Mazzamuto (Conams): La penso come Gherardo Colombo, in Italia c’è troppo carcere


nicola-mazzamuto-presidente-tds-di-messinaIntervista a Nicola Mazzamuto, coordinatore nazionale dei Magistrati di sorveglianza. Il Coordinamento nazionale dei Magistrati di sorveglianza chiude oggi a Roma la sua assemblea generale. Dopo aver ricordato le figure di Alessandro Margara e di Luigi Daga, veri cultori di un diritto penitenziario umano e costituzionalmente orientato, l’assemblea è stata anche l’occasione per un bilancio della Legge Gozzini a trenta anni della sua approvazione. Legge spesso vituperata, a cui si attribuisce la colpa di tutti i “buonismi” ed i “lassismi”, quando invece ha avuto il merito di aver reso umana la pena contribuendo alla realizzazione delle sue finalità costituzionali. In occasione dell’assemblea abbiamo intervistato Nicola Mazzamuto, Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Messina e Coordinatore Nazionale dei Magistrati di Sorveglianza.

Presidente, a che punto siamo sui rimedi risarcitori per detenzione inumana e degradante?

La sentenza Torreggiani ingiungeva all’Italia la messa a punto di un efficace sistema di tutela preventiva e compensativa dei diritti dei detenuti. E accordava priorità al rimedio che impedisce o interrompe la lesione in corso. Occorre quindi dire che il rimedio risarcitorio, al di là del suo valore simbolico e del suo modesto effetto lenitivo in termini di riduzione di pena detentiva e/o di ristoro pecuniario, interviene comunque a lesione consumata. Nella pratica giurisprudenziale non ha trovato ampia e diffusa applicazione, sia in ragione delle difficoltà interpretative della nuova normativa, che solo di recente sembrano superate, sia in ragione della oggettiva complessità degli accertamenti istruttori, sia soprattutto in ragione delle condizioni di operatività degli Uffici di sorveglianza che soffrono ataviche carenze d’organico.

Che cosa si deve fare?

Se sotto il profilo della riforma legislativa sempre perfettibile e delle misure penitenziarie volte alla riduzione del sovraffollamento ed al miglioramento del regime penitenziario l’Italia ha superato l’esame di Strasburgo, anche se di recente il trend penitenziario è tornato a salire, l’obiettivo di un sistema giudiziario di tutele efficienti ed effettive è ancora tutto da realizzare. Non possono non salutarsi con favore i recenti indirizzi legislativi e ministeriali finalizzati al potenziamento ed alla stabilizzazione del personale magistraturale e amministrativo della Magistratura di sorveglianza.

Non è riduttivo concentrarsi solo sulla questione dei 3mq per detenuto, quando poi nelle celle si hanno i bagni alla turca?

In realtà il criterio “catastale” della metratura della cella, che pure ha il pregio di essere un parametro oggettivo e misurabile, non costituisce nella giurisprudenza nazionale ed europea un indice esclusivo ed esaustivo. Il giudizio sulle condizioni (dis) umane e (non) degradanti dovrebbe integrarsi con le valutazioni inerenti la salubrità e dignità degli ambienti e, più in generale, il complessivo regime trattamentale con particolare riguardo alla tutela della salute, e alle concrete opportunità rieducative e risocializzanti. È possibile che, pur in presenza di una cella con metri quadri superiori al limite minimo, si ravvisi la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Edu a causa della deficienza degli altri parametri.

Si segnalano spesso “tensioni” fra il magistrato di sorveglianza e il garante dei detenuti. Quale è la sua esperienza?

Credo che tali rapporti andrebbero impostati fin dall’inizio in termini di mutua e leale collaborazione e di chiara distinzione dei rispettivi ambiti di competenza, visto che in mancanza di ciò è elevato il rischio di confusioni, sovrapposizioni di ruoli e funzioni, dispersioni di energie e prevedibili conflitti. Mi pare in tale ottica un buon criterio è quello che riconosce alla Magistratura di sorveglianza la garanzia giurisdizionale dei diritti e la cura dei casi concreti. Mentre al Garante riconosce la tutela “politica” di tali diritti e l’azione politico-culturale volta ad affrontare i nodi strutturali del sistema sanzionatorio e penitenziario ed al suo complessivo miglioramento, coinvolgendo istituzioni ed opinione pubblica.

Dagli Opg alle Rems. A che punto siamo?

L’esodo verso le Rems è stato lento, faticoso e progressivo e soltanto nei prossimi mesi si può sperare che si completi l’opera di dimissione. Nelle more si verificano situazioni di conflitto, a fronte dell’insufficienza delle Rems disponibili e del numero chiuso di quelle esistenti. Si è allora costretti a scegliere tra lasciare i ricoverati in Opg illegittimamente o in libertà in caso di misure di sicurezza provvisorie ineseguite, oppure derogare al numero chiuso e metterli nei Rems.

Non è anomalo il rapporto fra detenuti in custodia cautelare e detenuti definitivi?

La custodia cautelare in carcere, in un numero non infrequente di casi, non è ultima ma prima ratio. Viene utilizzata, al di là delle appropriate finalità endoprocessuali, come anticipazione di pena, anche quando sarebbe prevedibile, in fase esecutiva, la concessione di una misura alternativa. Indubbiamente tale rapporto si può configurare come una anomalia.

Non si ricorre troppo spesso al carcere in Italia?

Credo che un sistema sanzionatorio e penitenziario moderno, in linea con i principi costituzionali e con le direttive europee, debba realizzare l’idea della pena e della pena detentiva come extrema ratio. Concordo con i recenti scritti di Gherardo Colombo e del professor Giovanni Fiandaca: in Italia come in altri Paesi c’è troppo carcere e soprattutto troppo cattivo carcere, nonostante i recenti sforzi del legislatore e dell’amministrazione penitenziaria per migliorare la situazione detentiva.
Penso, inoltre, non solo in una prospettiva utopica ma riflettendo su concrete esperienze giurisprudenziali, che un tale sistema dovrebbe prevedere le pene non detentive e le misure alternative in una percentuale del 70/80% – purché ricche di contenuti rieducativi, riparativi e risocializzativi e soprattutto ben gestite con regimi prescrittivi individualizzati. Bisognerebbe riservare la costosa (in termini non solo economici) e segregante pena detentiva ai casi gravi che la meritano, puntando attraverso strategie sanzionatorie differenziate, a una lotta davvero efficace al crimine anche organizzato, alla recidiva ed alla diffusa impunità.

Giovanni M. Jacobazzi

Il Dubbio, 8 ottobre 2016

Gli Opg sono chiusi per legge ma ancora sono pieni di internati. Regioni inadempienti


OPG Castiglione delle StiviereRitardi. Maltrattamenti. Polemiche. Una legge chiude gli Ospedali psichiatrici, ma nel 2015 in Italia ci sono ancora internati. Colpe e numeri di una impasse. Fu una rivoluzione. Avvenne con l’entrata in vigore alla fine degli anni 70 della Legge Basaglia, nota come legge 180/1978, in onore a Franco Basaglia, medico promotore dell’iniziativa.

Si cercò, grazie agli studi del dottor Thomas Szasz, di superare non solo la logica manicomiale, ma di imporre la chiusura dei manicomi, regolamentando invece il trattamento sanitario obbligatorio. Lo scopo era istituire i servizi di igiene mentale pubblici con l’intento non di rinchiudere chi era afflitto da gravi patologie psichiatriche, ma puntando al bisogno di risocializzare i pazienti. Se la situazione in quell’ambito sembra notevolmente migliorata (i 76 istituti psichiatrici sparsi nel territorio nazionale sono stati sostituiti da numerose strutture residenziali, servizi psichiatrici diagnostici e cura, centri di salute mentale e altre strutture riabilitative) diverso era lo scenario nei casi in cui i malati si macchiavano di delitti e crimini, venendo giudicati pericolosi per sé e per la comunità.

Se prima furono create le case di reclusione, che sostituivano i manicomi criminali, con la riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975 entrarono a far parte del sistema penale italiano gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg). Le cose, però, non erano molto cambiate. Si registravano dei casi in cui prevaleva la logica detentiva, non quella sanitaria. L’iter iniziò nel 2008 col decreto ministeriale di riordino della sanità penitenziaria, e proseguì nel 2010 con l’istituzione di una Commissione d’inchiesta istituita dal Senato presieduta da Ignazio Marino per superare gli Opg.

La Commissione poi, in un’indagine condotta sugli ospedali di Barcellona Pozzo di Gotto (Me), Aversa (Ce), Napoli, Montelupo Fiorentino (Fi), Reggio Emilia e Castiglione delle Stiviere, accompagnata da un video girato dalla troupe di RaiTre, trasmessa durante Presa Diretta, documentò che fra diversi Opg e i vecchi manicomi criminali non c’erano molte differenze. Strutture fatiscenti, lenzuola sporche, muri scrostati dall’umidità, muffa, materassi accatastati, immondizia in giro, persone lasciate senza cure e costrette a subire condizioni disumane, totalmente antigeniche, con i ratti che uscivano dai gabinetti, come visto nell’Opg di Aversa. Con una forte scarsità di personale (medici che nelle singole strutture erano presenti solo quattro ore a settimana, e che dovevano curare 300 pazienti) e spazi ristretti, con tre metri quadrati a malato, in violazione delle norme istituite dalla Commissione europea per la prevenzione della tortura.

L’inchiesta aveva poi documentato il caso di una persona finita dentro 25 anni prima “per essersi travestito da donna e aver spaventato i bambini di una scuola”.

Chiusura definitiva sempre rimandata. Una situazione insostenibile. Si valutava quindi il possibile intervento governativo e il relativo commissariamento, come suggerito dal comitato Stop Opg – costituito da sigle come il Forum salute mentale, Cgil, Ristretti Orizzonti, Fondazione Basaglia, Arci, A buon diritto eccetera.

La chiusura è stata rimandata tre volte in due anni (non va dimenticato che si sarebbero dovute superare queste strutture già nel 2013: una prima proposta di legge fu fatta nel febbraio 2012, che ne fissava l’addio al marzo successivo, prorogata al marzo 2015 dalla legge 81/2014).

La chiusura definitiva degli Opg, si diceva, dovrebbe risultare come una data storica, simile al 1978, ma è veramente così? Com’è la situazione odierna?

La legge presenta degli elementi di discontinuità: la gestione di questi soggetti (i “rei folli”) sarebbero a carico dei Dipartimenti di salute mentale del Sistema sanitario nazionale, legati al territorio, ma rilegati in strutture alternative che sostituiscono così gli Opg, le Rems – Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, strutture molto più piccole, massimo con 20 posti, dove dovrebbero essere mandati quei soggetti ritenuti non dimissibili dagli Opg (una ristretta minoranza degli attuali internati che, spiega Cesare Bondioli, responsabile carceri di Psichiatria democratica, erano circa 700 nell’ultima rilevazione ministeriale, dei quali oltre la metà dimissibili) o anche nuovi, per i quali il giudice abbia disposto una misura di sicurezza detentiva.

Le Rems dovrebbero solo attuare la gestione sanitaria degli ospitati, visto che “l’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati” sarebbe stata svolta “nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. La legge ha poi previsto, una volte per tutte, l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in Opg o in una Casa di cura e custodia solo in via sussidiaria e residuale, qualora risulti inidonea qualsiasi altra misura, nonché una serie di corsi di formazione per gli operatori del settore, ponendo fine al cosiddetto “ergastolo bianco”, dato che le misure di sicurezza non devono superare la pena detentiva massima per il reato commesso. Ciò dovrebbe permettere una gestione più sostenibile dei pazienti.

Legge ancora oggi di difficile attuazione. Questo era quanto si sapeva a marzo 2015. Perché in data 22 giugno 2015, a tre mesi dalla chiusura ufficiale degli Opg, c’erano 341 persone internate in tutta Italia, come riferiva il sottosegretario Vito De Filippo alla Commissione igiene e sanità del Senato. Si contavano 708 pazienti nei vari Opg nel mese di marzo, quando è stata predisposta la chiusura di queste strutture.

La legge “non sembra ancora oggi di facile attuazione” perché necessita di “una maturazione delle diverse istituzioni coinvolte”, mentre l’organismo di coordinamento, che doveva cessare di agire il primo di aprile, continuava a riunirsi ogni 15 giorni per controllare l’attività degli Opg. Ci sono stati dei trasferimenti, tutti individuali, per “evitare traumi e contenere al massimo i possibili disagi per persone dal fragile equilibrio psicofisico, accompagnati dalla massima attenzione al monitoraggio delle condizioni cliniche”, mentre le Rems attivate non erano sufficientemente adeguate per sostituire le precedenti strutture. Secondo quanto detto dal Dap le Rems di Pisticci (Basilicata), di Pontecorvo (Lazio), di Bologna e Parma (Emilia Romagna) hanno già raggiunto la capienza massima, mentre quella provvisorie di Castiglione delle Stiviere, per i pazienti residenti in Lombardia e della Liguria, accoglieva a giugno 230 pazienti pur avendo solo 160 posti letto, dei quali 140 residenti in Lombardia e Liguria e 19 senza fissa dimora.

I restanti 71 pazienti venivano dalla Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Marche, Molise, Piemonte (43 uomini e 2 donne), Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria e Veneto. La Regione Lombardia ha comunicato che la struttura non accetterà pazienti, mentre sarà prevista una Rems a Limbiate (Monza e Brianza), con 40 posti letto. Questo fino a giugno. In base al sito Regioni.it, in data 18 settembre i numeri emersi durante l’audizione svolta in Senato in Commissione sanità, di Santi Consolo, presidente del Dap, indicano un calo di 226 i pazienti ospitati nei cinque Opg di Aversa, Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Reggio Emilia e Montelupo Fiorentino).

Sono emersi però ancora dei ritardi: si vedano le strutture regionali di Toscana e Umbria, dove la data di attivazione della residenza Padiglione Morel, 22 posti letto, ha sforato il termine previsto del primo agosto e, presumibilmente, è destinata a essere aperta tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre.

Veniva già segnalato ad aprile dal responsabile di Psichiatria democratica Bondioli come un caso palese di “inadempienza”, dato che la chiusura dell’Opg di Montelupo è stata rallentata per i molti tentennamenti dalla Regione, portando a una soluzione inusitata: la delibera di trasferimento in blocco della maggioranza degli internati nell’Istituto “Mario Gozzini” (noto come Solliccianino), all’interno di un carcere che non cesserà, anche con la presenza dei nuovi arrivati, di mantenere le sue funzioni penitenziarie.

Aperture e attivazioni posticipate a fine 2015. Ritardano le Rems definitive di San Nicola Baronia e Calvi Risolta in Campania, entrambe con 20 posti, termine di capienza per legge, che dovevano aprire nell’estate del 2015, ma l’apertura è stata posticipata in autunno. Incerto il caso dell’Abruzzo e Molise, dove è in corso un ricorso del Tar sulla realizzazione della struttura, e della Rems a Spinazzola, in Puglia, la cui data di attivazione era il primo ottobre. Idem per quella Grugliasco, in Piemonte, nel Torinese, che dovrebbe aprire entro dicembre. La Regione Lombardia, invece, ha presentato un sistema che comprende anche la Val d’Aosta: è il più vasto d’Italia, con 160 posti letto ed è stato avviato in tempo, il primo aprile, stipulando convenzioni pure con la Liguria e il Veneto per 10 posti letto.

Le vecchie inadempienze, frutto anche di un superamento di sistema gestito in maniera eccessivamente celere, erano quindi sia colpa dell’operato delle Regioni, sia della magistratura, dato che continua a inviare sollecitazioni anche dopo l’entrata in vigore della legge 81/2014 che dice che l’ingresso in una Rems debba essere sempre e comunque considerato come l’ultima ratio. Infatti, il sottosegretario De Filippo ha spiegato che è “urgente, a tale riguardo, prendere delle iniziative di concerto con la magistratura inquirente: la magistratura di sorveglianza si è detta disponibile a favorire una tale interlocuzione finalizzata all’adozione delle misure alternative prescritte dalla legge n. 81 del 2014”.

Gli effetti di questa legge avranno ripercussioni pure sulle carceri, dato che i detenuti un tempo inviati negli Opg per il periodo canonico di osservazione di 30 giorni, adesso andranno nelle sezioni psichiatriche nei penitenziari, non migliorando senz’altro neppure la situazione di tali strutture, dove secondo dati del 2013, i disturbi mentali riguarderebbero circa il 40% dei detenuti, cosa del resto condannata dalla Corte europea dei diritti umani.

Matteo Luca Andriola

lettera43.it, 26 ottobre 2015

Per gli Opg una chiusura a rilento, ci sono ancora 500 internati. Tra le Regioni inadempienti anche la Calabria


OPGA più di un mese e mezzo dalla chiusura, in arrivo i primi dati. I ricoverati erano circa 1.400 nel 2011. StopOpg: “Commissariare le regioni in ritardo, in particolare Veneto, Toscana e Calabria”. Il caso di Castiglione delle Stiviere, trasformato in Rems: “Ha semplicemente cambiato targa”.

Lentamente, con qualche regione indietro rispetto alle altre, eppur si muove. Il superamento degli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, sta iniziando a dare qualche risultato. I ritardi ci sono, ma gli internati stanno realmente diminuendo. Anche perché dal primo di aprile non ci sono più nuovi ingressi. È questo il quadro sulla chiusura degli Opg in Italia fatto da Stefano Cecconi, di StopOpg, a poco più di un mese e mezzo dal termine della proroga alla chiusura di queste strutture. Un mancato rinvio che ha segnato il vero punto di svolta nella vicenda.

“Sapevamo che ci sarebbe voluto del tempo per applicare la legge – spiega Cecconi, ma non potevamo concedere la proroga perché avrebbe legittimato il ritardo e sarebbe stata la pietra tombale su questa battaglia. La mancata proroga ci permette di insistere con le regioni e chiederne il commissariamento”.

Ingressi chiusi per gli Opg, quindi. Nessun nuovo internato, ma nelle strutture ci sono ancora oltre 500 persone, anche se nell’aprile 2011 erano circa 1.400. “Le cose stanno procedendo molto lentamente – spiega Cecconi, ma ce l’aspettavamo. Gli Opg stanno diminuendo la capienza, siamo passati da 700 di fine marzo a poco più 500. Sapevamo che sarebbe stato necessario un tempo di transizione”. Nessun dato, invece, sugli ingressi evitati. “È impossibile ad un mese e mezzo dall’applicazione della legge – spiega Cecconi.

Abbiamo assistito, però, a nuovi ingressi sia in Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), che a Castiglione delle Stiviere”. Incerti anche i dati sulle Rems che secondo StopOpg ad oggi accolgono circa 300 persone, di cui la metà nell’ex Opg di Castiglione delle Stiviere. Un centro, quest’ultimo, diventato Rems ma che secondo Cecconi “ha semplicemente cambiato targa”. Sui ritardi dei territori StopOpg taglia corto: le regioni che stanno indietro e non riescono a mettersi al passo vanno commissariate.

E ad oggi, spiega Cecconi, in “grave ritardo” sono soprattutto Veneto, Toscana e Calabria. Nonostante ad oggi il quadro dell’applicazione della norma che chiede di superare gli Opg non sia del tutto definito nei numeri, le notizie che arrivano dai territori fanno ben sperare. “C’è stato un processo di dimissioni di internati grazie al fatto che si comminano misure alternative rispetto alla detenzione – spiega Cecconi.

Non abbiamo solo meno travasi dagli Opg ai mini-Opg, cioè le Rems, ma si inizia ad applicare anche la parte più pregiata della normativa che prevede che principalmente si adottino misure di sicurezza non detentive nei confronti delle persone. Questo sta accadendo in alcune regioni e abbiamo già sollecitato il ministero della Salute affinché si attivino dei “radar” perché le persone devono essere seguite”.

Tuttavia, spiega Cecconi, in questa fase iniziale, “ci si sta concentrando soltanto sulle Rems, strutture che devono accogliere le persone in misura di sicurezza detentiva”. Secondo StopOpg, infatti, i nuovi internamenti nelle Rems con le misure detentive sono ancora troppi e “continuano ad essere la regola anziché l’eccezione” e richiama l’attenzione sulla legge 81 che, “spostando il baricentro dalla logica manicomiale alla cura delle persone nel territorio, privilegia le misure non detentive e rende obbligatorie le dimissioni a fine pena”. Buone nuove anche sul fenomeno degli ergastoli bianchi.

Al 25 marzo del 2015 gli internati usciti per “fine misura” risultavano essere 88, di cui 31 da Aversa, 25 da Castiglione delle Stiviere e 12 da Barcellona Pozzo di Gotto. “Comincia ad essere applicata quella parte della norma che prevede la dimissione quando la misura di sicurezza arriva al limite coincidente con quello che avrebbe avuto la pena per il reato commesso – spiega Cecconi.

Non sono più concesse proroghe. Una persona deve essere dimessa alla scadenza della misura di sicurezza quando raggiunge il cosiddetto massimo edittale della pena. Questa era la fattispecie che generava il fenomeno di alcuni ergastoli bianchi. È un fatto importante, ora vengono presi in carico dai servizi e abbiamo insistito per ciascuno ci sia un percorso di cura”. In ritardo, anche la magistratura che secondo Cecconi non ha ancora “metabolizzato” la norma.

“Parliamo di quella giudicante non quella di sorveglianza, che ci segnala che non ha ancora fatto propria questa norma, disorientante rispetto all’impianto precedente perché privilegia le misure alternative alla detenzione”. Infine il fenomeno misure di sicurezza provvisorie, ancora presente, anche se stavolta sono le Rems le strutture interessate. “Come è accaduto con gli Opg – conclude Cecconi -, anche le Rems rischiano di essere intasate da persone mandate in osservazione. Questo snatura il mandato di quello che dovrebbe essere la cura delle persone. È una sorta di parcheggio che non va bene”.

Giovanni Augello

Redattore Sociale, 26 maggio 2015

Giustizia: forse siamo pronti a chiudere gli ex Manicomi Criminali


opgLa data ultima è il 31 marzo. Il rischio è che le strutture sostitutive siano riproduzioni degli Opg. La data ultima è il 31 marzo 2015. Dall’1 aprile gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, Opg, non dovrebbero più esistere. O almeno questo è quello che prevede la legge 81 del 2014, dopo che per ben due volte la chiusura delle strutture è stata spostata in avanti. È successo il 31 marzo 2013, e la stessa cosa è avvenuta l’anno dopo. Le immagini di abbandono e disperazione filmate nei vecchi manicomi criminali dalla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Ignazio Marino avevano portato l’argomento alla ribalta. Ma nonostante il decreto “svuota carceri” avesse già stanziato oltre 270 milioni spalmati tra il 2012 e il 2013, per ben due volte le regioni si sono fatte trovare impreparate ad accogliere nelle strutture sanitarie del territorio i pazienti autori di reato internati negli Opg.

Il 5 febbraio, il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo in un incontro con i comitati per la chiusura degli Opg ha confermato che non ci saranno altre proroghe e che saranno possibili commissariamenti per le regioni inadempienti. La realtà, al momento, è che quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione delle strutture sostitutive, ma la maggior parte ha presentato percorsi di cura individuali nelle strutture sanitarie del territorio per i pazienti ritenuti “dimissibili”, che sono più di 400 su 780. Per gli altri, l’ipotesi più plausibile è che saranno messe a disposizione strutture provvisorie in attesa di realizzare le cosiddette Rems, Residenze per l’esecuzione della misura di sicurezza.

E qui il rischio è la riproduzione, seppur in piccolo, del funzionamento degli Opg. Tanto che dal Senato stanno pensando a una nuova commissione di inchiesta che monitori le nuove strutture. “Sembra ripetersi quello che è accaduto con la legge Basaglia”, dice Cesare Bondioli, psichiatra membro dell’associazione Psichiatria democratica, fondata da Franco Basaglia. “La legge era del 1978, ma la parola fine per i manicomi è stata messa nel 1999, con la chiusura di Siena, dopo che la finanziaria ha detto che le regioni inadempienti sarebbero state commissariate e penalizzate nei trasferimenti statali”.

In ogni caso, per evitare la sorpresa di un’altra proroga, il comitato Stop Opg propone alle altre associazioni attente al tema un digiuno a staffetta per tutto il mese di marzo. Oltre che un monitoraggio dei nuovi istituti a partire da aprile 2015. “Il rischio è che dopo il 31 marzo si spengano di nuovo i fari su queste realtà”, dice Stefano Cecconi, portavoce del Comitato Stop Opg, “e che si ripropongano le logiche da manicomio criminale”.

Regioni in ritardo e soluzioni “provvisorie”

Il problema è che nell’ultimo anno il trend degli ingressi non è stato invertito: su 67 dimissioni ci sono stati 84 nuovi detenuti che hanno varcato i cancelli dei sei Opg sparsi in tutta Italia, nonostante la legge chiedesse di dare priorità alle misure alternative. Nell’Opg Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dove la Commissione Marino trovò 329 malati e un solo medico, neppure psichiatra, è stata addirittura aperta una nuova ala femminile da 12 posti, facendo pure trasferire alcune pazienti dall’Opg di Mantova (l’unico fino ad allora ad avere una sezione dedicata alle donne).

A meno di due mesi dalla chiusura prevista dalla legge, quasi nessuna regione ha ultimato la realizzazione degli edifici sostitutivi previsti dalla legge. E alcune, come la Toscana, non hanno neanche stabilito dove sorgeranno queste strutture. La Conferenza Stato Regioni a gennaio 2014 aveva approvato un emendamento che prevedeva un’ulteriore proroga della chiusura fino ad aprile 2017. Poi a novembre, nonostante fosse scritto nero su bianco nella relazione di ministri della Salute e della Giustizia al Parlamento che nessuna regione sarebbe riuscita a realizzare le Rems nei termini previsti dalla legge, le Regioni hanno fatto sapere che invece i termini verranno rispettati, seppure con soluzioni transitorie. Così, mentre si avvicina lo scadere del tempo massimo, si sta cercando di mettere una pezza ai ritardi per sistemare i pazienti “non dimissibili”.

Secondo i comitati, l’errore è subordinare la chiusura degli Opg alla realizzazione delle Rems, che non sarebbero poi così indispensabili. O almeno non nella misura prevista dalla legge inizialmente, secondo cui i posti letto disponibili dovrebbero essere in tutto 900. Un numero stabilito sulla base degli internati presenti negli Opg al momento della stesura della legge Marino del 2013. Il cui fine però non “deve essere un travaso delle persone da una struttura a un’altra”, dice Stefano Cecconi, “ma l’individuazione di percorsi di cura e riabilitazione individuali, potenziando i servizi socio-sanitari territoriali”. Tanto più che secondo la relazione presentata al Parlamento dai ministri Beatrice Lorenzin e Andrea Orlando, più del 50% dei pazienti presenti negli Opg è stato giudicato “dimissibile” e quindi non più socialmente pericoloso. “Questo riduce il fabbisogno previsto per le Rems”, dice Cecconi.

“Tra i pazienti non dimissibili, poi, la maggior parte lo è per ragioni cliniche e solo una piccola percentuale conserva la condizione di pericolosità sociale che prevede la presenza di strutture adeguate”. Insomma, “la condizione è affrontabile anche se, come viene fuori dalla relazione, le strutture non saranno costruite nei tempi previsti dalla legge. Un’altra proroga sarebbe delittuosa”.

Intanto le regioni si stanno attivando. C’è chi chiede aiuto alla struttura di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, l’unica dove le cure sanitarie prevalgono già da tempo sulla reclusione così come chiede la legge (e che per questo verrà in parte “salvata” e riqualificata per una capienza di 120 posti). E c’è anche chi sta unendo le forze per individuare strutture comuni tra più regioni, di fatto contravvenendo allo spirito della legge che prevede che i pazienti debbano essere curati nei territori di appartenenza, superando quindi la formula di una struttura per più regioni come accade oggi.

La legge 81 del 2014, frutto delle proroghe e delle modifiche delle leggi precedenti, prevede che per l’infermo o seminfermo di mente il giudice disponga la misura di sicurezza in una struttura di custodia “quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla sua pericolosità sociale”. Tradotto: un malato deve essere inviato in una Residenza per l’esecuzione della misura di sicurezza solo in casi estremi. Le Rems sono istituti da 20 posti al massimo a gestione prevalentemente sanitaria e con una vigilanza perimetrale “ove necessario”, cioè per i casi ritenuti più pericolosi. In alternativa ci sono comunità, centri di salute mentale o in alcuni casi anche il ritorno in appartamento, con le famiglie o no, come è già accaduto per alcuni pazienti toscani. Il problema è che nonostante le regioni abbiano rivisto al ribasso la cifra iniziale dei 900 posti letto, i progetti non sono comunque realizzabili nei tempi previsti dalla legge. Nonostante avessero già i finanziamenti pronti e nonostante per la gestione delle Rems sia previsto addirittura uno sblocco del turnover. Che significa: la possibilità di assumere persone.

Dalla relazione presentata al Parlamento, viene fuori che a novembre 2014, cioè a quattro mesi dalla data ultima di superamento degli Opg, Friuli, Valle D’Aosta, Campania, Calabria, Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano non avevano ancora trasmesso un programma di utilizzo dei finanziamenti. Mentre Piemonte, Lombardia, Umbria, Marche, Molise, Puglia e Sicilia avevano trasmesso un programma non conforme alle indicazioni ministeriali.

La Toscana, ad esempio, che pure è all’avanguardia su altri temi sanitari (vedi la fecondazione eterologa), ha presentato un progetto che sfora di almeno due anni i termini previsti dalla legge 81, e ancora non ha individuato le strutture sostitutive dell’Opg di Montelupo Fiorentino, dove a fine anno erano internate ancora 80 persone. All’inizio si era pensato a un edificio di San Miniato, ma il sindaco ha detto di no. Gli altri progetti prevedevano di riutilizzare le carceri di Empoli o di Massa Marittima, ma ancora non è stata presa una decisione definitiva. In base ai dati indicati dalla relazione di Lorenzin e Orlando, i pazienti toscani, di cui quindi la regione dovrà prendersi cura, sono in tutto 33, di cui 15 dimissibili.

I numeri, quindi, non sono alti. Nella relazione al parlamento, si parla di un accordo interregionale stipulato tra Toscana e Umbria, ma i tempi di realizzazione sono stimati da 9 e 30 mesi. Nel frattempo da Firenze avrebbero chiesto di trasferire i pazienti toscani di Montelupo nell’Opg di Castiglione delle Stiviere, pagando una retta. Quello che si sa, finora, è che la villa medicea di Montelupo che ospita i pazienti potrebbe essere trasformata in un albergo di lusso e che, come ha dichiarato il direttore del Dap Toscana, arrivare alla chiusura dell’Opg entro il 31 marzo sarà “molto difficile”.

In Sicilia, dove dovranno farsi carico di un centinaio di pazienti, all’inizio si era pensato addirittura di riutilizzare la vecchia struttura del 1925 di Barcellona Pozzo Di Gotto, salvo poi ripensarci e individuare quattro nuove sedi tra Messina, Caltanissetta e Caltagirone, in provincia di Catania, dove già esiste un polo psichiatrico. In Calabria, per sistemare i 31 pazienti (di cui 5 non dimissibili) presenti per lo più nella vicina Sicilia hanno pensato di riutilizzare le strutture già esistenti. Compreso l’ex manicomio di Girifalco, in provincia di Catanzaro, quello a cui Simone Cristicchi si ispirò anche per una sua canzone. Ma anche qui per l’apertura bisognerà aspettare ben oltre la data del 31 marzo. Nebbia fitta anche per Lazio e Campania, tra le regioni a dover rispondere del maggior numero di pazienti internati (104 per il Lazio, 115 per la Campania), e pure per l’accordo interregionale Abruzzo-Molise, che prevede la realizzazione di 20 posti letto in non meno di “2 anni e 9 mesi”.

Con il ridimensionamento delle Rems, “le regioni hanno accelerato il lavoro dando priorità all’individuazione dei percorsi di cura degli oltre 400 pazienti dimissibili”, racconta Stefano Cecconi di Stop Opg. Ma per il superamento degli Opg e le dimissioni dei pazienti serve un coordinamento tra Regioni, Comuni, Asl, ministero della Sanità e della Giustizia. Niente di difficile, in teoria. Non in Italia. I magistrati dovrebbero ridurre al minimo gli invii in Opg, preferendo le misure alternative e i percorsi di cura. Ma i servizi a disposizione del magistrato non sono sufficienti. È un cane che si morde la coda, e così anche molti dei pazienti dimissibili oggi sono ancora in Opg e il rischio è che molti verranno solo “travasati” dalle vecchie alle nuove strutture.

“Non è con le scorciatoie e la ripetizione delle logiche manicomiali che si chiudono gli Opg giusto per dire di rispettare i termini di chiusura”, dice Cesare Bondioli. “Ogni ipotesi di proroga va rifiutata, e un ridimensionamento dei progetti delle Rems di certo contribuisce a rispettare le scadenze. Servono programmi individualizzati di presa in carico territoriale degli attuali internati dichiarati dimissibili.

I programmi di dimissione e i relativi progetti terapeutici individuali, anziché essere trasmessi al ministero e poi messi in un cassetto in attesa degli eventi, dovrebbero trovare concreta attuazione nel territorio dei dipartimenti di salute mentale di competenza usufruendo delle risorse già disponibili visto che, almeno gli oltre 400 pazienti dichiarati dimissibili a giugno 2014, una volta revocata la misura di sicurezza non differiscono in nulla dai “normali” utenti dei servizi di salute mentale. Così si riduce anche il numero di posti letto nelle Rems, facilitandone anche la realizzazione”.

Gli Opg e l’ergastolo bianco In Italia a oggi esistono sei Opg, ciascuno a copertura di più regioni. Dalla denuncia della Commissione parlamentare d’inchiesta a oggi, il numero degli internati è in costante diminuzione. Da giugno a ottobre 2014 i detenuti sono calati da 826 a 780, meno della metà rispetto ai 1.600 del 2010. Queste strutture, ex manicomi criminali a cui è stato affidato poi l’acronimo Opg, sono una sorta di somma tra il carcere e il manicomio. Chi commette un crimine ed è incapace di intendere e di volere perché affetto da gravi disturbi mentali non può essere condannato a una pena da scontare in carcere. Se la persona è dichiarata anche socialmente pericolosa viene sottoposta a una misura di sicurezza. E nei casi più gravi, si aprono le porte di un Opg.

La differenza principale tra pena e misura di sicurezza, però, è nella durata: la pena ha una durata certa, che di solito di accorcia; la misura di sicurezza si può prorogare anche all’infinito ed è per questo che si parla di “ergastolo bianco”. Come le storie riportate negli atti della commissione d’inchiesta Marino. Nel 1992 un uomo, fingendo di avere una pistola in tasca, fa una rapina e viene arrestato. Dichiarato incapace di intendere e di volere, ha trascorso più di vent’anni nell’Opg di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre i suoi complici, senza alcuna infermità mentale, non hanno fatto neanche un giorno dietro le sbarre.

Non solo. “L’80% delle persone uscite dagli Opg”, spiega Cesare Bondioli, “è tornato in altri istituti psichiatrici o comunità, di fatto rientrando in una logica manicomiale. I dipartimenti di salute mentale hanno difficoltà a prendere in carico i pazienti in maniera singola, così preferiscono affidarli a modalità collettive di gestione. Succede anche con i pazienti psichiatrici che non hanno avuto problemi con la giustizia. Dopo la legge 180 sono cresciuti i posti nelle residenze di tipo psichiatrico e oggi sono oltre 20mila”. La stessa logica si ripeterà se il modello seguito nella riforma degli Opg sarà solo quello delle Rems. “I detenuti degli Opg dichiarati dimissibili non hanno necessità di andare nelle Rems”, continua Bondioli. “Perché un detenuto che non è più ritenuto socialmente pericoloso esce dal carcere e queste persone invece devono restare in strutture controllate?”.

I problemi della legge

La proroga, comunque, nonostante le difficoltà questa volta non ci sarà, assicurano tutti. “Ma le regioni che allo scadere del tempo non saranno pronte dovranno essere commissariate”, dice Stefano Cecconi. Resta aperto un solo punto, sollevato anche dalla Associazione nazionale magistrati (Anm): la legge 81 dispone che sia le misure di sicurezza detentive (provvisorie o definitive) che i ricoveri nelle Rems non possono protrarsi per una durata superiore al tempo stabilito per la pena prevista per il reato commesso, fatta eccezione per i reati per i quali è previsto l’ergastolo. I giudici saranno così tenuti a revocare le misure di sicurezza per internati pericolosi che abbiano superato il limite massimo, senza però che vi sia nessuno che se ne faccia carico. Il risultato è che soggetti ad alta pericolosità sociale potrebbero finire fuori dalle strutture vigilate senza che siano state predisposte le necessarie misure sanitarie, sociali e giudiziarie. Con gravi conseguenze sia per la salute del paziente, sia per la sicurezza.

“La libertà vigilata “mantiene” in qualche modo una attenzione alla persona: può funzionare come momento di presa in carico ma la espone al rischio di violare prescrizioni e quindi di tornare in Opg, mentre la liberazione incondizionata evita questo rischio ma può accompagnarsi all’abbandono della persona”, dicono da Stop Opg. “Su questo problema è necessario aprire un confronto. Bisogna individuare una via di mezzo tra l’ergastolo bianco e la libertà incondizionata”. E anche dall’Anm dicono: sì alla chiusura degli Opg, ma “avvio di una seria riflessione per una revisione complessiva della materia”.

Lidia Baratta

http://www.linkiesta.it, 6 febbraio 2015

Toscana: l’Opg di Montelupo Fiorentino chiuderà i battenti entro il 31 marzo 2015


ImmagineI progetti per 4,6 milioni potenzieranno la formazione, gli addetti e i centri intermedi. Delineato il percorso che entro il 2015 porterà al completo superamento dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino. La Regione Toscana ha approvato e definito ì progetti che, grazie a 4,6 milioni dì euro di risorse statali, creeranno il percorso utile a definire come si concluderà, dopo la proroga di un anno per tutte le Regioni (firmata la settimana scorsa dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano) anche l’esperienza dell’Opg presente nella Provincia fiorentina.

L’obiettivo regionale è quello di potenziare la rete del servizi territoriali, fare formazione professionale e aggiornamento continuo degli operatoli, adeguare la dotazione di personale, creare percorsi di dimissioni per pazienti stranieri senza fissa dimora e potenziare le strutture intermedie di secondo livello.

A fine febbraio 2014 nell’ospedale psichiatrico giudiziario dì Montelupo Fiorentino erano presenti 107 persone (nel 2012 erano 227). Dal 2010 a oggi sono stati dimessi 25 internati toscani e sono in dimissione aliti 31, per un totale di 56 persone che escono e tornano nel proprio territorio di provenienza, facendo impegnare alla Regione Toscana poco più di 1,2 milioni di euro: 600mìla euro per i primi 25 dimessi e più di 635mila euro per i successivi 31.

Secondo il programma che porterà al superamento dell’Opg e previsto il potenziamento dei Dipartimenti di salute mentale (Dms) che, per i progetti di residenzialità e reinserimento sociale dovrà avere risorse adeguale per garantire sia il personale che altri servizi eventualmente coinvolti nel progetto (come a esempio Seri o servizi per la disabilità).

Altro punto rilevante è l’investimento in formazione, utile a sviluppare competenze professionali e garantire l’aggiornamento continuo agli operatori delle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive (Rems) e delle altre residenze psichiatriche dì secondo livello. A questo va aggiunto il progetto di adeguamento del personale, necessario a garantire livelli adeguati di qualità assistenziale e appropriatezza organizzativa nel passaggio dall’Ospedale psichiatrico giudiziario alle nuove strutture sani (arie extra-ospedaliere.

Per questo dovrà seguire il potenziamento delle strutture intermedie di secondo livello (dedicate ai casi meno gravi, per l’esecuzione di misure di sicurezza non detentive), che hanno un ruolo fondamentale per garantire, da un lato che la permanenza nella Rems sia ridotta al minimo tempo indispensabile a ristabilire condizioni dì maggiore stabilità clinica e comportamentale e, dall’altro, che le strutture territoriali ordinarie siano in grado di accogliere persone che hanno raggiunto un adeguato equilibrio e stabilità.

Altro progetto punta a creare un ambiente con caratteristiche sanitarie appropriate dove praticale gli accertamenti diagnostici e terapeutici necessari a evitare la permanenza in carcere di detenuti con problemi psichici, in pratica un luogo dove garantire la gestione di un reparto detentivo, presso un istituto penitenziario della Toscana, gestito dall’Asl territorialmente competente. Poi. anche consentire la presa in carico territoriale dei pazienti stranieri che non hanno dimora sul territorio italiano. Al momento, sono presenti nell’Opg di Montelupo 7 persone senza fissa dimora.

Un percorso regionale e un programma, che riceverà dallo Stato 4.585.636 euro, già approvato nel 2013, compresi il complesso degli interventi assistenziali necessari che. secondo l’ultima delibera regionale, dovranno portare al completamento del processo di superamento dell’Opg entro il 31 marzo prossimo.

di Roberto Tatulli

Il Sole 24 Ore Sanità, 15 aprile 2014

«Io, rinchiuso da ventidue anni per una rapina da seimila lire» Per un piccolo furto, diventato criminale malato di mente


Ospedale Psichiatrico GiudiziarioAll’epoca c’erano ancora le lire. Mario ne aveva portate via seimila, tre euro di oggi, entrando in un bar con una mano in tasca atteggiata a pistola. Fu dichiarato «momentaneamente incapace», ma pare che quel momento sia duro a finire visto che Mario è dentro da 22 anni. Peraltro va detto che a Salvatore è andata peggio. Anche lui aveva fatto una rapina. Roba minima anche lui, come diceva Jannacci. Ma anche lui mentalmente «incapace»: e di anni dentro, di proroga in proroga e di perizia in perizia, ne ha fatti 36 filati. L’anno scorso, quando l’hanno mandato in comunità, quasi non ci credeva. Ergastoli bianchi, li chiamano. Sono solo due tra le storie di Barcellona Pozzo di Gotto, sede di uno degli Ospedali psichiatrici giudiziari più tristemente famosi d’Italia: quelli che da oggi dovevano restare solo un brutto ricordo, se non fosse che no. A raccontarle pescando nella propria memoria è un gruppetto dei pochi fortunati riusciti a venirne fuori grazie all’impegno di un prete, don Pippo Insana, che qualche anno fa ha aperto nel pieno centro storico del paesone siciliano una Casa d’accoglienza pensata specificamente per loro.

«La stragrande maggioranza dei detenuti negli Opg – dice – non è gente pericolosa ma solo bisognosa di cure. Ed è assurdo che per chiudere questi inferni, secondo i politici, se ne debbano per forza costruire altri uguali ma più piccoli: la nostra esperienza dimostra che basterebbe molto meno». O molto di più, dipende dai punti di vista: cosa c’è di più facile, in fondo, che dichiarare uno «matto» e buttare la chiave? Giorgio è uno dei suoi nove ospiti, sei fissi e tre in permesso. Ha 40 anni e la sua storia è questa: «Facevo il pizzaiolo in provincia di Taranto, ero piuttosto bravo. Per otto anni lo avevo fatto anche in Germania. A un certo punto, durante un ritorno a casa, sono caduto in un periodo di brutta depressione. E un giorno, nel mezzo di una discussione in famiglia, mi sono chiuso in bagno con una bombola di gas. Non avrei fatto niente di più, era solo un gesto teatrale. All’arrivo dei carabinieri sono uscito. Ma mi hanno dato l’incapacità al 75 per cento e condannato a cinque anni per tentata strage. All’Opg di Barcellona ne ho fatti quattro, l’anno scorso mi ha tirato fuori don Pippo e ora sono qui da lui». Anche lui, come altri ospiti della Casa, lavora nel laboratorio di ceramica che il sacerdote ha avviato con l’aiuto del maestro d’arte Maurizio Calabrò.

Ospedale Psichiatrico GiudiziarioL’associazione «StopOpg», che da anni invoca la chiusura di quelli che prima del politically correct venivano chiamati senza troppi complimenti manicomi criminali, continua a raccogliere in questo senso adesioni che vanno dai sindacati a don Ciotti, imprenditori e docenti universitari: «Non è un problema di edilizia carceraria – si legge in sintesi sul loro sito – e dire che servono nuove strutture è una scusa». Numerosi artisti, come all’epoca del Cavallo Azzurro di Basaglia, si sono mobilitati ciascuno a modo proprio: con poesie come quella di Rita Filomeni, scritta apposta per questo «primo aprile della proroga», o con disegni come quello di Adamo Calabrese, illustratore di Gibran, entrambi pubblicati in questa pagina. Giuseppe, 41 anni, nella Casa di don Pippo è arrivato dall’Opg sette mesi fa: «Avevo violato una diffida, andando in un paese che mi era stato vietato in seguito a una lite in un bar. Non so perché mi hanno dato l’incapacità. Se non era per don Pippo ero ancora dentro, lo ricordo come un incubo: le feci per terra dei pazzi veri, le risse… ora faccio il guardiniere sia qui sia in città, possiamo uscire ogni giorno dalle sette di mattina alle nove di sera. Sto aspetando il mio fine-pena, ma intanto ho ricominciato a vivere».

Certo, c’è anche chi ha alle spalle reati più gravi. Come Antonio, 61 anni: «Dieci anni fa ho ucciso mia moglie, in una crisi di gelosia. Dopo diciotto mesi in carcere mi hanno mandato all’Opg, dove sono rimasto sette anni. Fino a otto uomini nella stessa cella. Ricordo soprattutto l’odore pesantissimo, le persone più agitate che venivano legate nude al letto con un buco per i bisogni che cadevano sul pavimento. Ricordo quelli che ho visto morire suicidi: chi con un sacchetto in testa, chi appeso a una sbarra». Costantino invece, 40 anni, era finito dentro dopo una lite coi carabinieri. «Soffrivo di epilessia, ero senza dimora, al processo per direttissima dissero che dovevo essere mandato in una casa di cura. Mi ritrovai in una cella dell’Opg. Dovevo starci un anno, ci sono rimasto ventisei mesi». Per vivere, prima, faceva quadri e disegni che vendeva a cinque euro l’uno. Adesso ha imparato a lavorare la ceramica.

di Paolo Foschini

Corriere della Sera, 1 Aprile 2014

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