Bimbi in carcere, Lega Nord e Cinque Stelle votano contro le misure alternative per le detenute madri


La maggioranza giallo-verde, impegnata nell’esame dello schema di decreto legislativo di riforma dell’ordinamento penitenziario, ha bocciato l’ipotesi di introdurre misure alternative al carcere per le detenute madri con figli al seguito. Una scelta duramente criticata dal Pd, che accusa il governo di essere “sordo” nei confronti di questa particolare categoria di detenute, anche alla luce di recenti fatti di cronaca (come il caso della donna del carcere romano di Rebibbia che ha ucciso i suoi bambini).

“Avevamo dei principi cardine nella legge delega, che attuava il decreto legislativo predisposto dal governo Gentiloni, principi che sostenevano una riforma del sistema penitenziario più giusta e mirata”, spiega la senatrice Valeria Valente, vicepresidente del gruppo Pd.  “Quello schema prevedeva, ad esempio, per le madri detenute misure alternative al carcere fino al compimento di un anno del bambino, al fine di assicurare una maggiore tutela del rapporto con i figli piccoli. Ci è stato risposto dal governo che leggi per tutelare le madri detenute già esistono. Questo è vero, ma il punto era come potenziare quella impostazione, perché le strutture di accoglienza alternative alla prigione, come le case famiglia protette e gli Icam (istituti di custodia attenuata per detenute madri, ndr.) sono poche e non sufficienti”.

“Quanto è avvenuto stamattina in commissione è grave e preoccupante – conclude Valente – il voto di oggi testimonia una grave involuzione di cultura giuridica che, dimenticando ogni umanità e allontanandosi dalla funzione rieducativa della pena, vede M5S seguire la Lega su una strada che nulla ha a che vedere con il miglioramento nel nostro sistema penitenziario e giudiziario”.

In tutta Italia i bambini che vivono reclusi in vari istituti di pena sono 62: poco meno della metà sono figli di straniere. Si trovano in cella perché non esistono alternative familiari.

Monica Rubino

http://www.repubblica.it – 25/09/2018

 

Carceri, Consolo (Dap) : “Sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo ostativo”


“Ho dato parere favorevole all’abolizione dell’ergastolo ostativo”. Lo ha detto chiaramente il Dott. Santi Consolo, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia intervenendo al VI Congresso di “Nessuno Tocchi Caino, l’Associazione Radicale presieduta dall’Onorevole Marco Pannella, svoltosi nella Casa di Reclusione di Milano Opera ove all’interno sono reclusi il maggior numero di ergastolani (circa 150), molti dei quali ostativi cioè destinati a morire in carcere perché esclusi dalla possibilità di ottenere benefici o misure alternative alla detenzione inframuraria.

“Il titolo del congresso “spes contra spem” aiuta il cambiamento in atto – ha rilevato il Dott. Consolo – anche il Corpo di Polizia Penitenziaria ha cambiato motto, “Despondere spem, munus nostrus” – “Garantire la speranza è il nostro compito” questo è il ruolo della nostra Amministrazione. L’ergastolo ostativo prima non c’era, l’ergastolo prima con l’articolo 176 del codice penale era compatibile con l’articolo 27 della Costituzione, che parla di umanità, cioè di speranza, e se non si ha speranza come si può migliorare ? Come è successo allora tutto questo ? Perché abbiamo avuto gli anni di piombo. Da un lato ci siamo calati un un regime differenziato, il 41 bis, e dall’altro c’è stata l’incentivazione della legislazione premiale fino a prevedere, e lì c’è la violazione della Costituzione che ci porta ad essere incostituzionali, che c’è uno sbarramento all’accesso alla liberazione condizionale laddove non c’è collaborazione utile con la Giustizia. Auspico che il sistema italiano in fatto e in diritto – ha concluso il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo – offra la possibilità anche agli ergastolani ostativi di poter ottenere la liberazione anticipata”.

On. Bruno Bossio PdPrima del 1992, infatti, i condannati alla pena dell’ergastolo, pur sottoposti alla tortura dell’incertezza, hanno sempre avuto la speranza di non finire il resto dei loro giorni in carcere. Successivamente, invece, questa possibilità è stata del tutto abolita con l’approvazione dell’Articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Oggi, per la maggior parte degli ergastolani (1.174 su 1.619) la pena è divenuta realmente perpetua poiché se non collaborano con la Giustizia, non potranno mai più uscire dal carcere se non con i piedi davanti. Negli scorsi mesi, proprio sull’abolizione dell’ergastolo ostativo e quindi sulla possibilità anche per questi condannati, a determinate condizioni, di poter ottenere i benefici premiali o le altre misure alternative alla detenzione previste dall’Ordinamento Penitenziario, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, aveva presentato una proposta di legge sottoscritta da altri Deputati. Tale iniziativa legislativa venne abbinata al Disegno di Legge del Governo sulla Riforma dell’Ordinamento Penitenziario ed assorbita dallo stesso ma, praticamente, non sono state accolte le ottime osservazioni ed indicazioni in essa contenute non pervenendo al superamento degli sbarramenti preclusivi per questi particolari condannati posti dall’Art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario.

Intervento del Dott. Santi Consolo – Capo del Dap

Carceri Minorili, Per l’Italia 40 anni di ritardo e di silenzi. La Riforma Penitenziaria dorme al Senato


Carcere Minorile TrevisoIl nostro sistema penitenziario, nonostante l’impegno di tanti direttori e associazioni, continua a presentare troppe lacune. Dalle strutture inadeguate ai servizi scolastici insufficienti fino al personale non specializzato. La denuncia del rapporto di Antigone. Quarant’anni di ritardo e di silenzi. È il lontano 1975 quando viene approvata la legge penitenziaria in Italia. E già in quella legge era previsto che fosse approvato uno specifico ordinamento penitenziario minorile, cosa chiesta più volte anche dalla Corte Costituzionale.

Peccato però che l’appello sia rimasto inascoltato. E così “spesso applichiamo a ragazzi e ragazze le stesse regole detentive degli adulti”, commenta Patrizio Gonnella, presidente dell’Osservatorio Antigone, che proprio oggi presenta “Ragazzi fuori”, il terzo rapporto sugli istituti penali per minori. Basti questo: solo grazie ad una sentenza arrivata nel 1994 si è dichiarata l’inapplicabilità della pena dell’ergastolo per i minorenni. Una follia che è rimasta in piedi per quasi vent’anni e che è stata scongiurata solo grazie all’intervento della magistratura, nella negligenza delle istituzioni.

Ci vogliono, dunque, “regole tendenziali e specifiche per i minori”, continua Gonnella, a commento del rapporto di Antigone. Un rapporto in chiaroscuro, dato che a fare da contraltare ai biblici ritardi della politica c’è l’impegno concreto di associazioni e volontari che si fanno carico, giorno dopo giorno, dell’istruzione e dell’inserimento nella società di tanti minorenni o dei “giovani adulti” (i ragazzi fino a 25 anni detenuti nelle carceri minorili). Senza dimenticare le strade alternative ai penitenziari che, specie negli ultimi anni, hanno preso piede, dalle comunità fino alla cosiddetta “messa alla prova”, una valida alternativa non solo al carcere ma anche allo stesso processo, come vedremo.

Meno detenuti non significa più reati. Insomma, a differenza degli “eccessi di incarcerazione che ci sono stati per gli adulti”, il sistema della giustizia minorile ha retto nel tempo, nonostante i ritardi accumulati. E questo proprio perché “per tantissimi ragazzi la risposta finale non è il carcere, grazie alle molteplici formule alternative che nel tempo hanno funzionato”.

Oggi, stando ai dati resi noti dall’Osservatorio, sono infatti solo 449 i ragazzi, dai 14 ai 25 anni, rinchiusi negli istituti penali. Un numero che si è mantenuto stabile negli ultimi 15 anni e che, tenendo a mente la serie storica, è diminuito drasticamente dagli 8.521 del 1940, sceso poi a 2.638 nel 1960 e a 858 nel 1975. Per quanto riguarda gli ingressi totali in un anno, anche in questo caso ci troviamo davanti ad un andamento decrescente, essendo passati dai 1.888 ingressi del 1988 ai 992 del 2014. I minori detenuti, dunque, restano pochi, nonostante siano circa 37 mila i procedimenti davanti al Gip o al Gup nei confronti di minorenni, frutto delle pratiche che si sono via via accumulate – altro vulnus tutto italiano – negli uffici dei tribunali.

Ma dai dati forniti da Antigone emerge anche un altro aspetto molto interessante e che, forse, potrebbe essere da esempio per il sistema carcerario tout-court: non solo la carcerazione non è l’unica risposta, ma spesso non è nemmeno la più saggia. Prendiamo i collocamenti in comunità: tra il 2001 ed il 2014 si è passati da 1.339 ai 1.987 del 2014. E poi c’è la “messa alla prova”, come detto.

“L’istituto – dicono da Antigone – non rappresenta solo un’alternativa al carcere, ma allo stesso processo, che viene sospeso durante la messa alla prova. Se la misura avrà buon esito, alla sua conclusione il reato verrà dichiarato estinto”. Si tratta di un istituto in forte espansione, tanto che si è passati dai 788 provvedimenti del 1992 ai 3.261 del 2014, con un incremento di quasi quattro volte. Ma non è finita qui. Perché la varietà di risposte differenti dalla mera carcerazione ha portato ad un altro risultato molto interessante: “meno detenuti non significa più reati”, commenta l’Osservatorio. Nell’anno appena trascorso, infatti, sono stati solo 23 i reati gravi (omicidi volontari o tentati omicidi), “numeri – dice Gonnella – che dobbiamo ovviamente cercare di limitare ancora, ma che sono molto più bassi rispetto a quelli che si registrano in altri Paesi europei o negli Stati Uniti”.

Ragazzi di serie B. Il ricorso al carcere, dunque, è stato in qualche modo contenuto. Resta, tuttavia, l’altro lato della medaglia: proprio per la serie di risposte alternative alla detenzione, si legge nel dossier, il carcere per i minori “diviene ancor più che per gli adulti il luogo degli esclusi, di coloro che, per le più disparate ragioni, non sono riusciti ad imboccare nessuno dei molti percorsi che avrebbero consentito una alternativa all’istituto penale per minori”.

Veri e propri ragazzi di “serie b” se si considera che, nella maggior parte dei casi e salvo rare eccezioni, parliamo di stranieri, rom e giovani provenienti dalle periferie degradate delle grandi città del Sud: “Il profilo di fatto discriminatorio per alcuni gruppi delle alternative alla detenzione resta dunque ancora molto preoccupante”. E non potrebbe essere altrimenti, dato che i minori sono costretti a vivere in strutture, nonostante l’impegno dei direttori e dell’associazionismo che gravita attorno ai penitenziari, molto carenti e concepite per una detenzione per nulla dissimile da quella per gli adulti. “Va invece costruito un nuovo modello di permanenza – sottolinea ancora Patrizio Gonnella – che poco abbia a che fare con la prigione. Il ragazzo deve poter affermare e percepire di non essere finito in un carcere”.

Il viaggio negli istituti per minori. Partiamo da Catania. Qui la struttura è nata fin dall’inizio per ospitare un carcere. Anche dal punto di vista urbanistico, la troviamo situata vicino alla casa circondariale per adulti. La stessa cosa avviene a Bari. L’istituto penale per minori di Cagliari, addirittura, fu pensato in origine come carcere con sezioni di alta sicurezza per adulti. E mantiene tutt’oggi quell’impostazione, tanto che anche la distanza dal centro abitato non è colmata dal servizio di trasporto pubblico urbano, disincentivando in questo modo i rapporti con il territorio circostante, con le famiglie, con gli amici, con il volontariato. La situazione non è dissimile al Nord. A Treviso, ad esempio, l’istituto è perfino una parte del carcere per adulti.

Ma i problemi non sono solo strutturali. Anche i servizi, in molti casi, sono insufficienti. E così, per dire, gli istituti non offrono ai ragazzi la possibilità di collegamenti alla rete internet. Un deficit non trascurabile oggi, “quando tutto il sistema dell’informazione, del lavoro e più in generale delle relazioni e della conoscenza viaggia on-line”. Ma non basta. Rispetto a quanto accade per gli adulti, dovrebbe essere concepito in maniera differente anche il rapporto con famiglie e persone care. Oggi si prevede, al pari dei detenuti adulti, un massimo di sei ore di colloquio visivo al mese con i propri parenti, un vincolo negativo rispetto agli amici, un massimo di quattro telefonate mensili di dieci minuti l’una.

“Quando si tratta di adolescenti e giovani – scrive Antigone – questi limiti vanno del tutto aboliti, al fine di facilitare la permanenza di rapporti con i nuclei familiari d’origine”. Ma la gravità nel concepire gli istituti penali per minori alla stregua di quelli per adulti, è evidente anche dal ricorso all’isolamento. Infatti, accanto alle decisioni meritorie dei direttori che scelgono di non applicarlo, a Roma, seppur eccezionalmente, vengono usate un paio di celle appositamente destinate all’isolamento, mentre a Catania è previsto che il ragazzo in punizione non segua nemmeno le lezioni scolastiche.

La questione diventa ancora più delicata se pensiamo alla popolazione minore straniera negli istituti. “Per loro – sottolinea ancora Antigone – vanno superati tutti i vincoli previsti dalla legge Bossi-Fini sull’immigrazione in ordine al rinnovo o alla concessione dei permessi di soggiorno”.

Ogni offerta formativa e di recupero sociale, di fronte a una prossima espulsione, perde altrimenti di senso. Vanno liberalizzati i contatti telefonici con parenti all’estero anche se le telefonate sono dirette a cellulari (come avviene meritoriamente a Bari), per non precludere ingiustificatamente contatti con genitori e fratelli che molto spesso non hanno utenze telefoniche fisse (si pensi ai rom non italiani). Ma, soprattutto, bisognerebbe tener conto delle necessità linguistiche, culturali e sociali dei ragazzi non italiani, cosa che oggi non sempre accade. A cominciare dalla presenza di interpreti, traduttori e mediatori culturali, la cui presenza è minima. Lo staff penitenziario, nella maggior parte dei casi, non colma le lacune di comunicazione. E pochi conoscono l’inglese e il francese. Nessuno, com’è ovvio, l’arabo.

Insomma, la presenza di educatori, e più in generale di operatori sociali, è del tutto insufficiente. Paradigmatica la situazione di Catanzaro, dove troviamo 36 agenti e solo 8 educatori che devono occuparsi dei 17 detenuti. Per non parlare delle carenze nell’insegnamento a causa della mancanza di personale specializzato. Basti questo: aldilà di lezioni online rintracciabili sul web, l’ultimo corso specifico attivato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, della durata di un solo mese, risale al 1987. Ed ecco che allora gli insegnanti sono spesso semplicemente volontari. Quando va bene. Perché in alcuni casi non sono affatto previsti corsi di alfabetizzazione linguistica, come nel caso di Roma e Bologna sebbene qui vi siano molti ragazzi stranieri.

Gli esempi da seguire. Non mancano, però, singoli esempi meritori. Come detto, infatti, nel ritardo istituzionale che ha condannato le strutture per minori ad essere concepite come quelle per gli adulti, i singoli istituti si muovono per garantire, nei limiti delle loro disponibilità economiche, condizioni ottimali di apprendimento. A Catania è stato attivato un protocollo d’intesa con una biblioteca comunale che, oltre ad offrire il servizio di prestito libri, organizza un laboratorio di scrittura creativa; a Catanzaro i minori sono stati portati in visita al museo di Reggio Calabria dove sono conservati i Bronzi di Riace; a Palermo è stato attivato un progetto di incontri seriali tra i detenuti e diversi scrittori siciliani.

Tanti sono gli esempi positivi anche per quanto riguarda l’ambito dell’inserimento lavorativo. Risulta, infatti, che “pur tra tante difficoltà, vi sono istituti con una significativa offerta formativa e con la capacità di attrarre finanziamenti da enti locali e da privati, soprattutto quando vi è carenza di fondi istituzionali, con interessanti sperimentazioni di inserimento lavorativo”. E così, accanto alle collaborazioni con associazioni ed enti di formazione, ci sono veri e propri laboratori professionali, per lo più artigianali ma anche alcuni con le strumentazioni professionali di panetteria, pasticceria, cioccolateria che prevedono la vendita dei prodotti all’esterno degli istituti (soprattutto a Torino, Milano e Palermo).

Alcuni istituti, ancora, offrono ai ragazzi un servizio di orientamento con l’apertura di uno sportello permanente (Milano, Torino, Roma, Potenza, Catanzaro). Senza dimenticare le interessanti esperienze di borse lavoro, tirocini, apprendistato, work experience, simulazioni di impresa, ormai una realtà consolidata in istituti come il “Beccaria” di Milano.

L’ultimo atto di coraggio. Ed ecco che, allora, il cerchio si chiude. “Tutto è lasciato all’intraprendenza dei singoli istituti, ma ora è necessario fare un ultimo passo e avere coraggio”, commenta ancora Patrizio Gonnella. L’atto di coraggio che si chiede è quello di onorare un impegno preso 40 anni fa, di modo da far sì che per legge gli istituti penali per minori obbediscano a regole differenti da quelle per il sistema carcerario per adulti.

La palla ora è in mano al Parlamento: è infatti in discussione una proposta di legge delega di riforma del codice penale, di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario. Tra i punti della legge delega, vi è appunto quello relativo alla previsione di nuove norme penitenziarie specifiche per i minorenni e per i giovani adulti. “Il testo della delega su questo tema – commenta Antigone – consentirebbe la costruzione di un nuovo ordinamento penitenziario minorile in sede di esercizio della delega stessa da parte del Governo”. Ma ecco la domanda: a che punto siamo? La proposta di legge, dopo essere stata approvata dalla Camera e trasmessa al Senato, è ferma da settembre. Mai cominciata la discussione né mai iniziato l’esame in commissione. Nella speranza che qualcuno, prima o poi, se ne ricordi.

Carmine Gazzanni

L’Espresso, 9 novembre 2015

Carceri, il Ministro della Giustizia Orlando “Stiamo trasformando tutto il sistema detentivo”


OrlandoIl ministro della Giustizia Andrea Orlando risponde alla lettera pubblicata ieri a firma di Giuseppe Battaglia sul mantenimento in carcere dei detenuti.

Non vi è dubbio che esista un principio generale che obbliga chi ha responsabilità pubblica ad adempiere a quegli atti che evitino all’amministrazione di dover rispondere di danno rispetto alla gestione delle risorse. La pur dolorosa questione, sollevata dalla lettera di Giuseppe Battaglia al “manifesto”, rientra in tali obblighi: appartiene alla correttezza amministrativa provvedere all’adeguamento di tabelle e quindi oneri dovuti, come la norma stabilisce, per il mantenimento quotidiano in carcere.

Se ci si è risolti a provvedere ora è perché, contrariamente al passato, si è messa in campo una vasta operazione di trasformazione del sistema detentivo che, se per ora ha dato risultati solo sul piano della riduzione numerica delle presenze (si è passati da 66.000 a 52.000 detenuti) deve necessariamente nel breve periodo dare risultati anche sul piano della qualità della vita nelle strutture detentive e su quello della sensatezza del periodo trascorso all’interno di esse.

Gli Stati generali dell’esecuzione penale che ho avviato nei mesi scorsi stanno discutendo proprio di questo. Per offrire al termine delle soluzioni praticabili che diano la possibilità nel nostro Paese di un carcere, limitato ai casi che effettivamente richiedano questo tipo di sanzione, centrato sul ritorno alla società esterna dopo un percorso dignitoso e significativo, tale da ridurre il rischio di commettere nuovi reati.

Tuttavia la lettera coglie un punto di verità non eludibile: accanto al dovere di adeguare le cifre del mantenimento c’è anche quello di adeguare le retribuzioni per coloro che in carcere lavorano.

Qui si evidenzia una simmetrica mancanza del passato che deve essere risolta. E che sarebbe stata risolta in contemporanea con l’altra se non avessimo preferito però ripensare completamente il sistema del lavoro in carcere, nelle sua varie modalità.

L’apertura di un tavolo di lavoro su questo tema, l’avvio di un rapporto con le realtà imprenditoriali e il parallelo avvio di ambiti di studio in collaborazione con alcune Università ci ha portato a rinviare il mero adeguamento – che rischiava di restringere a questo un problema ben più complesso – e a proporre a breve un piano complessivo entro cui collocare il doveroso adeguamento delle retribuzioni del lavoro detentivo. Impegno che intendiamo mantenere con certezza e con rapidità.

Andrea Orlando (Ministro della Giustizia)

Il Manifesto, 29 ottobre 2015

Carceri, Bruno Bossio (Pd) e Locatelli (Psi) “Governo riveda Isolamento Disciplinare dei Detenuti”


Bruno Bossio CameraBisogna introdurre l’obbligo per l’Amministrazione Penitenziaria di interrompere, per almeno 5 giorni, l’esecuzione di plurimi provvedimenti applicativi della sanzione disciplinare dell’esclusione dalle attività in comune laddove questi eccedano la durata prevista dall’articolo 39, primo comma, numero 5, della Legge n. 354/1975, nonché la riduzione a 14 giorni, rispetto agli attuali 15, del limite massimo di durata dell’esclusione dalle attività in comune in conformità alle Raccomandazioni del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti ed in particolare in quelle contenute nel 21° Rapporto Generale (1 agosto 2010-31 luglio 2011).

Lo prevede l’emendamento 30.158 al Ddl 2798-A, attualmente all’esame dell’Assemblea di Montecitorio, presentato dall’On. Enza Bruno Bossio, Deputata calabrese del Pd, cofirmato anche dalla collega bercamasca Elda Pia Locatelli del Psi, entrambe aderenti anche al Partito Radicale. Favorevole alla proposta anche l’Amministrazione Penitenziaria che nel frattempo, in assenza di espresse disposizioni legislative o regolamentari e dimostrando sensibilità nei confronti di tale problematica, ha emanato una lettera circolare (la n 160093/2015 firmata dal Direttore della Direzione Generale dei Detenuti e del Trattamento Calogero Roberto Piscitello e dal Capo del Dipartimento Santi Consolo) con cui ha voluto adottare “un’interpretazione particolarmente attenta alla tutela della integrità psico-fisica del detenuto”.

Oggi l’esclusione dalle attività in comune, comminabile alle persone detenute ed internate, anche a quelle sottoposte a custodia cautelare, per non più di 15 giorni, è sanzione disciplinare dal contenuto eminentemente afflittivo perché implica l’isolamento continuo diurno e notturno. Proprio tale profilo di particolare penosità giustifica l’attuale assetto normativo dell’istituto, coerentemente circondato da una serie di cautele, a partire dalla necessità d’un costante controllo sanitario fino alla previsione di opportune ipotesi di sospensione della misura sanzionatoria. Il quadro normativo non disciplina, in modo esplicito, una ipotesi da non sottovalutare che è quella in cui una persona detenuta sia destinataria di plurimi provvedimenti disciplinari per un periodo eccedente i 15 giorni.

Spesso, tali sanzioni, sono state applicate senza soluzione di continuità nonostante la giurisprudenza di legittimità, come spiega Alessandro Albano, Funzionario dell’Ufficio Studi e Ricerche del Dap, abbia fornito risposta negativa. Invero, la Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito, ha ritenuto “indiscusso che la misura dell’esclusione dalle attività in comune è sottoposta al limite temporale di quindici giorni ed al controllo sanitario e che non è consentita l’applicazione continuata di detto tipo di sanzione, anche con soluzioni di continuità minime, come quella di un giorno, poiché così operando si verrebbe a configurare un’aperta violazione del principio costituzionale che vieta trattamenti contrari al senso di umanità”.

Tale principio di diritto, si inserisce perfettamente nel solco di quanto affermato dal Cpt nel suo 21° Rapporto Generale. Secondo la predetta circolare, nel caso di più provvedimenti sanzionatori che comportino, per la stessa persona, “la sottoposizione ad isolamento per un numero di giorni superiore ai quindici”, tale limite “va considerato inderogabile e, quindi, le Direzioni Penitenziarie non daranno esecuzione continuativa alle sanzioni in argomento ove il cumulo di queste sia superiore a quindici giorni.” Ciò non significa che il detenuto responsabile di gravi illeciti disciplinari non debba espiare, per intero, le sanzioni che, legittimamente e doverosamente, gli sono state inflitte. “Si deve, però, avere cura, allo scadere del quindicesimo giorno, di interrompere l’esecuzione di plurime sanzioni – e, dunque, dell’isolamento – per almeno cinque giorni. Soltanto all’esito di tale interruzione potrà applicarsi un ulteriore periodo di esclusione dalle attività in comune, sempre nel limite di durata di quindici giorni e, naturalmente, previa nuova acquisizione della certificazione medica ai sensi dell’Art. 39, comma 2, O.P.”.

Carcere di RossanoProprio sulla questione dell’isolamento, lo scorso anno, con l’Interrogazione a risposta in Commissione n. 5/03559 del 2014, all’esito dell’ispezione fatta con i Radicali alla Casa di Reclusione di Rossano (Cosenza), la Bruno Bossio aveva invitato il Governo Renzi ad assumere dei provvedimenti per assicurare che i detenuti venissero isolati soltanto in “circostanze eccezionali” e, comunque, nei soli casi tassativi stabiliti dal legislatore chiedendo, altresì, che venissero emanate delle direttive soprattutto per quanto concerneva l’esecuzione della sanzione. In numerosi Stati membri del Consiglio d’Europa, com’è noto, la tendenza va verso una riduzione della durata massima possibile dell’isolamento per motivi disciplinari. Il Cpt nel Rapporto del 2011 riteneva che “tale durata massima non dovrebbe eccedere 14 giorni per una particolare infrazione, e dovrebbe essere preferibilmente più breve ed inoltre si dovrebbe vietare d’imporre sanzioni disciplinari successive risultanti in un periodo d’isolamento ininterrotto che vada al di là di tale durata massima”. All’epoca, il Prof. Lətif Hüseynov, Presidente del Cpt, dichiarò che “l’isolamento può avere effetti estremamente dannosi per la salute psichica, somatica e per il benessere sociale dei detenuti, e tali effetti possono aumentare proporzionalmente al prolungamento della misura e alla sua durata indeterminata. Un indicatore è rappresentato dal fatto che il tasso dei suicidi dei detenuti sottoposti a tale regime è più elevato rispetto a quello riscontrato nel resto della popolazione carceraria”. 

La pratica dell’isolamento carcerario venne definita dal Prof. Juan E. Mendez, Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla Tortura durante la Terza Commissione dell’Assemblea Generale Onu del 2011, molto simile alla tortura e proprio per questi motivi venne chiesto a tutti i Paesi membri di mettere al bando la pratica della detenzione in isolamento e, al massimo, di utilizzarla solo in “circostanze eccezionali” per una durata di tempo molto limitata e, comunque, mai nel caso di giovani e persone con problemi mentali. Presentando il suo primo rapporto su tale pratica, il Prof. Mendez, evidenziò come la detenzione in isolamento indefinita o a tempo prolungato e comunque superiore ai 15 giorni avrebbe dovuto “essere soggetta a un’assoluta proibizione”, dal momento che molti studi scientifici hanno dimostrato che anche pochi giorni di isolamento sociale sono in grado di causare danni cerebrali permanenti, sottolineando come tale pratica sia contraria al principio di riabilitazione che è lo scopo finale dell’intero sistema penitenziario internazionale.

Per queste ragioni, l’On. Bruno Bossio, ha inteso proporre al Governo di “normativizzare” questo importante principio, raccomandato dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura ed affermato anche dalla Cassazione, che allo stato trova concreta applicazione solo grazie ad una recente circolare amministrativa.

Riforma dell’Ordinamento Penitenziario. Ne discute la Commissione Giustizia di Montecitorio


Palazzo Montecitorio RomaNella giornata di ieri, la Commissione Giustizia della Camera dei Deputati presieduta dall’On. Donatella Ferranti (Pd), ha continuato l’esame del Disegno di Legge C. 2798 proposto dal Governo Renzi concernente “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena.” e delle abbinate proposte di legge C. 370 Ferranti, C. 372 Ferranti, C. 373 Ferranti, C. 408 Caparini, C. 1285 Fratoianni, C. 1604 Di Lello, C. 1957 Ermini, C. 1966 Gullo e C. 3091 Bruno Bossio.

Quest’ultima proposta di legge, a prima firma dell’On. Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, riguardante la revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti e internati che non collaborano con la Giustizia, è stata abbinata ai progetti di legge in esame, poiché è oggetto della delega in materia di Ordinamento Penitenziario di cui all’Art. 26 del Disegno di Legge C. 2798.

Il Presidente Ferranti dopo aver ricordato che qualche giorno fa, si è conclusa l’indagine conoscitiva con l’audizione di giornalisti con particolare riferimento alla materia della pubblicabilità delle intercettazione, trattata dall’Articolo 25 del disegno di legge C. 2798, ha avvertito i Deputati della Commissione Giustizia che si sarebbe proceduto alla individuazione del testo base.

E’ intervenuto in merito l’On. Vittorio Ferraresi (M5S) sottolineando come le audizioni di giornalisti richieste dal suo Gruppo siano state estremamente utili, avendo evidenziato aspetti dei quali si dovrà tenere conto quando si tratterà del tema della pubblicabilità delle intercettazioni. Considerato che l’indagine conoscitiva è oramai conclusa e che sarebbe necessario acquisire le osservazioni del Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo sulle questioni che si potrebbero avere in relazione ai reati di sua competenza a seguito della modifiche all’ordinamento penitenziario previste dall’articolo 26 disegno di legge C. 2798 ha chiesto alla Presidenza se fosse possibile richiedere delle note scritte al procuratore su tali questioni.

L’On. Ferranti, Presidente e Relatore, dopo aver condiviso quanto affermato dal Deputato Ferraresi circa l’utilità delle audizioni dei giornalisti svoltasi nei giorni precedenti, lo ha rassicurato dicendogli che verrà chiesto al Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo se intenda trasmettere alla Commissione le proprie considerazioni in merito all’Articolo 26 del disegno di legge per quanto attiene alle sue competenze.

Preso atto che nessuno ha chiesto di intervenire, è stato dichiarato concluso l’esame preliminare e, l’On. Ferranti, quale relatrice, ha proposto di adottare come testo base il Disegno di Legge del Governo C. 2798. La Commissione ha accolto favorevolmente la proposta formulata dalla relatrice ed ha adottato come testo base il Disegno di Legge del Governo.

In conclusione il Presidente della Commissione Giustizia, ha fissato il termine per la presentazione, da parte dei Deputati, di emendamenti al Disegno di Legge del Governo C. 2798 per lunedì 22 giugno alle ore 12.

“La mia proposta di legge – dice l’On. Enza Bruno Bossio – punta a modificare l’art. 4 bis O.P. nella parte in cui afferma la presunzione di non rieducatività del condannato, trasformandola da assoluta in relativa. Con questa norma sarà possibile, sempre previa la valutazione della magistratura di sorveglianza, far venire meno il divieto d’accesso al lavoro esterno, ai permessi premio ed alle misure alternative alla detenzione diverse dalla liberazione anticipata in determinati casi. In tal modo, soprattutto la pena dell’ergastolo verrà finalmente resa maggiormente compatibile con gli standard richiesti dalla nostra Costituzione e dall’Unione Europea.”

Il Disegno di Legge del Governo va esattamente nella direzione indicata dalla Deputata calabrese ma, in ogni caso, in Commissione, saranno sicuramente presentati alcuni emendamenti prima che il testo base arrivi all’approvazione dell’Aula di Montecitorio.