Pordenone : “Mio figlio è morto da più di tre mesi, chiedo di sapere la verità”


Carcere di PordenoneLa madre di Stefano Borriello, 29enne di Portogruaro, vuole chiarezza. Antigone: “Non si sa ancora perché il giovane detenuto sia morto”. C’è una madre che chiede chiarezza da più di tre mesi, ma per ora la morte del figlio è sempre contraddistinta da contorni poco nitidi.

Aveva fatto molto rumore il decesso di Stefano Borriello, un 29enne portogruarese che il 7 agosto scorso venne trasportato dal carcere di Pordenone, in condizioni ritenute molto gravi, all’ospedale della città. Era detenuto nella casa circondariale da un paio di mesi per sospetta rapina quando verso le 20, mentre si trovava in cella assieme ad altre tre persone, avrebbe subito un malore. È stato in quel momento che è stato richiesto l’intervento dei sanitari del 118. Poco dopo il ricovero nella struttura sanitaria, però, sopravviene il decesso “per arresto cardiaco”.

Una tragica vicenda su cui la madre del ragazzo ha chiesto subito di far luce. Perché ha il diritto di sapere perché suo figlio non c’è più. “Secondo lei Stefano è sempre stato in ottime condizioni di salute – dichiara l’associazione Antigone, che si occupa dei diritti dei carcerati – la Procura ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo”. Ora, a più di tre mesi di distanza dalla morte del 29enne, Simona Filippi, il difensore civico di Antigone sottolinea come ancora non si siano fatti passi avanti nell’indagine: “Sembra che Stefano stesse male già da qualche giorno prima della morte – dichiara Filippi – i periti nominati dalla Procura per riferire in merito alle ‘cause della mortè e a ‘eventuali lesioni interne o esternè, ancora non hanno consegnato la relazione. Questo è un dolore che si rinnova per i genitori”.

Secondo l’associazione, i cui osservatori avrebbero visitato la casa circondariale per un sopralluogo, “è emerso che all’interno del carcere di Pordenone il servizio medico non è garantito 24 ore su 24 ma soltanto fino alle 21, che esiste un’unica infermeria per tutto il carcere e che non ci sono defibrillatori”. Una vicenda, quella di Stefano Borriello, che ancora non ha avuto una conclusione certa. E che quindi per forza di cose induce la madre del giovane a cercare ancora la verità: “Chiedo che le indagini arrivino a risultati certi rispetto a eventuali responsabilità e che da subito vengano finalmente rese note le cause cliniche che hanno portato alla morte di Stefano”, conclude il difensore civico Filippi.

veneziatoday.it, 21 novembre 2015

Lucera, la denuncia di Giuseppe “picchiato dagli agenti… così ho combattuto per vivere”


Carcere - detenuto corridoioI fatti risalgono al 12 gennaio del 2011, nel carcere di Lucera. Dopo un alterco con un agente, fu pestato senza pietà. Delle foto testimoniano i colpi subiti.

Denudato in cella di isolamento, in gergo “cella liscia”. Torturato fino allo svenimento da una squadra di agenti penitenziari per punirlo a causa di un’offesa verbale nei confronti dell’agente preposto. E poi trascinato per i piedi, nudo e ancora sporco di sangue, in un’altra cella di isolamento con dentro soltanto un materasso sudicio.

Accadeva il 12 gennaio del 2011, in pieno inverno. E la tragica storia di Giuseppe Rotundo, all’epoca dei fatti detenuto nel carcere di Lucera, nel foggiano. Il processo per ristabilire verità e giustizia, è ancora in corso. Il suo caso è unico nel suo genere perché, di solito, i corpi dei detenuti pieni di lividi ed ematomi vengono fotografati solo da morti. Giuseppe Rotundo invece è sopravvissuto alla tortura e ha potuto denunciare l’accaduto.

Giuseppe, nella Casa circondariale di Lucera era in attesa di giudizio o aveva una condanna definitiva?

Avevo una condanna definitiva. Un anno e dieci mesi per detenzione di dieci grammi di cocaina.

Qual era il clima in carcere?

Fin dall’inizio mi resi subito conto in quale clima autoritario mi trovassi. Già dal primo colloquio con la mia famiglia capii che la convivenza con gli agenti penitenziari non sarebbe stata facile. La mia famiglia, soprattutto mia figlia, andò via dal carcere sconvolta dall’arroganza e dalla prepotenza degli agenti.

Perché? Cosa accadde?

Durante il colloquio mia figlia fu rimproverata dall’agente perché voleva abbracciarmi. Io a quel punto ebbi un alterco con lui e il colloquio mi fu sospeso. Ero in regime normale, mica al 41bis dove è vietato qualsiasi contatto fisico con i famigliari. Non mi capivo perché me lo vietassero. Ma l’episodio che fece scattare il massacro fu un altro.

Quale?

Era il giorno in cui noi detenuti potevamo fare la telefonata ai nostri famigliari. Ero in sosta con altri detenuti sulla rampa di scale che conduce al corridoio dove si trovava la cabina telefonica. Considerando l’alto numero dei detenuti, l’attesa si prolungava e allora decisi di salire in sezione perché un mio compagno di cella aveva pronto il caffè. Il regolamento lo vieta, ma lo facevano tutti e a nessuno era mai stato contestato. Invece a me quel pomeriggio mi fu contestata l’infrazione del regolamento con toni violenti. L’agente mi intimò di posare il caffè, a quel punto preso dalla rabbia e lo insultai verbalmente. Ovviamente sapevo che avrei ricevuto una sanzione disciplinare, ma non mi sarei mai immaginato quello che mi è accaduto.

Cosa?

Appena conclusa la telefonata, stavo per raggiungere la mia sezione. Ma un agente mi bloccò e mi disse di seguirlo in ufficio per la contestazione del rapporto disciplinare. Entrai nell’ufficio e fui subito aggredito verbalmente dall’agente che avevo insultato. Chiesi scusa e gli dissi che aveva ragione e che quanto detto da me, non era un mio abituale comportamento. Non accettò le scuse e mi minacciò dì farmela pagare. Non capivo, io ero responsabile delle mie azioni e pronto ad accettare la sanzione disciplinare che ne scaturiva. Fui invitato a raggiungere l’ufficio di comando, ma prima dovetti passare in cella di isolamento per l’ispezione. Una volta entrato lì, compresi la loro intenzione.

Ovvero?

All’interno della cella era presente un gruppo consistente di agenti penitenziari con i guanti di lattice. Io li invitai alla calma, mi denudai spontaneamente per farmi perquisire. Ma una volta nudo fui colpito violentemente con un pugno alla nuca. A quel punto reagii di istinto e detti un pugno in viso all’agente che commise quel gesto, A quel punto fu il buio totale; ricevetti dagli agenti calci e pugni in tutto il corpo con una. violenza inaudita. Tanto da perdere quasi la coscienza e accovacciarmi per terra. Solo a quel punto smisero di picchiarmi.

Ha subito ricevuto un soccorso medico?

Assolutamente no. Mi presero per i piedi e mi trascinarono fin dentro la cella affianco e chiusero il blindato. Era una cella di isolamento, vuota e con un materasso lurido. Ero nudo e sporco di sangue. Rimasi la dentro in quelle condizioni per tutta la notte. Pensai alla mia famiglia, a mia figlia. Lottavo contro la morte perché non desideravo che venissero a trovarmi quando orami ero dentro una bara. La mattina seguente aprirono la cella perché in programma avevo un colloquio con la psicologa. Mi dettero degli indumenti, mi vestii da solo con fatica e poi, sorreggendomi in due, mi portarono fino all’ufficio della dottoressa.

C’erano le dottoresse Natali e Vinciguerra, due psicologhe esterne del Ser.T.. La dottoressa Natali, alla vista delle mie condizioni, scoppiò a piangere: il giorno prima del massacro mi aveva visto in condizioni normali perché avevamo fatto un colloquio costruttivo di mezzora. Immediatamente gli agenti, vedendo che la Natali stava piangendo, sospesero il colloquio e mi condussero nuovamente in cella di isolamento.

Fino a quanto tempo ci rimase?

Se non fosse stato per l’interessamento della dottoressa Natali, forse sarei rimasto lì dentro per tantissimo tempo. La dottoressa, seppi dopo, subito si attivò chiamando la mia avvocata Elvia Beimonte. Ma non solo. Chiamò subito il comandante e lo minacciò di denunciarla per istigazione al suicidio se non avesse dato l’ordine di farmi uscire dall’isolamento e predisporre cure mediche, compresa la tac.

Il comandante accolse la richiesta?

Sì. Mi fece visitare e mi spostò in una sezione dove c’era una cella più confortevole con materasso. Soprattutto con il termosifone, considerando che stavamo in pieno inverno. Ebbi finalmente modo di riposare e avere contezza di quello che mi era accaduto. Gonfio come un pallone, completamente irriconoscibile. Un agente mi disse che il loro collega, da me colpito con il pugno, era finito in ospedale. Io, completamente all’oscuro della coraggiosa iniziativa della Natali, decisi di scrivere una lettera alla mia avvocata. Scrissi tutta la mia storia, soprattutto per il timore di passare per un aggressore, anziché per l’aggredito. Inoltre ebbi la lucidità di spedire la lettera tramite un compagno di sezione, poiché avevo il timore che, a mio nome, non sarebbe partita mai. Nel frattempo gli agenti mi denunciarono all’autorità giudiziaria.

Quindi inizialmente il processo era esclusivamente a suo carico?

Inizialmente sì. Poi il Pm De Luca, dopo la mia denuncia, ha ritenuto che ci fossero gli elementi necessari per un altro procedimento penale nei confronti degli agenti. Quindi i due procedimenti sono stati unificati. Il processo quindi è in corso e la prossima udienza ci sarà il due dicembre prossimo. Ma per concludere l’intervista mi faccia fare dei doverosi ringraziamenti.

Prego…

Innanzitutto ringrazio la dottoressa Natali per il suo coraggio. Senza di lei non so che fine avrei fatto. Ringrazio anche l’aiuto immenso di Antigone tramite Patrizio Gonnella e gli avvocati Simona Filippi e Alessandro De Federicis per essersi costituiti parte civile nel processo. Per concludere volevo dire che non provo odio nei confronti degli agenti. Ma tanta pena, rabbia e dolore.

Damiano Aliprandi

Il Garantista, 12 settembre 2014

Torna il caso del detenuto percosso nel 2011 nel carcere di Lucera


Camera dei DeputatiL’anno scorso erano stati i Senatori della Repubblica Salvo Fleres, Donatella Poretti e Marco Perduca, su sollecitazione di Emilio Quintieri, Ecologista radicale calabrese ad interrogare il Ministro della Giustizia Paola Severino mentre, questa volta, sono diciassette i Parlamentari del Movimento Cinque Stelle capeggiati dal Deputato modenese Vittorio Ferraresi, membro della Commissione Giustizia di Montecitorio ad interrogare il Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in merito al pestaggio subito dal detenuto Giuseppe Rotundo all’interno della Casa Circondariale di Lucera nel gennaio 2011 e per il quale sono stati tratti a giudizio innanzi al Tribunale di Lucera tre appartenenti alla Polizia Penitenziaria, il Sovrintendente Pasquale De Gennaro e gli Assistenti Capo Francesco Benincaso e Vincenzo Leone, tutti in servizio – all’epoca dei fatti – presso il suddetto Istituto Penitenziario. Sono tutti accusati dal Pubblico Ministero Pasquale De Luca di aver, in concorso tra di loro, maltrattato il detenuto Rotundo, affidato loro per ragioni di custodia, sottoponendolo a misure di rigore non consentite dalla Legge e cagionandogli lesioni personali.

Nello specifico i tre Agenti avrebbero dapprima portato in una cella di isolamento il Rotundo e dopo averlo costretto a spogliarsi lo avrebbero più volte percosso con pugni in faccia ed alla nuca e calci in varie parti del corpo, facendolo cadere a terra in uno stato di incoscienza, con lesioni riscontrate (ematoma avambraccio destro, emitorace sinistro con graffi, vistoso ematoma ginocchio, gamba e caviglia destra, ematoma regione periorbitale bilaterale, emorragia oculare e orbitale bilaterale, tumefazione regione frontale destra, ematoma regione mandibolare sinistra, eccetera) guaribili in 40 giorni. Sarebbero numerose le prove a sostegno dell’ipotesi accusatoria.

Tra le tante, anche le testimonianze rese durante le Indagini Preliminari da due coraggiose donne, le Dott.sse Roberta Natale e Giovanna Vinciguerra, rispettivamente Psicologa e Assistente Sociale in servizio presso la Casa Circondariale di Lucera. Inoltre, su esplicita richiesta della Procura della Repubblica di Lecce, competente in quanto il Rotundo, subito dopo il pestaggio venne trasferito nella Casa Circondariale di Foggia, vennero svolti anche degli accertamenti specialistici da parte del personale di Polizia Scientifica della Questura di Foggia che confermarono le percosse patite dal detenuto salentino. In particolare, i rilievi fotografici eseguiti sulla persona del Rotundo, evidenziarono leggere tracce di ematoma in via di dissoluzione ad entrambe le regioni periorbitali, leggere tracce di emorragia oculare destra, leggerissime tracce di emorragia oculare sinistra, residui di leggera tumefazione nella regione frontale destra, ematoma all’avambraccio destro nella regione interna ed esterna e gomito, leggera tumefazione sul dorso della mano destra, alcuni graffi all’emitorace sinistro, ematomi sul ginocchio e sulla gamba destra, ematoma sulla caviglia, sul collo del piede e nella regione plantare dorsale del piede destro e leggeri graffi alla gamba sinistra superiormente al polpaccio.

Attualmente il processo è in corso presso il Tribunale di Lucera ed oltre al detenuto Rotundo, assistito dall’Avvocato Elvia Belmonte del Foro di Lecce, si è costituita ed ammessa come parte civile anche Antigone Onlus, l’Associazione per i Diritti e le Garanzie nel Sistema Penale presieduta a livello nazionale da Patrizio Gonnella. Il Sodalizio è rappresentato e difeso dagli Avvocati Simona Filippi ed Alessandro De Federicis. Il detenuto Rotundo, comunque, essendo stato querelato dagli Agenti di Polizia Penitenziaria è stato tratto a giudizio per rispondere dei reati di resistenza e lesioni a Pubblici Ufficiali. Le Guardie Carcerarie, che si sono costituite pure parte civile nel processo, accusano il Rotundo di aver inveito contro di loro con parole offensive e minacciose e di essersi scagliato contro di loro colpendoli anche con pugni e calci e cagionandogli lesioni personali.

Gli Onorevoli Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Bonafede, Sarti, Tancredi, Micillo, Di Maio, Colletti, Barbanti, Nesci, Dieni, Cozzolino, Toninelli, Dadone, Fraccaro e Parentela, su sollecitazione del radicale Quintieri, nell’Interrogazione a risposta scritta nr. 4-02590 presentata mercoledì 20 novembre, durante la 122esima seduta della Camera dei Deputati, al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, hanno chiesto di sapere se e di quali informazioni disponga il Ministro in relazione ai fatti descritti nell’atto ispettivo, se intenda, appurata la fondatezza delle notizie, verificare se vi siano ulteriori precise responsabilità di singoli agenti o funzionari dell’Amministrazione penitenziaria, oltre a quelle sino ad ora rilevate dalla competente autorità giudiziaria, con particolare riferimento a coloro i quali abbiano autorizzato o tollerato la conduzione con la forza, ed il relativo eventuale pestaggio, del detenuto presso una cella di isolamento in spregio a quanto prescrive l’ordinamento vigente e, se del caso, quali provvedimenti disciplinari intenda adottare nei confronti dei responsabili; cosa il Ministro interrogato intenda fare per riportare urgentemente la popolazione detenuta ai livelli di ricettività legali e per rimuovere le strutturali non conformità alla legge della casa circondariale di Lucera, in considerazione del fatto che queste ultime possano mettere in pericolo l’incolumità personale dei detenuti e del personale penitenziario operante ed a quando risalga e cosa sia scritto nell’ultima relazione della competente azienda sanitaria locale in merito alle condizioni strutturali della casa circondariale di Lucera, anche sotto il profilo igienico-sanitario e di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Intanto, la prossima Udienza del processo che vede imputati i Poliziotti Penitenziari ed il detenuto Rotundo si terrà il 21 febbraio 2014. Emilio Quintieri, ecologista radicale calabrese, nel ringraziare la deputazione pentastellata ed in modo particolare l’Onorevole Ferraresi per la preziosa collaborazione, auspica che il processo presso il Tribunale di Lucera prosegua rapidamente e si arrivi ad accertare le responsabilità in modo che gli autori dei reati siano severamente puniti e nelle Carceri non accadano mai più questi episodi di pestaggio praticati dal personale di Polizia Penitenziaria in danno di cittadini, innocenti o colpevoli che siano, sottoposti alla loro vigilanza a custodia. Attendiamo – conclude Quintieri – di conoscere le determinazioni del Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri in ordine ai gravissimi fatti evidenziatigli con l’Interrogazione Parlamentare.

http://www.newsetvlucera.it – 22 Novembre 2013