La follia di chiudere gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari per costituirne di nuovi chiamandoli “Rems”


OPGTopi nelle stanze; mani e piedi legati al letto; urina e residui di cibo. È l’ultima fotografia, scattata da un’inchiesta parlamentare, degli Opg, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che a metà degli anni 70 hanno sostituito i vecchi manicomi criminali.

La situazione di degrado totale di queste strutture ha portato a una legge che prevede la loro chiusura, più volte rimandata, entro il 31 marzo 2015. Una chiusura che però potrebbe avere delle ripercussioni anche sulle Ulss locali, compresa quella di Vicenza, e sulla quale pesa l’ennesima questione del consumo di territorio.

Lo smantellamento degli Opg – che in Italia sono sei – prevede infatti l’apertura in ogni Regione delle cosiddette Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza sanitaria), nuove strutture psichiatriche predisposte solo per la gestione sanitaria e con il controllo esterno, per i casi di pazienti con manifesta pericolosità sociale, delle forze di polizia. In Veneto sono stati destinati 12, 5 milioni di euro per una REMS da 40 posti letto da realizzarsi ex-novo accanto all’ospedale Stellini di Nogara, in provincia di Verona. “In Veneto questo si traduce in una nuova colata di cemento quando si potrebbe benissimo procedere alla ristrutturazione”, denuncia Francesca Businarolo, deputata M5S, evidenziando che “la stessa somma è stata destinata alla regione Piemonte ma per una nuova struttura che sarà destinata alla cura di 70 posti letto, quasi il doppio”.

In attesa della costruzione della Rems Veneta – ma a oggi non esiste ancora un piano regionale ben definito sulla questione – tutte le Ulss Regionali sono state chiamate a prendere in gestione i pazienti dimessi dalle Opg in via di chiusura. L’Ulss 6 di Vicenza ha in carico sei persone attualmente detenute a Castiglione delle Stiviere e a Reggio Emilia e si sta attrezzando per rispettare questa direttiva regionale emessa lo scorso 23 giugno. Il piano prevede la dismissione dei pazienti con percorsi terapeutico-riabilitativi individuali e il loro inserimento in comunità di accoglienza.

“Il problema – spiega Alessandra Sala, Responsabile Assistenza Territoriale 2° U.O. Psichiatrica dell’Ulss 6 – è che se adesso alcune di queste persone dovessero essere dimesse difficilmente potrebbero essere accolte dalle comunità, visto che lì non c’è alcun tipo di sorveglianza particolare”.

L’unica “unità chiusa” adatta a ospitare persone con manifesti sintomi di pericolosità sociale è l’ospedale di Vicenza, presso il quale verrebbe meno l’intento del percorso riabilitativo. “Già è successo con casi di trattamento coatto temporaneo – continua la dottoressa – si sono verificate situazioni in cui sono stati chiusi dei reparti dell’ospedale e i medici hanno dovuto sopperire alla mancanza di sorveglianza”.

La paura dei dirigenti del reparto psichiatrico dell’ospedale di Vicenza è che si registri un aumento imprevisto, in termini di tempo, delle persone che con la chiusura degli Opg dovrebbero a forza di cose transitare per l’ospedale in mancanza di altri luoghi idonei. “Non si può prevedere – sottolinea Sala – cosa possa succedere se questi pazienti dovessero transitare in ospedale per mesi nel caso in cui la Rems non fosse ancora pronta: non possiamo fare tutto noi”. Il dipartimento di salute mentale dell’Ulss 6 ha già ospitato in passato persone che avevano commesso un reato e che sono rimaste ad aspettare per molte settimane la sentenza di un giudice che stabilisse un indirizzo. In questi frangenti la struttura ospedaliera ha dovuto attrezzarsi con inevitabili disagi per i pazienti.

Questo tipo di situazioni, con la chiusura degli Opg, corrono il rischio di diventare sempre più frequenti, se non diventare una provvisorietà a rischio di cronicità. “Una soluzione – conclude Sala – è accelerare l’apertura di strutture adatte, magari cercando di recuperare l’esistente. Non tutti gli Opg sono infatti uguali: accanto ai luoghi dell’orrore ci sono infatti centri come quello di Castiglione delle Stiviere che rappresentano un ottimo modello e che potrebbero vivere una secondo vita, visto che al loro interno hanno costituito delle comunità molto efficienti, per esempio quella delle mamme che hanno commesso infanticidi, nelle quali sono stati messi a punto programmi e azioni frutto di un’ottima esperienza”.

Il nodo da sciogliere è però legato ancora una volta alla realizzazione fisica di una nuova struttura, sulla quale sta convergendo un dibattito che, a lungo raggio, rientra nel tema dei presunti sprechi della Sanità Veneta. E questo in una regione in cui è il mattone a essere sensibile a ogni richiamo e dove anche una realtà drammatica come quella del disagio mentale può diventare un’occasione.

Pietro Rossi

La Nuova Vicenza, 5 luglio 2014

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