Sardegna, morti altri due giovani detenuti nella Casa Circondariale di Sassari – Bancali


Questa notte sono stato informato di altri due decessi avvenuti nei giorni scorsi presso la Casa Circondariale di Sassari Bancali “Giovanni Bacchiddu” e tenuti “riservati” dall’Amministrazione Penitenziaria. Dalle poche notizie che sono riuscito ad avere, si tratterebbe di due giovani detenuti di Alghero, morti a poche ore uno dall’altro, entrambi ristretti nell’Istituto Penitenziario di Sassari.

Da quanto ho appreso, il 25 dicembre, è deceduto il detenuto Omar Tavera, 37 anni, recluso per reati contro il patrimonio, violazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ed altro, trovato morto nella sua cella dal personale del Corpo di Polizia Penitenziaria. Tavera, il giorno della vigilia di Natale, l’aveva trascorso fuori dall’Istituto Penitenziario, grazie ad un permesso premio concessogli dal Magistrato di Sorveglianza di Sassari. Pare che la causa del decesso sia una overdose. La Procura della Repubblica di Sassari, in persona del Pubblico Ministero Mario Leo, informata del decesso, ha nominato un proprio consulente, il Medico Legale Salvatore Lorenzoni, disponendo l’esame autoptico sulla salma ivi compresi gli esami tossicologici per accertare le cause della morte del detenuto. Al momento si procede per il reato di cui all’Art. 586 del Codice Penale “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”. Il consulente tecnico incaricato dalla Procura della Repubblica di Sassari relazionerà in merito entro 90 giorni.

Inoltre, pare che nelle ore successive, probabilmente il 26 o il 27 dicembre, ma di questo non ho ancora avuto alcun riscontro ufficiale, nel medesimo Istituto Penitenziario si sia suicidato tramite impiccagione, un altro detenuto algherese di 31 anni, Stefano C., da poco arrestato per reati contro il patrimonio.

Nella Casa Circondariale di Sassari Bancali “Giovanni Bacchiddu”, al momento, a fronte di una capienza regolamentare di 454 posti, sono ristretti 424 detenuti (13 donne), di cui 142 stranieri. Tra i ristretti presenti nell’Istituto anche 90 detenuti sottoposti al regime detentivo speciale 41 bis O.P. ed altri 30 detenuti per terrorismo internazionale di matrice islamica.

Sale così a 149 il numero dei “morti in carcere”, di cui 68 suicidi, avvenuti nel 2018.

Emilio Enzo Quintieri

già Consigliere Nazionale Radicali Italiani

candidato Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Calabria

Cagliari, detenuto minore tenta il suicidio in cella. Salvato dal compagno e dalla Penitenziaria


cella-minori-ipmTempestivo l’intervento del compagno di detenzione e degli agenti penitenziari. Nella tarda serata di ieri, all’interno di una cella dell’Istituto Penitenziario per Minori di Quartucciu, un giovane detenuto algerino ha tentato di togliersi la vita impiccandosi rimanendo appeso per il collo fino a perdere i sensi. Il giovane è stato prima soccorso dal compagno, che è riuscito ad allentare le lenzuola ed a tenerlo sospeso, e poi dagli Agenti del Corpo di Polizia Penitenziaria, intervenuti tempestivamente. Il detenuto poi è stato trasportato all’ospedale cittadino per tutti gli accertamenti del caso e successivamente riaccompagnato in carcere e sottoposto a grande sorveglianza custodiale per impedire che possa reiterare l’insano gesto.

“Ieri è stata salvata una vita umana. Gli interventi sono stati tempestivi, sia quello del compagno di cella che quello della polizia penitenziaria – ha detto il Segretario Generale aggiunto della Fns-Cisl Giovanni Villa. Il detenuto che ha provato a togliersi la vita pare abbia ricevuto in questi giorni delle notizie riguardanti la perdita di un familiare, forse è questo motivo che lo ha portato a compiere il gesto estremo. Il personale di Polizia Penitenziaria operante sta garantendo il servizio in modo professionale. Certo è che – spiega Villa – con detenuti a grande sorveglianza bisogna aumentare i poliziotti in servizio e quindi rinforzare l’organico. L’amministrazione ora, giustamente, provveda a premiare chi è intervenuto”.

Carceri, Da Pordenone alla Sardegna, in Italia si continua a morire di pena


Casa Circondariale 1Sì, in Italia si continua a morire di carcere. E anche se probabilmente è prematuro parlare di nuovi casi Cucchi, specie negli ultimi mesi dai penitenziari del nostro Paese sono usciti detenuti coperti da teli bianchi, sul cui destino si addensano parecchie e pesanti ombre. Non sarebbe un caso, allora, che proprio nell’ultimo mese anche diversi parlamentari si sono interessati alla questione, rivolgendo al ministro della Giustizia, Andrea Orlando, interrogazioni cui si spera possa giungere una risposta nel più breve tempo possibile.

Misteri in Friuli – Siamo a Pordenone. È il 7 agosto 2015 quando Stefano Borriello, un giovane di soli 29 anni, viene trasportato dal carcere friulano in condizioni che, con il passare del tempo, si fanno via via più critiche. Arriva in ospedale e subito gli viene offerto il dovuto controllo. Ma non c’è niente da fare. Poco dopo l’arrivo, Borriello muore. Per arresto cardiaco, reciterà il referto. Da subito, però, la madre di Stefano chiede con fermezza quali siano le ragioni del decesso del figlio sempre stato in ottime condizioni di salute. Un dubbio che tortura la madre. E non solo lei: la Procura, infatti, decide di aprire un fascicolo contro ignoti per omicidio colposo. Sembra che Stefano stesse male già da qualche giorno prima della morte, infatti. A interessarsi della vicenda, anche l’associazione Antigone, sempre presente quando si parla di diritti umani e detenzione. Ebbene, dalla visita effettuata dagli osservatori dell’associazione nei giorni seguenti, è emerso che all’interno del carcere di Pordenone il servizio medico non è garantito 24 ore su 24, ma soltanto fino alle 21, che esiste una unica infermeria per tutto il carcere e che non ci sono defibrillatori nella sezione. Ma arriviamo al dunque: com’è morto Stefano? Non è dato ancora saperlo. A più di tre mesi dalla sua terribile morte, infatti, ancora non se ne conoscono le cause: i periti nominati dalla Procura per riferire in merito alle “cause della morte” e ad “eventuali lesioni interne o esterne”, ancora non hanno consegnato la relazione. Le ragioni della morte di Stefano sono ad oggi assolutamente incomprensibili.

Istigazione al suicidio – Scendiamo lungo lo stivale e facciamo tappa a Pesaro, nelle Marche. È il 25 settembre quando Anas Zamzami, da tutti conosciuto come Eneas, viene trovato morto in cella. A soli 29 anni. Era stato arretato per il reato di falsa identità e resistenza a pubblico ufficiale, reati commessi nel 2011, e in relazione ai quali doveva scontare dodici mesi di reclusione. Nonostante quanto previsto dalla legge del 2010 riguardante “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi”, Eneas scontava, inspiegabilmente, la pena nell’istituto e già da 5 mesi.

Ma non è questo l’unico buco nero della vicenda. Secondo la casa circondariale, Eneas sarebbe morto per suicidio. Peccato però che per i familiari e gli amici le dinamiche dei fatti risultino invece poco chiare. Ad interessarsi alla vicenda è stato anche Adriano Zaccagnini (Sel) che ha presentato un’interrogazione a riguardo. Perché l’unica cosa certa, paradossalmente, è che al momento più di qualcosa non torna. Eneas stesso, infatti, si lamentava delle condizioni di vita all’interno dell’istituto di pena che l’avevano anche portato ad una significativa perdita di peso e di fiducia verso chi lo circondava. Non è un caso che la Procura marchigiana ha aperto un fascicolo per istigazione al suicidio.

Tre morti in quindici giorni – Facciamo ancora un salto e sbarchiamo in Sardegna dove, a distanza di soli 15 giorni, sono morti tre detenuti, due a Uta (Cagliari) e uno nella colonia penale di Mamone (Nuoro), avvenuta il 26 ottobre e tenuta incredibilmente nascosta fino al 15 novembre. Si tratta di un’escalation senza precedenti, denunciata anche da Mauro Pili in Parlamento. Ma dei tre decessi, come detto, ce n’è uno inquietante, quello di Simone Olla la cui morte, stando alla denuncia del leader di Unidos, “non sarebbe da attribuire a cause naturali come aveva dichiarato la direzione del carcere cercando di eludere la gravità della situazione. Sarebbe certa, invece, l’overdose. Con un quesito inquietante: chi ha fornito o somministrato quel cocktail letale al giovane sardo?”. La polizia penitenziaria, ovviamente, nega tutto. Ma le indagini sono in corso. Ed è stato riconosciuto, dopo l’autopsia, che la morte del giovane sarebbe stata causata da una dose eccessiva di morfina iniettata con una siringa. E allora si ripropone la domanda. Perché qualcuno ha deciso di farla. Qualcuno ne ha deciso la quantità di dose. Qualcuno, di fatto, potrebbe aver ucciso Olla.

Carmine Gazzanni

lanotiziagiornale.it, 4 dicembre 2015

Sassari: Prosegue l’inchiesta della Magistratura sulla morte del detenuto algherese


284628_201282083264003_146229_nProsegue l’inchiesta della Procura sulla morte del detenuto algherese. Si guarda a ciò che è accaduto prima della tragedia. Nessun segno di violenza sul corpo e neppure altri elementi che possano portare a pensare a una causa di morte diversa dal suicidio.

L’autopsia eseguita ieri dal medico legale Francesco Lubino ha confermato la prima ipotesi formulata sul decesso di Francesco Saverio Russo, il detenuto algherese trovato privo di vita – sabato sera – in una cella del nuovo carcere di Bancali. Dopo questo passaggio (i familiari hanno nominato un consulente di parte), il magistrato titolare dell’inchiesta Cristina Carunchio deciderà quali passi compiere e se disporre ulteriori approfondimenti, anche per quanto riguarda la gestione delle fasi precedenti la tragedia. Sul dopo, infatti, sembra tutto chiaro.

Anche le attività messe in atto per cercare di salvare la vita al giovane algherese: le pratiche di rianimazione sono state portate avanti per quasi cinquanta minuti. Ma per il detenuto non c’è stato niente da fare. Articolo 21. Francesco Saverio Russo aveva ottenuto il beneficio previsto dall’articolo 21 e poteva lavorare all’esterno in un laboratorio di informatico gestito dal fratello. Usciva la mattina e tornava la sera, accompagnato sempre dalla madre.

A fine luglio, però, il diritto era stato revocato. Sulle motivazioni ci sono posizioni discordanti: negli ambienti familiari di Russo si parla di violazioni di poco conto, dal carcere invece sostengono che il mancato rispetto di precise disposizioni porta inevitabilmente alla sospensione del beneficio: “Una regola che vale per tutti”.

L’ambiente. Bancali è un carcere nuovo, un gioiellino se si pensa a quello che era San Sebastiano. Male strutture, si sa, non sono tutto, specie se diventano “contenitori di corpi”, come dice radio carcere. Nel penitenziario che è destinato anche ad accogliere ospiti destinati al 41bis, quindi calibri importanti, da qualche tempo il clima sarebbe diventato più pesante rispetto ai primi mesi di apertura.

Una situazione ambientale resa più problematica dal fatto che solo pochi reclusi hanno l’opportunità di lavorare: le richieste inevase sarebbero tante e la carenza di risorse non consentirebbe di fare decollare progetti che, invece, esistono. Equilibrio fragile. In un carcere conta molto l’anima, la vita delle persone che vivono – a vario titolo – dentro la grande casa con le sbarre. Gli umori cambiano da un momento all’altro, spesso basta una mezza notizia, un impedimento qualsiasi per fare crollare l’ottimismo messo insieme a fatica. E chi sta da solo in cella, in genere, fa più fatica a resistere.

Le reazioni. Francesco Saverio Russo aveva manifestato qualche preoccupazione alla madre, ma era stato tranquillizzato. Anche se l’udienza al Riesame fissata per novembre era parsa troppo lontana per chi auspica il ripristino del diritto di poter uscire quotidianamente dal carcere come faceva fino a qualche settimana prima. Comunicazioni complesse. Dentro un carcere le comunicazioni burocratiche tra le diverse aree sono spesso complesse, e non è solo un problema di Bancali. I tempi spesso si allungano, le risposte tardano, a volte si “perdono gli attimi”.

E un giorno in cella – si dice – ha un peso tre volte superiore a quello passato fuori. Strane sorprese. Il giudice di sorveglianza, segue la vita del carcere attraverso quelle dei detenuti. Conosce ogni variazione, sa tutto in tempo reale o quasi.

Del suicidio – il primo che si verifica a Bancali – gira voce che abbia appreso la notizia parecchie ore dopo il grave fatto. Pare al suo ingresso in carcere il giorno seguente. E anche questa, se confermata, è una cosa strana. Confronto. La morte di una persona, specie in una situazione di disagio (come accade in carcere) in qualunque modo avvenga è sempre una sconfitta durissima. E richiama l’attenzione di tutte le istituzioni coinvolte, apre un confronto che troppe volte è solo teorico e non lascia spazio alla pratica soluzione dei problemi di tutti i giorni.

Gianni Bazzoni

La Nuova Sardegna, 10 settembre 2014