Agente Penitenziario : “Le botte ? Con questi metodi noi abbiamo ottenuto risultati ottimi”


Polizia_Penitenziaria_2Le parole degli agenti penitenziari: “Tanto da qui tu e gli altri uscirete più delinquenti di prima”. “Brigadiere, perché non hai fermato il tuo collega che mi stava picchiando?”. “Fermarlo? Chi, a lui? No, io vengo e te ne do altre, ma siccome te le sta dando lui, non c’è bisogno che ti picchio anch’io”.

Botte. E ancora botte. Sevizie. Perché con i detenuti, parole di agente penitenziario, “ci vogliono il bastone e la carota”. Un giorno di pugni e l’altro no, “così si ottengono risultati ottimi”. E la paura tiene buoni. Lividi, percosse, le ossa rotte, inutile nascondersi sotto la branda. Tanto “il detenuto esce dal carcere più delinquente di prima”, e, dice ancora il brigadiere, “non perché piglia gli schiaffi, ma perché è proprio il carcere che non funziona”.

La registrazione è così nitida da far sentire il freddo sulla pelle. Chi parla è Rachid Assarag, detenuto marocchino quarantenne, che sta scontando una pena di 9 anni e 4 mesi nelle carceri italiane. E chi risponde sono gli agenti, ora di un penitenziario ora di un altro. La conversazione è una testimonianza agghiacciante di quanto succede nei nostri istituti penitenziari. Dove il detenuto Rachid (condannato per violenze sessuali) viene ripetutamente picchiato e umiliato dagli agenti addetti alla sua custodia.

La prima volta nel carcere di Parma, racconta Rachid, dove in quattro (guardie) lo seviziano con la stampella a cui si appoggiava per camminare. Lui denuncia, ma chi crede alle parole di un detenuto? Così Rachid, assistito dall’avvocato Fabio Anselmo, mentre viene trasferito in undici carceri diverse dal 2009 (Milano, Parma, Prato, Firenze, Massa Carrara, Napoli, Volterra, Genova, Sanremo, Lucca, Biella), inizia a registrare tutto.

Conversazioni con la polizia penitenziaria, medici, operatori e magistrati. Voci dall’inferno. Come quando le guardie entrano nella sua cella per “scassarlo” di botte, o il sovrintendente ammette: “questo carcere è fuorilegge, dovrebbe essere chiuso da 20 anni, se fosse applicata la Costituzione”.

Agente con accento napoletano: “Mi hai fatto esaurire, ti sei anche nascosto sotto il letto”. Rachid: “Perché mi volevate picchiare”. “Se ti volevamo picchiare era più facile che ti prendevamo e ti portavamo giù”. Giù. Dove forse nessuno sente e nessuno vede. Sono le botte la rieducazione, come dice chiaramente qualcuno che Rachid chiama “brigadiere”. Probabilmente un sovrintendente della polizia penitenziaria.

Rachid registra e registra. Incalza anche: “Voi qui non applicate la Costituzione”. La risposta del brigadiere (lo stesso che teorizzava una seconda razione di botte per Rachid che chiedeva “fermati” all’agente che lo stava picchiando) è incredibile: “Se la Costituzione fosse applicata alla lettera questo carcere sarebbe chiuso da vent’anni. In questo carcere la Costituzione non c’entra niente”.

Le registrazioni di Rachid escono dal carcere, e l’associazione “A buon diritto” di cui è presidente Luigi Manconi, decide di renderle pubbliche. Conversazioni acquisite dai magistrati, e che testimoniano quanto gli abusi sui detenuti siano una (atroce) prassi abituale nei nostri penitenziari. Dai quali, come ammettono gli stessi agenti “si esce più delinquenti di prima, ma non per gli schiaffi che prendono, o quantomeno non solo, ma perché è l’istituzione carcere che non funziona”. Commenta Luigi Manconi, presidente, anche, della Commissione per i diritti umani: “Il carcere per sua natura e per sua struttura produce aggressività e violenza, e come dice il poliziotto penitenziario si trova in uno stato di permanente illegalità. Riformarlo è ormai un’impresa disperata. Si devono trovare soluzioni alternative”.

Rachid: “Devo uscire dal carcere più cattivo di prima? Dopo tutta questa violenza ricevuta, chi esce da qui poi torna”. E il “superiore” invece di smentirlo difende l’uso della violenza come metodo rieducativo. “Le botte? Con questi metodi noi abbiamo ottenuto risultati ottimi”. Tanto da dietro le sbarre nessuno parla, come dimostra il caso di Stefano Cucchi.

Da anni Rachid Assarag registra e fa esposti. Ma quasi nulla accade. Anzi mentre le denunce degli agenti nei suoi confronti avanzano, quelle di Rachid si arenano. Assarag da un mese è in sciopero della fame, ha perso 18 chili. Di recente è stato di nuovo denunciato per aver bloccato le ruote della carrozzina in cui ormai viene trasportato, per aver insultato le guardie e rovesciato la branda in cella, “disturbando il riposo e le normali occupazioni degli altri detenuti”.

Rachid, qualunque sia il reato di cui un detenuto si è macchiato, testimonia con le sue registrazioni che nei penitenziari italiani la violenza è prassi. Scrive l’associazione “A buon diritto”: “Se Assarag dovesse morire in carcere, nessuno potrebbe dire che non si è trattato di una morte annunciata”.

Maria Novella De Luca

La Repubblica, 4 dicembre 2015

Parma: botte in cella, i nastri che accusano, anche Dap apre inchiesta sul carcere emiliano


Polizia Penitenziaria cella detenutoAl processo le denunce del detenuto Rachid Assarag. “La verità la conoscono Dio e questo registratore”. Rachid Assarag è stato arrestato nel 2008 per aver violentato due donne. Un fatto pesante che ha meritato “un supplemento di pena”, almeno a giudizio degli agenti penitenziari del carcere di via Burla, a Parma, dove l’uomo è stato rinchiuso tra il 2010 e il 2011. Botte, minacce di morte, umiliazioni di vario genere. D’altra parte, là fuori, è questa la legge che si invoca per chi si macchia di reati tanto odiosi come quelli sessuali: la galera non basta, serve qualcosa di più.

Nella mattinata di ieri, il 40enne marocchino si è presentato in aula, a Parma, sventolando una foto di Stefano Cucchi: “Non voglio finire così”, ha detto ai pm, che lo stavano interrogando nell’ambito di un processo che lo vede imputato per oltraggio a pubblico ufficiale. È una storia che va avanti da tempo: lui inoltra esposti alla procura e gli agenti lo denunciano, un modo come un altro per tenerlo dentro. Finché continuerà a subire processi su processi per le motivazioni più svariate, Assarag non potrà usufruire di alcuna misura alternativa al carcere.

Davanti ai pm Assarag ha parlato delle violenze subite, e delle prove che ha a disposizione: nastri magnetici sui quali sono state registrate le voci di alcuni secondini.

Conversazioni che restituiscono un affresco piuttosto nitido della realtà inquietante e violentissima che si vive dietro le sbarre, tra spavalderie poliziottesche (“Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu”), amare confessioni da parte di un medico (“Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito?

È morto per le botte”) e un tremendo dialogo con una guardia: “Va bene assistente – dice Rachid -, guarda il sangue che è ancora lì, guarda, non ho pulito da quel giorno, lo vedi?”. “Sì, ho visto – la risposta -, come ti porto, ti posso far sotterrare. Comandiamo noi, né avvocati, né giudici. Nelle denunce tu puoi scrivere quello che vuoi, io posso scrivere quello che voglio, dipende poi cosa scrivo io…”.

L’uomo si è procurato il registratore grazie all’aiuto di sua moglie, Emanuela D’Arcangeli, che, in un modo o nell’altro, è riuscita a farglielo arrivare in cella. E lui l’ha usato come meglio non poteva fare per cercare di incastrare gli agenti che l’avevano picchiato e che, proprio davanti a lui, non si vergognavano di rivendicare i propri abusi di potere, il conclamato monopolio della violenza, inconsapevoli però che tutto quello che stavano dicendo veniva registrato.

A volerla dire tutta, comunque, le violenze denunciate da Assarag, gli investigatori avrebbero potuto scoprirle diverso tempo fa: per mesi un esposto con gli stessi elementi usciti fuori ieri durante l’interrogatorio è rimasto a prendere polvere in qualche ufficio nella procura di Parma. Adesso, però, le indagini dovrebbero partire sul serio: se ne parlerà alla prossima udienza, il 12 dicembre.

Alla fine dell’udienza, la procura ha deciso di acquisire agli atti non solo le registrazioni clandestine (che saranno sottoposte a perizia), ma anche i diari del detenuto e ha ordinato di perquisirne la cella a Sollicciano, dove adesso è recluso. Intanto, il Dap – senza capo ormai dalla fine di maggio – ha annunciato di aver aperto un’inchiesta interna sulla vicenda di Parma, mentre il clima si fa sempre più teso, in un ambiente che non riesce ad accettare il fatto di non essere più al di sopra di ogni sospetto. Prossimamente, il Dipartimento andrà anche in visita ispettiva in via Burla, ma, assicurano qualora qualcuno avesse dei dubbi: “Non vogliamo in alcun modo interferire con il lavoro della procura”.

Il carcere di Parma è già finito più volte in cronaca per altri casi di maltrattamento (come quello di Aldo Cagna, con gli agenti che sono stati condannati a 14 mesi) o per le condizioni allucinanti dell’infermeria interna, grazie a una battaglia che il Garante dei detenuti dell’Emilia Romagna continua a portare avanti nel solito, colpevole, clima di indifferenza generale.

Mario Di Vito

Il Manifesto, 15 ottobre 2014

Parma: abusi dietro le sbarre, una svolta nelle indagini dopo la denuncia de l’Espresso


CC Parma DAPIl tribunale di Parma acquisisce le carte sui presunti pestaggi denunciati dal detenuto che in carcere aveva registrato le confessioni di alcuni agenti. Ora gli audio, rivelati in esclusiva dalla nostra testata, sono agli atti del processo contro il carcerato accusato di oltraggio da un gruppo di guardie penitenziarie.

Il tribunale di Parma ha acquisito le registrazioni audio dei presunti pestaggi subiti in carcere da Rachid Assarag rivelate in esclusiva da “l’Espresso”. Il detenuto marocchino, che sta scontando una condanna per violenza sessuale, ha registrato, tra il 2010 e il 2011, le confessioni di alcuni agenti all’interno del penitenziario emiliano.

Le sue denunce però sono rimaste ferme in Procura, mentre la querela presentata da un gruppo di agenti contro di lui per oltraggio si è rapidamente trasformata in processo. Così la strategia dell’avvocato Fabio Anselmo (difensore della famiglia di Federico Aldrovandi e di Stefano Cucchi) è di sfruttare questo giudizio per ribaltare la situazione. E oggi ha incassato un primo risultato.

Nell’ultima udienza, il giudice, dopo aver interrogato Assarag, ha deciso far entrare nel processo i documenti della difesa, incluse le conversazioni rubate all’interno del penitenziario emiliano. Non solo. È stata anche disposta la perquisizione urgente della sua cella del carcere di Sollicciano, a Firenze, dove attualmente è recluso. La polizia giudiziaria dovrà recuperare i suoi diari scritti in arabo. Insomma, quello che sembrava un processo dall’esito scontato, si arricchisce di nuovi colpi di scena. La prossima udienza è fissata per il 12 dicembre.

Le trascrizioni degli audio raccolti all’interno del super carcere – affidate a una società specializzata che lavora anche per l’autorità giudiziaria – sono impressionanti: presentano uno spaccato di violenza e omertà. Viene proclamata un’unica legge: “Se ti comporti bene, ti do una mano, però se tu ti poni male”, spiega un agente.

E quando il detenuto descrive le botte allo psicologo della struttura, riceve una risposta lapidaria: “Dentro il carcere funziona così, le regole vengono fatte dagli assistenti, dal capo delle guardie, c’è una copertura reciproca, una specie di solidarietà reciproca tollerata… non credo che lei abbia il potere di cambiare niente”.

“Ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se in mezzo c’eri anche tu”. Così parlava ai microfoni nascosti del detenuto un poliziotto della penitenziaria. E il medico della stessa struttura è ancora più esplicito: “Vuole denunciarle? Poi le guardie scrivono nei loro verbali che non è vero… Che il detenuto è caduto dalle scale; oppure il detenuto ha aggredito l’agente che si è difeso, ok? Ha presente il caso Cucchi? Hanno accusato i medici di omicidio e le guardie no… Ma quello è morto, ha capito? È morto per le botte”.

Il direttore dell’epoca, Silvio Di Gregorio, ora responsabile dell’ufficio del personale della polizia penitenziaria, contattato da “l’Espresso”, aveva preferito non rilasciare dichiarazioni. Mentre il rappresentante del Sappe aveva detto di nutrire forti perplessità sul metodo utilizzato dal detenuto nel ricercare le prove: “Mi sembra strano che possa aver registrato, nel carcere non è possibile avere niente di elettrico, non ci sono telefoni.

La denuncia la può fare comunque, si vedrà chi ha ragione e chi ha torto. Poi per carità c’è qualche collega che può sbagliare e il detenuto può denunciare, ma mi sembra strano che si possa registrare” è stata la replica di Enrico Maiorisi responsabile sindacale della struttura emiliana.

Giovanni Tizian

L’Espresso, 14 ottobre 2014

Parma: il medico del carcere “Assarag, non posso testimoniare… perché mi fanno il c…”


detenuti sbarre cellaI colloqui registrati dal detenuto che ha denunciato pestaggi. La psicologa: “sopporti, non risolve niente”. È un medico di via Burla a parlare. Di fronte a lui, Rachid Assarag. Quando era detenuto a Parma, è riuscito a far entrare un registratore grazie alla moglie.

Ha denunciato di essere stato picchiato: una querela nel gennaio 2011, un’altra il mese dopo e l’ultima a luglio dello stesso anno. Poi (solo mercoledì scorso), il deposito in procura delle trascrizioni dei colloqui registriti in carcere. Parale che, nelle intenzioni del difensore dell’uomo, Fabio Anselmo (l’avvocato dei casi Aldrovandi e Cucchi), squarcerebbero il velo su una grave realtà di violenza tra le mura del carcere.

Oltre cento pagine di conversazioni “catturate” da Assarag nel 2011, quando era ancora rinchiuso a Panna per violenza sessuale. Tutt’altro che uno stinco di santo, uno stupratore se riale e uno che ha sempre creato problemi nei vari penitenziari che ha girato, ma che in via Burla sarebbe stato percosso tre volte: nell’ottobre del 2010. a. dicembre dello stesso anno e il 25 maggio 2011. Fatti raccontati nelle querele.

Ma ora ci sono queste registrazioni. A tratti inquietanti. Per le affermazioni di alcuni uomini della polizia penitenziaria, ma anche per le parole di medici e psicologi della struttura. Nessuno, al momento è stato iscritto nel registro degli indagati, ma il Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha avviato un’inchiesta interna. C’è l’agente che spiega ad Assarag come ci si comporta dietro le sbarre per non avere guai. “Ascolta – dice – io c’ho venti anni di galera alle spalle.. e non ho mai toccato uno, mai toccato uno se non se lo è meritato. Mai!”.

“Ah, solo le persone che meritano…”, ribatte Assarag. E l’agente: “No, che meritano no, ma che si comportano male. Così, come se tu, se tu ti comporti male, sai che quella è la conseguenza. È normale, perché certe volte solo quella…”. Fa quelle affermazioni e poco prima si lascia scappare anche altro: “Eh, ne ho picchiati tanti, non mi ricordo se ci sei anche tu”.

Ma poi Assarag parla con lo stesso agente anche del suo caso personale. Il riferimento è a quando è arrivato in via Burla, alla sua decisione di stare in isolamento e al latto che gli sarebbero stati tolti i soldi. “Quattro persone contro un detenuto?! Mi avete massacrato”, dice Rachid, e l’uomo replica: “Non eravamo in quattro persone… io, il brigadiere e basta!”. A quel punto il detenuto chiede se ci sono le telecamere, e il poliziotto risponde: “Ma non funzionano!”.

Parla – e registra – le dichiarazioni degli uomini della Penitenziaria, Assarag. Ma non si fa problemi a parlare delle violenze che avrebbe subito dietro le sbarre anche con i medici del carcere. “Io ho subito, mi hai visto che io ho subito la violenza”, spiega. E il dottore risponde: “Certo, ho visto… Quello che voglio dire, è che lei deve imparare a… a… abituare… sì, perché non può cambiare lei, come non lo posso cambiare io!”.

Ma Assarag non molla. Insiste. Vuole risposte per capire come muoversi, a chi far presente cosa non funziona. Il medico parla anche delle “protezioni” da parte della magistratura di cui godrebbero gli agenti. E cita il caso di Stefano Cucchi, il giovane arrestato per droga e morto in custodia cautelare una settimana dopo.

Una vicenda per la quale tra pochi giorni è previsto l’avvio del processo d’appello. “Ah, il magistrato è dalla parte di loro?”, chiede Assarag. “Certo… in un caso di morte, in un caso di morte come quello di Cucchi, sono riusciti a salvare gli agenti e hanno inchiappettato i medici!”.

Nel marzo 2011 Rachid incontra anche la psicologa del carcere. Le racconta di altre due aggressioni che avrebbe subito, con piccole lesioni a un dito e a un braccio. E le mostra la mano fasciata. “Queste cose succedono in tutti le carceri… eh, queste cose”, dice la donna. Poi gli consiglia di rassegnarsi. “Non è così facile. Per questo le ho suggerito di rinunciare a combattere. Perché combattere qua dentro comporta usare tantissime energie, sfinirsi e scontrarsi contro dei muri… Non si risolve niente!… Allora è meglio, dal punto di vista personale, aspettare e sopportare. Perché non c’è uscita”.

Violenze vere o romanzate quelle subite da Rachid? Sarà un’inchiesta ad appurarlo. I due agenti che nel 2007 in via Burla pestarono Aldo Cagna, l’assassino di Silvia Mantovani, sono stati condannati in via definitiva al anno e 2 mesi. Un brutto “precedente”. Ma è un’altra storia.

Il Procuratore: nessuna disattenzione, faremo chiarezza

L’ultima denuncia di Assarag contro gli agenti di via Burla? È stata depositata il 27 luglio 2011. Da allora, però, ria denunciato il difensore Fabio Anselmo, non si è mosso nulla in procura. “Quando sono arrivate le tre querele, già erano pervenute le segnalazioni da parte della casa circondariale die prospettavano una realtà molto diversa da quella denunciata dal detenuto – spiega il procuratore Antonio Rustico.

Ma non è vero che questi fascicoli sono rimasti fermi, mentre quelli in cui Assarag è indagato sono andati avanti. Si tratta di procedimenti che erano in carico a un pm trasferito, che poi sono stati riassegnati a un altra sostituto”. Insomma, nessuna corsia “preferenziale” per i casi in cui Rachid è sotto accusa.

Piuttosto ci sono altri procedimenti a suo carico, che nera non hanno nulla a che vedere con gli episodi di violenza (tra il 2010 e il maggio 2011) da lui denunciati, ma sono successivi. “Si tratta di due fatti che sono stati riuniti in un procedimento che è già a dibattimento da tempo: una contestazione di oltraggio nei confronti di agenti di polizia penitenziaria – spiega Rustico – e un’altra per minacce e anche oltraggio, credo.

Per quanto riguarda la prima vicenda, Assarag non ha chiesto nemmeno di essere sentito dono il deposito dell’avviso di conclusione delle indagini, nel secondo caso invece è stato sentito per rogatoria dal pm di Prato, visto che poi è stato trasferito in quel carcere: siamo nel 201Ì, eppure non ha fatto cenno a registrazioni effettuate in carcere, ma ha solo detto che probabilmente quel procedimento era la conseguenza delle sue denunce”.

C’è invece un detenuto che potrebbe creare qualche grattacapo ad Assarag: “Si tratta di una persona che sarebbe stato presente quando oltraggiava l’agente, ma al quale, secondo quanto ha dichiarato nella fase delle indagini, Rachid avrebbe chiesto di testimoniare a suo favore in cambio di denaro o dell’assistenza gratis del suo avvocato – sottolinea Rustico. Questa persona, però, a dibattimento ha detto di non voler parlare se non in presenza del suo avvocato, anche se era testimone”.

Un detenuto con varie vicende in corso, oltre alle accuse di violenza sessuale, Assarag. “Ma ciò non toglie che l’intenzione della procura è quella di fare chiarezza su quanto ha denunciato – assicura Rustico. Non abbiamo ancora i file audio originali, solo le trascrizioni, tuttavia posso assicurare che valuteremo tutto e agiremo se ci saranno delle responsabilità”.

Georgia Azzali

Gazzetta di Parma, 24 settembre 2014