Burić (Segretario Coe) al Ministro Bonafede “Nessuna scarcerazione automatica per gli ergastolani ostativi”


Nel quadro della Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa a Strasburgo, Marija Pejčinović Burić, Segretario Generale del Consiglio d’Europa (la principale organizzazione internazionale a difesa dei diritti umani e dello stato di diritto), ha incontrato il Ministro della Giustizia italiano Alfonso Bonafede.

Nell’incontro, la Buric, ha spiegato a Bonafede che : “La sentenza della Corte di Strasburgo sull’ergastolo ostativo, non significa che il detenuto deve essere rilasciato automaticamente. Spetta alle Autorità nazionali valutare caso per caso e decidere in ogni situazione come reagire e dare esecuzione alla sentenza. Capisco benissimo che la decisione della Corte sia difficile da comprendere nel Paese che ha sofferto cosi tanto a causa della mafia”, aggiungendo che l’Italia “ha il nostro pieno appoggio nella lotta alla mafia”.

Quanto a Bonafede, il Ministro ha ribadito che “la posizione dell’Italia su questa sentenza è nota a tutti, c’è una non condivisione della decisione presa dalla Corte di Strasburgo. Riguardo a quanto l’Italia farà, io non voglio scavalcare il Parlamento italiano e so che le forze politiche hanno già reso nota la loro posizione che e’ praticamente unanime” ha aggiunto il Ministro della Giustizia. “Era mio dovere incontrare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa e farle presente la posizione dell’Italia e le preoccupazioni del Paese per questa decisione”.

Strasburgo, la Corte Europea respinge il ricorso dell’Italia. Definitiva la sentenza contro l’ergastolo ostativo



Sull’ergastolo “duro” ai mafiosi la Corte dei diritti umani di Strasburgo (Cedu) dà torto all’Italia e non accoglie il ricorso del governo contro la sentenza del 13 giugno che bocciava il cosiddetto “fine pena mai” in quanto – secondo la giurisprudenza della Corte – a chi è detenuto non si può togliere del tutto anche la speranza di un recupero, ma al soggetto in carcere va riconosciuta la possibilità di redimersi e di pentirsi ed avere quindi l’ultima chance di migliorare la propria condizione.
L’Italia, nel ricorso presentato a settembre aveva chiesto che il caso dell’ergastolo ostativo, previsto dall’Articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario, fosse sottoposto al giudizio della Grand Chambre, l’organo della Cedu che affronta i casi la cui soluzione può riguardare tutti i paesi della Ue. Lì, ad esempio, fu esaminata la controversia di Berlusconi contro la legge Severino (poi archiviata a seguito della sua riabilitazione) che si riferiva al diritto alla eleggibilità di un parlamentare condannato, quindi un caso che poteva avere riflessi giuridici in tutti gli Stati dell’Unione. In questo caso invece l’Italia, nel suo ricorso, spiega la specificità criminale del nostro Paese, la pericolosità stravista delle mafie, Cosa nostra, camorra, ‘ndrangheta. Il ricorso motiva la ragione delle norme rigide sull’ergastolo spiegando che esse riguardano solo alcuni reati molto gravi – mafia, terrorismo, pedopornografia – e consentono una strategia severa contro chi, aderendo a un’organizzazione mafiosa o terroristica, si pone l’obiettivo di destabilizzare lo Stato.
Ma l’orientamento della Cedu va in tutt’altra direzione. Proprio come dimostra il caso specifico affrontato il 13 giugno e la decisione presa dalla Corte e contestata dall’Italia. Riguardava il ricorso a Strasburgo di Marcello Viola, un capocosca di Taurianova, detenuto per 4 ergastoli a seguito di omicidi, sequestri di persona, detenzione di armi. Ma per la Cedu quell’ergastolo “duro”, che la legge italiana battezza come “ostativo”, nel senso che impedisce la concessione di benefici, viola l’articolo 3 della Convenzione che vieta la tortura, le punizioni disumane e degradanti, soprattutto nega la possibilità di un percorso rieducativo. Da qui l’invito all’Italia a rivedere la legge. Un invito, si badi, che non ha carattere perentorio, non rappresenta un obbligo, ma produce però come conseguenza una serie di altri ricorsi di detenuti che lamentano condizioni disumane, tant’è che a Strasburgo ce ne sarebbero già altri 24. Inoltre anche la Corte costituzionale italiana, il 23 ottobre, dovrà trattare il caso di Sebastiano Cannizzaro, un altro detenuto per mafia, che protesta per las mancanza di permessi.
In realtà l’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario (unito al 58ter), più volte rivisto dall’ordinaria stesura del 1975, dà una possibilità al detenuto quando dice espressamente che i benefici – permessi premio, lavoro esterno, misure alternative al carcere, ma non la liberazione anticipata – possono essere concessi solo qualora chi sta in carcere decida di collaborare con la giustizia in modo da rompere in modo definitivo i suoi legami con l’organizzazione mafiosa. L’articolo dell’ordinamento specifica che “i benefici possono essere concessi anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”. La ragione profonda dell’ergastolo “duro” sta proprio nel fatto che la specificità di un mafioso è quella di conservare per sempre, una volta affiliato a una famiglia criminale, il suo dovere di obbedienza.
La questione dell’ergastolo ostativo divide profondamente il mondo della cultura giuridica tra coloro che sostengono la necessità di un carcere umano – come l’ex pm di Mani Pulite Gherardo Colombo e l’ex senatore Luigi Manconi – e chi invece ritiene che aprire le maglie della carcerazione per i mafiosi significhi distruggere anni di politica contro le cosche. Sono soprattutto magistrati antimafia come Piero Grasso, Gian Carlo Caselli, Nino Di Matteo, Federico Cafiero De Raho, Sebastiano Ardita, Luca Tescaroli, a sostenere questa seconda strada. Su cui sono allineati il ministro della Giustizia Bonafede e quello degli Esteri Luigi Di Maio, i quali hanno tentato, negli ultimi giorni, di far comprendere il danno che ricadrebbe sulla lotta alla mafia se l’ergastolo ostativo viene cancellato. Tutti ricordano che Totò Riina, indiscusso capo di Cisa nostra vino alla sua morte, nel “papello” del 1993 in cui poneva le sue condizioni per negoziare con lo Stato citava espressamente l’ergastolo come misura da cancellare.

Ergastolo ostativo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo condanna l’Italia


L’Italia deve rivedere la legge che regola il carcere a vita, perché viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Così la Corte europea dei diritti umani in una sentenza che in assenza di ricorsi sarà definitiva tra tre mesi. La decisione riguarda il caso di Marcello Viola, condannato per associazione mafiosa, omicidi e rapimenti, in prigione da inizio anni Novanta. La sentenza non implica la liberazione di Viola a cui l’Italia deve versare 6mila euro per i costi legali.

La decisione sull’Italia della Corte di Strasburgo si basa sul fatto che chi è condannato al carcere a vita (ergastolo ostativo) non può ottenere, come gli altri carcerati, alcun `beneficio´ – come per esempio i permessi d’uscita, o la riduzione della pena – a meno che non collabori con la giustizia. Nella sentenza i giudici di Strasburgo evidenziano che «la mancanza di collaborazione è equiparata ad una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società» e questo principio fa si che i tribunali nazionali non prendano in considerazione o rifiutino le richieste dei condannati all’ergastolo ostativo. La Corte osserva che se «la collaborazione con la giustizia può offrire ai condannati all’ergastolo ostativo una strada per ottenere questi benefici», questa «strada» è però troppo stretta.

«Alla Corte di Strasburgo pendono già numerosi altri ricorsi» contro il carcere a vita (ergastolo ostativo) e dopo la condanna di oggi «potrebbero arrivarne molti altri», scrivono i giudici di Strasburgo nella sentenza . Il problema messo in luce oggi, per i magistrati, «è di natura strutturale» e richiede quindi, per essere risolto, un intervento, di preferenza legislativo, delle autorità. L’Italia dovrebbe quindi agire «con una riforma della reclusione a perpetuita’ in modo da garantire la possibilità agli ergastolani di ottenere un riesame della pena». Questo, scrivono, «permetterebbe alle autorità di determinare se durante la pena già scontata il detenuto ha fatto progressi tali sul cammino della riabilitazione da renderne ingiustificabile il mantenimento in prigione».

Per l’associazione “Nessuno tocchi Caino” si tratta di un «pronunciamento storico» «Secondo la Corte – spiega una nota -, l’ergastolo ostativo è una forma di punizione perpetua incomprimibile. Con questa sentenza la CEDU svuota l’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che prevede uno sbarramento automatico ai benefici penitenziari, alle misure alternative al carcere e alla liberazione condizionale in assenza di collaborazione con la giustizia. La CEDU fa cadere la collaborazione con la giustizia ex art 58 ter o.p, come unico criterio di valutazione del ravvedimento del detenuto. La Corte considera inoltre questo un problema strutturale dell’ordinamento italiano e chiede che si metta mano alla legislazione in materia». «Il successo alla Corte EDU è il preludio di quel che deve succedere alla Corte Costituzionale italiana che il 22 ottobre discuterà l’ergastolo ostativo a partire dal caso Cannizzaro, nel quale Nessuno tocchi Caino è stato ammesso come parte interveniente – spiega il segretario Sergio d’Elia -. Il pensiero non può non andare che a Marco Pannella, al suo Spes contra Spem che ci ha animati e nutriti in questi anni, e ai detenuti di Opera protagonisti del docu-film di Ambrogio Crespi `Spes contra Spem – Liberi dentro´ che contro ogni speranza sono stati speranza, con ciò liberando oltre che se stessi anche le menti dei giudici di Strasburgo».

Redazione Corriere della Sera http://www.corriere.it – 13 giugno 2019

Giustizia: ricorsi a Strasburgo in calo, tra settembre a dicembre pendenze ridotte di 7mila


cedu strasburgoL’Italia continua a pesare sul carico di lavoro della Corte europea dei diritti dell’uomo ma, negli ultimi mesi, la situazione inizia a migliorare. Nel 2014, come risulta dalla relazione annuale della Corte dei diritti dell’uomo presentata ieri a Strasburgo, Roma mantiene il secondo posto per numero di ricorsi pendenti dinanzi a una formazione giurisdizionale: sono ben 10.087 i casi attesa di una decisione (14,4% del totale).

Solo l’Ucraina, con 13.693 casi (19,5%), supera l’Italia che, però, da settembre a dicembre è riuscita a migliorare la propria situazione passando da 17mila ricorsi pendenti a 10mila, grazie soprattutto alle modifiche introdotte dopo la sentenza Torreggiani sul sovraffollamento carcerario e alla decisione della Corte nel caso Stella contro Italia, con la quale è stato espresso un giudizio positivo sulla misure adottate dopo la Torreggiani.

Nel complesso, il 2014 è da ricordare come un anno positivo per Strasburgo che diminuisce costantemente il suo arretrato sia per la piena operatività del Protocollo n. 14, sia per le modifiche apportate al regolamento di procedura che obbligano i ricorrenti al rispetto di requisiti formali più rigorosi. In totale, sono stati 56.250 i ricorsi attribuiti al giurisdizionale, con una diminuzione del 15% rispetto al 2013 (65.800): è la prima volta dal 2003.

L’arretrato è diminuito del 30%, con 69.990 ricorsi pendenti a fronte dei 99.999 dell’anno precedente. Ben 83.675 sono stati dichiarati irricevibili nel 2014. La Corte europea – scrive il Presidente Dean Spielmann – si è pronunciata in 93.000 casi, con un incremento del livello di produttività del 6% rispetto al 2012.

Le sentenze depositate sono state 891 con una diminuzione del 3% rispetto all’anno scorso (916). Targate Italia, 44 sentenze: 39 violazioni (erano 32 nel 2013), 2 assoluzioni e tre sentenze in materia di equa soddisfazione. In 17 casi la condanna ha riguardato l’articolo 6 della Convenzione in materia di equo processo e in 16 il diritto di proprietà.

Nel 2014 superano l’Italia, la Russia con 122 condanne, la Romania (74), la Turchia (94), la Grecia (50), l’Ungheria con 49, l’Ucraina a pari merito con 39. Dal 1959 ad oggi l’Italia è stata destinataria di 2.512 sentenze di cui 1.760 condanne, al secondo posto dopo la Turchia a quota 2.733. Tra le pronunce “italiane” più significative del 2014, la sentenza Grande Stevens del 4 marzo 2014 sul ne bis in idem e la prima pronuncia della Corte europea relativa alla violazione del diritto all’equo processo per il mancato rinvio pregiudiziale a Lussemburgo (Dhahbi).

Marina Castellaneta

Il Sole 24 Ore, 31 gennaio 2015

 

Paola, Quintieri (Radicali): Il Vice Ministro Costa ha fornito dati sbagliati ai Deputati


Emilio Quintieri - Luigi Mazzotta“Per quanto attiene agli specifici quesiti riguardanti la Casa Circondariale di Paola, premetto che l’Istituto è dotato di regolamento interno, approvato con regolare Decreto del Capo del Dipartimento nella data del 16 febbraio 2014, che ogni ristretto fruisce all’interno della camera di pernottamento di 4,5 mq calpestabili, escluso il bagno, che diventano 5 mq nel nuovo padiglione adibito a custodia attenuata ….”. Questo è quanto ha riferito il Vice Ministro della Giustizia On. Enrico Costa in risposta ad uno dei quesiti posti dall’Onorevole Vittorio Ferraresi, Capogruppo del Movimento Cinque Stelle in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, all’Interrogazione Parlamentare n. 5/01535 rivolta ai Ministri della Giustizia e della Salute, presentata lo scorso 21 novembre 2013 e cofirmata da altri undici Deputati pentastellati. Tale circostanza è stata subito contestata dall’esponente radicale calabrese Emilio Quintieri. Nella Casa Circondariale di Paola, infatti, in tutti e cinque i reparti detentivi (escluso quello a custodia attenuata, di recente realizzazione), tutti i detenuti fruiscono di uno spazio calpestabile di 2,88 mq, inferiore al limite dei 3 metri quadrati stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Mi si dovrebbe spiegare, come sia possibile – dice il radicale Quintieri – che ogni detenuto nella Casa Circondariale di Paola, fruisca di 4,5 metri quadrati calpestabili all’interno della cella quando, le camere detentive – che sono occupate da 2 persone – hanno una superficie complessiva di 8,90 metri quadrati (3,97 x 2,24 mq) e quando le stesse contengono un letto a castello a due piani misurante 2,10 mt di lunghezza per 0,90 cm di larghezza (superficie occupata di 1,89 mq), quattro armadietti delle dimensioni di 0,50 cm di larghezza e 0,38 cm di profondità (superficie occupata di 0,76 cmq), un tavolo di 0,60 cm di larghezza per 0,80 cm di lunghezza (superficie occupata di 0,48 cmq).

Da un calcolo approssimativo – sottratta dalla superficie totale quella effettivamente occupata dagli arredi della cella – risulta chiaramente che ciascun detenuto fruisce di uno spazio calpestabile inferiore ai 3 mq. Ed infatti, dalla superficie complessiva di 8,90 mq, detratta la superficie occupata dal letto a castello pari a 1,89 mq, degli armadietti pari a 0,76 cmq e quella del tavolo pari a 0,48 cmq (senza contare altri ingombri quali sgabelli, etc.), si ottiene la superficie realmente calpestabile pari a 5,77 mq che, divisa per i due occupanti della stanza, è pari a 2,88 mq. Misura che, analogamente alla fattispecie esaminata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella causa Torreggiani ed altri contro l’Italia – prosegue Quintieri – non è affatto conforme ai parametri spaziali ritenuti accettabili dalla giurisprudenza europea e costituisce, di per sé, un trattamento contrario all’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Ne deriva che è matematicamente impossibile che ogni detenuto abbia uno spazio calpestabile personale di 4,5 metri quadrati. Facendo la suddivisione lorda dei metri quadrati per ciascun detenuto occupante si ottiene la superficie di 4,45 metri quadrati. Questa, però, non è da intendersi la “superficie calpestabile” ma la “superficie lorda” poiché, non sono stati affatto detratti, i metri quadrati occupati dagli arredi fissi della camera ed ammontanti a 5,77 metri quadrati.

Il Ministero della Giustizia ed il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sanno bene che l’area occupata dagli arredi deve essere scomputata dalla “superficie lorda” della cella al fine di determinare “lo spazio minimo intramurario, pari o superiore ai 3 metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto”. Lo ha chiarito la Corte Suprema di Cassazione (Cass. Pen. Sez. I, nr. 5728/2014 del 05/02/2014, Pres. Chieffi, Rel. Vecchio), dichiarando inammissibile il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Padova che aveva impugnato l’Ordinanza del locale Magistrato di Sorveglianza, con la quale era stato accolto il reclamo di un detenuto. In particolare, riguardo alla specifica questione del computo, la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha ribadito che “il Magistrato di Sorveglianza si è esattamente uniformato al criterio stabilito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella citata sentenza pilota (Torreggiani ed altri c. Italia dell’8 Gennaio 2013 n.d.r.), avendo scomputato dalla superficie lorda della cella del reclamante, lo spazio occupato dall’arredo fisso dell’armadio allocato nel vano. Non è condivisibile l’obiezione del Pubblico Ministero concludente, fondata sulla mancata specificazione della superficie di ingombro da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’arresto in parola; gli è che, avendo quel Giudice accertato, nel caso scrutinato, che la superficie della cella era pari al limite minimo dei 3 metri quadrati, sarebbe stato affatto superflua e irrilevante la determinazione dello spazio occupato dal mobilio, in quanto necessariamente l’ingombro – a prescindere dalla ampiezza della superficie occupata – comportava indefettibilmente l’inosservanza dello standard dei 3 metri quadrati”.

Mi sembra evidente – conclude l’esponente radicale Emilio Quintieri – che, nel caso specifico, non corrispondano al vero o, comunque siano errate, le informazioni date ai Deputati del Movimento Cinque Stelle dal Ministero della Giustizia e che, viceversa, i detenuti ristretti nella Casa Circondariale di Paola, all’epoca ed alla data odierna, sono sottoposti ad un trattamento inumano e degradante non beneficiando, personalmente, di almeno 3 mq, limite ritenuto in sede comunitaria al di sotto del quale si determina la violazione dell’Art. 3 della Convenzione Europea. Per tale motivo, solleciterò la presentazione di un altro atto di Sindacato Ispettivo in Parlamento, affinchè il Governo faccia la dovuta chiarezza al riguardo.

Carcere di Paola, il Governo risponde a Montecitorio. Ferraresi (M5S) : Faremo delle verifiche. Insoddisfatti i Radicali


ferraresiIl Governo Renzi, giovedì pomeriggio, come preannunciato, ha risposto in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati all’Interrogazione di cui è primo firmatario l’Onorevole Vittorio Ferraresi (M5S), sollecitata dal radicale calabrese Emilio Quintieri, relativa anche alla situazione in cui versa la Casa Circondariale di Paola. La risposta è giunta dal Vice Ministro della Giustizia Enrico Costa, dopo una lunga istruttoria, effettuata dal Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria, del Dipartimento degli Affari di Giustizia e del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Dicastero di Via Arenula, rispettivamente investiti della verifica dell’operato della Magistratura di Sorveglianza, della sussistenza o meno di possibili violazioni della normativa europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle condizioni del penitenziario. Ulteriori notizie sono pervenute, per il tramite del Presidente della Corte di Appello di Catanzaro, dai Presidenti dei Tribunali di Catanzaro e Cosenza e dai Magistrati di Sorveglianza in servizio presso detti Uffici. Il Deputato pentastellato, anche a nome dei suoi colleghi firmatari dell’Interrogazione, in replica al Vice Ministro, ha ringraziato il Governo per l’impegno posto in essere e per l’esaustività della ricostruzione dei fatti, riservandosi l’accertamento di quanto dichiarato e quindi l’eventuale presentazione di altri atti di sindacato ispettivo. Restano insoddisfatti i Radicali per la mancata risposta del Governo ad alcuni quesiti e per l’inesattezza delle informazioni fornite. Il Vice Ministro, in via preliminare, ha precisato che l’impegno del Guardasigilli Andrea Orlando per migliorare le condizioni detentive è stato massimo e polidirezionale sin dall’inizio del suo mandato. I risultati ottenuti sul versante della diminuzione della popolazione carceraria sono sicuramente importanti. Sono infatti notevolmente diminuiti, anche a seguito delle recenti riforme in materia di custodia cautelare, di stupefacenti e di pene non detentive, i flussi medi di ingresso, così come si sono significativamente ridotte le presenze di detenuti in attesa di primo giudizio ed è grandemente cresciuto il numero dei detenuti ammessi a misure alternative.

On. Enrico Costa - Vice Ministro della GiustiziaDall’istruttoria praticata – dice l’On. Costa – non sono emersi riscontri per eventuali carenze o omissioni suscettibili di rilievo disciplinare da parte della Magistratura di Sorveglianza. In particolare, non sono stati rilevati comportamenti dovuti a negligenza o inerzia, risultando piuttosto una attenta vigilanza – anche tramite frequenti visite – nei penitenziari di competenza. E’ stato reso noto che, alla data del 29 settembre, a fronte di una capienza regolamentare di complessivi 2.620 posti detentivi, negli Istituti calabresi risultano presenti 2.364 detenuti e, nella Casa Circondariale del Tirreno, la capienza è indicata in 182 posti, mentre le presenze ammontano a 224 dei quali 35 stranieri (42 in esubero). Prima, tiene a precisare Quintieri, la capienza era di 161 posti, poi aumentata a 172 ed ulteriormente a 182 e la presenza effettiva era sempre intorno alle 300 unità (260 al 31/12/2012, 252 al 30/06/2013, 289 al 31/12/2013, 264 al 30/06/2014). All’interno dell’Istituto, vi sono ristretti 49 tossicodipendenti e 7 detenuti affetti da patologie psichiatriche. Relativamente alla manutenzione ordinaria della struttura, negli ultimi 5 anni, è stata impegnata una cifra così ripartita pe anno : 28.000,00 euro nel 2009, 57.000,00 euro nel 2010, 44.548,00 euro nel 2011, 24.320,00 euro nel 2012, 8.190,00 euro nel 2013. Per quanto attiene l’impegno di spesa per la manutenzione straordinaria è stata impegnata la cifra di : 378.743,00 euro nel 2009, 72.430,00 euro nel 2010, 35.840,00 euro nel 2011, 74.089,00 euro nel 2012 e 687.826,00 euro nel 2013. Complessivamente, in Calabria, sono state spese : nel 2009, 360.873,76 euro per la manutenzione ordinaria e 1.200.000,00 euro per la manutenzione straordinaria, nel 2010, 509.360,00 e 798.302,00 euro, nel 2011, 729.970,00 e 37.112,76 euro, nel 2012, 224.500,00 e 3.224.197,96 euro, nel 2013, 327.226,18 e 2.423.447,92 euro, nel 2014, 190.000,00 e 1.352.000,00 euro.

Cella Casa Circondariale di PaolaSebbene nel corso del 2014 le somme assegnate abbiano subito un decremento rispetto agli anni precedenti, ha segnalato il Vice di Orlando, è stata assegnata una ulteriore somma pari a 253.000 euro, destinata a finanziare i lavori di completamento del nuovo reparto annesso all’Istituto di Catanzaro. Il Governo ha rassicurato gli Onorevoli interroganti che nel Carcere di Paola è stato finalmente approvato il Regolamento interno con regolare Decreto del Capo del Dipartimento del 16 febbraio scorso, che viene praticata la “sorveglianza dinamica” imposta con la Sentenza Torreggiani della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, garantendo ai detenuti almeno 8 ore al giorno al di fuori della cella, che salgono a 10 ore per i detenuti allocati nel nuovo reparto a custodia attenuata. Ogni ristretto, secondo il Ministero, fruisce all’interno della cella di 4,5 mq calpestabili, escluso il bagno, che diventano 5 mq nel nuovo padiglione adibito a custodia attenuata e che nessuno vive in spazi inferiori ai 3 mq imposti dall’Europa. Questi dati, in particolare, vengono sonoramente contestati dal radicale Quintieri perché, ogni detenuto nei cinque reparti comuni, fruisce di uno spazio pro capite di 2,88 mq, e quindi inferiore ai 3 mq, e ciò in quanto dalla superficie totale va sottratta la superficie occupata dagli arredi della cella (letti, armadietti, etc.) come stabilito dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e della Cassazione. Riguardo le opportunità trattamentali offerte in ambito intramurario sono molteplici : in particolare, la biblioteca centrale gestita dal cappellano che si aggiunge ad altre attività, quali quelle che si svolgono nella sala socialità ed in quella di lettura e modellismo presenti in ogni reparto, perfettamente funzionanti ed assiduamente frequentate dai detenuti. Nella struttura paolana vi è altresì un teatro dotato di 158 posti a sedere dove si svolgono rappresentazioni artistiche anche con il coinvolgimento dei ristretti e una ampia palestra solo momentaneamente chiusa per contingenti necessità organizzative. Anche queste ultime circostanze vengono contestate dall’esponente radicale il quale riferisce che : le sale socialità, lettura e modellismo, sono state allestite ed aperte solo di recente così come il teatro, realizzato nel 2005, precedentemente chiuso e non funzionante per tutto il 2013 per lavori di ristrutturazione dovuti ad infiltrazioni meteoriche e le rappresentazioni artistiche di cui parla il Vice Ministro risalgono a qualche anno fa. Le attività lavorative presenti ha confermato il Governo sono esclusivamente quelle alle dipendenze dell’Amministrazione. Tuttavia, l’On. Enrico Costa, ha segnalato che esiste un protocollo di intesa tra la Casa Circondariale ed il Comune di Paola, sottoscritto il 19/12/2012 con validità triennale, con il quale dovrebbero essere avviati al lavoro esterno ai sensi dell’Art. 21 della Legge Penitenziaria, un congruo numero di detenuti. Allo stato, per quanto mi risulta, continua il radicale Quintieri, nessun detenuto è mai stato ammesso al lavoro esterno con il Comune di Paola. La lavanderia, risulta chiusa dallo scorso mese di luglio per lavori di ristrutturazione. L’impianto di illuminazione notturna è stato ripristinato ed è oggi perfettamente funzionante, in seguito all’accoglimento, da parte del Magistrato di Sorveglianza di Cosenza, di un reclamo presentato dal detenuto Quintieri, quand’era ristretto in detto Istituto.

Casa Circondariale 1Per le sale colloqui, ha aggiunto il Vice Ministro On. Enrico Costa, sono in via di completamento i lavori di adeguamento che riguarderanno anche la creazione di una sala destinata ai colloqui con i bambini oltre ad altre 3 sale a norma del Regolamento di Esecuzione Penitenziaria. E’ garantita a tutti i detenuti la effettuazione dei colloqui anche nelle ore pomeridiane e per sei giorni a settimana, compresa, a rotazione, la giornata di domenica ed è prevista la prenotazione delle visite al fine di evitare file ed attese. Nel corso del 2014 è stato attivato, a cura del “Centro Territoriale Permanente – Educazione degli Adulti” di Paola, un progetto a termine di servizio di mediazione culturale per la popolazione detenuta straniera, iniziato nel mese di maggio e concluso nel successivo mese di luglio 2014. Il rappresentante del Governo ha tenuto a precisare che, anche la Casa Circondariale di Paola, viene visitata con cadenza temporale periodica, dalla competente Autorità Sanitaria Locale. Nulla ha detto il Governo – conclude il radicale calabrese Emilio Quintieri agli specifici quesiti formulati nell’atto ispettivo parlamentare – afferenti le istanze di espulsione avanzate all’Ufficio  di Sorveglianza di Cosenza dai detenuti stranieri, le date e gli esiti delle visite igienico – sanitarie effettuate ed alla frequenza delle visite, anche di ispezione nelle celle dei detenuti, da parte del Giudice di Sorveglianza.

Interrogazione Parlamentare On. Ferraresi e Risposta Governo

I risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri ? Vengono quasi sempre negati dalla Magistratura di Sorveglianza


cella detenuti 1I dati ufficiali sui risarcimenti per l’invivibilità nelle carceri, dove ci fu un intervento della Corte Europea, sono a dir poco incredibili, finora è stato risarcito un solo detenuto con quattromila euro. Molti altri si vedono respingere l’istanza con la non ammissibilità, altri non hanno avuto nessuna risposta. Qui nel nostro paese non esiste nessuna forma di risarcimento, né per l’invivibilità nelle carceri, né quando sei detenuto ingiustamente.

C’era stata una sentenza della Corte Europea che obbligava l’Italia a rispettare il principio di umanità nella detenzione, riprovando l’incredibile sovraffollamento dei nostri Istituti di pena. Ma poi questa sentenza non ha avuto esecutività e la Corte Europea di fatto annullava la prima sentenza, concedendo all’Italia altro tempo e altre soluzioni. Per questo ci fu un decreto, approvato in un consiglio dei ministri che sanciva un risarcimento irrisorio per detenzioni inumane.

Oggi i dati ufficiali delineano un dato inquietante. Nessuno viene risarcito per questo, solo una persona è stata risarcita in forma esigua. Una tragica e triste constatazione: una volta detenuto non hai più diritti, in nessun senso, sia per le detenzioni illegali, in quanto poi una volta assolto nessuno ti risarcisce e anche nelle detenzioni in condizioni incredibili avviene lo stesso, nessun risarcimento. Quando varchi la soglia di un carcere per te i diritti finiscono per sempre. Finiscono anche quando risulti innocente, immagina se vieni condannato. Rimane solo l’indicibile sofferenza che il carcere produce sugli individui.

Giulio Petrilli

Ristretti Orizzonti, 5 ottobre 2014

Carceri, Radicali : i risarcimenti ai detenuti sono un fallimento, porteremo le prove alla Corte di Strasburgo


Isernia 1Ieri sera a Radio Carcere (la trasmissione condotta da Riccardo Arena su Radio Radicale) la Segretaria di Radicali Italiani, Rita Bernardini, ha parlato dello stop ai ricorsi pronunciato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione dell’art. 3 della Convenzione (trattamenti inumani e degradanti).

Secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa, la Corte Edu nel respingere 19 ricorsi provenienti dall’Italia, ha dichiarato di “non avere prove per ritenere che il rimedio preventivo e quello compensativo introdotti dal governo con i decreti legge 146/2013 e 92/2014, non funzionino”. La Corte di Strasburgo ha inoltre deciso di mettere uno stop anche ai quasi 4.000 ricorsi ricevuti in questi anni dai detenuti delle carceri italiane.

“Come abbiamo già documentato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa con il nostro dossier del 22 maggio (non consegnato per tempo ai delegati dalla burocrazia europea) – ha dichiarato la Segretaria di Radicali italiani, Rita Bernardini – proveremo che i rimedi previsti dal Governo italiano non solo sono umilianti per chi ha subito trattamenti equiparabili alla tortura, ma nemmeno funzionano per come è organizzata oggi la Magistratura di sorveglianza, inadeguata persino a rispondere alle istanze di ordinaria amministrazione avanzate dalla popolazione detenuta. Toccherà ancora una volta a noi e alle associazioni del mondo penitenziario armarsi di nonviolenza e di molta precisione e pazienza per impedire che la “peste italiana” della negazione di diritti umani fondamentali si diffonda anche in Europa. Lo faremo con i detenuti e le loro famiglie”.

http://www.radicali.it, 1 ottobre 2014

Detenuti Rebibbia : Per ottenere la “liberazione anticipata speciale ?”…. dipende dal Giudice


carcere rebibbiaCaro Manifesto, siamo i detenuti del carcere di Rebibbia nuovo complesso e studenti in Giurisprudenza del “Gruppo Universitario Libertà di Studiare” iscritti all’Università La Sapienza.

Scriviamo questa lettera sicuri di rappresentare sentimenti e aspettative di migliaia di detenuti di tutte le carceri italiane. Vogliamo innanzitutto ringraziare per l’attenzione che la vostra testata riserva alla popolazione detenuta volta a migliorare le condizioni di vita di noi reclusi, e però mentre voi vi impegnate, a noi detenuti non viene concesso neanche quello che la legge prevede e che allevierebbe la nostra pena.

La legge 10/2014 che ha convertito il decreto 146/2013 sta causando enormi disparità di trattamento e diseguaglianze disastrose. Ogni magistrato di sorveglianza sta dando una sua personale interpretazione all’interno dello stesso Tribunale. Del tema, come da allegata interrogazione al ministero di Giustizia da parte del vice presidente della Camera on. Roberto Giachetti, sono state interessate tutte le autorità competenti ma ad oggi, nessuna risposta concreta è stata attivata.

La questione consiste nel fatto se debbano essere concessi i giorni di liberazione speciale anche a quei detenuti inclusi nell’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario – il 75% della popolazione reclusa – che la legge 10/2014 ha escluso ma che il decreto 146/2013 comprendeva, detenuti che però avevano fatto richiesta per avere concessi i giorni al magistrato di sorveglianza durante la vigenza del decreto. Moltissimi autorevoli costituzionalisti sostengono che gli effetti di chi ha fatto la richiesta mentre il decreto era in vigore sono fatti salvi, e che la legge si applica dal momento in cui è approvata.

Alcuni magistrati danno questa interpretazione in ossequio alla legge n. 400/1988 (art, 15) per cui hanno concesso i giorni di liberazione speciale integrativa (30 in più per ogni semestre) a tutti quelli che ne avevano fatto domanda prima della pubblicazione della legge di conversione n. 10 del 21 febbraio 2014. Altri magistrati invece sostengono che la legge travolge gli effetti del Dl anche se richiesti prima e così non danno i giorni.

Anche questi però in vigenza di decreto li avevano dati, senza tra l’altro rispettare l’ordine di presentazione di domanda ma valutando l’urgenza, cioè il fatto che i giorni assegnati portavano a fine pena i detenuti, ammettendo così che in vigenza di decreto lo stesso andava applicato, ma non per tutti e non in ordine cronologico. Se alcuni magistrati di Sorveglianza non fossero stati “lenti” entro 60 giorni avrebbero avuto la possibilità di espletare per intero il loro lavoro, cosa che alcuni magistrati, più solerti, hanno fatto.

Nella stessa cella detenuti con reati gravi, omicidio, reati di mafia, hanno avuto gli arretrati dei giorni di liberazione anticipata speciale, perché hanno avuto la “fortuna” di avere come magistrati di sorveglianza quelli che interpretano che gli effetti sono fatti salvi, e invece detenuti per rapina aggravata per l’utilizzo di “spray al peperoncino” si sono visti negare i giorni perché la sorte gli ha dato magistrati di sorveglianza che interpretano che gli effetti sono travolti dalla legge.

I detenuti del 4 bis, come detto prima, sono il 75% della popolazione carceraria italiana quindi il provvedimento di legge che ha suscitato così tanto clamore è quasi del tutto inutile oltre che anticostituzionale.

È veramente incredibile come in questo caso si possa affidare la protezione di un diritto fondamentale qual è la libertà, garantita con riserva di legge costituzionale, al libero arbitrio o alla libera valutazione o alla personale sensibilità del singolo magistrato di sorveglianza, senza che possa esserci una univoca giusta valutazione come principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge vorrebbe.

Voi potete aiutarci, intervenire, accendendo i riflettori sul tema, perché a tutti i detenuti possa essere concesso il beneficio della liberazione anticipata speciale come è opinione dei costituzionalisti, che lo hanno ribadito in occasione di un recente convegno dell’Associazione Italiana dei costituzionalisti tenutosi presso il Teatro interno al Carcere di Rebibbia, noi detenuti siamo impotenti!

Oltre 20.000 detenuti potrebbero avere concesso il beneficio che sarebbe per i reclusi di lungo corso al massimo di 180 giorni, che sono tantissimi perché rubati all’amore della famiglia e alla vita, senza contare che sarebbero tanti giorni in meno da risarcire ai detenuti, così come ha sentenziato la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo di cui al provvedimento risarcitorio interno in questi giorni in ratifica alle Camere.

Siamo sicuri che la vostra sensibilità verso i più deboli anche questa volta troverà la giusta attenzione e nel ringraziarvi inviamo distinti saluti. Con stima e fiducia.

Il Manifesto, 20 agosto 2014

La vicinanza della pena al delitto ? Per Beccaria un caposaldo, per noi pura utopia


giustizia-500x375Non c’è solo il rifiuto della pena di morte e l’avversione alla tortura, nel celebre dei Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. C’è anche la precisa definizione di quello che deve essere la pena, la sanzione, che deve possedere alcuni requisiti: a) la prontezza ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto; b) l’infallibilità ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità; c) la proporzionalità con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile); d) la pubblica esemplarità: destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all’infrazione.

In breve: il fine della sanzione non è quello di affliggere, piuttosto di impedire al reo di compiere altri delitti e di intimidire gli altri dal compierne altri. A 250 anni esatti dalla prima pubblicazione, a Livorno, dei Delitti e delle pene, non si può proprio dire che si sia fatto tesoro di quegli “ammonimenti”. Un primo esempio ci viene dal racconto di un magistrato da sempre schierato e impegnato sul fronte progressista, Giovanni Palombarini: “Pare proprio che sia impossibile per l’Italia adeguarsi ai principi europei (e della civiltà) in materia di trattamento da riservare alle persone arrestate o fermate dalla polizia. Ci sono anche le sentenze delle Corti internazionali a ricordarci la situazione”.

“Nel giro di una settimana – continua – infatti, l’Italia ha riportato due condanne dinanzi alla Corte europea dei diritti umani, una per i maltrattamenti inflitti dalle forze dell’ordine a una persona in stato di arresto (sentenza 24 giugno 2014, Alberti contro Italia), e un’altra, otto giorni dopo, per i maltrattamenti a molti detenuti nel carcere di Sassari (sentenza Saba contro Italia)”, Non si tratta, spiega, di sentenze che stabiliscono nuovi principi di diritto: entrambe, costituiscono semplici conferme della giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti (articolo 3 della Convenzione).

Sentenze che meritano attenzione: ricordano, una volta ancora, che in Italia le violenze fisiche e morali perpetrate dalle forze dell’ordine sulle persone in stato di privazione della libertà personale rimangono prive di adeguate sanzioni, Al riguardo il caso Saba, è esemplare: “I fatti risalgono all’aprile del 2000, quando alcuni detenuti del carcere di Sassari denunciarono le violenze di ogni genere subite da parte della polizia penitenziaria in occasione di una perquisizione della struttura (agenti di altri stabilimenti vennero inviati a Sassari per rafforzare la guarnigione locale)”.

Non mancano i tentativi di insabbiare e minimizzare, ma grazie a un magistrato ostinato, il pm Mariano Brianda, le indagini vanno avanti, e alla fine arriva la richiesta di rinvio a giudizio per novanta persone tra agenti ed altri membri dell’amministrazione penitenziaria; l’ipotesi di reato è di violenza privata, lesioni personali aggravate, abuso d’ufficio, commessi nei confronti di un centinaio di detenuti. E qui comincia un avvilente carnevale: 61 imputati scelgono il rito abbreviato, in 12 vengono condannati, da quattro mesi a un anno e mezzo di reclusione, condanne sospese. In appello le condanne definitive diventano solo nove.

E veniamo agli altri 29 imputati: nove sono rinviati a giudizio, per venti la sentenza è di non luogo a procedere. Nel corso dei processi si accerta che si sono verificati episodi di violenza inumana e gratuita, detenuti costretti a denudarsi, insultati, minacciati e picchiati, Ma il tribunale comunque proscioglie tutti gli imputati: due per carenza di prove, gli altri per sopravvenuta prescrizione. Le misure disciplinari che seguono le condanne sono altrettanto simboliche. Ciò induce a pensare, ne ricava Palombarini, che in molti ambienti siano forti i sentimenti di solidarietà verso coloro che violano le regole a danno delle persone detenute: “Infatti sono trascorsi più di dieci armi dai fatti di Sassari, ma la situazione, anche normativa, non si è modificata”.

Altro caso significativo: devono rispondere di sequestro di persona a scopo d’estorsione e rapina. È il 15 gennaio del 2000 quando nel carcere di Panna scoppia una rivolta, e un agente viene rinchiuso in una cella per ore; poi la resa, dopo una lunga trattativa.

Dopo sei interminabili ore l’allora procuratore Giovanni Panebianco annuncia: “Abbiamo accolto le loro richieste dì trasferimento”. Ora, a quattordici anni di distanza, quella rivolta entra in un’aula di giustizia, Il procedimento, dopo essere rimasto a Parma per alcuni anni, è stato trasferito alla Dda di Bologna. Se ne parlerà il 30 settembre prossimo in Corte d’assise.

Il rinvio a giudizio del Gup Bruno Gian-giacomo risale al giugno 2013, e la prima udienza era stata fissata per lo scorso gennaio, ma problemi di notifiche agli imputati hanno fatto slittare ulteriormente il “vero” inizio del processo al prossimo autunno. Per riassumere: una rivolta in carcere, sei ore di grande tensione, una trattativa che alla fine scongiura un epilogo che poteva essere tragico, la resa e il ritorno alla “normalità”.

Quattordici anni dopo, il processo. Neppure concluso: inizia. Con tanti saluti a Cesare Beccaria, al suo Dei delitti e delle pene, alla certezza della sanzione e del diritto. Ed è pur significativo che a opporsi a questo stato di cose siano solo Marco Pannella, Rita Bernardini e un pugno di radicali da giorni in digiuno per ottenere che lo Stato rispetti quelle leggi che si è dato ed esca finalmente dalla situazione tecnica di criminalità organizzata in cui è sprofondato.

Valter Vecellio

Il Garantista, 27 luglio 2014