Papa Francesco pone l’attenzione sulla finalità educativa della pena. La figura del Pontefice è definita ‘trainantè per coloro che vivono l’esperienza di emarginazione nelle carceri.
L’otto dicembre scorso ha avuto inizio il Giubileo indetto da Papa Francesco: un anno di Misericordia che si preannuncia speciale anche per i detenuti nelle carceri. Un evento straordinario, quello del Giubileo, in cui abbiamo assistito all’apertura delle Porte Sante ad opera del Pontefice, l’otto dicembre proprio nella Basilica di San Pietro. Se il senso che sottende al termine misericordia è quello del perdono, della carità o della compassione verso l’infelicità altrui, in quest’Anno Santo anche le carceri avranno le proprie Porte Sante. Come verrà celebrato il Giubileo nei penitenziari? I detenuti attraverseranno le celle come fossero Porte Sante, un segno di rinascita e di riscatto dalla loro condizione di reclusione o come afferma Papa Francesco una simbolica chiamata alla conversione.
Sulle porte delle celle compaiono così delle decorazioni realizzate con fiori o dipinti dei detenuti stessi, le porte delle cappelle delle carceri considerate come Porte Sante, e ancora processioni, preghiere, eucarestia: ogni carcere celebra il Giubileo a modo suo, da quello di Rebibbia che raccoglie 2200 detenuti ai penitenziari più piccoli. Già in occasione del suo discorso per la Giornata mondiale della Pace, Papa Francesco si era soffermato sull’importanza della finalità educativa che dovrebbe avere la reclusione, nonché sulle condizioni di vita in carcere e sulla formulazione di legislazioni alternative alla detenzione. “Il percorso della fede è personale e delicato, bisogna prendere le persone per mano e accompagnarle in questo cammino. La figura e la vicinanza del Papa è sicuramente trainante per persone che vivono un’esperienza di emarginazione” sono queste le parole di Vittorio Trani, il cappellano che presta servizio da trentacinque anni nel carcere di Regina Coeli. La risposta dei detenuti sembra essere molto positiva, lo si evince dalle loro lettere inviate a Papa Francesco.
La finalità educativa della pena dovrebbe essere un concetto fondamentale proprio di qualsiasi Stato, sembra invece una questione dimenticata o messa in secondo piano. Forse il carcere o la reclusione non dovrebbero essere un punto di arrivo per un detenuto, ma bensì un punto di partenza da cui rinascere e ricostruire il proprio essere con la consapevolezza degli errori passati. Tutti gli individui sbagliano e l’errore è parte integrante dell’essere umano, senza questo non ci sarebbe la possibilità di imparare poiché senza il male non potrebbe esistere il bene. La fede può essere un punto di partenza per la rinascita del detenuto: è questo ciò in cui crede Papa Francesco, ma potrebbe esserlo anche un libro o una frase significativa che colpisce il cuore di chi ha sbagliato, e lo incoraggia a percorrere un cammino per integrarsi nuovamente nella società.
“Tutti i criminali dovranno essere trattati come pazienti e le prigioni diventare degli ospedali riservati al trattamento e alla cura di questo particolare tipo di malattia” sono le parole di Mahatma Gandhi, la guida spirituale famosa per la dottrina della nonviolenza, in cui sembra essere riassunto il significato che dovrebbe rappresentare qualsiasi pena di reclusione: un passaggio, una transizione, affinché come afferma il motto “Di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva”.
Giulia Morici
pontilenews.it, 28 dicembre 2015