Provenzano crepi pure al 41 bis. Così ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma


Bernardo Provenzano arrestoPer i medici il corleonese non sa più parlare, non risponde agli stimoli, ma per i giudici è ancora in grado di fare il boss. Bernardo Provenzano deve crepare al 41 bis. Così ha deciso il Tribunale di Sorveglianza di Roma nel respingere il reclamo presentato dai suoi legali.

Nel chiedere la revoca del regime di detenzione speciale, ormai oltre un anno addietro, i legali avevano allegato la relazione dei sanitari che avevano in cura Provenzano: “Grave decadimento cognitivo e sindrome ipocinetica, dovuta a sindrome estrapiramidale ed agli esiti di una devastante emorragia cerebrale, neoplasia prostatica in trattamento ormono-soppressivo”. Avevano sollecitato la trattazione dell’udienza ricevendo come risposta che le condizioni di salute del soggetto non avevano rilievo per valutare la legittimità del 41 bis.

La prima udienza di trattazione, il 20 giugno scorso, veniva rinviata al 3 ottobre, poi di nuovo al 5 dicembre. Il Tribunale aveva richiesto al San Paolo di Milano, nel reparto detentivo del quale si trova Provenzano, “informazioni più dettagliate e precise in ordine alla storia clinica, alla diagnosi, alle patologie riscontrate, con indicazione di esami clinici e strumentali effettuati e relativi esiti soprattutto in merito alle patologie neurologiche”.

E le informazioni erano arrivate: “Paziente solo a tratti contattabile, non esegue gli ordini della visita; si oppone all’apertura delle palpebre. Muove spontaneamente gli arti superiori e ruota i globi oculari in tutte le direzioni. L’eloquio è incomprensibile per afonia e disartria.

Non può eseguire ordini o fornire risposte”. Nel frattempo, il Tribunale di Milano incaricava medici specialisti perché redigessero una perizia, le cui conclusioni, depositate ai Giudici di Roma, erano del seguente tenore: “Per ciò che concerne le problematiche di natura cognitiva i periti hanno ribadito la valutazione di uno stato cognitivo gravemente ed irrimediabilmente compromesso ed annotato come il paziente, all’atto della visita peritale, “è risultato risvegliabile ma sostanzialmente non contattabile, con eloquio privo di funzione comunicativa, probabilmente confabulante, incapace di eseguire ordini semplici. Tale condizione risulta di fatto evoluta in senso peggiorativo rispetto a quanto descritto nella valutazione neuropsicologica dell’aprile 2014.

Anche la collaborazione appare oggi sostanzialmente non valutabile per l’incomprensibilità della produzione verbale”. Tutti i medici e i sanitari interpellati, ritenevano che il malato fosse del tutto incompatibile con qualunque regime carcerario ed in progressivo peggioramento.

Ma il Tribunale di Sorveglianza di Roma, dopo oltre un anno e tre rinvii istruttori ha ritenuto il detenuto ancora pericoloso. Potrebbe ancora mantenere contatti con l’organizzazione criminale! Il gravissimo e irreversibile decadimento cognitivo – attestato dai medici che lo hanno in cura e che lo hanno sottoposto a perizia – che rende l’ex boss privo di funzione comunicativa non basta. Se detenuto in condizioni di alta sicurezza, ma non più in 41 bis – sempre in un reparto di lungodegenza ospedaliera perché staccato dai macchinari che lo tengono in vita morirebbe in poche ore – potrebbe venire in contatto con un sodale

che – questo sembrano dire i giudici di sorveglianza – da un movimento dell’arcata sopracciliare potrebbe trarre un comando di mafia. Per sostenere questa incredibile tesi, il collegio di magistrati usa una relazione redatta dalla polizia penitenziaria nella quale agenti deputati al controllo del detenuto hanno affermato di avergli sentito, fino al maggio 2014, proferire alcune espressioni di senso compiuto (sebbene del tutto decontestualizzate, assi sporadiche e frammentarie e, all’evidenza, non rispondenti ad alcuna logica).

Ci si domanda come mai affermazioni del medesimo tenore non siano state fatte da alcun soggetto del personale ospedaliero e non si rinvengano nelle relazioni sanitarie. Ma il dato inquietante e decisivo è che, da allora, otto mesi e tre rinvii di udienza sono passati e nel corso di essi il quadro clinico del Provenzano è drammaticamente peggiorato.

Da molto tempo Provenzano non è un boss e non è più nemmeno un uomo se a tale concetto si correla la capacità di muoversi, di parlare, di comunicare in qualunque forma, di trasmettere emozioni. Quando il diritto muore lo Stato muore. Ogni volta che un giudice non applica la legge, che si sostituisce ad essa, la giustizia si spegne.

Non importa che a subire l’abuso sia un boss, un assassino, un pedofilo, uno stupratore. È un abuso e deve suscitare lo sdegno di chiunque si senta cittadino di un Paese che ha voluto, ha preteso, che anche la magistratura si inchini alla legge. Oggi la giustizia è morta, lo Stato di diritto è morto. In quanti lo piangono ?

Avv. Maria Brucale e Avv. Rosalba Di Gregorio

Il Garantista, 08 Gennaio 2015

Mattiello (Pd) : Sospendere 41 bis a Provenzano ? Sì, se è contro la sua dignità


Cella Detentiva 41 bis OP“Difendo la necessità del carcere duro contro i mafiosi, ma la lotta alla criminalità non si fa senza rispettare i diritti della persona”.

Il 41 bis è uno strumento fondamentale per il contrasto alla criminalità di stampo mafioso, che si fonda sul patto associativo. Con questo strumento viene impedito ai boss detenuti di continuare ad avere rapporti con il loro ambiente criminale. D’altra parte, se non ci sono più le condizioni per applicarlo con questa ratio, è meglio sospenderlo.

Le condizioni di salute di Bernardo Provenzano impongono una nuova valutazione sulla compatibilità tra detenuto e regime del 41 bis. Se è vero che le sue condizioni di salute sono tali da impedire la comunicazione con l’esterno, mantenendo per lui questo strumento, si rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Se il 41 bis venisse usato in maniera ingiustificata, si finirebbe col dare adito a quelli che lo attaccano in modo strumentale con l’intenzione di abolirlo. C’è chi parla di tortura riferendosi al 41 bis, ma io penso che la modalità di detenzione che è stata pensata nel 1992 sia adeguata al rigore necessario per questo tipo di reati.

Anche la richiesta di chiarimenti mossa dall’Europa per possibili violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata evasa, e i dubbi sono decaduti. E stata riconosciuta la specialità della condizione italiana dovuta alla criminalità mafiosa. E chi conosce la mafia lo sa bene, mentre solo chi non la conosce può mettere tra parentesi il 41 bis.

So che “Il Garantista” si pone la questione a partire dalle condizioni carcerarie dei detenuti in Italia. Ma, appunto, rispetto alla drammatica situazione del sovraffollamento nelle carceri ordinarie, non credo sarebbe un favore per i detenuti al 41 bis essere spostati negli altri istituti.

Le condizioni dei carcerati devono essere assolutamente migliorate, ma questo non ha a che vedere con la messa in discussione dell’istituto del 41 bis. Non dimentichiamoci che l’abolizione del 41 bis era il primo punto indicato nel papello che Riina aveva mandato allo Stato per trattare. I mafiosi non lo vogliono il 41 bis, per questo è importante tenerlo.

Ma invito il Ministro Orlando, che ha già dimostrato grande sensibilità, a verificare se il 41 bis venga applicato sempre correttamente, anche nel caso di Provenzano. Il carcere non deve essere mai uno strumento di vendetta, e sono convinto che l’antimafia, così come lo Stato, debba sempre partire dal rispetto della dignità e dei diritti della persona. Altrimenti non è credibile nella lotta alle mafie, strumenti di violenza e sopraffazione.

On. Davide Mattiello, Deputato Pd e già Dirigente di Libera

Il Garantista, 08 Agosto 2014

Di Gregorio : Pietà per Provenzano, è un vegetale col cuore battente


Avv. Rosalba Di GregorioParla l’avvocato del boss: “L’encefalopatia gli ha distrutto il cervello ma il tribunale di Sorveglianza non vuole revocargli il 41 bis”.

Pietà per Provenzano. Uno Stato degno di questo nome dovrebbe averla o quantomeno trovarla. Perché il boss dei boss, come ci conferma il suo avvocato, Rosalba Di Gregorio, è da tempo un “vegetale”, fermo su un letto da due anni, si nutre con un sondino nasogastrico, l’encefalopatia gli ha “distrutto” il cervello. Eppure è ancora detenuto in regime di carcere duro.

Persino l’ex pm Antonio Ingroia ha chiesto la revoca del 41bis. Il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, invece, sostiene che il boss, anche se a intermittenza, reagisce. E a proposito di Dap, al legale di Provenzano abbiamo chiesto che ne pensa dell’annuncio del premier Renzi di revocare il segreto di Stato sul cosiddetto “protocollo Farfalla”, il presunto accordo fra servizi segreti e Dap che permetteva agli 007 di “contattare” i detenuti per 41bis.

Avvocato Di Gregorio, come sta Provenzano?

“Malissimo. Se gli staccano i fili avrà sì e no 48 ore di vita. Pesa 45 chili, è alimentato artificialmente con un sondino che va dal naso non più allo stomaco, che ormai non reagisce più, ma direttamente all’intestino. Dovranno fargli la Peg (l’inserimento di un tubo dalla cavità gastrica verso l’esterno per permettergli di nutrirsi, ndr), ma col suo tipo di encefalopatia, l’anestesia potrebbe ucciderlo. Provenzano è un vegetale col cuore battente ma senza più orientamento spazio-temporale”.

Eppure il carcere duro non gli viene revocato.

“Il tribunale di Sorveglianza di Roma si comporta da Ponzio Pilato. Il primario ospedaliero del reparto San Paolo di Milano, dove Provenzano è ricoverato in regime di 41 bis, ha inviato una relazione al magistrato di Sorveglianza di Milano certificando l’incompatibilità di Provenzano con qualunque stato di detenzione. Il magistrato ha attivato il tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha nominato i periti rinviando però il tutto al 3 ottobre. Alla stessa data, pilatescamente, ha rinviato anche il tribunale di Roma competente per il 41 bis. Così Provenzano se ne resta “felicemente” al 41bis perché, dicono, in queste condizioni pare possa dare ordini e comandare Cosa Nostra. In queste condizioni potrebbe impartire la sua volontà solo a una mafia in coma come lui”.

Potrebbe rimanere in questo stato per anni?

“No, i medici dicono che le cellule celebrali si stanno distruggendo e che a un certo punto verranno meno anche quelle che comandano la respirazione e quindi il cuore. Provenzano morirà improvvisamente per arresto cardiocircolatorio dopo anni di sofferenza. Io ho esaurito tutti i mezzi che il codice mi mette a disposizione per tirarlo fuori di lì. È un momento di inciviltà dello Stato. Persino Ingroia ha chiesto la revoca del 41bis”.

A che titolo e in che veste? Come avvocato?

“Le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze hanno espresso parere favorevole alla revoca. Ma il ministro della Giustizia le ha ignorate riapplicando il 41bis. Anche la Procura nazionale antimafia ha detto “no” alla revoca. E sa perché? Perché il Dap gli ha comunicato che ad intervalli Provenzano capisce. Nella loro relazione c’è scritto che se gli chiedi “come sta”, a volte non reagisce, altre dice “bene”, quindi per loro sta bene. È anche annotato che quando l’infermiera gli chiede se vuole la tv accesa, lui risponde “mia sorella dov’è? E le preghiere?”, ma per il Dap interagisce. Per il giudice tutelare, invece, non occorre nemmeno la perizia tanto è evidente che il suo cervello è ormai compromesso”.

Ha sentito che il premier desecreterà il “protocollo Farfalla”?

“Se lo facessero veramente avremmo molto da apprendere. Parliamo di un accesso alle carceri allo scopo di dialogare coi detenuti per 41bis per acquisire informazioni senza informare la magistratura. Qual è il fine? I “contatti” di che natura erano? Che scopo aveva “contattare” i detenuti per 41bis senza che alla magistratura venisse comunicato nulla? Si tratta di un’operazione che non prevede nessun tipo di rendicontazione scritta, assolutamente “chiusa”, che “sfugge” ma che di certo è contraria alla costituzione, perché il detenuto dovrebbe rispondere solo alla magistratura di sorveglianza. Di certo, però, questo “protocollo” non è stato creato per perdere tempo”.

Nel 2012 l’allora eurodeputata dipietrista Sonia Alfano e Giuseppe Lumia, del Pd, incontrarono Provenzano in carcere.

“Quella era un’iniziativa personale che non mi pare possa rientrare nel protocollo farfalla”.

Anche il dialogo in carcere tra Riina e Alberto Lo Russo, un affiliato alla Sacra Corona Unita trasformato in “cimice umana”, ha fatto pensare al “protocollo Farfalla”.

“In questo caso allora dovremmo parlare di una “farfalla” ancora svolazzante, ma non è proprio la stessa cosa. Il vero “protocollo Farfalla” è quello esistito negli anni precedenti. Quello sì che è una cosa grave e seria, e sarà un bene fare piena luce. Magari anche su alcuni strani suicidi di detenuti mafiosi avvenuti nel corso degli anni”.

Luca Rocca

Il Tempo, 31 luglio 2014

Caso Provenzano, Bernardini (Radicali): Ennesimo trattamento disumano nelle nostre Carceri


Rita Bernardini, Segretaria Nazionale RadicaliVecchio, gravemente malato, tenuto in vita da macchine e sondini, incapace di intendere e di volere, ma nonostante ciò considerato ancora un terribile pericolo pubblico. E’ questa la storia della fine di Bernardo Provenzano, ex storico boss di Cosa Nostra, mantenuto in regime di carcere duro (41-bis) malgrado le sue gravissime condizioni di salute. Una vicenda avvolta dal classico silenzio dei media, che rivela l’ennesimo caso di trattamento disumano perpetrato nelle carceri italiane e, con esso, l’inarrestabile violazione dei principi dello Stato di diritto.

Dopo aver trascorso un lungo periodo nel carcere di Parma (dove, nel 2012, ha anche tentato il suicidio), il “capo dei capi”, oggi 81enne e affetto da patologie neurologiche, è stato trasferito l’8 aprile scorso nel carcere milanese di Opera, per poi essere ricoverato nel reparto detenuti dell’ospedale San Paolo. Qui i medici non hanno potuto far altro che constatare le precarie condizioni di salute dell’ex padrino corleonese.

Nel certificato inviato dai medici al gup di Palermo (davanti al quale pende il procedimento in cui il boss è imputato per la trattativa Stato-mafia) e al Tribunale di Sorveglianza di Roma (competente su tutto il territorio nazionale sulle istanze di revoca del carcere duro), si parla infatti di “stato clinico del paziente gravemente deteriorato e in progressivo peggioramento“, nonché di “stato cognitivo irrimediabilmente compromesso”, per poi concludere ribadendo l'”incompatibilità con il sistema carcerario” del detenuto Provenzano.

Parole molto chiare, quelle dei medici milanesi, che fanno tornare alla mente la discutibile decisione con la quale, appena tre mesi fa, il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha negato la sospensione del carcere duro chiesta dagli avvocati di Provenzano e soprattutto avallata da ben tre diverse procure (Palermo, Caltanissetta, Firenze). Nonostante l’ex boss siciliano sia ormai incapace di comunicare con l’esterno, infatti, secondo il Guardasigilli egli continuerebbe a rappresentare un soggetto “pericoloso”.

A richiamare l’attenzione sulle gravi condizioni di salute di Provenzano era stato, nelle settimane scorse, il figlio Angelo, che, dalle pagine de Il Garantista, aveva raccontato il suo ultimo incontro con il padre (“Lo chiamo tante volte, ma non riesco neppure ad attrarre il suo sguardo, perché guarda il soffitto. Se lo portiamo fuori dall’ospedale può vivere 48 ore”) e denunciato l’assurda situazione che lo costringe a non poter svolgere il compito di amministratore di sostegno affidatogli dai giudici tutelari di Milano: “Le mie nuove funzioni (compresa la richiesta di cartella clinica) non potrò esercitarle, se non con il consenso del Ministero”.

Ora, di fronte alle proteste del figlio e all’aggravarsi delle condizioni di Provenzano, l’ultima beffa: “Sebbene sia ridotto al lumicino − denuncia Rita Bernardini, segretaria di Radicali Italiani −, il tribunale di sorveglianza di Roma ha rimandato la decisione sulla revoca del 41-bis al 3 ottobre, abbondantemente superate le ferie estive”.

Anche il principio del rispetto della dignità umana (già costantemente screditato), insomma, va in vacanza: “Abbiamo istituzioni − nota Bernardini − che, quanto al rispetto di diritti umani fondamentali, si pongono allo stesso livello di criminalità di coloro che affermano di voler combattere”.

Ermes Antonucci

Agenzia Radicale, 08 Luglio 2014

Provenzano resta in 41 bis. Se ad ottobre sarà ancora vivo il Tribunale di Sorveglianza di Roma deciderà se revocargli il carcere duro


Perché Ponzio Pilato è, nell’immaginario collettivo, sinonimo di viltà ?

Perché è, rappresenta il potere, gli viene chiesto di decidere, di scegliere e si lava le mani. Lascia al popolo le sua responsabilità, se ne scarica e sa che il popolo deciderà morte.

Si è celebrata il 20 giugno 2014 avanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, l’udienza per stabilire se Bernardo Provenzano dovesse restare in 41 bis, regime carcerario differenziato. La difesa chiedeva, con l’avallo delle Procure DDA di Palermo, Caltanissetta e Firenze che, alla luce delle numerose perizie in atti che ne certificavano le drammatiche condizioni di salute, uno stato cognitivo gravemente ed irrimediabilmente decaduto nonché l’incapacità di comunicare con l’esterno, venisse revocato il 41 bis nei confronti del Provenzano. L’odioso regime di carcerazione, infatti, si traduceva, nella specie, soltanto in una tortura vindice che colpiva gli stretti congiunti del malato ormai moribondo, privati della pietosa possibilità di fargli una carezza. Intanto a Milano, su impulso del Magistrato di Sorveglianza, si era discusso se sospendere la carcerazione del Provenzano, proprio in virtù del quadro clinico ormai disperato. I Giudici Milanesi avevano disposto una ulteriore perizia e fissato al 03 ottobre l’udienza di trattazione per decidere, facendo salva una eventuale anticipazione ove necessitata dal precipitare della situazione sanitaria del detenuto.

Dopo due settimane di attesa, anche il Tribunale di Sorveglianza di Roma decideva pedissequamente un rinvio della questione 41 bis, al 03 ottobre. Quando si dice le coincidenze!

“Il Tribunale, ritenuta la necessità ai fini del decidere, vista la relazione dell’Azienda Ospedaliera San Paolo in data 11.06.2014 – scrive a Roma il giudice relatore nel provvedimento di rinvio – dispone l’acquisizione di informazioni più dettagliate e precise in ordine alla storia clinica, alla diagnosi, alle patologie riscontrate, con indicazione di esami clinici e strumentali effettuati e relativi esiti soprattutto in merito alle patologie neurologiche”. Un rinvio a quattro mesi di distanza che non ha giustificazione alcuna. Le informazioni richieste sono in possesso del carcere e potevano essere inviate in giornata, anche in corso di udienza. Aspettare la decisione di Milano. Questo è il senso palese. Ma cosa diceva la relazione del San Paolo richiamata? “Paziente in stato clinico gravemente deteriorato ed in progressivo peggioramento, allettato, totalmente dipendente per ogni atto della vita quotidiana. Stato cognitivo gravemente ed irrimediabilmente compromesso, portatore di pluripatologie cronicizzate, di catetere vescicale a permanenza, alimentazione spontanea impossibile se non attraverso catetere venoso centrale, sondino naso gastrico, evacuazione dell’alvo difficoltosa, mantenuta con clisteri quotidiani e, occasionalmente con svuotamento manuale delle feci. Si ritiene il paziente incompatibile con il regime carcerario. L’assistenza sanitaria di cui necessità sarebbe erogabile solo in ambiente sanitario di lungodegenza”.

Questa era la relazione. Di che altri accertamenti, esami e verifiche avevano bisogno per affermare che Bernardo Provenzano non è più un boss? Che non è forse nemmeno più un uomo se non ha impeti, volontà, azioni, linguaggio? Ancora almeno altri quattro mesi di 41 bis, dunque. Altri quattro mesi in cui i figli guarderanno il loro caro nel silenzio, per pochi minuti, attraverso un vetro divisore. Lo vedranno immobile, sofferente, con lo sguardo perso e spento e non potranno toccarlo.

Ponzio Pilato si lava le mani e lo sa che il popolo sceglie morte.

Avv. Maria Brucale e Avv. Rosalba Di Gregorio

difensori di Bernardo Provenzano

Il Garantista, 08 Luglio 2014

Bernardo Provenzano in fin di vita. I Radicali chiedono la revoca del 41 bis


Bernardo Provenzano arrestoBernardo Provenzano sta veramente molto male. E se perfino tre Procure della repubblica, quelle di Caltanissetta, Firenze e Palermo, hanno ritenuto si possa revocargli il regime carcerario duro (il 41/bis), io non capisco perchè la politica sia di parere opposto». Rita Bernardini, segretario di Radicali italiani, sta combattendo l’ennesima, solitaria e difficile battaglia di legalità per il più odiato fra i detenuti italiani. Lodevole battaglia, perché diritti e garanzie non sono divisibili, opinabili, differenziabili tra soggetti e soggetti. Eppure il ministero della Giustizia ha finora sempre confermato il regime duro per Provenzano: soprattutto imponendo limiti invalicabili ai colloqui con i suoi familiari.

Il boss mafioso, 81 anni trascorsi per metà in latitanza, condannato a tre ergastoli e in carcere dal 2006, nel 2012 ha tentato il suicidio. Da allora le sue condizioni di salute si sono continuamente e gravemente deteriorate (per questo è da mesi ricoverato nell’ospedale San Paolo di Milano) ed è ormai totalmente inebetito. Del resto, mesi fa Provenzano è stato perfino dichiarato incapace d’intendere e di volere dal tribunale di Palermo, che per questo ha stabilito dovesse essere sospeso il suo stato di imputato nel processo sulla cosiddetta «trattativa tra Stato e mafia», vista la sua impossibilità di partecipare alle udienze.

Ma oggi il boss è praticamente in fin di vita. Anche per questo, da una settimana, Rita Bernardini è in sciopero della fame. La segretaria radicale protesta anche contro l’ultima decisione del ministero della Giustizia. Il 27 marzo il ministro Andrea Orlando aveva negato la sospensione del carcere duro chiesta dall’avvocato del condannato, Rosalba Di Gregorio: «Risulta conclamata oggettivamente la pericolosità del detenuto» aveva scritto allora il Guardasigilli «quale capo indiscusso di Cosa nostra». Eppure la stessa Procura di Palermo aveva segnalato che, pur se effettivamente permane immutata la pericolosità di Provenzano, questi «non è in grado di comunicare compiutamente con l’esterno» a causa delle «condizioni di salute deteriorate».

Oggi pomeriggio si è poi appreso che saranno due medici legali di Milano e un criminologo(chissà perché un criminologo?) a dovere accertare se il boss debba o meno restare in carcere. Il tribunale di sorveglianza di Milano, competente territorialmente in quanto il capomafia ospedalizzato a Milano è formalmente detenuto a Opera, ha nominato i tre periti per verificare le condizioni del padrino di Corleone e se sia possibile un’eventuale sospensione dell’esecuzione delle pene che questi deve scontare.

A indurre i magistrati a valutare una possibile scarcerazione del boss è stato il certificato medico redatto dal responsabile del reparto Medicina 5 dell’ospedale San Paolo (Provenzano è ricoverato nel reparto detenuti del nosocomio milanese). Nel certificato il medico parla di “stato clinico del paziente gravemente deteriorato e in progressivo peggioramento”, di “stato cognitivo irrimediabilmente compromesso” e di “incompatibilita’ con il sistema carcerario”. Il parere del medico è stato inviato anche al Tribunale di sorveglianza che ha fissato un’udienza per l’eventuale differimento della pena.

Il problema è che i periti dovranno pronunciarsi entro il 3 ottobre. E non si capisce perché debbano servire addirittura tre mesi per la pronuncia: «Ma chissà se Provenzano sarà ancora vivo il 3 ottobre», chiosa con una nota di pessimismo l’avvocato Di Gregorio. E aggiunge: «Questa decisione mi sa tanto di rinvio, nella speranza che il condannato tolga il disturbo da solo».

Dichiarazione di Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani:

Con il sostegno di Marco Pannella e di almeno 150 cittadini, questo è per me il settimo giorno di sciopero della fame finalizzato ad interrompere la tragedia delle morti in carcere e la mancanza di cure che riguardano anche reclusi incompatibili con il regime di detenzione carceraria. Fra queste migliaia di casi è incluso anche il caso dell’ottantenne boss di cosa nostra Bernardo Provenzano che si trova ristretto in regime di carcere duro (41-bis) pur essendo incapace di intendere e di volere e con patologie gravissime. Sebbene sia ridotto al lumicino, leggo che il tribunale di sorveglianza di Roma ha rimandato la decisione sulla revoca del 41-bis al 3 ottobre, abbondantemente superate le ferie estive. In questo modo, una parte della magistratura e lo stesso ministero della giustizia, si contrappongono al giudizio di tre procure della repubblica (Palermo, Caltanissetta e Firenze) che si sono invece pronunciate per la cancellazione del “carcere duro” per Provenzano. Ma non solo. Abbiamo istituzioni che, quanto al rispetto di diritti umani fondamentali, si pongono allo stesso livello di criminalità di coloro che affermano di voler combattere.

Maurizio Tortorella

Panorama, 04 Luglio 2014

Teramo: si toglie la vita in carcere 50enne originaria della Bulgaria arrestata per un furto


Carcere mezzi Polizia PenitenziariaUna 50enne bulgara era a Castrogno da un mese in attesa di giudizio. Ma non ha sopportato la detenzione e si è impiccata alle sbarre della cella.

Era stata arrestata un mese all’Aquila per un furto ed era stata rinchiusa nel carcere teramano di Castrogno in attesa di giudizio. Ma non ce l’ha fatta a sopportare la detenzione e si è impiccata alle sbarre della sua cella. Una donna di 50 anni, Stoycheva Slavska, di nazionalità bulgara, si è tolta la vita ieri pomeriggio e non è stato possibile soccorrerla.

Quando una compagna di cella ha visto il corpo penzoloni la cinquantenne era già morta. Nella sezione femminile del carcere teramano per regolamento le celle restano aperte dalle 9 del mattino fino al pomeriggio e le detenute possono circolare liberamente all’interno della sezione i cui ingressi ovviamente restano chiusi.

Nessuno si è accorto di niente, anche perché le agenti della polizia penitenziaria addette alla sezione, dove ci sono attualmente quaranta detenute, sono in numero ridotto, la metà dell’organico previsto. Secondo il sindacato della polizia penitenziaria Sappe, nel carcere di Teramo il problema attualmente non è tanto il sovraffollamento dei detenuti – che pure si è verificato nei mesi scorsi – quanto la carenza di personale, circostanza che rende particolarmente gravoso il lavoro degli agenti.

Il sindacato fa inoltre sapere che in questo mese di detenzione il comportamento della cinquantenne bulgara era stato del tutto tranquillo e niente faceva presagire che potesse arrivare al suicidio. Il segretario nazionale del Sappe Donato Capece, dopo aver ricordato che “negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 16mila tentati suicidi ed impedito che quasi 113mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”, sottolinea i problemi del carcere di Teramo: “Manca il personale di Polizia penitenziaria e ogni giorno c’è una nuova criticità.

Stamane, ad esempio, è stato accertato un caso di tubercolosi e questo è sintomo di preoccupazione. Il nostro organico è sotto di 7mila unità. La spending review e la legge di stabilità hanno cancellato le assunzioni, nonostante l’età media dei poliziotti si aggira sui 37 anni. Altissima, considerato il lavoro usurante che svolgiamo”.

Nel carcere di Castrogno ci sono stati diversi tentativi di suicidio nei mesi scorsi, tutti sventati dagli agenti. L’ultimo caso riguarda Luca Varani, l’uomo che sfregiò con l’acido l’ex fidanzata Lucia Annibali, divenuta suo malgrado un simbolo della lotta alla violenza sulle donne. Varani il mese scorso ha tento di impiccarsi ed è stato salvato dagli agenti. Pochi giorni fa è stato trasferito a Milano.

di Edoardo Amato

Il Centro, 21 giugno 2014

Provenzano è in gravissime condizioni di salute. Chiesta la revoca del 41 bis


Tribunale1Ieri mattina i legali di Bernardo Provenzano, Rosalba Di Gregorio e Maria Brucale, hanno reiterato la richiesta di revoca del 41 bis per il loro assistito davanti al Tribunale di Sorveglianza di Roma, competente su tutto il territorio nazionale sulle istanze di revoca del carcere duro.

Ribadendo le gravissime condizioni di salute del boss, i legali hanno anche depositato la decisione del Giudice tutelare del Tribunale di Milano Delia Scirè che ha nominato il figlio di Provenzano, Angelo, “amministratore di sostegno del padre”. Per i legali, questo atto ne certifica l’incapacità. La Procura generale, facendo riferimento ad alcune relazioni del Dap, ha invece sostenuto che il detenuto ha dei momenti, seppur rari, di lucidità.

Il Tribunale di Sorveglianza si è riservato di decidere. Attualmente, l’ex boss di Cosa Nostra è detenuto col regime del 41 bis nella struttura ospedaliera “San Paolo” di Milano dopo un lungo periodo trascorso nella Casa Circondariale di Parma.

 

Ferrulli morì durante l’arresto. Il Pm chiede 7 anni di carcere per i Poliziotti


Michele FerrulliMichele Ferrulli morì nell’estate 2011 per arresto cardiaco: “Subì violenza gratuita e non giustificabile, picchiato quando era già immobilizzato a terra”.

Il pm di Milano Gaetano Ruta ha chiesto una condanna a 7 anni di reclusione per i 4 poliziotti che il 30 giugno 2011 fermarono a Milano il 51enne Michele Ferrulli, morto per arresto cardiaco durante l’intervento delle forze dell’ordine. Gli agenti, che intervennero in via Varsavia dopo una segnalazione per schiamazzi in strada, sono imputati per omicidio preterintenzionale e falso in atto pubblico. Il pm, durante le requisitoria ha sostenuto che Ferrulli “ha subito una violenza gratuita non giustificabile”.

Il pm ha escluso che i poliziotti “volessero uccidere Ferrulli, come testimonia anche l’apprensione con cui hanno chiamato la centrale operativa quando si sono accorti delle condizioni” del manovale che di lì a poco sarebbe morto in seguito “a un attacco ipertensivo, che ha causato un arresto cardiocircolatorio seguito da edema polmonare, anche perché il cuore di Ferrulli, di 700 grammi, era troppo piccolo rispetto alla mole del suo corpo, che pesava 147 chilogrammi”.

Secondo il rappresentante della pubblica accusa, i quattro agenti erano in grado di comprendere che agire in quel modo avrebbe potuto provocare la morte di Ferrulli. Per dimostrarlo, il pm ha ricordato il “sonoro delle donne rom che, davanti alla scena dell’ammanettamento, dicono: “Così gli viene un infarto e muore”.

Non c’è bisogno di emeriti studiosi – ha detto il pm – per capire che se butto per terra una persona e infierisco su di lei le posso fare molto male e gli può venire un infarto. È una conseguenza che le persone che stavano lì intorno avevano previsto. “Lasciatelo, gli fate male”, dice il suo amico che viene preso e portato via in un’auto della polizia. Non ci vuole Pico della Mirandola per dire che se si mette una persona a terra e lo si picchia può morire”.

Dal dibattimento è emerso che gli agenti hanno percosso “ripetutamente il signor Ferrulli in diverse parti del corpo, pur essendo in evidente superiorità numerica e hanno continuato a colpirlo probabilmente con l’uso di manganelli, come testimoniato da due amici della vittima e come evince il mio consulente tecnico incaricato di analizzare il video dell’aggressione, quando era immobilizzato a terra, in posizione prona, non era in grado di reagire e invocava aiuto”. Ruta ha comunque chiesto per i poliziotti il minimo della pena previsto da questo reato e la concessione delle attenuanti generiche, “perché il fatto in sé è grave, ma va pur detto che si iscrive in una attività di servizio eseguita malissimo dagli imputati, che però sono persone che non hanno mai dato ragioni di critica o censura e dal punto di vista della correttezza processuale sono sempre stati presenti e hanno avuto un comportamento composto”.

I poliziotti sono poi accusati di aver falsificato l’annotazione redatta il giorno successivo sull’accaduto, dichiarando falsamente che dopo aver bloccato il 51enne “una successiva e inevitabile perdita di equilibrio di tutto il gruppetto faceva sì che il Ferrulli e tutti gli agenti intervenuti cadessero rovinosamente a terra, frangente che permetteva, grazie all’utilizzo di un terzo paio di manette, di bloccare definitivamente la sua resistenza. Poiché la precedente caduta aveva costretto il Ferrulli, prono a terra, si cercava, ormai assicurato, di riportarlo in una posizione a lui più comoda per avvicinarlo alla vettura di servizio, ma proprio in tale occasione il Ferrulli riferiva di sentirsi male, lamentando un forte dolore al petto”. Secondo Ruta sono “circostanze false, poiché i poliziotti, nel mentre il Ferrulli si trovava a terra in posizione prona, era immobilizzato e invocava aiuto, lo colpivano ripetutamente anche con l’uso di corpi contundenti”.

“Non ci sentiamo più soli, ora sappiamo che lo Stato è dalla nostra parte”, è stato il commento di Domenica Ferrulli, figlia della vittima. “È un processo difficile e doloroso – ha proseguito – la nostra speranza è che gli agenti vengano condannati e non indossino più la divisa, per rispetto di mio padre e anche di chi la indossa onestamente”.

Corriere della Sera, 4 giugno 2014

Si impiccò a San Vittore: “Psichiatra e Psicologa non fecero nulla per impedire quel suicidio” Per il Pm vanno condannate


Casa Circondariale San Vittore Milano

«Non fecero nulla per impedire quel suicidio in cellaPsichiatra e psicologa di San Vittore vanno condannate per omicidio colposo». Un anno e quattro mesi di pena ha chiesto ieri il pm Silvia Perrucci al termine della sua requisitoria per M.M. e R.D.S., le due professioniste che nell’estate del 2009 erano in servizio nel carcere di piazza Filangieri. Secondo l’accusa, non si sarebbero rese conto che Luca Campanale, 28 anni, in cella per uno scippo, era un soggetto ad alto rischio. E così avrebbero colposamente omesso i controlli dovuti, lasciando il giovane al suo destino di morte.

Il suicidio del ragazzo risale al 12 agosto di cinque anni fa. Luca era stato appena trasferito a San Vittore dal penitenziario di Pavia, e la sua cartella clinica segnalava un «ben evidente quadro psicotico persecutorio» con nove atti di autolesionismo o tentativi di suicidio in quattro mesi. Avrebbe dovuto dunque essere mantenuto nel reparto ad alto rischio con sorveglianza a vista, ma forse a causa del sovraffollamento venne inviato quasi subito in un reparto a rischio medio. Fra l’altro, stando dietro le sbarre il suo stato di salute mentale peggiorava visibilmente, mentre la psichiatra di San Vittore decideva di alleggerire la cura farmacologica prescritta a Pavia. Da mesi chi lo assisteva aveva sollevato la questione con la direzione sanitaria della struttura.

Ma nemmeno l’istanza urgente depositata in giugno dal suo legale alla corte d’appello, con la quale si chiedeva «l’immediato ricovero presso idonea struttura sanitaria», aveva avuto ascolto. Altri 19 giorni e Luca venne trovato impiccato nel bagno della sua cella, attaccato con le lenzuola alle sbarre della finestrella. Non era solo nella stanza, il ragazzo. Con lui tre compagni, tutti però con problemi psichici di vario tipo. Nonostante la storia che aveva alle spalle e tutta la documentazione prodotta dal suo avvocato, secondo l’accusa psichiatra e psicologa non presero sul serio il rischio che il giovane si togliesse la vita. «Pretenzioso ed immaturo», lo descrisse il medico nella sua nota del 4 agosto. Otto giorni dopo, Campanale si era ucciso.

«L’ultima volta che lo vidi – raccontò suo padre Michele al nostro giornale – fu poche ore prima che si uccidesse. “Stasera vengo a casa, papà”, poi abbracciò me e mia moglie che non capivamo. Alle tre e mezzo di notte ci telefonò il cappellano del carcere: “Luca non è più tra noi”». Il ragazzo non avrebbe dovuto trovarsi in galera, ma in una clinica. «E’ stata una morte annunciata», ha sempre detto Campanale. «Da quando ebbe un grave incidente stradale, a 17 anni, Luca non è stato più lo stesso. Subì una lesione cranica, rimase in coma e poi sulla sedia a rotelle, i medici ci dissero che non sarebbe tornato come prima. Da allora, e per 12 anni, io e sua madre ci trovammo a cozzare contro la legge Basaglia, che pretende sia il malato a scegliere di farsi curare».

La psichiatra e la psicologa di San Vittore, ieri per bocca dei loro avvocati difensori, hanno ripetuto di aver fatto tutto il possibile con quello strano detenuto. «In certi casi – ha detto uno dei legali – il rischio di suicidio si può contenere ma non neutralizzare». E’ stata, in pillole, anche la tesi difensiva del ministero della Giustizia, citato in causa come responsabile civile.

Milano, 28 marzo 2014 – di Mario Consani, Giornalista de “Il Giorno.it”