Prof.ssa Pecorella (UniBicocca): il regime ostativo non risponde ad esigenze di difesa sociale


Il condannato alla pena dell’ergastolo non può mai essere privato di una prospettiva concreta ed effettiva di liberazione. La questione dell’ergastolo ostativo pone la Corte Costituzionale di fronte a un bivio, dovendo scegliere se andare alla ricerca di possibili giustificazioni sul piano teorico della presunzione assoluta di non rieducabilità di chi non collabora con la giustizia oppure valutare quella presunzione alla luce dell’esperienza concreta maturata nei ventisette anni trascorsi dalla sua introduzione.

La Corte Europea, con la sua recente sentenza nel caso Viola, ha ritenuto la disciplina italiana contraria all’art. 3 Cedu perché impedisce al detenuto di vedere riconosciuti i progressi compiuti nel suo percorso rieducativo, fino a quando non collabora con la giustizia. Smentendo quella presunzione in senso contrario, si prende atto del fatto che la mancata collaborazione non ha impedito che un percorso rieducativo sia stato intrapreso dal detenuto e si esige, anzi, che i risultati di quel percorso siano valutabili dal giudice in vista della possibile e graduale uscita dal carcere. Perché il condannato alla pena dell’ergastolo non può mai essere privato di una prospettiva concreta ed effettiva di liberazione.

D’altra parte, abbiamo davanti agli occhi casi di ergastolani ostativi che, senza aver collaborato con l’autorità giudiziaria, hanno potuto ottenere dei benefici penitenziari o delle misure alternative alla detenzione, avendo partecipato attivamente al programma rieducativo durante i lunghi anni trascorsi in carcere. Sono gli ergastolani usciti dal regime ostativo attraverso il riconoscimento della inesigibilità della loro collaborazione, perché tutto è stato ormai chiarito o niente sono in grado di ulteriormente chiarire.

Come è potuto accadere? Nell’unico modo che l’ordinamento penitenziario contempla sulla base:

a) di una relazione positiva dell’equipe penitenziaria che, avendo più di chiunque altro osservato l’evoluzione del condannato durante la detenzione, ha ritenuto da lui compiuta quella “presa di distanza dal suo passato criminale” necessaria, ma anche sufficiente, per poter intraprendere un graduale percorso di ritorno alla libertà; nonché

b) sulla successiva pronuncia del giudice che quella relazione ha ritenuto di poter condividere, concedendo il beneficio penitenziario richiesto.

Perché negare questo stesso percorso, lungo e faticoso, ma ricco di speranza agli ergastolani che non collaborano, pur essendo ritenuti astrattamente in grado di farlo? Si dice che serve la loro collaborazione, sia pure a distanza di tanto tempo dai fatti. Se anche questa fosse la ragione, e se anche questa ragione fosse ritenuta sufficiente a giustificare il sacrificio della funzione rieducativa della pena nei confronti di questi soggetti, dovremmo arrenderci all’evidenza dei fatti: chi non ha collaborato nella fase processuale, ricavandone sensibili benefici in termini di pena, non decide di collaborare una volta che è stato condannato, se non sono cambiate o venute meno le ragioni, qualunque esse fossero, che gli hanno impedito di farlo nel momento più vantaggioso.

E se è vero che la preoccupazione per l’incolumità dei propri familiari è la ragione principale che inibisce la scelta di collaborare, difficile è immaginare che quella preoccupazione svanisca dalla mente del condannato proprio mentre si trova in carcere, lontano da tutto e da tutti e con il solo conforto dei suoi familiari. Una condizione, si noti, che l’ergastolano ostativo condivide con le persone condannate a pena temporanea e parimenti eseguite in regime ostativo: anche ad esse è precluso, se non collaborano con la giustizia, il normale percorso rieducativo e quindi un’effettiva chance di reinserimento una volta uscite dal carcere. Perché loro, a differenza degli ergastolani, riacquistano necessariamente la libertà, una volta terminata l’esecuzione della pena. E allora, possiamo davvero continuare a credere che il regime ostativo previsto dalla legge risponda a esigenze di difesa sociale?

Claudia Pecorella Professore di Diritto Penale Università di Milano Bicocca

Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2019

Il Governo chiede l’ennesima proroga per la chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari


opgÈ irrealistico pensare di chiudere gli Ospedali Psichiatrici giudiziari entro il 15 marzo 2015, come previsto dal decreto legge approvato nel marzo scorso. Servirà quindi un’ulteriore proroga. A lanciare l’allarme è la relazione sul Programma di superamento degli Opg trasmessa al Parlamento dai ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e della Giustizia, Andrea Orlando, aggiornata al 30 settembre.

“Nonostante il differimento al 31 marzo 2015 del termine per la chiusura degli Opg, sulla base dei dati in possesso del ministero della Salute – si legge nel documento – appare non realistico che le Regioni riescano a realizzare e riconvertire le strutture entro la predetta data.

In caso di mancato rispetto dell’anzidetta data, ovvero in caso di mancato completamento delle strutture nel termine previsto dai programmi regionali, è ferma intenzione dei ministri attivare la procedura che consente al governo di provvedere in via sostitutiva. È quindi di nuovo auspicabile un ulteriore differimento del termine di chiusura degli Opg”.

Già l’ultima proroga decisa aveva sollevato reazioni, in particolare quella del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che nel firmare il decreto legge aveva espresso “estremo rammarico, per non essere state in grado le Regioni di dare attuazione concreta a quella norma ispirata a elementari criteri di civiltà e di rispetto della dignità di persone deboli”.

Il Capo dello Stato aveva comunque “accolto con sollievo interventi previsti nel decreto legge per evitare ulteriori slittamenti e inadempienze, nonché per mantenere il ricovero in ospedale giudiziario soltanto quando non sia possibile assicurare altrimenti cure adeguate alla persona internata e fare fronte alla sua pericolosità sociale”.

Il decreto legge del marzo scorso, infatti, prescrive che “il giudice disponga nei confronti dell’infermo o del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dal ricovero in Opg o in una casa di cura e di custodia, ad eccezione dei casi in cui emergano elementi dai quali risulti che, ogni altra misura diversa dal ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario non sia idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale”.

La nuova proroga che secondo la relazione ministeriale si renderà necessaria, “tuttavia dovrebbe essere accompagnata dalla previsione di misure normative finalizzate a consentire la realizzazione e riconversione delle anzidette strutture entro tempi certi; a tal fine si ritengono tuttora valide le proposte formulate nella precedente Relazione inviata al Parlamento: misure normative volte a semplificare e razionalizzare le procedure amministrative; possibilità di avvalersi del silenzio-assenso per le autorizzazioni amministrative richieste a livello locale”.

“Le misure normative di semplificazione appaiono necessarie in quanto l’iter procedurale richiesto per la progettazione e la realizzazione delle strutture si distanzia notevolmente dai termini previsti dalle precedenti proroghe”.

“Fermi restando i profili di sicurezza, il presupposto sostanziale perché questo percorso politico e amministrativo prosegua – sottolinea ancora la relazione ministeriale – è la maturazione di una nuova cultura, un nuovo modo di guardare alla chiusura degli Opg e delle problematiche connesse, una attenzione qualificata degli attori politici e dei mezzi di informazione. Si cercherà di lavorare con interventi volti a contrastare il pregiudizio nei confronti dei soggetti affetti da malattia mentale, pur se autori di fatti costituenti gravi reati”.

Dopo l’approvazione del decreto del marzo scorso, spiega ancora la relazione trasmessa al Parlamento, “si è rilevata una leggera ma costante diminuzione delle presenze” negli Opg, “che alla data del 9 settembre 2014 vede 793 internati presenti a fronte degli 880 alla data del 31 gennaio 2014. Questo dato va comparato con quello dei flussi degli ingressi che nell’arco di un trimestre si è valutato attestarsi mediamente intorno a circa 10 pazienti per ciascun Opg, per un totale di 67 persone a trimestre”. Nel periodo che va dal primo giugno 2014 (dopo la conversione in legge del decreto), al 9 settembre 2014 si è avuto l’ingresso di 84 persone”. Attualmente gli ospedali psichiatrici giudiziari sono 6: Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo fiorentino, Napoli, Reggio Emilia.

– LEGGI LA RELAZIONE AL PARLAMENTO (PDF)

Giustizia: Anm; ok a superamento degli Opg, ma niente forzature sulla pericolosità sociale


ospedale-psichiatrico“Piena condivisione” della legge che prevede la sostituzione degli attuali ospedali psichiatrici giudiziari – “il cui complessivo sistema non appare in linea con le esigenze di cura e con i principi di rispetto della dignità degli internati” – con le cosiddette “Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza” (Rems), ma evitare “forzature e incrinature di fondamentali categorie”, come quella della pericolosità sociale, “senza una generale e meditata rivisitazione della materia”.

Così l’Associazione nazionale magistrati, con il Coordinamento dei magistrati di sorveglianza (Conams), interviene nel dibattito sugli Opg.

In particolare, le toghe esprimono “perplessità e preoccupazioni” su un punto del testo approvato dal Parlamento che ha ripercussioni in merito al giudizio di pericolosità sociale che “potrà pertanto essere desunto esclusivamente dalle qualità soggettive della persona”, tra cui “le sole condizioni biologiche, caratteriali e di salute psichica del soggetto” e “non anche da quelle di vita individuale, familiare e sociale”.

In tal modo, rilevano Anm e Conams, “la pericolosità sociale sarà legata in definitiva solo alla malattia”. I magistrati, dunque, auspicano la “piena attuazione” della legge, il “rapido completamento delle Rems sull’intero territorio senza ulteriori rinvii”, e, nel contempo, “l’avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia”, anche sugli “istituti dell’imputabilità e della pericolosità sociale, senza affrettate, riduttive e regressive reinterpretazioni che rispondono – concludono Anm e Conams – più a impulsi contingenti che a una sana logica sistematica”.

Ferri: no allarmismo su Opg, internati non abbandonati

“Sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari non bisogna fare allarmismo: gli internati non saranno abbandonati, ma verranno affidati a delle strutture sanitarie idonee e il giudice potrà applicare misure di sicurezza non detentive come la libertà vigilata, per cui questi soggetti resteranno controllati”. Lo ha detto il sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Ferri, commentando l’allarme lanciato dal giudice di Roma Paola Di Nicola su una disposizione della legge sul superamento degli Opg.

Secondo il giudice Di Nicola, un comma della legge costringerebbe i giudici a revocare le misure di sicurezza per gli internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo della pena con l’effetto di liberare dei soggetti socialmente pericolosi. “Si tratta di una polemica sterile – ha aggiunto Ferri a margine di un convegno sulla sentenza Torreggiani nel carcere di Rebibbia – questi soggetti non saranno abbandonati e potranno completare la loro terapia in strutture più adeguate degli Opg. Si tratta di un principio di civiltà che siamo riusciti ad affermare, per la prima volta, dopo anni e anni di discussioni. Mi dispiace che ad aver lanciato l’allarme sia stato un magistrato. Non c’è alcun motivo per farlo perché ci sarà una collaborazione con le strutture sanitarie che accoglieranno questi soggetti”.