Droga, Corte Costituzionale: Sproporzionata la pena minima di 8 anni per i fatti non lievi


E’ sproporzionata la pena minima edittale di 8 anni di reclusione prevista per i reati non lievi in materia di sostanze stupefacenti. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale (Presidente Lattanzi, Relatore Cartabia) che, con la Sentenza n. 40 del 23/01/2019, depositata oggi 08/03/2019, ha dichiarato illegittimo l’Art. 73 c. 1 del Testo Unico sugli Stupefacenti (D.P.R. n. 309/1990) la’ dove prevede come pena minima edittale la reclusione di 8 anni invece che di 6. Rimane inalterata la misura massima della pena, fissata dal legislatore in 20 anni di reclusione, applicabile ai fatti più gravi.

In particolare, la Corte Costituzionale ha rilevato che la differenza di ben 4 anni tra il minimo di pena previsto per la fattispecie ordinaria (8 anni) e il massimo della pena stabilito per quella di lieve entità (4 anni) costituisce un’anomalia sanzionatoria in contrasto con i principi di eguaglianza, proporzionalità’, ragionevolezza (Art. 3 della Costituzione), oltre che con il principio della funzione rieducativa della pena (Art. 27 della Costituzione).

Una decisione importante che arriva proprio mentre il Ministro dell’Interno Sen. Matteo Salvini (Lega Nord) con un Disegno di Legge ha proposto un’ulteriore inasprimento delle sanzioni in materia di stupefacenti (fino a 6 anni di reclusione) per i fatti di lieve entità ex Art. 73 c. 5 D.P.R. n. 309/1990.

La dichiarazione di incostituzionalità arriva dopo che la Consulta, con la Sentenza n. 179 del 2017 aveva invitato “in modo pressante” il legislatore a risanare la frattura che separa le pene per i fatti lievi e per i fatti non lievi, previste, rispettivamente, dai c. 5 e 1 dell’Art. 73 del Testo Unico. Quell’invito è rimasto però inascoltato, così la Corte ha ritenuto “ormai indifferibile” il proprio intervento per correggere “l’irragionevole sproporzione, più volte segnalata dai giudici di merito e di legittimità”. “La soluzione sanzionatoria adottata – si legge in una nota della Corte – non costituisce un’opzione costituzionalmente obbligata e quindi rimane possibile un diverso apprezzamento da parte del legislatore, nel rispetto del principio di proporzionalità”.

Sentenza n. 40 del 2019 – Corte Costituzionale    (clicca per leggere)

Giustizia: abuso cautelare… così il carcere preventivo ci costa 1,3 milioni di euro al giorno


Carcere Regina Coeli - Roma - RepartoUn milione e 300mila euro al giorno. Ecco quanto costa, complessivamente, la carcerazione preventiva allo Stato. A dirlo è l’Associazione Italiana Giovani Avvocati (Aiga), che denuncia: oggi un detenuto su cinque è rinchiuso in cella senza neanche aver subito una sentenza di primo grado. Un problema, quello delle “manette facili”, che incide notevolmente anche sulle casse pubbliche.

Al 30 aprile scorso, secondo i dati del ministero della Giustizia, su 59.683 detenuti, ben 10.389 persone (cioè il 17.40% dell’intera popolazione carceraria italiana) risultavano in attesa di giudizio. “Presunti innocenti” dice la Costituzione, “reali carcerati” risponde il sistema giustizia.

E i calcoli sono presto fatti: basta moltiplicare il prezzo giornaliero che ciascun detenuto costa allo Stato (nel 2013 la cifra era 124,96 euro) per il numero dei carcerati in regime di custodia cautelare e il gioco è fatto. Un milione e 300mila euro, appunto. Non certo bruscolini. Anzi.

Certo, i giovani avvocati del Belpaese rilevano anche che quest’anno il numero dei detenuti in attesa di un giudizio è calato rispetto ai 12.439 del gennaio 2013, mese in cui è stata emanata la sentenza Torreggiani che ha condannato l’Italia a risarcire i detenuti per le condizioni disumane e degradanti che erano costretti a subire nelle patrie galere. Tant’è, il numero dei detenuti che non hanno ancora sentito una pronuncia del giudice rimane alto e poco rassicurante.

Senza contare che queste cifre lievitano se allarghiamo lo sguardo anche agli altri gradi di giudizio e non ci fermiamo al primo. A fare il conto è stato, questa volta, il Centro Studi di Ristretti Orizzonti: il totale dei detenuti che aspettano dietro le sbarre una sentenza definitiva è pari a 21.324 persone, di cui 5.589 ancora alle prese con la Corte d’Appello mentre 3.877 attendono una pronuncia della Cassazione. Una situazione a dir poco imbarazzante. Anche perché, stando alle statistiche, circa la metà dei detenuti in custodia cautelare, una volta pronunciata sentenza, viene giudicata innocente. Tante scuse e arrivederci.

Ma come funziona la custodia cautelare in carcere? L’articolo 275 del codice di procedura penale prevede che sia applicata solamente quando le altre misure si rendono inadeguate al caso di specie: insomma, è una sorta di extrema ratio. Sulla carta, almeno. Si può applicare solo in tre casi, specifica il codice: pericolo di fuga, di reiterazione del reato e di turbamento delle indagini. In realtà la custodia cautelare può durare fino a 6 anni e, nella pratica, viene oramai percepita come una sorta di anticipazione della pena. In barba a qualsiasi principio costituzionalmente garantito in tema di presunzione d’innocenza.

C’è da dire che a gennaio la Camera ha approvato una riforma per ridurre l’uso (cioè l’abuso) che in questi anni se ne è fatto proprio del carcere preventivo. Ora il testo deve passare al Senato, completo di un emendamento che obbliga a una relazione governativa da presentare, ogni anno, davanti al Parlamento: statistiche dettagliate, tipologie di reato per cui è stato varato il ricorso alla misura, andamento dei procedimenti.

di Claudia Osmetti

Libero, 6 giugno 2014

Carceri : caso La Penna; si avvicina la sentenza per i 3 Medici accusati di aver cagionato la morte del detenuto


Carcere Regina Coeli RomaÈ giunto alle ultime battute il processo a carico di tre medici del carcere di Regina Coeli, il direttore sanitario Andrea Franceschini e i suoi colleghi Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano, accusati di omicidio colposo in relazione alla morte in cella del giovane viterbese Simone La Penna, avvenuta il 26 novembre 2009.

Il 30 aprile scorso, i giudici del tribunale di Roma, davanti ai quali si svolge il dibattimento, hanno ascoltato la deposizione di Mauro Mariani, all’epoca dei fatti direttore del penitenziario, il quale ha spiegato come è organizzata l’assistenza sanitaria nel carcere romano e quali sono e ha illustrato i compiti del direttore sanitario.

Subito dopo il processo è stato aggiornato. La prossima udienza sarà dedicata all’audizione di alcuni testimoni. Dopodiché sarà la volta della requisitoria del pubblico ministero e degli interventi dei difensori dei tre medici e del legali di parte civile.

Secondo il calendario fissato dal collegio, la sentenza di primo grado dovrebbe essere pronunciata prima della sospensione estiva dell’attività giudiziaria o subito dopo la ripresa.

Simone La PennaLa Penna, 32 anni all’epoca dei fatti, stava scontando una pena a 2 anni e 4 mesi di reclusione per spaccio di droga. Mentre era rinchiuso a Regina Coeli si ammalò di anoressia e, in pochi mesi perse ben 34 chili di peso. Secondo la procura della Repubblica di Roma, i medici, non avrebbero somministrato al giovane le cure necessarie, nonostante i loro colleghi in servizio nel carcere di Viterbo, dove era detenuto La Penna prima del trasferimento a Regina Coeli, gli avessero diagnosticato “anoressia e vomito con calo ponderale e episodi di ipokaliemia”.

Le terapie, secondo l’accusa, furono iniziate solo 43 giorni dopo il ricovero nel centro clinico del carcere romano. Un lasso di tempo, ritenuto eccessivo dagli inquirenti, aggravato dalla mancata verifica sulla effettiva somministrazione della terapia psichiatrica. Inoltre, i medici, nonostante il progressivo peggioramento delle condizioni di La Penna, non avrebbero chiesto il suo trasferimento in una struttura sanitaria specializzata nel contrasto dell’anoressia e dei suoi effetti.

http://www.viterbonews24.it, 5 maggio 2014