Giustizia: nessuna riforma è possibile… altrimenti scorrerà il sangue


Giustizia 2I giudici vogliono una vittoria piena. Come quella della Germania sull’Argentina. Questa settimana è la settimana decisiva per l’offensiva contro la politica. Qual è l’obiettivo? A occhio e croce rendere chiaro che nessuna riforma della giustizia è possibile, altrimenti scorrerà il sangue. Ieri i Pm hanno inaugurato la settimana con l’avviso di garanzia a Roberta Maroni. Lo accusano – se ho capito bene – di avere raccomandato a una società privata l’assunzione a termine – sei mesi – di due ragazze che conosceva.

Poi giovedì sarà la giornata clou. La Camera dovrà votare per l’arresto di Galan, nei guai per il Mose di Venezia, e intanto il processo Ruby – l’appello – si avvicinerà alla conclusione, Sono ore decisive, Domenica il partito dei Pm aveva subito una brutto schiaffo, da Dubay, dove la Corte si è messa a ridere quando ha letto “concorso esterno in associazione mafiosa” e ha risposto di non poter concedere l’estradizione dì Matacena per un reato così strampalato. Eppure i codici arabi, talvolta, sono anche loro piuttosto strampalati e medievali, evidentemente non fino al punto da presupporre che uno possa far parte di una associazione senza farne parte. Il voto alla Camera su Galan sarà davvero molto importante.

Perché lì toccherà alla politica accettare il diktat, e arrendersi ai Pm, o tentare di combattere, e dì affermare alcuni principi, tipo quello – ormai in disuso – della divisione dei poteri e dell’indipendenza del Parlamento da Palazzo di Giustizia.

Se la politica subirà il comando dei Pm (“lasciateci arrestare un deputato, Galan, anche se non esistono ì presupposti e anche se l’arresto è chiaramente illegale”) dopo avere negli anni scorsi accettato in diverse altre occasioni analoghe di genuflettersi alla magistratura, allora i magistrati potranno ben immaginare di aver vinto la partita, definitivamente, dì avere sotto scacco il sistema democratico e di potere tranquillamente imporre la non riforma della giustizia.

Il passo successivo sarà la condanna di Berlusconi, colpevole di aver fatto sesso senza far sesso con la ragazza Ruby (si potrebbe immaginare eventualmente il reato dì concorso esterno in associazione orgiastica).

La condanna di Berlusconi, che già è ai servizi sociali e – ammonito dal giudice di sorveglianza dì Milano – rischia di finire in cella, sarà l’atto con il quale si mette in stato oggettivo di intimidazione l’unico partito politico che spinge per la riforma, cioè Forza Italia. Era tanto tempo che nella lotta politica non entrava, come strumento di pressione, la minaccia dì arresto. Ora è così.

Il rischio è che la sinistra, come ha fatto tante volte negli anni passati, non capisca che la posta in gioco è l’equilibrio democratico; e immagini che questa offensiva della magistratura possa essere utile per asfaltare definitivamente il centrodestra, e che valga la pena di assecondarla, Matteo Renzi negli ultimi mesi ha dato qualche segno di risveglio, sul piano del garantismo.

Si è spinto fino a pronunciare questa parola senza mostrare sdegno. Però mi sembra ancora molto incerto. Io dubito, francamente che abbia il coraggio di sfidare la magistratura e dì difendere i diritti della politica, cioè della democrazia (cioè nostri) in un momento nel quale difendere la politica vuol dire perdere consenso. Non mi aspetto che il Pd voti contro l’arresto di Galan. Mi accontenterei se qualche deputato di sinistra, coraggioso, intrepido, dichiarasse apertamente il suo dissenso dal partito. Sarebbe come un segnale, un lampo nella notte buia delle manette.

Piero Sansonetti

Il Garantista, 15 luglio 2014

L’Unione delle Camere Penali Italiane boccia la “Riforma della Giustizia” programmata dal Governo Renzi


Avv. Valerio SpigarelliValerio Spigarelli, Presidente dell’Unione delle Camere Penali Italiane, boccia la proposta in 12 punti del governo Renzi: “Serve molto altro”.

“Mettiamola così: il progetto contiene alcune enunciazioni condivisibili. Ma nell’insieme è decisamente “pochino” per definirlo una vera riforma”. A Valerio Spigarelli, avvocato romano e dal 2010 presidente dell’Unione delle camere penali, basta questa breve premessa per colorare di scetticismo i 12 punti del “progetto di riforma della giustizia” presentato il 30 giugno dal Guardasigilli Andrea Orlando e sbandierato dal premier Matteo Renzi come “svolta epocale”.

Insomma, avvocato Spigarelli: ancora una volta… non arriverà la svolta?

Questa non è una riforma strutturale della giustizia. Da anni si parla di “grandi svolte”, ma qui non c’è nulla che attenga alla struttura costituzionale, al titolo IV: per esempio, non si propone nulla di veramente incisivo sul Consiglio superiore della magistratura; nulla sulla terzietà del giudice rispetto ad accusa e difesa; nulla sulla favola dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Anzi, semmai noto che c’è una piccola marcia indietro: i “saggi”, convocati nel 2013 da Giorgio Napolitano, avevano proposto un’Alta corte di disciplina separata per tutte le magistrature, mentre al punto numero 7 della “riforma” il ministro oggi pare volerla creare esclusivamente per la magistratura amministrativa e contabile.

Però ai punti 4 e 5 si parla del Csm: si dice che la carriera dei magistrati dev’essere basata sul merito e non sulle correnti, e che nel Consiglio dev’essere separato il ruolo di chi fa le nomine delle toghe e di chi applica le sanzioni.

Non basta. Il vero problema della giustizia italiana è che la terzietà del giudice non solo non è garantita, non c’è proprio. Il giudice resta contiguo al magistrato inquirente, ne condivide la istanze volte ad affermare la pretesa punitiva dello Sato e anzi se ne fa spesso carico in prima persona. A dimostrarlo è anche l’altissimo numero di provvedimenti di custodia cautelare: l’Italia è il solo paese europeo dove i detenuti in attesa di giudizio superano il 40% del totale. E la motivazione prevalente è quella del pericolo della reiterazione del reato: proprio perché il giudice condivide in pieno l’idea che il processo sia uno strumento di difesa sociale, non di risoluzione di una singola vicenda che contrappone lo Stato a un singolo imputato.

Lei sa, vero, che gli avvocati milanesi sciopereranno giovedì 17 luglio proprio perché in udienza un giudice ha dichiarato che, se fossero continuate le convocazioni di testi della difesa a suo parere “inutili”, in caso di condanna sarebbe stato “più duro” con gli imputati?

E hanno ben ragione di protestare. Questo problema emerge con forza anche dal saggio “I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia” (Cedam, 224 pagine, 22 euro), curato dal grande giurista bolognese Giuseppe Di Federico e sponsorizzato dall’Unione delle camere penali. Nel corso del 2013 sono stati intervistati 1.265 penalisti italiani e il libro è appena uscito. Sa che cosa racconta?

Un disastro?

Che nel 72,9% dei casi il giudice accoglie “sempre o quasi sempre” una richiesta d’intercettazione avanzata dal pm, e un altro 26% dice che questo accade “di frequente”. Che il giudice è “più sensibile alle sollecitazioni del pm rispetto a quelle del difensore”: per gli avvocati è così nel 58 per cento dei processi “ordinari” e la quota sale al 71 nei procedimenti “rilevanti”, quelli più importanti e più seguiti dai mass media. Ne esce che l’iscrizione ritardata nel registro degli indagati è una pratica lamentata dal 65,9 per cento degli avvocati. Si scopre che molti di loro denunciano di essere non soltanto intercettati mentre parlano con i loro clienti (e questo accade “sempre” o “di frequente” nel 28,9 per cento dei casi, e “a volte” nel 42,2 per cento), ma che l’intercettazione, pur se totalmente illegale, viene perfino trascritta ed utilizzata negli atti. Si scopre che il 92,1 per cento degli intervistati sostiene che, nell’esame in aula dei testimoni, il giudice pone “domande suggestive”: una pratica espressamente vietata dal codice di procedura penale a tutela del diritto di difesa.

E quali sono le soluzioni che proponete voi avvocati penalisti?

Separare le carriere. E separare il Csm: due Consigli che decidono su carriere in modo separato per giudici e magistrati inquirenti. Poi un’Alta corte di disciplina, competente sulle violazioni disciplinari dei magistrati e anche degli avvocati in grado di appello. E perché non una Scuola superiore delle tre professioni giudiziarie, dopo la laurea? Alla fine, chi ne esce sceglie se fare il pm, il giudice o l’avvocato. Servirebbe anche per dare una qualche ventilazione alla magistratura e creare una comune cultura delle regole.

Altri elementi di debolezza della proposta in 12 punti del governo?

Al punto 9 leggo: “accelerazione del processo penale e riforma della prescrizione”. Ecco: chi non è d’accordo con lo slogan sui tempi? Ma il problema è proprio questo: in questi 12 punti io vedo soltanto slogan, se non battute. Il punto è che per tanti anni abbiamo avuto un premier che faceva battute e poi, purtroppo, non faceva le riforme che vagheggiava. Quello era l’originale: non vorrei che Renzi fosse l’imitazione. Slogan per intercettare la voglia di cambiamento e poi nessun atto concreto Ma torniamo al processo penale e alla prescrizione: lei sa dov’è che si prescrivono, soprattutto, i processi italiani?

Dove: in primo grado? In Corte d’appello?

Sorpresa. Nelle indagini preliminari: il 60% delle prescrizioni avviene lì, quando il fascicolo è ancora sul tavolo del pm! Il problema è che la stessa obbligatorietà dell’azione penale è una favola: a Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino, i procuratori hanno stabilito regole discrezionali per la gestione dell’arretrato, con canali preferenziali per questo o per quel tipo di reati. Ma perché ogni Procura deve andare per la sua strada? Non sarebbe meglio che la fosse la politica a indicare i reati da perseguire in modo prioritario, assumendosene la responsabilità in modo trasparente, davanti agli elettori?

Poi, a complicare ancora le cose e a garantire la prescrizione, c’è la lentezza della burocrazia tribunalizia…

Già. Lei sa a Roma quanto ci mette in media un fascicolo a passare dal Tribunale alla Corte d’appello?

No, quanto?

Sono appena 50 metri a separare i due uffici: ma la durata media per la trasmissione degli atti è 8 mesi. La prescrizione avviene nell’8% dei casi per “colpa” dell’avvocato o dell’imputato, ma nel restante 92% dei casi arriva per défaillance dello Stato. Per questo servirebbe davvero una riforma, non banali enunciazioni di principio.

Intanto la magistratura associata è comunque sul piede di guerra: ma la politica ce la farà mai a varare una riforma della giustizia veramente autonoma?

Per troppi anni la politica ha affidato le chiavi di ogni riforma in materia all’ordine giudiziario: è ovvio che quell’ordine apre e chiude le porte a seconda delle proprie convenienze. Oggi che la sinistra è al governo, però, il problema emerge. Lo stesso Giovanni Fiandaca, il giurista siciliano che il Pd ha candidato alle ultime elezioni europee (e che ora potrebbe andare al Csm, ndr) dice che vorrebbe un paese dove chi fa le leggi fa le leggi, e chi fa il giudice si limita ad applicarle. Ecco, io spero che la politica riaffermi il suo primato, uscendo dalla tutela dell’ordine giudiziario. Ma deve fare meglio di così. Molto, molto meglio.

Maurizio Tortorella

Panorama, 15 luglio 2014

Giustizia. L’ennesima riforma truffa firmata Renzi, Orlando, PD


Andrea Orlando Ministro GiustiziaDunque, appuntamento a lunedì, quando il Consiglio dei Ministri discuterà le proposte di riforma della Giustizia. Comunque il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha già voluto rassicurare la magistratura associata incontrandone i vertici. Già questo è un mattino che fa capire che tipo di “buongiorno” sarà. C’è una coda infinita di processi, circa nove milioni, tra penale e civile. Se non si parte di qui, questo il ragionamento di Orlando, “non ci si raccapezza più”. Per raccapezzarci, ben cinque mosse: snellimento, con interventi sia sul codice di procedura civile e che quello di procedura penale; potenziamento della magistratura ordinaria e onoraria; sterzata ai tempi del CSM; punizioni e responsabilità; garanzia effettiva che i processi non cadano nel vuoto con la prescrizione, come avviene ora.

A parte il merito delle proposte –bisognerà vigilare sui prevedibili pasticci che saranno capaci di combinare con gli interventi sui codici di procedura penale e civile– siamo a programmi da mille e passa giorni. E cosa si vuole fare, per esempio, per evitare le prescrizioni? Si allungheranno i tempi. Bingo!

E per quanto la responsabilità civile dei magistrati? Il Governo esclude quella diretta, e avrebbe già pronto un ddl che riscrive la responsabilità civile per i magistrati: via il filtro e una rivalsa dello Stato sulla toga non più di un terzo, ma della metà; e dunque chissenefrega di quanto ha approvato pochi giorni fa la Camera dei deputati accogliendo l’emendamento Pini. Del resto lo si è fatto tranquillamente con il referendum Tortora, i cui risultati erano inequivocabili, e venne varata una normativa che andava in senso opposto…

Nel frattempo che accade in città? Che viene presentato il quinto Libro Bianco sulla legge Fini-Giovanardi. Se ne ricava che il 38,6 per cento dei detenuti presenti nelle carceri italiane sono imputati-condannati per reati di droga. Il rapporto conferma gli effetti nefasti di 8 anni illegittimi di legge Fini-Giovanardi. Nel 2013, su un totale di 59.390 ingressi negli istituti penitenziari, il 30,56 per cento era per violazione dell’art.73 Dpr 309/90 mentre quasi il 40 per cento delle presenze in carcere al 31.12.2013 sono dovute direttamente alla legge sulle droghe.

Nonostante i ripetuti proclami gli affidamenti terapeutici dei tossicodipendenti restano al di sotto del dato precedente all’approvazione della legge, ed oggi avvengono perlopiù dopo un periodo di detenzione. Resta irrisolto il grave problema dei detenuti che stanno scontando pene ritenute illegittime dalla Corte Costituzionale: in assenza di un intervento legislativo si rischia il collasso dei Tribunali, costretti ad esaminare una per una le richieste di ricalcolo delle pene o peggio si rischia di lasciare scontare alle persone pene ingiuste.

Per quanto riguarda il sistema di repressione se si sommano le denunce per hashish, per marijuana e per le piante si raggiunge la cifra di 15.347 casi (45,37 per cento del totale). La “predilezione” del sistema repressivo per la cannabis è confermata dal numero di operazioni che aumentano, in controtendenza con tutte le altre sostanze, del 35,24 per cento rispetto al 2005.

Insomma, la mancata distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”, abrogata poi dalla Consulta, e il carcere anche per il piccolo spaccio, sono la combinazione che in sette anni di applicazione della Fini-Giovanardi ha ingolfato il sistema carcerario di “pesci piccoli”, pusher tossicodipendenti a loro volta, che vendono droga per procurarsi la dose.

Sono 18mila i detenuti per il solo articolo 73 delle legge sulle droghe, che punisce la coltivazione, la detenzione e lo spaccio, mentre pochi, solo 810, scontano la pena o sono imputati del ben più grave articolo 74, l’associazione finalizzata al traffico; circa 5.400 rispondono di entrambe le imputazioni. Si tratta di cifre ufficiali, numeri forniti dal Dap. Negli anni di applicazione della Fini-Giovanardi c’è stato un aumento continuo degli ingressi in carceri per droga, passati in percentuale dal 28 al 30,6 per cento tra il 2006 e il 2013, e delle presenze, aumentate nello stesso periodo da 14.640 a 23.346, annullando rapidamente l’effetto dell’indulto.

Come si vede, la questione giustizia riguarda sì le carceri e le indegne condizioni in cui versano, ma non solo; e sempre più diventa centrale e urgente, affare che riguarda tutti, non solo i detenuti; i provvedimenti annunciati dal Governo Renzi sono motivo di inquietudine. L’unica preoccupazione del presidente del Consiglio, del ministro della Giustizia e del PD è quella di non entrare in rotta di collisione con la magistratura associata. Possono essere molte le ragioni alla base di questa scellerata scelta di campo; quello che è certo è che si tratta di riforme che non riformeranno nulla, anzi…

Valter Vecellio

Notizie Radicali, 27 Giugno 2014