Sì, se intendiamo con questo fare la storia del presente.

cit. Foucault. M. Il corpo del condannato in “Sorvegliare e Punire” Einaudi, 1976

Gaetano De Monte

http://www.dinamopress.it, 12 Dicembre 2016

Detenuti morti nella Casa Circondariale di Paola, Sinistra Italiana interroga il Governo


Sen. De Cristofaro e De PetrisCome avevo garantito il Governo Renzi è stato ufficialmente informato con un atto di sindacato ispettivo di quanto incredibilmente accaduto nel Carcere di Paola. Lo afferma Emilio Enzo Quintieri, già membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e capo della delegazione visitante gli Istituti Penitenziari della Calabria. Nella giornata di ieri, durante la 725 seduta del Senato della Repubblica, l’On. Peppe De Cristofaro (Sinistra Italiana), Vice Presidente della Commissione Affari Esteri, membro della Commissione Straordinaria per la tutela dei Diritti Umani e della Commissione Bicamerale Antimafia, ha presentato una Interrogazione a risposta scritta (la n. 4-06659 del 16/11/2016) ai Ministri della Giustizia On. Andrea Orlando e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale On. Paolo Gentiloni. L’atto di sindacato ispettivo è stato sottoscritto anche dall’On. Loredana De Petris, Presidente del Gruppo Misto e Capogruppo di Sinistra Italiana a Palazzo Madama.

I Senatori della Repubblica, premesso quanto riferitogli dall’esponente radicale Quintieri circa le strane morti avvenute recentemente nella Casa Circondariale di Paola – una delle quali già oggetto di Interrogazione Parlamentare al Ministro della Giustizia da parte dell’On. Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico – ed il comportamento tenuto dalla Direzione dell’Istituto Penitenziario, hanno chiesto di sapere se e di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati, ognuno per la parte di propria competenza, circa i fatti relativi al decesso di Youssef Mouhcine, il 31enne marocchino, deceduto nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre a pochi giorni dalla sua scarcerazione nonché del decesso di Maurilio Pio Morabito, il 46enne calabrese, deceduto nella notte tra il 28 ed il 29 aprile scorso, sempre nell’imminenza del fine pena.

Inoltre sono stati posti i seguenti quesiti a cui il Governo dovrà rispondere per iscritto : “1) quali siano le cause che hanno cagionato il decesso del detenuto ed in particolare che cosa sia emerso dagli accertamenti autoptici disposti dall’Autorità Giudiziaria competente; 2) se risulti con quale modalità, nella notte tra il 23 ed il 24 ottobre 2016, giorno in cui è morto il detenuto Youssef Mouhcine, fosse garantita la sorveglianza all’interno dell’Istituto e se al momento del decesso fosse presente il Medico Penitenziario; 3) per quali motivi i familiari di Mouhcine non siano stati tempestivamente avvisati dell’avvenuto decesso da parte della Direzione dell’Istituto di Paola come prevede la normativa vigente in materia e se, con riferimento a tale omissione, non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari nei confronti del Direttore; 4) per quali motivi la Direzione dell’Istituto abbia provveduto, a cura e spese dell’Amministrazione, alla sepoltura del detenuto straniero presso il Cimitero di Paola, pur essendo a conoscenza che la famiglia voleva restituita la salma per il funerale e se, con riferimento a tale abuso, non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari nei confronti del Direttore; 5) per quali ragioni la Direzione dell’Istituto non abbia evaso con la dovuta tempestività la richiesta del Consolato Generale del Regno del Marocco di Palermo e se, anche con riferimento a tale omissione, non ritenga opportuno adottare gli opportuni provvedimenti disciplinari nei confronti del Direttore ; 6) se nella Casa Circondariale di Paola, alla data odierna, vengano ancora utilizzate “celle lisce” così come recentemente accertato da una visita effettuata da una delegazione di Radicali Italiani”.

casa-circondariale-di-paola-2Nella Casa Circondariale di Paola, secondo quanto scrivono i Senatori di Sinistra Italiana De Cristofaro e De Petris nella loro Interrogazione, alla data del 31 ottobre 2016, a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti, vi erano ristretti 218 detenuti (36 in esubero), 84 dei quali stranieri. Nell’Istituto, come più volte denunciato dai Radicali Italiani all’esito di alcune visite effettuate, non vi sono mediatori culturali nonostante la rilevante presenza di stranieri. E’ stato precisato, altresì, che la famiglia di Mouhcine, quale parte offesa, ha ritenuto di nominare un difensore di fiducia, Avvocato Manuela Gasparri del Foro di Paola, affinché venga fatta piena luce sulla morte del proprio congiunto, non credendo alla versione del suicidio fornita dall’Amministrazione Penitenziaria. Da inizio dell’anno sono 93 le persone detenute che sono decedute negli Istituti Penitenziari della Repubblica, 33 delle quali per suicidio.

Infine, il radicale Quintieri ha reso noto che, nei giorni scorsi, un funzionario del Ministero degli Affari Esteri del Regno del Marocco, ha contattato la famiglia Mouhcine alla quale, oltre a porgergli le condoglianze, ha garantito di essere intervenuto, anche per il tramite del proprio Consolato Generale di Palermo, presso il Governo Italiano per avere esaustive delucidazioni in ordine a quanto accaduto.

Sulla questione oltre ai Radicali Italiani sono intervenuti l’Associazione Alone Cosenza Onlus, il Dipartimento Politiche dell’Immigrazione della Cgil di Cosenza, la Comunità Marocchina di Cosenza ed il Movimento Diritti Civili.

Altra Interrogazione a risposta scritta (la n. 4-06655 del 16/11/2016) indirizzata al Governo Italiano è stata presentata dai Senatori Francesco Molinari, Ivana Simeoni, Serenella Fucksia e Giuseppe Vacciano. Hanno chiesto di sapere se e di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati (Giustizia e Affari Esteri) in ordine ai fatti rappresentati, anche con riferimento ai casi specifici segnalati, e se questi corrispondano al vero e se non si ritenga, indipendentemente dall’attività investigativa condotta dall’Autorità Giudiziaria, qualora non sia stato già fatto nell’immediatezza dei fatti, di avviare una indagine interna, al fine di chiarire l’esatta dinamica del decesso del detenuto, per appurare se nei confronti dello stesso siano state predisposte tutte le misure di sorveglianza in termini di custodia in carcere e tutela sanitaria e se vi siano responsabilità di tipo penale o disciplinare attribuibili al personale che aveva in cura e custodia il detenuto.

Interrogazione a risposta scritta ai Ministri della Giustizia e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dei Sen. De Cristofaro e De Petris (clicca per leggere)

Interrogazione a risposta scritta ai Ministri della Giustizia e degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dei Sen. Molinari, Simeoni, Fucksia e Vacciano (clicca per leggere)

Suicidio “sospetto” nel penitenziario di Paola, il detenuto morto stava per tornare libero


Casa Circondariale 2Linea d’ombra sul decesso di un detenuto straniero nel carcere calabrese di Paola. Il ristretto si chiamava Youssef Mouchine, aveva 30 anni e gli restavano pochissimi giorni per essere scarcerato e tornare in libertà. Si sarebbe suicidato nella notte tra il 23 ed 24 ottobre. La famiglia che vive in Marocco è stata avvisata della sua morte dopo diversi giorni. Youssef era stato già sepolto presso il cimitero del comune di Paola, col nulla osta del pm Anna Chiara Fasano.
Il pm, oltre ad aver disposto l’autopsia e l’acquisizione di atti e filmati delle telecamere di sorveglianza, ha chiesto alla direzione del carcere di sapere se il detenuto aveva familiari e parenti o altre persone con le quali era in contatto, eventualmente anche per informarli della possibilità di nominare un proprio consulente di parte per partecipare alle operazioni autoptiche e per la restituzione della salma. Invece, e non si capisce il perché, pare che il carcere abbia risposto negativamente chiedendo contestualmente all’autorità giudiziaria il nulla osta per il seppellimento a spese dell’amministrazione.
L’esponente dei Radicali Italiani Emilio Quintieri che ha denunciato questa oscura vicenda spiega che “la salma, come prevede l’Ordinamento penitenziario, avrebbe dovuto essere messa immediatamente a disposizione dei congiunti e solo qualora alla sepoltura non volessero provvedere i predetti, l’amministrazione doveva farsene integralmente carico”.

Per tale motivo, Larbi Mouchine, padre di Youssef, sempre su consiglio del radicale Quintieri, ha nominato l’avvocato Manuela Gasparri del Foro di Paola, conferendole espressamente mandato di rivolgersi alla procura della Repubblica di Paola, perché sia fatta piena luce sulla morte del figlio, non riuscendo a credere che si tratti di suicidio atteso che il fine pena era imminente e lui voleva tornare in Marocco per sposarsi ed anche perché durante le pochissime telefonate intercorse questi aveva lamentato di essere ripetutamente maltrattato, di essere messo in isolamento in cella liscia e costretto a dormire sul pavimento a causa delle sue rimostranze poiché non gli veniva consentito di corrispondere telefonicamente con la famiglia.
Nella mattinata di giovedì scorso, la cugina di Youssef, Zaineb Belaaouej, accompagnata dagli avvocati Manuela Gasparri e Carmine Curatolo, si è recata presso la procura della Repubblica di Paola per parlare con il pm Fasano, raccontandole i fatti di sua conoscenza. Nei prossimi giorni, invieranno una dettagliata memoria scritta alla Procura, con la quale sporgeranno denuncia contro l’Amministrazione penitenziaria e la citeranno in giudizio per non aver tutelato la incolumità del loro congiunto, avendone l’obbligo.
Tra l’altro – denuncia il radicale Emilio Quintieri – la direzione della Casa circondariale di Paola, non ha risposto al Consolato generale del Regno del Marocco di Palermo, competente anche per la Regione Calabria, il quale il 31 ottobre ha chiesto notizie sulla morte del proprio connazionale. I familiari chiederanno aiuto al Re Mohammed VI, al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione del Regno del Marocco.

Ahmed Berraou, il responsabile del Dipartimento Politiche dell’Immigrazione della Cgil di Cosenza e capo della locale comunità marocchina, dopo aver appreso della misteriosa morte del suo conterraneo, commenta: “Esprimo a nome mio personale tutto il mio sdegno per la morte del giovane Youssef Mouchine avvenuta, nelle scorse settimane, nella casa circondariale di Paola. È assolutamente necessario che si faccia chiarezza anche perché non è la prima volta che accadono fatti del genere”.
Berraou prosegue con una denuncia: “La direzione del carcere, nei mesi scorsi, ha proceduto a revocare l’autorizzazione accordata alla mediatrice culturale Shyama Bokkory asserendo, falsamente, che non vi erano più detenuti extracomunitari nell’Istituto”. Il capo locale della comunità marocchina infine conclude con una serie di domande: “Per quale motivo non è stata avvisata tempestivamente la famiglia di Mouchine del suo decesso?
Per quale motivo, nonostante la richiesta della famiglia di voler restituito il cadavere per il funerale secondo il tradizionale rito islamico, hanno proceduto alla sepoltura in un cimitero cristiano? Per quale motivo non hanno riscontrato la richiesta pervenuta dal Consolato generale del Marocco di Palermo che chiedeva informazioni sulla morte di Mouchine ? Non è possibile che in uno Stato civile come l’Italia possano esserci delle Carceri gestite in questo modo”.
Non è nuovo un caso del genere nel carcere di Paola. Sempre quest’anno, un detenuto che si chiamava Maurilio Pio Morabito, in carcere per spaccio di stupefacenti, si sarebbe suicidato nell’aprile scorso nella sua cella, dopo aver trascorso un periodo di isolamento in una cella liscia. Il suo fine pena era imminente. Maurilio sarebbe uscito dal carcere il 30 giugno. Aveva anche scritto una lettera indirizzata ai familiari e al suo avvocato con queste inquietanti e profetiche parole: “Se dovesse accadere un mio eventuale decesso, facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così in quanto amo troppo la vita e il mio fine pena è imminente, 30 giugno. Ovvio che l’agente che fa la notte sa”. Anche in questo caso ci sono delle nubi a cui l’autorità giudiziaria dovrà dare una risposta chiara.

Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 11 Novembre 2016

 

Detenuto suicida nel Carcere di Paola, l’On Bruno Bossio interroga il Ministro Orlando


On. Enza Bruno Bossio - PDNei giorni scorsi, il caso del detenuto Maurilio Pio Morabito, 46 anni, di Reggio Calabria, morto suicida in una cella del Reparto di Isolamento della Casa Circondariale di Paola, in Provincia di Cosenza, lo scorso 29 aprile 2016, intorno all’una di notte, è finito sulla scrivania del Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando grazie ad una circostanziata Interrogazione Parlamentare, con richiesta di risposta scritta, presentata dall’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputata del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia.

Il Morabito, che aveva avuto problemi di tossicodipendenza, da circa un mese, dopo essere stato trasferito dalla Casa Circondariale “Arghillà” di Reggio Calabria, si trovava ristretto presso la Casa Circondariale di Paola, dovendo espiare una pena detentiva di 4 mesi di reclusione. Il suo fine pena era previsto per il prossimo 30 giugno.

L’Onorevole Bruno Bossio, grazie anche alle informazioni acquisite dalla visita ispettiva effettuata da una Delegazione dei Radicali Italiani guidata dal radicale Emilio Enzo Quintieri, effettuata nei giorni successivi al decesso del Morabito, ha riferito che quest’ultimo avrebbe posto in essere il gesto autosoppressivo mediante impiccagione, utilizzando una coperta, che è stata annodata a forma di cappio alla grata della finestra della cella, nel reparto di isolamento, del predetto Istituto Penitenziario che, all’epoca dei fatti, ospitava 182 persone detenute a fronte di altrettanti posti detentivi.

Nell’ambito della visita ispettiva, la Delegazione Radicale, aveva potuto verificare che la cella n. 9 in cui si è impiccato il Morabito era “liscia” cioè priva dell’arredo ministeriale, sporca e maleodorante e che il citato detenuto non era stato sottoposto a “sorveglianza a vista” nonostante, già in altre occasioni, avesse manifestato propositi suicidiari e compiuto vari atti autolesionistici, nonché distrutto due celle, una delle quali mediante l’incendio di un materasso posta nel primo reparto detentivo e l’altra nel reparto di isolamento dirimpetto alla cella in cui si è impiccato.

Sul decesso del Morabito, la Procura della Repubblica di Paola, a seguito della denuncia dei familiari, ha aperto un Procedimento Penale, al momento nei confronti di ignoti, per il delitto di istigazione o aiuto al suicidio previsto e punito dall’Art. 580 del Codice Penale al fine di appurare le cause, le circostanze e le modalità del decesso. Infine, la predetta Autorità Giudiziaria, oltre ad aver disposto l’acquisizione dei filmati delle telecamere di sorveglianza presenti nel reparto detentivo, ha anche ordinato l’esame autoptico sulla salma del Morabito, effettuato lo scorso 7 maggio presso l’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria dal Dottore Mario Matarazzo che dovrà concludere la relazione peritale nelle prossime settimane.

Nell’Interrogazione (atto n. 4-13360 del 07/06/2016, Seduta n. 633 della Camera dei Deputati) sono stati richiamati, oltre al suicidio di Morabito, gli altri 12 suicidi e le altre 21 morti per malattia, assistenza sanitaria disastrata, overdose o per cause ancora da accertare, avvenuti dall’inizio del 2016, negli Istituti Penitenziari italiani. Dal 2000 ad oggi, i “morti di carcere” sono stati 2.527, 900 dei quali per suicidio. La maggior parte dei suicidi che avvengono negli stabilimenti penitenziari – ha denunciato con forza la Deputata calabrese – si è verificata nei reparti di isolamento e, ancor di più, nelle “celle lisce”, cioè completamente vuote, (come quella in cui il Morabito è stato collocato, per diversi giorni, in condizioni al limite della tollerabilità, nella Casa Circondariale di Paola) nonostante, da tempo, tali pratiche (collocazione dei detenuti in isolamento ed in celle lisce), secondo gli esperti, siano ritenute “assolutamente controproducenti” poiché pur togliendo dalla cella tutto ciò che potrebbe essere usato dai detenuti per suicidarsi, il modo di farlo lo trovano lo stesso.

In tanti Istituti Penitenziari – come proprio la stessa Onorevole Bruno Bossio ha già avuto modo di denunciare al Governo – con altra Interrogazione a risposta in Commissione Giustizia, rimasta inevasa, a seguito della visita ispettiva alla Casa di Reclusione di Rossano e, direttamente, al Dott. Santi Consolo, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria durante la sua audizione presso la Commissione Bicamerale Antimafia – l’utilizzo del reparto e dell’istituto dell’isolamento in modo difforme dalla normativa vigente in materia e cioè all’infuori dei casi stabiliti dall’Art. 33 dell’Ordinamento Penitenziario (motivi giudiziari, sanitari o disciplinari).

Ministro Orlando (2)Ha richiamato anche il fatto che il detenuto Morabito avesse, più volte, chiesto con delle missive, di essere trasferito in un Istituto Penitenziario dotato di una “Sezione Protetta” poiché aveva fondato timore di essere vittima di aggressioni, avendo ricevuto minacce di morte conseguenti a non meglio precisati fatti occorsi quando era ristretto presso la Casa Circondariale Arghillà di Reggio Calabria. Inoltre, stando a quanto riferito dai familiari del detenuto morto suicida, sarebbero state numerose le richieste di colloquio fatte anche al Direttore della Casa Circondariale di Paola e mai tenute in considerazione dallo stesso, in violazione di quanto prescrive l’Art. 75 c. 1 dell’Ordinamento Penitenziario.

Pertanto, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, ha chiesto al Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando, di conoscere : a) se e di quali informazioni disponga in ordine ai fatti rappresentati, anche con riferimento ai casi specifici segnalati e se questi corrispondano al vero; b) se non ritenga, in via cautelativa, di assumere le iniziative, per quanto di competenza, nel rispetto dell’attività della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, volte ad avviare una indagine amministrativa interna al fine di chiarire la causa, le circostanze e le modalità del decesso del detenuto Morabito ed appurare se nei confronti dello stesso siano state messe in atto tutte le misure di sorveglianza custodiale e sanitaria, previste e necessarie, e quindi se non vi siano responsabilità disciplinarmente rilevanti in capo al personale dell’Amministrazione Penitenziaria ; c) quali siano le motivazioni che hanno condotto all’improvviso trasferimento del Morabito dalla Casa Circondariale di Arghillà di Reggio Calabria alla Casa Circondariale di Paola chiarendo, altresì, per quali ragioni, il predetto detenuto non sia stato trasferito, sin da subito o comunque dopo le sue richieste, presso altro Istituto Penitenziario dotato di reparti “protetti” visto che era stato gravemente minacciato ed aveva fondato timore di essere aggredito invece di essere tenuto a giudizio dell’interrogante, impropriamente, nel reparto di isolamento della Casa Circondariale di Paola; d) se e quali problemi di salute presentava il detenuto Morabito all’atto della visita obbligatoria di primo ingresso presso la Casa Circondariale di Arghillà di Reggio Calabria e poi presso quella di Paola, ricavabili dal suo diario clinico e se risulti se lo stesso, durante tutto il periodo detentivo, sia stato adeguatamente assistito dal punto di vista sanitario; se intenda chiarire, infine, se lo stesso fosse sottoposto a particolari trattamenti terapeutici per le sue condizioni personali; e) se risulti veritiero il fatto che il detenuto Morabito abbia chiesto, più volte, di poter avere un colloquio col Direttore della Casa Circondariale di Paola e che le sue istanze siano rimaste tutte inevase; f) se risulti che, il Direttore della Casa Circondariale di Paola offra, con particolare frequenza, ai detenuti la possibilità di poter avere con lo stesso dei periodici colloqui individuali e se e quante volte il predetto si sia recato ad ispezionare i locali ove sono ristretti i medesimi, anche tramite la visione delle annotazioni apposte negli appositi registri previsti dalla normativa ; g) per quali motivi, il signor Morabito, sia stato recluso nell’istituto di cui in premessa visto che la pena da espiare era di soli 4 mesi di reclusione e se, in ogni caso, corrisponde al vero che questi abbia presentato istanza alla competente Magistratura di Sorveglianza per la concessione di una misura alternativa alla detenzione prevista dall’Ordinamento Penitenziario (detenzione domiciliare, affidamento, e altro) ed in caso affermativo, per quali ragioni, gli sia stata negata ed h) se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per assicurare che l’isolamento nei confronti dei detenuti venga disposto solo ed esclusivamente in circostanze eccezionali e, comunque, nei soli casi tassativi stabiliti dal legislatore, proibendo all’Amministrazione Penitenziaria di utilizzare sezioni o reparti di isolamento per altri motivi in applicazione di quanto disposto dall’Articolo 73 del Regolamento di Esecuzione Penitenziaria e se non ritenga, altresì, di dover intervenire con urgenza per emanare delle direttive soprattutto per quanto attiene l’esecuzione dell’isolamento, poiché, ancora oggi, come accertato dalla Delegazione Radicale nella Casa Circondariale di Paola, esistono delle “celle lisce”, prive di ogni suppellettile, in cui vengono collocati i detenuti che, invece, dovrebbero essere posti secondo l’interrogante in “camere ordinarie” che presentino le caratteristiche indicate dall’Articolo 6 dell’Ordinamento Penitenziario.

Interrogazione n. 4-13360 dell’On. Bruno Bossio (clicca per leggere)

Paola, il Pm procede per “istigazione al suicidio”. I Radicali visitano il Carcere


Casa Circondariale di PaolaOggi pomeriggio alle ore 15,00 presso l’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria si terrà l’esame autoptico sul cadavere di Maurilio Pio Morabito, il 46enne reggino trovato impiccato alla finestra, la notte del 29 aprile 2016 intorno all’una circa, presso la Casa Circondariale di Paola, ove si trovava ristretto dal 1 aprile in espiazione di una condanna che avrebbe terminato il 30 giugno 2016.

L’esame autoptico si è reso necessario dopo la denuncia effettuata dai familiari del Morabito, assistiti dagli Avvocati Giacomo Iaria e Corrado Politi del Foro di Reggio Calabria, ed è stato disposto dal Pubblico Ministero di Reggio Calabria Salvatore Faro, su richiesta della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Paola, competente territorialmente, guidata dal Procuratore Bruno Giordano.

Gli accertamenti tecnici non ripetibili, per conto dell’Ufficio di Procura, saranno condotti dal Medico Legale Mario Matarazzo. Anche la famiglia ha nominato un proprio consulente di parte che prenderà parte all’esame autoptico per stabilire le cause, le modalità ed eventualmente i mezzi che hanno determinato la morte del detenuto reggino. Al momento, per quanto è trapelato, si procede nei confronti di ignoti per il reato di istigazione al suicidio previsto e punito dall’Art. 580 del Codice Penale.

Intanto, ieri mattina, la Direzione della Casa Circondariale di Paola, ha consegnato alla Magistratura, i filmati delle telecamere di sorveglianza presenti nell’Istituto che, contrariamente a quanto riferiva il detenuto ai propri congiunti, erano regolarmente attive e funzionanti. Nel pomeriggio, invece, una delegazione guidata dal radicale Emilio Enzo Quintieri, già membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani e composta da Valentina Moretti, Shyama Bokkory, Marco Calabretta e Lucia Coscarelli, giusta autorizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, ha effettuato una visita ispettiva nello stabilimento penitenziario – in cui sono presenti 182 detenuti – durata circa quattro ore.

Sono stati visitati tutti gli spazi detentivi ivi compreso i reparti e le celle in cui è stato ubicato, durante la sua breve permanenza a Paola, il detenuto Maurilio Morabito. E’ stato accertato che la cella in cui il prevenuto è stato trovato cadavere dal personale di Polizia Penitenziaria è la numero 9 all’interno del Reparto di Isolamento posto al piano terra della struttura. Ed è una “cella liscia” cioè priva dell’arredo ministeriale (branda, materasso, sgabello, tavolino, etc.).

Delegazione Radicale CC PaolaSono già 32 i decessi dei detenuti avvenuti nel 2016 nelle Carceri della Repubblica, 12 dei quali per suicidio, sostiene il radicale Quintieri. A Paola, in ogni caso, non ci sono stati suicidi da diversi anni ed anche quelli tentati e gli atti di autolesionismo sono pochi rispetto a tanti altri Istituti. Qualcuno aveva ipotizzato che il detenuto sarebbe stato ucciso ma io ritengo di escluderlo categoricamente poiché era isolato e quindi separato dal resto della popolazione detenuta. Nessuno a Paola, né tra la Polizia Penitenziaria né tra i detenuti, lo voleva morto !

Quello che contesto però all’Amministrazione Penitenziaria, che ha l’obbligo giuridico di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, è quello di aver collocato il Morabito in isolamento e, peggio ancora, in una “cella liscia”, pratica che ritengo illegale, e senza disporre la “sorveglianza a vista” dello stesso nonostante avesse già manifestato le proprie intenzioni suicide ed i propri disturbi psichici.

Chi si occupa di carcere sa benissimo che il metodo più utilizzato per il suicidio è l’impiccamento, messo in atto durante l’isolamento, e durante periodi in cui il personale è più scarso o non è presente costantemente in un determinato reparto detentivo, come di notte ed il fine settimana. Molti suicidi avvengono nei momenti in cui i detenuti si trovano da soli e, tra questi, tanti mentre sono allocati nelle “celle lisce”. Esiste una forte associazione tra suicidio dei detenuti e tipo di alloggio assegnato.

Un detenuto posto in isolamento, o sottoposto a particolari regimi di detenzione (specialmente in cella liscia) è incapace di adattarvisi, è ad altissimo rischio di suicidio. Morabito aveva bisogno di essere rigorosamente sorvegliato ed assistito – continua l’esponente radicale Emilio Enzo Quintieri – ed invece è stato lasciato da solo in una cella, in condizioni al limite della tollerabilità. Il livello di osservazione avrebbe dovuto essere più rigoroso ed adeguato al grado di rischio che era ben noto all’Amministrazione Penitenziaria. Pare che al Morabito lo Specialista in Psichiatria in servizio nell’Istituto avesse prescritto la somministrazione di una terapia farmacologica che lui rifiutava di assumere avendo fondato timore di essere avvelenato. Anche da questo punto di vista, a mio avviso, si è operato con superficialità in quanto il detenuto avrebbe dovuto essere immediatamente trasferito in un Reparto di Osservazione Psichiatrica o in altra struttura sanitaria esterna per una migliore comprensione della situazione, la messa a punto di un trattamento psicofarmacologico adeguato ed una sorveglianza più intensificata finalizzata alla prevenzione del rischio suicidario.

Paola, la “morte annunciata” del suicida in cella. I Radicali annunciano ispezione


Casa Circondariale“Se dovesse accadere un mio eventuale decesso, facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così in quanto amo troppo la vita e il mio fine pena è imminente, 30 giugno. Ovvio che l’agente che fa la notte sa”. Così aveva scritto – in una lettera indirizzata ai familiari ed al suo avvocato – Maurilio Pio Morabito che era ristretto nel carcere calabrese di Paola.

Una morte annunciata. Ieri è stato ritrovato morto nella sua cella. Ufficialmente un suicidio, ma considerando le premesse qualche dubbio è lecito. Morabito, 46 anni, era stato recluso nel carcere calabrese di Arghillà, e sarebbe stato aggredito e minacciato di morte. Nella prima lettera infatti lo aveva denunciato dichiarando “di aver ricevuto minacce di morte, conseguenti ai fatti accaduti nel carcere di Arghillà (Rc)”. Dopo quei fatti era stato trasferito nel carcere di Paola. Qualche giorno dopo aver spedito la lettera, datata 6 aprile 2015, nella sua cella posta nella Prima Sezione, si è verificato un incendio ed il Morabito è stato salvato dagli agenti.
L’uomo temeva per la propria vita, come se qualcuno fosse stato incaricato di ucciderlo. Infatti, dopo l’incendio, il detenuto aveva scritto l’ennesima lettera con la quale richiedeva – per la tutela della sua incolumità – “di essere trasferito in una struttura sita in qualsiasi punto della penisola, purché sia dotata di un’area protetta”. Inoltre chiedeva che per il tempo di attesa necessario al suo trasferimento “sia mantenuto il cancello ed il blindo 24 h chiuso e aperto soltanto per i vari colloqui, il divieto di incontro con qualunque detenuto anche lavorante”. Aveva paura Morabito, temeva chiaramente per la sua incolumità tanto da richiedere un isolamento vero e proprio.

Nei giorni scorsi l’attivista radicale Emilio Quintieri era stato allertato dai familiari del detenuto, perché il loro congiunto non aveva voluto nemmeno incontrali per il colloquio ed erano molto preoccupati per la sua vita. Quintieri si era subito attivato comunicando telefonicamente con la casa circondariale di Paola ed era stato riassicurato sul miglioramento delle condizioni di salute di Morabito. L’esponente radicale aveva comunque in programma di andare a fare una visita ispettiva nel carcere per verificare la situazione. Ma non ha fatto in tempo.
Suicidio ? Le modalità della cosa risultano un po’ strane. Secondo una prima ricostruzione dei fatti avrebbe chiesto una sigaretta a un piantone, con la quale poi avrebbe bruciacchiato una coperta e, dopo averla fatta a brandelli, l’avrebbe utilizzata come cappio per suicidarsi. Come ha potuto fare tutto ciò senza essere visto dal personale addetto alla sorveglianza del reparto e quindi del detenuto, soprattutto alla luce delle sue richieste per preservare la sua incolumità? Se la causa della sua morte non fosse il suicidio la risposta sarebbe da ricercarsi in quello che è accaduto nel carcere di Arghillà. Da chi è stato picchiato? Ma, soprattutto, perché è stato minacciato di morte? Morabito è stato arrestato per reati legati allo spaccio di stupefacenti, non risulta legato a nessuna associazione mafiosa. Il reato è comune tra la popolazione carceraria. Ha visto qualcosa che non doveva vedere o sentire? Sarà la magistratura a indagare sulla sua morte misteriosa. Intanto il militante radicale Emilio Quintieri nella prossima settimana farà una visita al carcere di Paola per tentare di capire che cosa può essere successo.

Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 30 aprile 2016

Paola, Quintieri (Radicali) : una morte da accertare quella del detenuto reggino


Carcere di Paola 1Una morte da accertare. Si tratta di un detenuto calabrese, di Reggio Calabria, Maurilio Pio Morabito, 46 anni. Una condanna definitiva per reati comuni con fine pena 30 giugno, soli due mesi. A sollevare il “caso” è il radicale Emilio Quintieri che da tempo si occupa della condizione dei detenuti nelle carceri calabresi. Maurilio Pio Morabito era stato trasferito lo scorso 6 aprile dalla casa circondariale “Arghillà” di Reggio Calabria. Secondo quanto riferisce il radicale sarebbe stato vittima “di una non meglio definita aggressione”.

Ma c’è un seguito ed è quanto riferisce Quintieri diffondendo anche la lettera autografa di Morabito. Appena giunto nella casa circondariale di Paola, aveva scritto una lettera. Scriveva: “di aver ricevuto minacce di morte, conseguenti ai fatti accaduti nel carcere di Arghillà”. Il detenuto scriveva testualmente, in un italiano poco corretto, ma comprensibile: “Se dovrebbe accadere un mio eventuale decesso, facendo il tentativo di farlo passare per un suicidio, non è così in quanto amo troppo la vita e il mio fine pena è imminente, 30 giugno. Ovvio che l’agente che fa la notte sa”. Il 12 aprile, nella sua cella, posta nella I sezione del carcere di Paola, per quanto è stato riferito, si sarebbe verificato un incendio e Morabito è stato salvato dal personale di Polizia Penitenziaria.

Dopo questo fatto un’altra lettera che riportiamo integralmente: “a tutela della mia incolumità, chiedo di essere trasferito in una struttura sita in qualsiasi punto della Penisola, purchè sia dotata di un’area protetti. Inoltre chiedo che per il tempo di attesa affinchè avvenga il mio trasferimento, sia mantenuto il cancello ed il blindo 24 h chiuso e aperto soltanto per i vari colloqui, il divieto di incontro con qualunque detenuto anche lavorante.” Giovedì, nel tardo pomeriggio, i familiari avevano comunicato al radicale Quintieri che il loro congiunto non aveva voluto fare nemmeno il colloquio, rifiutando di incontrarli e che ciò era strano ed erano seriamente preoccupati per la sua vita. Ieri, invece, i familiari di Morabito hanno riferito di essere stati contattati dal carcere a seguito del decesso, avvenuto in nottata, per suicidio. “Ho consigliato loro – scrive Quintieri – di fare denuncia recandosi presso la Stazione Carabinieri di Reggio Calabria per chiedere l’intervento immediato dell’Autorità Giudiziaria al fine di chiarire la dinamica e le cause del decesso”.

Sabato 30 Aprile 2016

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