Parma: Maltrattarono e pestarono un detenuto. Indagati due Agenti di Polizia Penitenziaria


Casa Circondariale 2Botte, umiliazioni e maltrattamenti a un detenuto: individuati dalla Procura i due presunti responsabili. Misura cautelare per uno di loro, che ha fatto parziali ammissioni.

Per tre giorni avrebbero sottoposto un detenuto a botte e pesanti umiliazioni, fino a fargli subire un duro pestaggio. Sono stati identificati dalla Procura i due agenti della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di via Burla che si sarebbero macchiati dei reati di lesioni e maltrattamenti ai danni di un ingegnere italiano accusato di violenza sessuale su minore.

Entrambi sono indagati e per uno dei due il gip ha disposto la misura interdittiva della sospensione dal pubblico servizio per un anno. Il pm Giuseppe Amara, titolare del fascicolo d’inchiesta, aveva chiesto la custodia cautelare agli arresti domiciliari. I fatti erano stati resi noti da un servizio in esclusiva dell’Espresso uscito il mese scorso. Quanto denunciato del Garante dei detenuti del Comune di Parma ha trovato precisi riscontri nell’attività d’indagine affidata dal sostituto procuratore alla Squadra mobile e alla polizia giudiziaria del corpo di polizia penitenziaria. Tra il 4 e il 6 aprile di quest’anno il detenuto è stato picchiato duramente, costretto a rimanere in ginocchio in cella per ore e lasciato senza cena per tre giorni.

Una “punizione” ulteriore per un reato considerato infamante, gli abusi sessuali su minori. Dopo il pestaggio, costatogli grossi lividi alla schiena e al volto, l’uomo è stato trasferito nel carcere di Piacenza. Il Garante ha fatto partire un esposto e la Procura di Parma ha avviato un’indagine.

I due agenti individuati come i responsabili delle violenze sono stati interrogati nei giorni scorsi dal pm Amara. Uno dei due ha fatto parziali ammissioni in particolare sulle lesioni, cercando di ridimensionare l’accaduto. La posizione dell’altro è ancora sottoposta ad accertamenti. Entrambi rimangono iscritti nel registro degli indagati per i reati di lesioni e maltrattamenti. Come detto il pm aveva chiesto i domiciliari per l’agente che ha ammesso i fatti, un 40enne italiano. Il gip ha ritenuto sufficiente la sospensione dal servizio.

La Repubblica, 21 novembre 2015

Parma: la denuncia di un ex detenuto “pugni, calci e costretto in cella in ginocchio”


CC Parma DAPIl racconto shock di un ex detenuto nel super carcere di Parma è finito in un esposto del garante dei detenuti e consegnato alla magistratura. Non sarebbe l’unico caso. Nell’ultimo anno presentate altre tre denunce. “Hanno indossato un paio di guanti neri e hanno iniziato a picchiarmi violentemente sferrandomi pugni alla testa, al volto e calci alla schiena. Io ero terrorizzato… Cadevo a terra ma uno dei due mi rialzava mentre l’altro continuava a colpirmi con pugni in testa e nella schiena… e ancora calci”. È il racconto shock di un ex detenuto che “l’Espresso” rivela in esclusiva.

Picchiato, costretto a stare nella cella in ginocchio e senza cena. Un incubo durato tre giorni. Una punizione extra per il recluso “infame” del carcere di Parma. Fatti che sono contenuti in un esposto ufficiale consegnato dal garante dei detenuti della città ducale, Roberto Cavalieri, ai magistrati della procura.

L’uomo che ha subito il pestaggio è un ingegnere di nazionalità italiana. Era stato arrestato per una presunta violenza sessuale, poi scarcerato e, attualmente, è in attesa di giudizio. Accusato di un crimine che in carcere ritengono infame, e per questo, secondo le regole non scritte del codice della galera, da sanzionare ulteriormente con il castigo corporale. Abusi che demoliscono il principio costituzionale della pena come rieducazione del condannato.

Il racconto dei soprusi, firmato e inviato agli inquirenti, è denso di particolari: “Durante il pestaggio entrambi continuavano a chiamarmi “bastardo, pezzo di merda”. Finito il pestaggio barcollante mi ordinavano di tornare in cella e dopo avermi aperto la porta dell’anticamera, riuscivo zoppicando ad arrivare fino alla mia cella, sedendomi sul letto. Chiusa la cella si avvicinava allo sportello della porta l’agente più alto che mi ordinava di mettermi subito in ginocchio sul pavimento e a testa bassa, dicendomi che sarei dovuto restare in quella posizione fino alle 18.00, ora in cui lo stesso avrebbe terminato il proprio turno”.

Non c’è pace, dunque, per il super carcere emiliano dove, tra l’altro, sono reclusi alcuni dei più importanti mafiosi italiani. Per un’altra storia di pestaggi e violenze sono già indagati 8 agenti incastrati dalle registrazioni pubblicate l’anno scorso da “l’Espresso” e poi acquisite dalla procura. È di questi giorni, poi, la notizia di un’altra indagine che riguarda un poliziotto che avrebbe passato un cellulare a un detenuto comune. Ma a quanto pare non è finita.

Perché altri esposti gettano ombre pesanti sull’operato di un gruppo uomini in divisa. L’esposto dettagliato del Garante dei detenuti si aggiunge, infatti, ad altri tre casi di presunte violenze a danno di altrettanti reclusi, due italiani e uno straniero, tutti segnalati, nell’ultimo anno, alla magistratura da Cavalieri.

Queste denunce però non hanno ancora portato a niente. Tutto fermo. Incluso il rapporto su quest’ultimo caso. Il documento è stato depositato in procura il 2 luglio 2015. In allegato c’è anche il racconto sintetico di quanto avvenuto tra il 4 e 6 aprile di quest’anno: “Sono stato vittima di un pestaggio ad opera di due agenti penitenziari e allo stesso tempo di una tortura durate tre giorni” scrive la vittima.

Una versione arricchita di particolari da una volontaria del carcere, che secondo fonti de “l’Espresso” sarebbe già stata sentita dai pm: “Il detenuto mi ha raccontato di essere stato violentemente picchiato da due agenti sabato 4 verso le 13, poi costretto a restare in ginocchio in cella senza cena per molte ore. Mi ha mostrato i grandi lividi nella schiena e sull’occhio sinistro. Io l’ho incontrato verso le 11 e sapeva che alle 13 sarebbe stato trasferito a Piacenza non essendoci a Parma la sezione protetti. La denuncia intendeva presentarla una volta giunto a Piacenza per evitare controdenunce. Il mio stato d’animo era appena “rientrato” per l’altra questione”.

La denuncia ricostruisce nei minimi particolari quei giorni: “Improvvisamente alla porta della cella si presentavano due agenti di Polizia penitenziaria, i quali iniziavano subito ad offendermi con frasi del tipo “brutto grassone di merda, vestiti, fai schifo”. I due agenti di Polizia Penitenziaria erano uno di statura alta, circa l,85 cm, con pochi capelli (o rasato o calvo), l’altro di statura medio bassa, circa 1,65 cm., con capelli scuri e barba, e con fede al dito. Senza fare questioni mi preparavo ed uscivo dalla cella.

Entrambi gli agenti sin dall’inizio della vicenda hanno tenuto nei miei confronti un atteggiamento minaccioso e mi hanno reiteratamente ingiuriato, proferendo al mio indirizzo, e ad alta voce, frasi quali “sei un pezzo di merda, bastardo, cosa hai fatto, brutto pezzo di merda, scendi giù”… “non guardare su, testa bassa e cammina rasente il muro, pezzo di merda”.

Ecco poi la descrizione del pestaggio: “I due agenti continuavano ad insultarmi pesantemente, in particolare quello più alto con frasi del tipo “pezzo di merda, cosa hai fatto allora eh? Bastardo, io ho una figlia se lo facevi a lei tu qui non ci saresti nemmeno arrivato, ti avrei ammazzato di botte”, mentre quello basso diceva “bastardo, ora vedi”.

Si infilavano poi un paio di guanti neri ciascuno, e dopo avermi spinto nell’angolo dell’anticamera, a destra rispetto alla porta di accesso al corridoio delle celle, avvicinandosi alla mia persona cominciavano a picchiarmi violentemente entrambi, sferrandomi pugni alla testa, al volto ed alla schiena, e calci alla schiena. Io ero terrorizzato e schiacciato nell’angolo dell’anticamera porgevo loro il lato sinistro del corpo. Cadevo anche a terra ma uno dei due mi rialzava mentre l’altro continuava a sferrarmi pugni in testa e nella schiena ed ancora calci, mentre io cercavo invano di coprirmi dai colpi. Durante il pestaggio entrambi continuavano a chiamarmi “bastardo, pezzo di merda”.

Ma l’umiliazione, stando al racconto, prevedeva un ultimo terribile passaggio: “Finito il pestaggio barcollante mi ordinavano di tornare in cella e dopo avermi aperto la porta dell’anticamera, riuscivo zoppicando ad arrivare fino alla mia cella, sedendomi sul letto. Chiusa la cella si avvicinava allo sportello della porta l’agente più alto che mi ordinava di mettermi subito in ginocchio sul pavimento e a testa bassa, dicendomi che sarei dovuto restare in quella posizione fino alle 18.00, ora in cui lo stesso avrebbe terminato il proprio turno”.

Anche nei due giorni successivi l’ex detenuto è stato costretto a mettersi in ginocchio. Con il corpo pieno di lividi e terrorizzato, il 7 aprile lascia il carcere di Parma. Per lui è previsto il trasferimento a Piacenza. E qui che medici e agenti penitenziari durante la registrazione di ingresso si rendono conto delle sue condizioni. Partono così una serie di accertamenti fatti dallo stesso corpo di polizia del penitenziario piacentino. Verifiche avviate anche dal direttore del carcere di Parma sollecitato con una lettera dal garante dei detenuti.

“Visti gli elementi emersi nella Sua missiva si è provveduto a notiziare le autorità competenti e svolgere opportuni accertamenti”, si legge nella risposta del dirigente del penitenziario. Sono trascorsi sette mesi dalla risposta del direttore e quattro dalla denuncia del garante. Ma la nebbia su questi presunti pestaggi nel carcere più sicuro d’Italia non si è ancora diradata.

Giovanni Tizian

L’Espresso, 21 ottobre 2015

Carcere di Parma, è cambiata la modalità dei colloqui con i famigliari: la gioia dei detenuti As1


carcere_latina-2Nel carcere di Parma da qualche giorno la vita è meno dura. La direzione del penitenziario ha accettato di dare più spazio ai famigliari dei detenuti, concedendo 4 ore in famiglia all’interno delle mura di via Burla. Una novità frutto del dialogo intrapreso fra differenti attori presenti a Parma, avviato per migliorare le condizioni di vita dei coscritti.

La Direzione del carcere ha recentemente autorizzato una differente modalità di svolgimento dei colloqui tra i detenuti appartenenti al circuito AS1, dedicando una giornata alla affettività ed incontro con le famiglie. Il colloquio, della durata di 4 ore, si è svolto in una grande sala nella quale ciascun detenuto ha avuto modo di avere vicino i propri familiari e consumare con loro il pranzo, grazie all’impegno dell’associazione di volontariato “Per ricominciare”

“Tra i molteplici benefici che un approccio di questo genere ha nella cura degli affetti familiari – racconta Roberto Cavalieri, garante dei detenuti a Parma – riporto la testimonianza della figlia di un detenuto, di 23 anni e studentessa universitaria di farmacia, la quale, attraverso il garante dei detenuti, ha voluto ringraziare la direzione e gli operatori del carcere in quanto la “Giornata in famiglia” gli ha permesso di pranzare per la prima volta nella sua vita con suo padre condannato all’ergastolo”.

I detenuti della Sezione AS1 hanno scritto una lettera per ringraziare pubblicamente l’Amministrazione Penitenziaria di Parma e l’impegno di chi ha reso possibile l’iniziativa:

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Carcere_lettera_detenuti_con_firmeQualche tempo fa alcuni di noi, discutendo con le Educatrici di questo carcere avanzarono richiesta per trascorrere una “Giornata in famiglia”; una giornata al di fuori dei consueti canoni del colloquio.

Nel corso dei mesi ci siamo resi conto che la Direzione stava davvero operando affinché l’evento si realizzasse.

Il progetto di una giornata dedicata all’incontro tra papà, nonni, zii con i loro figli e nipoti è l’evento che abbiamo coltivato con grande entusiasmo e nel quale ci siamo proiettati con sguardo curioso ed emozionato, osservandone lo sviluppo attraverso le parole, le attività e l’impegno di queste meravigliose Educatrici, le quali sostenute dal Direttore, dr. Carlo Berdini, dalla Vice Direttrice, dr.ssa Lucia Monastero, dal Comandate e dalla Polizia Penitenziaria stessa, dall’Associazione “Per ricominciare”, hanno portato a compimento un progetto a noi particolarmente caro.

Forse basterebbe la parola entusiasmo per dirvi ciò che proviamo, poiché è proprio quello il sentimento con il quale noi, detenuti condannati a lunghe pene e in prigione da più di vent’anni, ci siamo avvicinati a questo appuntamento e l’incoraggiamento che abbiamo ricevuto dal Direttore nel sapere possibile questo tipo di incontro è divenuto atto di allegra passione, trasmesso e poi vissuto con i nostri familiari, anche per coloro tra noi le cui figlie o figli hanno ormai superato l’età dell’infanzia (in ogni caso parliamo di chi per noi rappresenta il futuro e porta con sé il futuro, poiché ogni incontro è stupore, è diritto alla affettività, è forte sentire del senso di appartenenza).

Abbiamo gioito, giocato, dato corpo alla fantasia e osservato che la sensazione palpabile di oppressione che il carcere innegabilmente porta con sè, per qualche ora era sparita e quei frenetici e semplici gesti infantili hanno riconquistato il diritto al rumore, hanno lasciato il segno, hanno parlato con il nostro tenace desiderio di costruire il ritorno.

Siamo consapevoli che la nostra vita, per quanto realizzato, non è cambiata, tuttavia grazie alla solidarietà offerta dall’Associazione “Per ricominciare”, dalla sua Presidente, dr.ssa Emilia Zaccomer, e da tutte quelle splendide persone li presenti si è arieggiata una sala, si è dato valore alla solidarietà e all’ospitalità. Vorremmo dirvi, cordiali e affettuosi amici de l’Associazione “Per ricominciare” che il vostro impegno in favore della serenità dei bimbi molto centra con quanto avvenuto nella giornata del 24 agosto non solo perché avete sempre lavorato in favore dei minori, non solo perché avete fatto giocare i nostri rampolli. Voi ci avete parlato di solidarietà, ci avete offerto il vostro cibo, ci avete permesso di realizzare un incontro tra culture diverse, tra religioni diverse, il tutto all’interno di uno spazio che ha parlato di vite, di famiglie, di incontri, di rispetto reciproco. Voi ci avete donato il sorriso dei nostri cari e noi speriamo abbiate vissuto un’esperienza altrettanto rilevante, delicata e sincera, umile e generosa e siamo sicuri che i vostri familiari e le persone con le quali vi relazionate vi leggeranno con orgoglio ed emozione, questo è certo, perché con a vostra solidarietà avete reso felici tanti cuori; cuori imprigionati e segnati dalla lontananza e dal dolore.

Noi confidiamo vivamente che un simile momento non resti episodico e possa ripetersi, possa migliorarsi, perché esperienze del genere possono rappresentare per la società civile fonte di riflessione propositiva, giacché la speranza e la voglia di partecipazione sono risorse che non vanno smarrite o derise dall’indifferenza.

Il nostro messaggio vuole trasmettere un grazie a tutti coloro che hanno permesso si realizzasse l’evento e tra loro inseriamo il Garante comunale dei detenuti, dr. Roberto Cavalieri, per il contributo che sappiamo generoso e costante. Come costante è stata per noi la sua presenza in questi anni.

Esprimiamo con sincera lealtà la nostra gioia e il nostro ringraziamento verso un atto che è si previsto dalla legge, ma è pur sempre un atto coraggioso che valorizza un percorso lineare di chi è disponibile al confronto, allo sviluppo del trattamento e alla tutela di un insieme di soggettività tra loro unite: “i nostri familiari”.

Un grande abbraccio.

Carcere di Parma, Sezione AS1, 24 Agosto 2015

ANTONIO DI GIRGENTI – GIOVANNI MAFRICA – DOMENICO MORELLI – CORRADO FAVARA – ROBERTO REITANO – GIUSEPPE PISCOPO – CIRO PUCCINELLI – GIOVANNI AVARELLO – GIANFRANCO RUA’ – DOMENICO FERRAIOLI – GIUSEPPE BARRANCA – VITO MAZZARA – ENZO DI BONA – DOMENICO TESTA – GIOACCHINO NUNNARI – FIORE BEVILAQUA – VINCENZO NICASTRO – CIRO STOLDER – PIETRO VERNENGO – GAETANO BOCCHETTI – ANDREA GANCITANO – ANTONIO SORRENTO – LUIGI CAPOZZA – ANTONIO ROMEO – SALVATORE BENIGNO – GIOVANNI DONATIELLO – AURELIO CAVALLO

Comunicato Garante Comunale Detenuti di Parma e lettera Detenuti AS1

 

Cavalieri (Garante Detenuti Parma): “No alla chiusura della Sezione AS1 di Padova”


Carcere Due Palazzi di PadovaMi rivolgo con la presente alle SS.LL. per rappresentare alcune criticità che deriverebbero, qualora confermate, dalle notizie diffuse da alcuni organi di stampa e relative alla chiusura delle sezioni di Alta Sicurezza nel carcere di Padova e al conseguente trasferimento dei detenuti ivi reclusi. Tali notizie riportano la decisione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di trasferire parte di questi detenuti presso la sezione AS1 (detenuti appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso)del carcere di Parma. Ad oggi risulterebbero essere stati realizzati già due trasferimenti fatto che ha di conseguenza intensificato le preoccupazioni sul degrado delle proprie condizioni di reclusione dei detenuti presenti a Parma.

Come noto presso gli Istituti penitenziari di Parma è presente una sola sezione per detenuti AS1 sulle sei sezioni di Alta sicurezza, le restanti 5 sono per detenuti AS3 (detenuti condannati per reati associativi). A questa “nicchia” di detenuti, per ovvi motivi organizzativi del reparto Alta Sicurezza, restano poche occasioni di partecipazione ad attività che sono da considerarsi marginali rispetto a quelle destinate agli altri detenuti del circuito AS3.

A quanto risulta allo scrivente le attività trattamentali presenti a Parma per i detenuti AS1 sono:

– incontri del progetto Etica e Legalità gestito da alcuni volontari e che terminerà nel corso di quest’anno.

– una attività con cadenza settimanale di produzione di prodotti da forno per la locale mensa per i poveri del Frati Francescani.

– un corso di formazione professionale, se finanziato, della durata di 300 ore per anno (pari a 4 mesi di attività).

– una attività sportiva strutturata di ginnastica con cadenza settimanale.

Non è presente alcuna attività lavorativa significativa e solo ed unicamente, quando presente, ristretta ai lavori alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria per porta-vitto e poco più. Sotto il profilo dello studio questo è in gran parte rappresentato dalla autonoma iniziativa di alcuni detenuti che sono iscritti a percorsi universitari.

Sotto il profilo della collocazione nelle celle questa è in parte soddisfatta in termini di assegnazione in cella singola, molto spesso sostenuta e obbligata anche da esigenze di salute, patologie psichiatriche e di studio dei detenuti.

Ora, non entrando nel merito delle motivazioni che hanno orientato il Dipartimento verso la chiusura della sezione Alta Sicurezza del carcere di Padova, non posso non segnalare che il trasferimento di questi detenuti presso il carcere di Parma rappresenta una scelta non condivisibile sotto diversi profili che illustro di seguito:

– l’offerta trattamentale presente nel carcere di Parma non è in alcun modo paragonabile a quella presente nel penitenziario di Padova e pertanto si penalizzerebbero in modo profondo le scelte, anche intraprese da anni, da parte di questi detenuti che qui a Parma non troverebbero altro che poche attività di trattamento spesso senza disponibilità di posti e con una erogazione assai rarefatta nel corso della settimana;

il carico sanitario presente nel carcere di Parma, conseguente alla detenzione di persone con serie e complesse problematiche di salute e bisognose di prestazioni che spesso sono carenti sotto il profilo della tempestività di erogazione, si aggraverebbe con una ricaduta negativa per tutti i detenuti oltre che per il personale sia sanitario che dell’amministrazione penitenziaria;

– le condizioni di vita dei detenuti AS1 sarebbero compromesse dovendo collocare due detenuti per cella con ricadute negative sia sul piano delle relazioni che della qualità psico-fisica della vita detentiva (in particolare per gli studenti e per i detenuti con problematiche sanitarie);

– i detenuti del circuito AS1 e reclusi a Parma non hanno prospettive di sviluppo trattamentale e di partecipazione ad attività le quali, anche se proposte dal volontariato o dalla Comunità esterna, non sono realizzabili per problematiche organizzative legate ai divieti di incontro con i detenuti AS3, alla mancanza di spazi idonei e alle note questioni di disponibilità di personale addetto alla sorveglianza che possa permettere una “apertura” alle attività che vada oltre al normale, e ristretto, orario attuale che va dalle 9.00 alle 15.00 con un’ora di pausa.

Solo a titolo di esempio rispetto a quanto esposto si vuole ricordare che ad oggi risulta essere non rispettata l’ordinanza di ottemperanza N. 2014-4127 Sius – N. 2014/1743 Ord emessa in data 15 luglio 2014 dal competente Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia a seguito di reclamo presentato da un detenuto, ancora presente a Parma, ai sensi dell’art. 35 della legge 26 luglio 1975. In tale ordinanza il Magistrato concedeva al detenuto di potere studiare in una sala dedicata e fornita di PC personale per un numero di ore discreto oltre alle ore di aria previste dal R.E.

Per quanto illustrato si chiede alle SS.VV. di volere scongiurare il piano di trasferimento di detenuti AS1 presso il penitenziario di Parma al fine di garantire il livello attuale dei diritti dei detenuti anche se non del tutto soddisfacente e non sempre conforme ai dettami normativi.

Roberto Cavalieri (Garante dei detenuti di Parma)

Ristretti Orizzonti, 17 giugno 2015

Carcere e abusi, registrazione shock inchioda Agenti di Polizia Penitenziaria


carcere-620x264La moglie del detenuto che ha registrato di nascosto le guardie che parlano di pestaggi nel carcere di Parma, decide di rivelarsi al Garantista (ASCOLTA LA REGISTRAZIONE).

LA REGISTRAZIONE

Nella registrazione la guardia carceraria si lascia andare: “Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu“. Il medico del penitenziario è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero. Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok?

Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte.

NE PICCHIAMO TANTI, QUI COMANDIAMO NOI

Da questa registrazione, resa pubblica attraverso i mass media, è partita un’ispezione interna da parte dell’Amministrazione penitenziaria e l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura. Sono intervenuti, in merito alla vicenda, Desi Bruno e Roberto Cavalieri, rispettivamente Garante regionale e Garante del Comune di Parma dei detenuti, esprimendo “preoccupazione circa il contenuto delle registrazioni diffuse dalla stampa e realizzate, per come viene riferito, all’interno del penitenziario di Parma da parte di un detenuto”.

Proseguono ancora i garanti: “Tali contenuti qualora confermati nella loro veridicità e completezza, farebbero emergere che all’epoca dei fatti, e cioè negli anni 2010-2011, si sarebbe verificata una situazione di subordinazione delle questioni di salute e incolumità dei detenuti alle pratiche della custodia anche quando queste si sono manifestate, secondo le accuse, in modo illegittimo attraverso l’uso della violenza”Il detenuto che ha registrato la conversazione si chiama Rachid e attualmente è rinchiuso nel carcere di Sollicciano.

La moglie ha inviato una lettera al direttore del carcere affinché gli garantisca protezione da eventuali ritorsioni. Emanuela D’Arcangeli -questo è il suo nome- tramite il suo blog “Carcere e Verità” sta intraprendendo una battaglia per combattere la situazione infernale del sistema penitenziario. La sua lettera indirizzata al Garantista è un invito ad intraprendere una battaglia che non sia una lotta tra detenuti e guardie “cattive”, ma una lotta creando un fronte comune composto da familiari, detenuti, operatori e le stesse guardie penitenziarie che credono nel loro lavoro. In altre registrazioni, sempre messe a disposizione sul canale Youtube “Carcere e Verità“, ci sono colloqui con altre guardie carcerarie le quali ammettono che non testimonieranno mai contro i loro colleghi. Quello che avviene in carcere resta chiuso tra quattro mura; una sola parola vige tra gli operatori penitenziari: omertà. L’invito di Emanuela è quello di combatterla.

– Damiano Aliprandi

LA LETTERA

Io ero una persona cattiva. Chiedo scusa se gioco con le parole che usai nella mia precedente lettera, due mesi fa, sempre su questo giornale. A Luglio ero un’anonima testimonianza, che se da un lato aveva tanto da dire, dall’altro doveva frenarsi, perché la verità più scomoda, era anche quella che doveva tacere. Ma ora è diverso.

La sera del 18 Settembre, nell’edizione delle 20 del TG1, è andato in onda un servizio su un detenuto di Parma, che servendosi di alcuni registratori vocali, era riuscito a documentare una lunga serie di colloqui con le guardie del carcere. Quello che ne è venuto fuori si può sintetizzare

in due parole: violenza e omertà. Quel detenuto incosciente e coraggioso è l’uomo che ho avuto la fortuna di sposare. E’ la persona che ha preso i miei limiti e negli anni li ha spinti sempre un po’ più avanti, fino a farli arrivare vicino ai suoi.

Ma come spesso accade, il coraggio viene dalla disperazione e noi non siamo diversi. Nella memoria, l’anno passato a Parma rimane il peggiore di tutta la detenzione di Rachid. Mi bastano solo poche parole, per far capire il mio stato d’animo, dall’Ottobre del 2010, all’Ottobre dell’ anno seguente: Rachid lo stavano consumando piano e ad ogni colloquio mi mostrava i segni di questa o quella violenza. Tanto che arrivai a domandarmi se alla fine sarebbe rimasto ancora qualcosa da picchiare.

Il pestaggio di cui parla la traccia andata in onda al TG, documenta uno degli eventi, ma non l’unico.

Appena entrato ha subito violenza. Dopo due mesi, avvenne l’aggressione di cui parla la traccia del telegiornale. Poi il braccio chiuso inavvertitamente nel blindato; il dito incastrato inavvertitamente nella ruota della carrozzina, che usava per deambulare. Due scioperi della fame, che lo fecero arrivare a pesare 36 kili. Le manciate di psicofarmaci che gli davano e che lui faceva uscire a colloquio.

Senza parlare delle cose più piccole (ma in carcere niente è “piccolo”): l’acqua corrente, sospesa per tre giorni; i generi alimentari acquistati con i suoi soldi, requisiti e restituiti dopo alcune settimane, marci; il suo Corano buttato a terra senza rispetto, durante una perquisizione; le foto della sua famiglia richieste per mesi e per mesi negate, perché ritenute di un formato non consentito, salvo poi scoprire che invece erano consentite. Le voci false di pedofilia, diffuse per screditarlo agli occhi degli altri detenuti.

Se queste cose non avessero trovato riscontro, non saremmo mai riusciti a dimostrarle, perché tutte insieme sembrano troppo assurde, per essere vere. Ma lo sono.

Due mesi fa, dovevo essere cattiva, perché avevo un ideale da portare avanti, contro poteri più forti di me.

Oggi posso dire che non ho solo un ideale, ma ho anche le prove. In questi giorni il DAP e la Procura, si sono limitati a commentare l’accaduto, gettando dei dubbi

sull’autenticità di queste registrazioni. Me lo aspettavo, ma la prevedibilità della reazione, non mi consola, anzi.

Al DAP, alla Procura, ma anche alle organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria e ad ogni singolo agente, impegnato nelle carceri italiane, voglio dire che ripetere che non è possibile fare entrare dei registratori in carcere, significa perdere tempo inutilmente.Le registrazioni sono autentiche, parlano di luoghi, date, eventi e la voce è quella di Rachid, che dal Giugno del 2008 è detenuto dallo Stato. Non ci sono stati permessi, domiciliari, lavoro all’esterno.

Non sono accuse generiche. Non ha senso mantenere una posizione. Non ha senso dubitare o addirittura negare.

Piuttosto occorre fare fronte comune: i detenuti, i familiari, insieme agli agenti che credono nel loro lavoro e lo vorrebbero fare al meglio; contro quelle che una volta erano le mele marce, ma che oggi hanno infettato il sistema. Ho detto che la realtà delineata da quelle tracce si compone di violenza, ma anche di omertà.

Le carceri sono piene di lavoratori onesti, che non alzerebbero mai le mani, che non sono naturalmente portati alla violenza, ma tacciono. Il silenzio non lascia traccia sulla pelle, ma è complice della violenza.

Parole come “Io non denuncero’mai un collega” fanno male, quanto un cazzotto sullo stomaco o un calcio alla schiena.

Solo parlando, solo denunciando, le violenze possono venire fuori. La lotta per farle uscire, non è la guerra dei detenuti, contro la polizia. Piuttosto e’ la lotta di tutti

quelli che in carcere vivono, o lavorano, al fine di ottenere condizioni più umane e anche più stimolanti, che liberino il carcere dalla certezza di essere un luogo inutile.

Voglio terminare con una domanda agli agenti. Il ruolo che il sistema carcere vi attribuisce, al momento, resta sospeso tra due compiti: quello del portinaio e quello del maggiordomo.

Ma se vi preparasse, affinché possiate diventare soggetti veramente attivi nel recupero del detenuto, formandovi e incrementando le vostre competenze, non ricavereste un piacere maggiore dal vostro lavoro?

– Emanuela D’Arcangeli, Carcere Verità

Parma, dopo le registrazioni delle torture si indaga, ma deve cadere un muro di omertà


CC Parma DAPRachid, marito di Emanuela D’Arcangeli, ha registrato le voci di medici e agenti che ammettono le violenze. Si sta indagando, ma deve cadere un muro di omertà. La moglie del detenuto che ha registrato di nascosto le guardie che parlano di pestaggi nel carcere di Parma, decide di rivelarsi al Garantista. Nella registrazione la guardia carceraria si lascia andare: “Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu”.

Il medico del penitenziario è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero. Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredite l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no. Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte. Ne picchiamo tanti, qui comandiamo noi”.

Da questa registrazione, resa pubblica attraverso i mass media, è partita un’ispezione interna da parte dell’Amministrazione penitenziaria e l’apertura di un’inchiesta da parte della Procura. Sono intervenuti, in merito alla vicenda, Desi Bruno e Roberto Cavalieri, rispettivamente Garante regionale e Garante del comune di Parma dei detenuti, esprimendo “preoccupazione circa il contenuto delle registrazioni diffuse dalla stampa e realizzate, per come viene riferito, all’interno del penitenziario di Parma da parte di un detenuto”.

Proseguono ancora i Garanti: “Tali contenuti qualora confermati nella loro veridicità e completezza, farebbero emergere che all’epoca dei fatti, e cioè negli anni 2010-2011, si sarebbe verificata una situazione di subordinazione delle questioni di salute e incolumità dei detenuti alle pratiche della custodia anche quando queste si sono manifestate, secondo le accuse, in modo illegittimo attraverso l’uso della violenza”.

Il detenuto che ha registrato la conversazione si chiama Rachid e attualmente è rinchiuso nel carcere di Sollicciano. La moglie ha inviato una lettera al direttore del carcere affinché gli garantisca protezione da eventuali ritorsioni. Emanuela D’Arcangeli – questo è il suo nome – tramite il suo Blog “Carcere e Verità” sta intraprendendo una battaglia per combattere la situazione infernale del sistema penitenziario.

La sua lettera indirizzata al Garantista è un invito ad intraprendere una battaglia che non sia una lotta tra detenuti e guardie “cattive” ma una lotta creando un fronte comune composto da familiari detenuti, operatori e le stesse guardie penitenziarie che credono nel loro lavoro. In altre registrazioni, sempre messe a disposizione sul canale Youtube “Carcere e Verità”, ci sono colloqui con altre guardie carcerarie le quali ammettono che non testimonieranno mai contro i loro colleghi. Quello che avviene in carcere resta chiuso tra quattro mura; una sola parola vige tra gli operatori penitenziari: omertà. L’invito di Emanuela è quello di combatterla.

Damiano Aliprandi

Il Garantista, 25 settembre 2014