Paola (Cosenza), Per il Pm dare il diritto di parola ad un imputato sul giornale è favoreggiamento alla mafia


Palazzo di Giustizia di PaolaDa 17 anni scrivo sui giornali e denuncio la mafia. Mi hanno anche bruciato la macchina e minacciato. Mi è capitato poi di dare diritto di replica agli imputati. Per esempio a un certo Serpa. Perché lo ho fatto? Perché vivo – o così credo – in uno stato di diritto. Non è che se uno è accusato di un reato mafioso perde il diritto a difendersi, no? E invece un Pm, durante la requisitoria, se l’è presa con quei giornalisti che danno la parola ai boss e di conseguenza “favoreggiano la mafia…”

Il diritto di replica può essere concesso anche ad un boss di ‘ndrangheta in semilibertà o ad un presunto “capoclan” a piede libero? È una domanda, a mio avviso superflua -soprattutto se posta dal cronista di un giornale che si chiama il Garantista – che pongo a me stesso dopo aver udito la requisitoria di un pubblico ministero antimafia, svoltasi a Paola, in provincia di Cosenza, che, bontà sua, ha distribuito bacchettate a destra e a manca: ai politici, ai parlamentari e finanche – mi chiedo cosa ci sia dietro – al “solito articolista”, che avrebbe condotto una “attività di favoreggiamento” per aver offerto il diritto di replica.

In un clima di omertà e condizionamento denunciato dal pm, mi sarei atteso, dallo stesso pm, quanto meno nomi e cognomi. Tuttavia, ciò non è accaduto, ed il quesito di cui sopra lo pongo a me stesso, anche perché il sottoscritto, in diciassette anni di professione in cui ha documentato quasi quotidianamente le attività delittuose delle cosche tirreniche, nonostante le auto bruciate (la sua auto) e le tante minacce mafiose subite (“spedizioni punitive” sotto casa e proiettili inclusi), ha avuto il buon senso di far parlare, in replica, il boss della cosca Serpa, a quel tempo in semilibertà.

Mario Serpa ha infatti contattato, anni addietro, il cronista perché voleva replicare a chi, come il sottoscritto, lo accusava d’aver mandato alcuni parenti – che incutevano terrore facendo il suo nome – a taglieggiare gli esercenti commerciali; anticipava telefonicamente, al giornalista, l’invio di una lettera a sua firma, concordata con l’avvocato Gino Perrotta, che il giornale pubblicò sulle pagine regionali a corredo di un altro pezzo, a dir poco “cattivo”, sempre a firma del sottoscritto, in cui si riportava il curriculum criminale dello stesso boss di Paola. Quella missiva (che non è stata sequestrata, come erroneamente riferito) è stata consegnata, dal sottoscritto, ai carabinieri, dopo essere stata pubblicata. In diciassette anni di attività, dunque, ho fatto parlare Mario Serpa e non credo d’aver “favorito” nessuno. Era un suo diritto parlare, in uno Stato di diritto e dopo centinaia di batoste a mezzo stampa. Peraltro era stato promesso dal detenuto in semilibertà, sempre al sottoscritto, l’invio di un corposo “dossier-confessione” a sua firma, da trattare – era questo l’intento – in una serie di articoli o attraverso la stesura di un libro. Una inchiesta giornalistica che mi avrebbe consentito di raccogliere una importante “verità di parte” da mettere in contrapposizione ai fatti storici ed ai fatti processuali della mala nella provincia di Cosenza.

Poi Mario Serpa venne arrestato e quel dossier venne trovato in carcere e finì – questo sì – sotto sequestro. Ho fatto parlare, poi, Nella Serpa, cugina di Mario e presunta “reggente” della cosca di Paola. Mi ha inviato delle lettere dal carcere che ho pubblicato (due, di cui una in ricordo del suo avvocato, il noto compianto penalista Enzo Lo Giudice), mentre altre tre/quattro missive (credo anche telegrammi), contenenti dure accuse e velate minacce al sottoscritto, non le ho rese note – ma consegnate (e non sequestrate) ai carabinieri quando mi è stata bruciata l’auto – solo perché di scarso interesse pubblico.

Ricordo ancora, quando lavoravo a Calabria Ora, di essere stato contattato da un “gancio” per una intervista al boss di Cetraro, Franco Muto, che poi, nonostante la mia piena disponibilità a recarmi in quel di Cetraro, dove sono sempre stato odiato per le innumerevoli pagine da me stilate contro la cosca, non venne mai rilasciata. Ricordo ancora, diversi anni or sono, di essere stato convocato dai carabinieri, su richiesta dello stesso pm, per aver ospitato sulle mie pagine la denuncia di un avvocato penalista (Gino Perrotta) a discolpa di un suo assistito, un aspirante pentito prelevato dal carcere senza autorizzazione per indurlo a contattare telefonicamente i suoi “compari” al fine di raccogliere indizi nell’ambito di indagini antimafia. In questo caso, il magistrato perse mezz’ora del suo prezioso tempo solo per pormi una domanda: “Ma lei con chi sta? Con noi o con loro?”.

Io risposi: “Io sto con me stesso. Faccio il giornalista”. Una risposta che mi portò, poco dopo, ad un’altra convocazione, questa volta in caserma a San Lucido -pare sempre su richiesta dello stesso pm – per rispondere sulla fonte di una notizia di cronaca nera apparsa sul mio giornale ed a mia firma. Chiaramente mi rifiutai di fare nomi, ma fornii ai carabinieri (me l’ero portato dietro, perché avevo previsto la mossa del “nemico”) copia di un articolo apparso il giorno prima su un giornale concorrente in cui il giornalista intimo amico di quel pm, pubblicò la stessa notizia, precedendomi, ma lui – il collega – non venne convocato da nessuno.

Dunque, dopo migliaia di articoli contro le cosche del Tirreno (ospitando anche tante veline dei “buoni”), dare spazio in replica, con tre articoli, ai “cattivi”, può anche non fare piacere a tutti, ma a me interessa poco proprio perché opinione “interessata”. Mi sono sempre guardato le spalle dalla ‘ndrangheta e dalla mala-politica ed ho imparato ad essere guardingo anche verso “padroni” in cerca di “servi” e verso quei pochissimi pm che vivono di visibilità ad ogni costo. Dopotutto, se un giornalista che fa parlare un mafioso è accusato – verbalmente, e non certo sulla carta – di essere un “favoreggiatore” (opinione personale non condivisa), un magistrato che acquista consapevolmente una villa abusiva (è la motivazione di un giudice), è uno che non rispetta le regole e non è in condizioni di dare lezioni a nessuno.

P.S.: Oggi sono in vena di consigli: non dimenticate di chiedere al neo pentito Adolfo Foggetti chi è il mandante e chi l’esecutore dell’incendio della mia auto. Poi confrontate i nomi con quelli da me forniti al magistrato di Paola.

Guido Scarpino

Il Garantista, 4 febbraio 2015

 

L’incredibile odissea di Quintieri candidato radicale in Calabria nel 2013


paola_tribunale_2A volte anche le persone più razionali possono cedere alla tentazione di credere nei “complotti” quando leggono storie come quella di Emilio Quintieri, candidato radicale alle elezioni politiche in Calabria con la lista “Amnistia, giustizia e libertà”.

La vicenda la racconta oggi lui stesso in un articolo per “il Garantista”. Quintieri che dava molto fastidio a un certo potere locale con le proprie battaglie radicali che comprendono anche la legalizzazione delle droghe leggere e i problemi del settore carcerario, venne arrestato praticamente alla vigilia delle scorse politiche , il 13 febbraio 2013, con l’accusa di essere stato una specie di narcotrafficante.

Lo accusavano alcuni tossici del paese di Paola, in provincia di Catanzaro, che peraltro lui neanche aveva mai conosciuto bene. Nessuno gli credette, si fece svariati mesi in carcere fino a essere messo ai domiciliari dopo due rifiuti del tribunale del riesame. Quando finalmente inizia il processo, che è ancora in corso e che qualcuno vorrebbe forse che non finisse mai per lasciare la cosa nel vago, inizia tutta un’altra storia: gli stessi carabinieri che nelle informative si dicevano sicuri dei riscontri contro di lui attenuano di molto la portata dei loro rapporti. Nessuna prova, pochi indizi e tutti su dichiarazioni dei tossicodipendenti i quali, sentiti dal giudice in udienza hanno scaricato a propria volta la colpa sugli stessi carabinieri che “li pressavano”.

Eufemismo per qualcosa di peggio. Totale? Oggi Quintieri è sempre un militante radicale, a quelle elezioni non ha potuto presentarsi e l’intera sua attività politica ed esistenziale è stata rovinata. Sarà mica un caso che tutto questo avveniva in concomitanza con delle elezioni politiche molto delicate e in una zona del paese dove i radicali come Quintieri sono visti come i cani in chiesa?

Dimitri Buffa

Calabria 24 News, 27 Giugno 2014

http://www.calabria24news.it

Quintieri : La mia odissea, in cella per false accuse. Il Garantista


Emilio Quintieri - Luigi MazzottaPiù volte mi è stato chiesto di raccontare la mia “esperienza carceraria” ma, fino ad ora, ho sempre evitato perché ripercorrere con la mente certi momenti non è affatto facile e, peggio ancora, quando li si deve rendere pubblici. Credo, però, che certi fatti non debbano passare inosservati per cui, ho accettato di raccontare la mia storia a “Il Garantista”. Da anni svolgo attività politica con la Federazione dei Verdi ed ultimamente con i Radicali, mi sono occupato – e mi occupo -problemi legati al carcere, anche accompagnando parlamentari negli istituti penitenziari durante le ispezioni, per fargli rendere conto delle condizioni degradanti di detenzione sanzionate dalla Corte Europea dei Diritti Umani. Alla luce di questo mio impegno, ho anche accettato alle ultime elezioni la candidatura nella Circoscrizione della Calabria, con la Lista Radicale “Amnistia, Giustizia e Libertà”. La mia vicenda ha inizio proprio pochi giorni prima delle elezioni, il 13 febbraio del 2013, quando alle 5 del mattino, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del tribunale di Paola nell’ambito dell’Operazione Antidroga “Scacco Matto”, vengo arrestato dai carabinieri e condotto presso la casa circondariale di Paola insieme ad altre persone. Mi veniva contestato di aver detenuto illecitamente ed occultato, negli anni precedenti, quantità imprecisate di cocaina e marijuana e di averla ceduta a terzi. Unici elementi di prova nei miei confronti, raccolti in sede di indagine, le dichiarazioni rese ai carabinieri da alcuni soggetti tossicodipendenti che mi accusavano di avergli ceduto, in più occasioni e dietro pagamento, piccole quantità di droga. Contrariamente agli altri indagati, in sede di interrogatorio di garanzia, ho scelto di non fare “scena muta”, ho risposto alle domande del giudice, rifiutandomi di rispondere a quelle che ritenevo potessero fornire elementi suscettibili di provare la responsabilità di terzi. Le mie spiegazioni non vennero ritenute credibili e, per il rifiuto da me opposto, il giudice respinse l’istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare. Mi sono dunque rivolto al Tribunale del Riesame di Catanzaro che però ha rigettato la richiesta, sostenendo che dovessi restare in carcere perché esistevano diverse intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dagli inquirenti il cui contenuto appariva esplicito ed univoco, nonché attività di riscontro, di osservazione e pedinamento. Non riuscivo a crederci. Dopo qualche mese, il pm otteneva il giudizio immediato per tutti i reati contestati. Io scelsi di seguire il rito ordinario ritenendo di poter essere prosciolto da ogni accusa. La prima udienza, fissata per il 10 luglio, veniva rinviata al 2 ottobre per lo sciopero – giusto – degli avvocati. Così sono tornato in cella. Ma la situazione per me si faceva ogni giorno più insopportabile, anche per i continui contrasti con la direzione dell’istituto. Così analizzati tutti gli atti processuali, ho chiesto di essere scarcerato contestando anche quanto inspiegabilmente riportato nell’ordinanza dai giudici del Riesame rispetto all’esistenza di intercettazioni o riscontri da parte degli investigatori che confermassero l’attività delittuosa ipotizzata. Niente da fare! Nel frattempo, dopo ripetuti procedimenti disciplinari, sono stato trasferito nel carcere di Cosenza e dopo un breve periodo, trascorso anche in regime di isolamento, mi sono stati concessi gli arresti domiciliari in un paesino di montagna, lontano dalla mia città. Alla prima udienza utile, ho presentato personalmente una questione di legittimità costituzionale sulla famigerata Legge Fini-Giovanardi. Successivamente, alla ripresa del processo, ho depositato la sentenza della Corte Costituzionale che accoglieva le stesse questioni di costituzionalità che altre autorità giudiziarie avevano sollevato. Nelle scorse udienze sono stati sentiti gli Ufficiali dell’Arma dei Carabinieri che hanno svolto le indagini. Hanno affermato di non aver mai documentato alcuna attività di detenzione o cessione di stupefacenti da parte mia, che non sono mai state effettuate sul mio conto intercettazioni telefoniche ed ambientali e che l’arresto era scaturito solo per via delle dichiarazioni rilasciate dai tossicodipendenti. Precisavano, infine, che nell’ambito dell’inchiesta, erano emersi solo dei miei contatti con alcuni degli altri indagati di natura esclusivamente amichevole. Nulla a che fare con lo spaccio di droga! Inoltre qualcuno tra i miei accusatori ha ammesso di essersi inventato tutto, “pressato” dai carabinieri. Il processo intanto è ancora in corso. Se ne riparlerà ad ottobre. Mi domando: è mai possibile che in uno Stato di diritto una persona venga arrestata e portata in carcere solo sulla base di qualche dichiarazione, priva di qualsivoglia riscontro, perché sospettata di aver detenuto e poi ceduto qualche dose di droga? È mai possibile che si possa restare in “carcerazione preventiva” ed in attesa di giudizio tanto tempo?

Emilio Quintieri

Il Garantista, 27 Giugno 2014

Giustizia : Assolto l’ambientalista Quintieri. Non calunniò il Sindaco di Cetraro


Aula Udienza TribunaleSi è concluso presso il Tribunale di Paola, Sezione Penale in composizione Monocratica (Giudice Dott.ssa Antonietta Dodaro) il processo penale a carico di Emilio Quintieri, cetrarese, già Consigliere Nazionale dell’Associazione Verdi Ambiente e Società Onlus ed esponente del Partito Radicale. Il cetrarese era finito a giudizio, su richiesta del Pubblico Ministero Eugenio Facciolla, perché ritenuto responsabile del delitto di calunnia in pregiudizio del Sindaco di Cetraro Giuseppe Aieta. Un reato grave che prevede la condanna alla reclusione da 2 a 6 anni. Infatti, nell’estate del 2007, l’ambientalista presentò una denuncia alla Procura della Repubblica di Paola contro il primo cittadino accusandolo di “condotta omissiva” e, nello specifico, di non aver intrapreso alcun provvedimento in ordine alla pratica della vendita illegale dei prodotti della pesca nell’ambito del territorio comunale ed, infine, per non aver evaso un atto di diffida inviatogli con il quale gli si chiedeva di porre rimedio a questa situazione.

In sede di udienza preliminare il Sindaco e la Giunta Comunale di Cetraro si costituivano parte civile affidando incarico all’Avvocato Maria Teresa Iannuzzi del Foro di Paola (sostituita dall’Avvocato Eugenio Garritano), per chiedere la condanna dell’esponente politico ed il risarcimento dei danni, quantificati in 20.000 euro per danni all’immagine dell’Ente Comunale accusato.

Durante l’istruttoria dibattimentale, durata alcuni anni, sono stati sentiti vari testimoni tra cui lo stesso Sindaco Aieta, il quale – sostanzialmente – confermava quanto denunciato da Quintieri pur riferendo di aver adeguatamente risolto la problematica lamentata. Circostanza puntualmente smentita in udienza dall’imputato che ha precisato come all’epoca dei fatti ma anche alla data odierna la vendita dei prodotti ittici a Cetraro fosse disciplinata ed effettuata in base alla normativa vigente in materia di commercio di sostanze alimentari su aree pubbliche.

Nella scorsa udienza, l’imputato con il suo difensore, essendo stato sostituito il Giudice, aveva rinunciato a far rinnovare l’istruttoria dibattimentale ed a far sentire gli altri testi a discarico per evitare che si addivenisse ad un nulla di fatto poiché la prescrizione era imminente.

Per cui il Giudice disponeva procedersi oltre fissando udienza per l’esame dell’imputato visto che lo stesso vi acconsentiva e la contestuale discussione.

A chiedere l’assoluzione dell’ex Consigliere Nazionale dei Vas è stato lo stesso Pubblico Ministero il quale ha evidenziato la legittimità del comportamento posto in essere dall’imputato poiché denunciò il Sindaco sulla base di circostanze concrete poi emerse anche in dibattimento afferenti alla vendita illegale del pesce a Cetraro, tra l’altro, più volte, sottoposta dallo stesso all’attenzione di tutte le Istituzioni Pubbliche.

Il difensore della parte civile, invece, contrariamente alla pubblica accusa, insisteva per la condanna alla pena ritenuta di Giustizia ed al risarcimento dei danni in favore del Comune di Cetraro.

La difesa dell’imputato rappresentata dalla penalista Sabrina Mannarino, con una appassionata e determinata arringa, chiedeva invece l’assoluzione con formula ampiamente liberatoria per insussistenza dei fatti o, in subordine, perché gli stessi non costituivano reato.

Il Tribunale di Paola, all’esito della Camera di Consiglio, ha disposto la completa assoluzione di Emilio Quintieri ai sensi dell’Art. 530 comma 1 del Codice di Procedura Penale, invocata dal Pubblico Ministero e sostenuta dalla difesa, ritenendo che il fatto contestato con costituisse reato.

Cetraro 13 Giugno 2014

Carceri, Emilio Quintieri e 12 Deputati denunciano in Parlamento le condizioni illegali dei detenuti


Carcere Siano - reparti detentiviIl grado di civiltà di un Paese si misura dallo stato delle sue carceri. Quelle italiane sono pessime e, quelle calabresi, sono ancora peggio”. Queste le parole dell’ecologista radicale Emilio Quintieri che annuncia un’Interrogazione alla Camera dei Deputati sulla situazione penitenziaria della Calabria con particolare riferimento agli Istituti di Catanzaro Siano e Paola.

Lo stesso era stato recluso in passato nell’istituto penitenziario di Paola per circa sei mesi in custodia cautela, quando era candidato con la lista “Amnistia, Giustizia e Libertà promossa da Marco Pannella ed Emma Bonino.

Gli onorevoli Vittorio Ferraresi, Dalila Nesci, Federica Dieni, Sebastiano Barbanti, Paolo Parentela, Donatella Agostinelli, Alfonso Bonafede, Salvatore Micillo, Tancredi Turco, Giulia Sarti, Andrea Colletti e Francesca Businarolo, tutti del Gruppo Parlamentare Movimento Cinque Stelle, hanno rivolto una circostanziata Interrogazione ai Ministri della Giustizia e della Salute Annamaria Cancellieri e Beatrice Lorenzin.

I dati che riportano sono come sempre allarmanti e vergognosi per le carceri italiane: L’istituto Penitenziario tirrenico, ha una capienza regolamentare di 161 posti vi sono rinchiuse “circa 300 persone, tutti appartenenti al circuito della Media Sicurezza e molti dei detenuti sono condannati in via definitiva anche a lunghe pene detentive”.

La situazione fotografata stando alle parole dei deputati, va contro i legittimi diritti dei detenuti, dove oltre ai dati riportati sopra, pessime sono ancora le condizioni igieniche, le strutture che accolgono i detenuti, oltre all’illecita “attività di controllo notturno effettuata dalla Polizia Penitenziaria nelle celle dei detenuti, già censurata dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza su reclamo di Quintieri”.

I deputati del M5S chiedono al Governo se disponga dei fatti e dei numeri sopracitati. “In breve tempo, il Guardasigilli Cancellieri, per conto del Governo, fornirà la risposta in Commissione Giustizia a Montecitorio in merito a tutto quanto richiesto. Seguirà replica da parte dell’Onorevole Ferraresi anche a nome degli altri Deputati che hanno sottoscritto l’atto di Sindacato Ispettivo”, conclude Quintieri.

http://www.clandestinoweb.com, 23 Novembre 2013

http://www.clandestinoweb.com/number-news/127521-carceri-emilio-quintieri-e-12-deputati-denunciano-in-parlamento-le-condizioni-illegali-dei-detenuti/