Porto Azzurro: si uccide a 50 anni in carcere, trovato impiccato nella sua cella


Carcere di Porto AzzurroAncora il suicidio in carcere di un detenuto, il quarto dall’inizio dell’anno in un penitenziario italiano. È accaduto domenica 14 febbraio nel penitenziario di Porto Azzurro: protagonista un detenuto grossetano di 52 anni, Sergio Galgani, sofferente di depressione, che già nel passato aveva tentato di togliersi la vita in cella ma era stato salvato dal tempestivo intervento della Polizia Penitenziaria.

Ne dà notizia Pasquale Salemme, segretario regionale per la Toscana del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria: “L’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze. E si consideri che negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 17mila tentati suicidi ed impedito che quasi 125mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze.
Purtroppo a Porto Azzurro, il pur tempestivo intervento del poliziotto di servizio non ha potuto impedire il decesso del detenuto”. Nel carcere di Porto Azzurro, struttura con circa 360 posti letto regolamentari, erano presenti il 31 gennaio scorso 255 detenuti: 12 i ristretti imputati mentre 243 sono condannati. Oltre il 45% dei presenti (116) sono stranieri.

“In un anno la popolazione detenuta in Italia è calata di poche migliaia di unità”, commenta Donato Capece, segretario generale del Sappe: “il 31 gennaio scorso erano presenti nelle celle delle carceri italiane 52.475 detenuti, che erano l’anno prima 53.889. La situazione nelle carceri italiane resta ad alta tensione: ogni giorno, i poliziotti penitenziari nella prima linea delle sezioni detentive hanno a che fare, in media, con molti atti di autolesionismo da parte dei detenuti, tentati suicidi sventati in tempo dalla Polizia Penitenziaria, colluttazioni e ferimenti”. Capece sostiene infine che “la Polizia Penitenziaria continua a tenere botta, nonostante le quotidiane criticità. Ma è sotto gli occhi di tutti che servono urgenti provvedimenti per frenare la spirale di problematicità che ogni giorno caratterizza, coinvolgendo loro malgrado gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, le carceri italiane, per adulti e minori. Come dimostra quel che è accaduto questa notte nel carcere di Porto Azzurro”.

Il garante. “Da nostre informazioni risulta che la persona era lavorante e fra qualche giorno avrebbe goduto di un permesso per incontrare i familiari. Il suicidio è sempre una scelta dai motivi imperscrutabili, ancor più quando ci si trova in situazioni di vita complicate”. Sono le parole di Nunzio Marotti, garante dei detenuti del carcere di Porto Azzurro, in seguito alla morte del detenuto grossetano.
“Eventi come questi devono farci riflettere. È l’ennesima conferma che il carcere non è luogo dove sia possibile affrontare problematiche che non sempre vengono alla luce. Generalmente, si prestano attenzioni maggiori verso i nuovi giunti, ma questo vale anche per chi, come in questo caso, è in procinto di poter accedere ad una misura di esecuzione della pena alternativa al carcere – spiega Marotti – Bisogna quindi rivedere talune modalità di attenzione alla persona, potenziando per esempio il lavoro delle figure psicopedagogiche, segnate negli anni dai tagli governativi”.
Secondo il garante dei detenuti Nunzio Marotti “è questa l’occasione per accelerare il progetto di rilancio del carcere di Porto Azzurro per il quale, sin dall’inizio, si è impegnato il direttore e che vede coinvolti numerosi soggetti interni ed esterni all’amministrazione penitenziaria. Accelerare vuol dire anche maggiori fondi e partecipazione del territorio”.

Il Tirreno, 16 febbraio 2016

Bari, detenuto di 48 anni si toglie la vita. Il Sappe denuncia “Stato latitante”


Carcere di BariChiuso in cella per reati connessi alla droga e in condizioni fisiche difficili dopo un intervento chirurgico, non ha retto alla convivenza carceraria con altri detenuti e si è impiccato nel bagno della sua cella. Doveva tornare in libertà a dicembre prossimo il 48enne che l’altro pomeriggio, all’ora del cambio delle guardie giurate (nelle Carceri non fanno servizio “Guardie Giurate” ma Agenti di Polizia Penitenziaria n.d.r), ha realizzato con la cinta dell’accappatoio una corda rudimentale e si è chiuso nel bagno, togliendosi la vita con un solo, violento strappo.

Proprio per le modalità con cui si è suicidato, non è servito l’intervento delle guardie chiamate dai compagni di cella: al loro arrivo, l’uomo era già morto. “Ormai ne abbiamo piene le tasche di protocolli, di convegni, di ordini del giorno del Consiglio regionale, di monitoraggi sul sistema carcerario pugliese”, commenta Federico Pilagatti, segretario nazionale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria, Sappe. Pilagatti si riferisce, in particolare, a un protocollo siglato oltre un anno fa da amministrazione penitenziaria e Regione Puglia “che si prefiggeva lo scopo di prevenire il rischio autolesivo e suicidario dei detenuti”.

Il sindacalista ricorda come “la situazione della sanità nelle carceri è uno dei nodi più drammatici oltre alla grave carenza di poliziotti e alla fatiscenza delle strutture, che non ha trovato alcuna soluzione, nonostante pomposi protocolli firmati tempo fa che, dovevano recepire una legge dello Stato con cui si demandava la responsabilità della sanità penitenziaria alle Regioni”. E annuncia nuove azioni di lotta: “Se a breve non ci saranno risposte concrete – avverte – il Sappe denuncerà l’attuale situazione alla magistratura ordinaria, poiché, a nostro parere, si potrebbe prefigurare in taluni casi, il reato di mancata assistenza sanitaria alla popolazione detenuta”.

Non si tratta, purtroppo, della prima denuncia pubblica fatta dal sindacato, né del primo suicidio nelle carceri pugliesi, dove il sovraffollamento costringe a una eccessiva vicinanza esponenti di clan mafiosi rivali. Il Sappe ha affrontato il problema anche con le istituzioni: “Nelle scorse settimane – spiega il segretario nazionale – ho scritto a tutti i capigruppo regionali, compreso il presidente del Consiglio, rappresentando come alcune problematiche di competenza della Regione, quali la sanità penitenziaria potevano trovare una rapida soluzione se affrontate in maniera concreta”.

Mara Chiarelli

La Repubblica, 17 febbraio 2016

Rossano, le Camere Penali e l’Osservatorio Carcere replicano al Sindacato della Polizia Penitenziaria


CARCERE ROSSANONel dibattito seguito ai tragici fatti di Parigi si è registrato un intervento del Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE) che ha lanciato l’allarme fondamentalismo islamico nelle carceri, sottolineando il rischio che la numerosa componente extracomunitaria della popolazione detenuta possa essere facile preda dell’attività di proselitismo del terrorismo di matrice fondamentalista, per invocare una svolta restrittiva nelle modalità di esecuzione della pena.

Si chiede esplicitamente la sospensione del sistema della vigilanza dinamica e del regime penitenziario aperto, che consentirebbero la promiscuità fra i detenuti senza controllo della Polizia Penitenziaria, per evitare che fanatici estremisti, in particolare ex combattenti, possano indottrinare i criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, per reclutarli alla causa del terrorismo internazionale.

Non è una novità l’ostilità da parte di alcuni settori della Polizia Penitenziaria rispetto alla sorveglianza dinamica, una modalità di gestione della sicurezza negli Istituti di detenzione basata sulla mobilità dei reclusi e degli operatori penitenziari e sulla reciproca interazione fra gli stessi, piuttosto che sulla segregazione dei primi in spazi circoscritti (le celle in primis), oggetto di mera vigilanza perimetrale. Essa infatti richiede sforzi organizzativi maggiori e maggiori attitudini professionali della mera attività di custodia, come testimoniano le numerose circolari con le quali l’Amministrazione si è prodigata, particolarmente negli ultimi due/tre anni, ad impartire disposizioni e direttive affinché fosse attuata correttamente, su impulso anche dei noti richiami internazionali al miglioramento delle condizioni di detenzione, ma soprattutto in attuazione di imperativi che risalgono all’ormai datata riforma dell’Ordinamento Penitenziario, che risale al 1975, e del Corpo degli Agenti di Custodia, sostituito dalla Polizia Penitenziaria, che risale al 1990.

é tuttavia ormai diffusa la convinzione che, a dispetto delle ricorrenti resistenze di alcune componenti dei sindacati del settore, il cambio di prospettiva richiesto agli operatori, oltre ad essere essenziale per il trattamento e per garantire condizioni di detenzione conformi ai richiesti parametri di civiltà, risponde anche ad un’esigenza di qualità della gestione della sicurezza, poiché mira ad una conoscenza individuale dei detenuti, attuabile solo attraverso l’interazione e non nell’isolamento.

É fin troppo agevole domandarsi dove potrebbero verificarsi le temute attività di proselitismo ed indottrinamento ad opera dei fondamentalisti, se non nell’isolamento forzato all’interno delle celle piuttosto che nelle attività di comunità gestite dagli operatori del trattamento.

Invocare una stretta sui detenuti di origine extracomunitaria per evitare il contagio, dunque, non ha alcun senso, se non quello di rispondere ad un pregiudizio di matrice etnica.

Non resta che augurarsi (ma ne siamo certi) che il Ministro della Giustizia, che viene direttamente chiamato in causa, non stenti a riconoscere nella sollecitazione rivoltagli una strumentale evocazione dei venti securitari che le tragedie di questi giorni sollevano nell’opinione pubblica a sostegno di una battaglia di retroguardia.

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane

L’Osservatorio Carcere UCPI

Giustizia: carceri italiane luogo per reclutare terroristi e Rossano è la nostra Guantánamo


Carcere di RossanoLe carceri italiane, senza volerlo, stanno diventando un luogo di reclutamento dei terroristi islamici. Lo dicono le grida di esultanza registrate in alcune prigioni dopo la strage di Parigi. E lo conferma il Sappe (sindacato autonomo degli agenti penitenziari), che proprio nelle ultime settimane, sul suo sito, ha lanciato ripetuti allarmi sul “rischio fondamentalismo islamico nelle carceri”.

In uno di questi, il segretario del Sappe, Domenico Capece, precisa di avere segnalato il problema al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e fa il punto della situazione. Al 31 ottobre scorso, su 52.400 carcerati, 17.342 risultavano stranieri, dei quali 13.500 extracomunitari e 8 mila provenienti dal Maghreb e dall’Africa. L’indottrinamento e il reclutamento dei terroristi sembra più diffuso tra questi ultimi.

Scrive Capece: “Il carcere è un terreno fertile, nel quale fanatici estremisti, in particolare ex combattenti, possono far leva sugli elementi più deboli e in crisi con la società, per selezionare volontari mujaheddin da inviare nelle aree di conflitto, grazie a un meticoloso indottrinamento ideologico. Non è un caso la radicalizzazione di molti criminali comuni, specialmente di origine nordafricana, i quali non avevano manifestato nessuna particolare inclinazione religiosa al momento dell’entrata in carcere, ma poi si sono trasformati gradualmente in estremisti”.

I detenuti che, all’ingresso in carcere, si sono dichiarati musulmani sono circa 5.700, e negli ultimi dieci anni hanno ricevuto un trattamento alquanto generoso. Su 202 istituti penitenziari esistenti, in 52 è stato riservato uno spazio adibito a moschea, e in nove prigioni è consentito l’accesso di un imam, accreditato dal ministero dell’Interno. Il terreno per il proselitismo, sembra dunque abbastanza vasto.

Per limitare i danni, da 2009 l’amministrazione penitenziaria ha deciso di concentrare i detenuti condannati per terrorismo in un solo istituto di pena, quello di Rossano, città di 36 mila abitanti, ubicata sulla costa ionica della Calabria. Attualmente questo carcere, costruito nel Duemila, su 231 detenuti (rispetto a una capienza di 215), ne conta 70 di fede musulmana, dei quali 21 sono condannati per terrorismo internazionale.

Una brava giornalista di origine calabrese, Lidia Baratta, ha appurato su Linkiesta che di questi 21, uno è un terrorista dell’Eta basca, uno è ritenuto vicino all’Isis, mentre gli altri 19 sarebbero militanti di Al Qaeda. Tutti con pena definitiva nel 2026. Tra le figure di spicco, l’ex imam di Zingonia (Bergamo), il pakistano Hafiz Muhammad Zulkifal, arrestato l’aprile scorso come capo di una cellula di Al Qaeda con base operativa in Sardegna, dopo essere stato complice nel 2010 di attentati a Stoccolma, in Svezia. A lui, secondo le indagini della Dda di Cagliari, era indirizzata una telefonata in cui si sosteneva di “pensare al loro Papa”. Il carcere di Rossano, è diviso in due sezioni, una di media e l’altra di alta sicurezza. In quest’ultima sono reclusi i terroristi islamici.

Il militante radicale Emilio Quintieri, che sul suo blog si occupa in modo sistematico delle condizioni di vita nelle prigioni, ha definito quella di Rossano “la Guantánamo italiana, dove basta uno sguardo o una parola sbagliata per fare scattare il pestaggio”. Vero o no che sia, l’appellativo di “Guantánamo italiana” è rimasto, proprio per la concentrazione di terroristi islamici detenuti. Non solo.

Dopo la strage di Parigi, questo carcere è considerato un “obiettivo sensibile”. In un vertice tenuto il 18 novembre, cinque giorni dopo il Bataclan, il prefetto di Cosenza, i capi delle forze dell’ordine, il procuratore di Catanzaro e il direttore del carcere hanno deciso di alzare il livello di sicurezza, con maggiori controlli sui visitatori e con un pattugliamento armato 24 ore su 24.

Ma il segretario del Sappe, Capece, dopo una visita al carcere, facendosi interprete delle guardie carcerarie, ha detto chiaro e tondo che “il livello di sicurezza è pari a zero. Il personale che ci lavora è specializzato, ma carente. Ogni giorno nella sezione speciale dovrebbero esserci quattro agenti di polizia penitenziaria, ma purtroppo ne abbiamo uno solo, e i turni sono estenuanti”. Colpa della legge di stabilità, sostiene, che taglia 36 milioni alla polizia penitenziaria (stipendi e straordinari) e 70 milioni all’amministrazione delle carceri. “Per impedire il proselitismo”, sostiene Capece, “è necessario sospendere il sistema della vigilanza dinamica, introdotta nelle carceri dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), che consente ai detenuti di stare molte ore al giorno fuori dalle celle, mischiati tra loro, senza fare nulla e con controlli sporadici e occasionali della polizia penitenziaria.

Ora a Rossano sono stati finalmente adottati dei limiti più severi. Ma non capisco perché i terroristi islamici debbano essere ristretti a Rossano, e non all’Asinara o a Pianosa. Questi soggetti devono essere reclusi in posti isolati, e non nelle carceri dei centri abitati”. Difficile dargli torto: per i terroristi, come per i mafiosi, servono carceri di massima sicurezza. Altrimenti, l’indottrinamento e il reclutamento di tagliagole Isis continuerà senza ostacoli.

Tino Oldani

Italia Oggi, 24 novembre 2015

Bernardini (Radicali): Sofri ha sbagliato a rinunciare all’incarico. Il Sappe pensi a quanto accade nelle Carceri


Rita BernardiniAdriano Sofri ha rinunciato all’incarico assegnatogli dal ministero della Giustizia.

La polemica scoppiata sulla sua nomina, le critiche del sindacato delle guardie penitenziarie, ma forse soprattutto le voci del figlio e della vedova Calabresi lo devono aver convinto.

Sulla vicenda, però, c’è stata grande imprecisione. L’elenco dei consiglieri nominati per gli ‘Stati generali dell’esecuzione penale’ pubblicato dal ministero il 19 maggio 2015 non comprendeva il nome di Sofri, perché il suo era un incarico differente.

INCARICO A TITOLO GRATUITO. «Non si trattava di una consulenza pagata, ma di un incarico da coordinatore di uno dei 18 tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia», spiega Rita Bernardini, radicale di lungo corso che per la grazia di Sofri e di Bompressi ha condotto una lunga battaglia. Anche lei è stata chiamata da Andrea Orlando come coordinatrice del tavolo sull’affettività e le relazioni territoriali, un ruolo che è «a titolo gratuito, prevede solo un rimborso spese».

E come Sofri, Bernardini è pregiudicata per la giustizia italiana: «Cosa dirà il Sappe quando saprà che sono stata condannata per disobbedienza civile sulle droghe leggere?».

Il decreto del 19 giugno con cui il ministero ha nominato i coordinatori dei tavoli tematici, che prevede il rimborso spese nei limiti di legge

Sofri ha lasciato: cosa ne pensa?

Mi spiace, capisco il suo stato d’animo, ma secondo me ha sbagliato.

Perché?

Perchè Adriano Sofri ha dimostrato il suo valore umano e civile con l’esemplarità della sua vita, anche per come ha vissuto l’esperienza del carcere.

Cosa intende?

Lo dimostra quello che ha scritto, le sue battaglie per i diritti umani non solo in Italia. A me non interessa entrare nella sua vicenda giudiziaria, mi basta guardare la storia degli ultimi suoi tre decenni. Ripeto: esemplare. Quando stava in carcere ha rinunciato a molti di quei benefici che gli spettavano di diritto. Ai Capece & company tutto questo non interessa.

Lei pensa dunque che fosse la persona giusta?

Una persona di valore che sa cos’è il carcere, che è culturalmente preparata poteva dare un contributo importante.

Come giudica le loro critiche?

Che dovrebbero rileggersi la Costituzione italiana riflettendo sul significato rieducativo della pena. Dovrebbero concentrarsi di più sul loro lavoro sindacale; sul fatto, per esempio, che gli agenti di polizia penitenziaria sono fra le forze di polizia quelli che sono rimasti più indietro in termini di stipendi e di carriere.

L'elenco dei coordinatori dei tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia

Ma è corretto che lo Stato paghi una persona condannata per un crimine che ha offeso la comunità?

Guardi che questo era un incarico gratuito e per Sofri sarebbe stato un modo di mettersi al servizio della comunità, come ha già fatto e fa senza avere avuto incarichi. Nel decreto di nomina è spiegato che non ci sono emolumenti e che gli eventuali rimborsi spese devono essere documentati (io vorrei pubblicamente) e nei limiti della legge e delle ristrettezze di bilancio. Quando ho collaborato con la commissione istituita dalla Cancellieri non ho chiesto nemmeno un euro di rimborso perché le riunioni si tenevano a Roma e io vivo a Roma.

NELLE IMMAGINI

  1. Il decreto del 19 giugno con cui il ministero ha nominato i coordinatori dei tavoli tematici, che prevede il rimborso spese nei limiti di legge.
  2. L’elenco dei coordinatori dei tavoli tematici scelti dal ministero della Giustizia.

Giovanna Faggionato

http://www.lettera43.it – 23 Giugno 2015

Gli orrori delle Carceri e lo scandalo degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari che non chiudono mai


Cella carcere IserniaNelle carceri persiste la problematica dell’ invivibilità nonostante gli appelli del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e di Papa Francesco. A dispetto di quello che si dice (e può sembrare), il carcere continua a restare un luogo dove si muore, ci si uccide. Non se ne parla più, è vero: l’impellente urgenza individuata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il suo messaggio solenne al Parlamento, lo hanno gettato alle ortiche.

Pensate: il Parlamento, che pure ha l’obbligo di dibattere il messaggio venuto dal Colle, non lo ha neppure messo in agenda. Sostanzialmente censurato, poi, l’appello di papa Francesco, che ha puntato l’indice sull’ergastolo, definito “morte nascosta”, e ancor meno presa in considerazione la grave denuncia degli ispettori dell’Onu, che ha definito le carceri italiane luogo di tortura; e, come si è detto, si continua a morire, tra la generale indifferenza.

L’ultimo episodio riguarda un detenuto calabrese 56enne, ristretto per omicidio e condannato ad una pena di 30 anni, morto per infarto causato da una embolia nel carcere toscano di Porto Azzurro. Ne da notizia il Sappe, sindacato di Polizia Penitenziaria.

“Il detenuto aveva un fine pena nel 2018 e fruiva regolarmente di permessi premio, avrebbe dovuto fruirne uno proprio il prossimo venerdì” – spiega il segretario del Sappe, Donato Capece. “È deceduto dopo aver accusato alcuni malori e problemi di respirazione. Nonostante i tempestivi interventi del personale di Polizia Penitenziaria, di quello medico e paramedico non c’ stato purtroppo nulla da fare”.

Le stime sulla salute dei detenuti italiani elaborate vedono in testa alla classifica delle patologie più diffuse le malattie infettive (48%); i disturbi psichiatrici (27%); le tossicodipendenze (25%); le malattie osteoarticolari (17%); le malattie cardiovascolari (16%); i problemi metabolici (11%); le Claudiopatologie dermatologiche (10%). Per quanto riguarda le infezioni a maggiore prevalenza, il bacillo della tubercolosi colpisce il 22% dei detenuti, l’hiv il 4%, l’epatite B (dormiente) il 33%, l’epatite C il 33% e la sifilide il 2,3%”. Non solo: i dati raccolti dalla Società italiana di medicina e sanits’ penitenziaria ci dicono che il 60-80% dei detenuti affetto da una patologia. Un detenuto su due soffre di una malattia infettiva, quasi uno su tre di un disturbo psichiatrico, circa il 25% tossicodipendente. Solo 1 detenuto su 4 ha fatto il test per l’Hiv.

Per tornare alle morti in carcere: nei primi mesi del 2014 “è stato raggiunto un nuovo picco di suicidi nelle carceri italiane: il 40% di tutti i decessi in carcere è infatti rappresentato da suicidi”. Lo ha affermato il presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), Claudio Mencacci, sottolineando che nel 2013 la quota di suicidi era stata pari al 30%, contro il 40% del 2012 ed oltre il 40% del 2009.

Prima di terminare questa nota. Ricordate gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari? Li si doveva chiudere, abolire. Proroghe a non finire, perché non si era ancora pronti, poi il solenne impegno delle Regioni di istituire strutture alternative e risolvere finalmente questa dolorosissima questione che il presidente Napolitano aveva qualificato come vera e propria barbarie… Ebbene, cos’è accaduto? Un bel nulla. Nella “Relazione sul programma di superamento degli Opg”, trasmessa dal Ministro della Salute Beatrice Lorenzin e dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando si sostiene che, “allo stato, appare irrealistico che possa addivenirsi alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari entro la data del 31 marzo 2015.

La ragione di fondo di tale previsione risiede nell’acclarata impossibilità che le Regioni possano, entro il termine previsto dal decreto legge n. 52 del 31 marzo 2014, portare a compimento l’opera di riconversione delle strutture, con la realizzazione delle Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza)”.

Di fatto, il Governo ammette che poco o nulla in questi mesi è stato fatto dalle Regioni per realizzare le nuove strutture (Rems) che garantissero ai malati psichiatrici una degenza nel pieno rispetto della loro dignità, secondo quanto stabilito sia dal decreto legge di proroga che dalla risoluzione approvata dalla Commissione Igiene e Sanità.

Insomma: l’avvilente ammissione che la tutela della salute e della dignità umana sono vittime degli inammissibili ed ingiustificabili ritardi della politica. A suo tempo il governo Monti aveva messo a disposizione circa 180 milioni di euro per la realizzazione di nuove strutture. Sarebbe interessante sapere che fine hanno fatto, come sono stati utilizzati, e da chi.

Valter Vecellio

http://www.lindro.it, 6 novembre 2014

Saluzzo (Cn): suicida Agente di Polizia penitenziaria, è l’8° caso dall’inizio dell’anno


Casa di Reclusione di SaluzzoSembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei cinque Corpi di Polizia dello Stato italiano. Il nuovo suicidio di un poliziotto, presso la sua abitazione questa mattina a Saluzzo, fa salire a otto il numero degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria che si sono tolti la vita dall’inizio dell’anno.

“È una tragedia senza fine, l’ottava nelle file della Polizia Penitenziaria dall’inizio dell’anno. Una nuova immane tragedia Prima si erano tolti la vita appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, in servizio a Vibo Valentia, a Padova, Siena, Volterra, Novara, Roma e Padova. Bruno, 39 anni, Assistente Capo di Polizia Penitenziaria in servizio nel carcere di Saluzzo, questa mattina, nella propria abitazione, sembra dovesse partire con la moglie e i tre figli per una breve vacanza. Alla moglie, ai figli, ai familiari, agli amici e colleghi va il nostro pensiero e la nostra vicinanza”, comunica un commosso ed affranto Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.

Capece sottolinea che “negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 30 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 100, ai quali sono da aggiungere anche i suicidi di un direttore di istituto (Armida Miserere, nel 2003 a Sulmona) e di un dirigente generale (Paolino Quattrone, nel 2010 a Cosenza). Lo ripetiamo da tempo: bisogna intervenire con soluzioni concrete, con forme di aiuto e sostegno per quei colleghi che sono in difficoltà”.

Sinappe: ennesimo suicidio fra le fila della Polizia penitenziaria

Giunge oggi dalla Casa Circondariale di Saluzzo l’ennesima tragica notizia dell’ennesimo lutto che ha colpito la polizia penitenziaria: un assistente capo ivi in servizio, che si è tolto la vita nella propria abitazione. Sconosciute le cause sottese all’estremo gesto.

Non volendo assolutamente strumentalizzare la tragedia è doveroso tuttavia interrogarsi in occasioni come queste, in qualità di addetti ai lavori sulle conseguenze che un “mestiere” difficile come il nostro possono produrre sulle umane fragilità, troppe volte in assenza del sostegno di quello Stato che serviamo. Il Sinappe, nell’esprime tutto il proprio cordoglio, partecipa commosso al dolore dei familiari.

Carceri : Ecco il decreto-risarcimenti… ovvero 8 euro per torturarti


Maria Brucale con Rita BernardiniDopo la “pena sospesa” da parte della Corte Europea che, in data 28 maggio ha riconosciuto i buoni propositi dell’Italia e le ha concesso una proroga per sanare la situazione di drammatica afflizione che vivono i detenuti nelle nostre carceri, il governo Renzi partorisce un decreto: risarcimenti in denaro, 8 euro al giorno, per i detenuti tornati in libertà che sono stati costretti a vivere in uno spazio inferiore a tre metri quadrati, in violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo. Un giorno di tortura, dunque, vale 8 euro. Per chi è ancora detenuto, invece, verrà applicato uno sconto sulla pena residua pari al 10 %.

Il carcere minorile potrà ospitare persone fino a 25 anni, non più fino a 21, così ritardando l’ingresso dei non più “minori” nelle strutture carcerarie ordinarie e rallentando il sovraffollamento conseguente.

Il decreto guarderebbe anche ai problemi di gestione, anch’essi derivanti da un numero di detenuti sempre in esubero rispetto agli istituti penitenziari, da parte della polizia penitenziaria, attraverso provvedimenti tesi ad aumentare la consistenza dell’organico.

Un provvedimento certamente insufficiente ed inadeguato che creerà e sta già creando ulteriori momenti di tensione nelle note aree forcaiole che hanno gridato il loro sdegno per il precedente decreto, inopinatamente definito “svuota carceri”, che, nella sua originaria formulazione, in aderenza al dettato costituzionale, estendeva anche ai reati di mafia e a tutti quelli inclusi nel famigerato art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, la propria valenza risarcitoria per una carcerazione inumana e degradante, prevedendo la concessione ai detenuti, per un periodo di tempo determinato, del beneficio della liberazione anticipata con decurtazione della pena da espiare non dei consueti 45 giorni, bensì di 75.

La legge di conversione ha stabilito che i detenuti per reati di mafia o per altri reati individuati come “più gravi” dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, sono un po’ meno persone degli altri, che per loro una detenzione oltre i limiti di ogni decenza va bene tutto sommato perché sono veramente cattivi!!!

E, dunque, attendiamo le reazioni.

Non possiamo però non osservare che se il governo avesse emanato provvedimenti di immediata concretezza deflattiva, non avrebbe dovuto oggi “sbloccare fondi” utili ad uscire dall’emergenza, per erogare l’elemosina degli otto euro, e per salvare dal collasso la polizia penitenziaria, fondi che in qualche modo saremo tutti chiamati a reintegrare.

Il grido di amnistia e di indulto fatto proprio dal Papa e dal Presidente della Repubblica rimane inascoltato, la situazione rimane drammatica. Intanto, il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, Donato Capece – lo stesso che affermava riguardo alla morte di Stefano Cucchi: ” i nostri colleghi che lavorano nelle camere di sicurezza del tribunale, sono persone tranquille e al di sopra di ogni sospetto” – così commenta il provvedimento sui risarcimenti ai detenuti deciso dal Consiglio dei Ministri: “Lo Stato taglia le risorse a favore della sicurezza e della Polizia Penitenziaria in particolare e poi prevede un indennizzo economico giornaliero per gli assassini, i ladri, i rapinatori, gli stupratori, i delinquenti che sono stati in celle sovraffollate”.

E ancora: “a noi poliziotti non pagano da anni gli avanzamenti di carriera, le indennità, addirittura ci fanno pagare l’affitto per l’uso delle stanze in caserma e poi stanziano soldi per chi le leggi le ha infrante e le infrange. Mi sembra davvero una cosa pazzesca e mi auguro che il Capo dello Stato ed il Parlamento rivedano questa norma assurda, tanto più se si considerano quanti milioni di famiglie italiane affrontano da tempo con difficoltà la grave crisi economica che ha colpito il Paese”.

Maria Brucale – Avvocato

Il Garantista, 27 Giugno 2014

Arezzo: Sappe; detenuto ai domiciliari chiede di tornare in carcere “non ho da mangiare”


Carcere-634x396“Ad Arezzo, un detenuto di 33 anni nato a Napoli e residente a Foiano della Chiana, che stava scontando la pena agli arresti domiciliari, ha chiesto di tornare in carcere perché non aveva di che mangiare. Anche questo è un aspetto reale della crisi economica che ha colpito molti strati della popolazione e vasti settori della marginalità sociale, come detenuti ed ex detenuti”.

Lo rende noto il segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), Donato Capece, raccontando un episodio avvenuto qualche giorno fa in Toscana. “Il detenuto, in un orario in cui gli era permesso uscire da casa, è andato in carcere ed ha chiesto di essere rimesso in cella nell’istituto. “A casa non ho da mangiare”, ha detto agli Agenti di Polizia Penitenziaria stupiti dall’insolita richiesta. In detenzione nell’istituto di pena ha ovviamente diritto ai pasti e alla colazione e questo sarebbe stato il motivo per cui ha chiesto di essere riassociato in carcere. Il magistrato competente, immediatamente contattato dai poliziotti penitenziari di servizio, non ha però ravvisato motivi validi per una nuova carcerazione”.

“Quanto avvenuto ad Arezzo”, conclude Capece, “dimostra quali possono i reali e concreti problemi della marginalità sociale nella quale si trovano spesso i detenuti e dovrebbe far capire il perché spesso alcuni di loro, senza lavoro e senza aiuti sociali sul territorio, non recidono mai definitivamente i lacciuoli che li legano alla criminalità ed alla delinquenza. Non è e non può essere una giustificazione, ma è un dato oggettivo. Anche autorevoli esperti hanno accertato che dall’inizio della crisi economica e la conseguente crescita della disoccupazione i detenuti italiani sono aumentati con un ritmo molto più sostenuto rispetto a quello degli stranieri”.