Cosenza, 8 Parlamentari interrogano il Governo Gentiloni. L’Asp non garantisce le cure ai detenuti


La Casa Circondariale di Cosenza “Sergio Cosmai” finisce in Parlamento per colpa della condotta omissiva tenuta dai vertici dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza. Era stata una visita dei Radicali Italiani, guidati da Emilio Enzo Quintieri, a riscontrare la grave situazione esistente nell’Istituto Penitenziario, all’esito di una visita effettuata all’interno dello stesso, autorizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Nei giorni scorsi, il Governo Gentiloni, è stato ufficialmente investito della questione, grazie a delle Interrogazioni a risposta scritta presentate alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica da parte degli Onorevoli Serenella Fucksia, Ivana Simeoni, Laura Bignami (Senatori del Gruppo Misto) e Peppe De Cristofaro (Senatore del Gruppo di Sinistra Italiana), Michela Rostan, Carlo Galli, Giovanna Martelli e Davide Zoggia (Deputati del Gruppo Articolo 1, Movimento Democratico e Progressista). Gli atti di sindacato ispettivo sono stati presentati, a Palazzo Madama il 19 aprile durante la 808 seduta (Interrogazione n. 4/07380 a prima firma della Senatrice Fucskia) ed il 20 aprile durante la 811 seduta (Interrogazione n. 4/07403 a prima firma del Senatore De Cristofaro) ed a Palazzo Montecitorio il 20 aprile durante la 782 seduta (Interrogazione n. 4/16369 a prima firma della Deputata Michela Rostan). Tutte le Interrogazioni sono state rivolte ai Ministri della Giustizia e della Salute On. Andrea Orlando e On. Beatrice Lorenzin.

Gli otto Parlamentari, dopo aver illustrato che nella Casa Circondariale di Cosenza, a fronte di una capienza regolamentare di 218 posti, sono ristretti 272 detenuti, 50 dei quali stranieri e 57 con patologie psichiatriche, hanno pesantemente stigmatizzato l’operato dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, per l’inadeguato servizio di assistenza sanitaria specialistica di tipo psichiatrico organizzato nell’Istituto e per la condotta omissiva mantenuta nonostante le reiterate sollecitazioni, tutte rimaste inevase, avanzate dal Direttore dell’Istituto Filiberto Benevento, dal Dirigente del Servizio Sanitario Penitenziario Francesco Strazzulli, dal Provveditore Regionale Reggente dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria Rosario Tortorella, dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Paola Lucente, dal Segretario Provinciale del Sindacato Unitario dei Medici Ambulatoriali Italiani Francesco Lanzone e dal Responsabile Provinciale dell’ex Medicina Penitenziaria del medesimo Sindacato Francesco De Marco. Ed infatti a causa della cattiva organizzazione del servizio di psichiatria intramurario che ultimamente prevede solo 6 ore alla settimana, affidate anche a 5 specialisti diversi, vi è stato un crollo verticale di qualsiasi forma di prevenzione, l’inattuabilità di una effettiva presa in carico dei pazienti, la mancanza di continuità terapeutica, il mancato funzionamento dello staff multidisciplinare, nel cui ambito lo psichiatra è elemento decisivo, ed il potenziale innalzamento del livello di rischio suicidario e auto/etero aggressivo. Inoltre, tale problematica, oltre a comportare un aggravio dello stato di sofferenza dei detenuti bisognosi di cure, ha acuito maggiormente le loro problematiche tanto da creare uno stato di tensione che ha reso critico il mantenimento dell’ordine e della sicurezza intramuraria. Per questo motivo, il Comandante del Reparto di Polizia Penitenziaria, il Commissario Davide Pietro Romano, aveva finanche proposto lo sfollamento dell’Istituto per i detenuti con problematiche psichiatriche perché non erano gestibili appunto per carenza di psichiatra.

La riduzione del servizio di psichiatria da 30 a 6 ore settimanali e la mancata nomina in pianta stabile di uno o al massimo due specialisti, ha provocato, nei casi più gravi, il ricorso alle strutture sanitarie esterne con tempi di attesa non compatibili con le necessità del disagio psichico nella detenzione, comportando anche gravi ripercussioni per la sicurezza dovute alle traduzioni che devono essere effettuate per l’accompagnamento dei detenuti con enorme dispendio di risorse umane e finanziarie. La Direzione Generale dell’Asp di Cosenza, in numerose occasioni e sistematicamente, è stata invitata a riassegnare all’Istituto 30 ore settimanali per la branca di psichiatria ed a nominare uno o al massimo due professionisti in modo da garantire la gestione dei casi nel rispetto delle esigenze di continuità dell’assistenza sanitaria, attesa la rilevanza che la cura della salute mentale assume negli Istituti Penitenziari, in relazione alla necessità di ridurre il rischio di suicidio e prevenire gesti auto ed etero aggressivi da parte dei detenuti con problematiche psichiatriche. Ma, nonostante gli impegni, anche formalmente assunti, non ha mai provveduto a risolvere la situazione assicurando sia l’integrazione delle ore di psichiatria e sia la nomina degli specialisti, come richiesto.

Pertanto, i Senatori Fucskia, Simeoni, Bignami e De Cristofaro hanno chiesto ai Ministri della Giustizia e della Salute di sapere se siano a conoscenza dei fatti descritti e se questi corrispondano al vero, come ed entro quali tempi intendano adoperarsi, affinché alla popolazione ristretta nella Casa Circondariale di Cosenza venga finalmente reso effettivo il godimento del diritto fondamentale alla tutela della salute, al pari dei cittadini in stato di libertà, come previsto dalla normativa vigente in materia, anche al fine di eliminare tutte quelle situazioni di disagio che determinano gli “eventi critici” e se non ritengano doveroso verificare, con urgenza, anche attraverso un’ispezione ministeriale, le reali condizioni di salute delle persone detenute nella Casa Circondariale di Cosenza e se siano riscontrabili delle omissioni nella condotta tenuta dai dirigenti dell’Azienda Sanitaria Provinciale, ed eventualmente procedere nei confronti dei responsabili per quanto di competenza. Richieste, più o meno, simili quelle avanzate dai Deputati Rostan, Carlo Galli, Martelli e Zoggia che hanno chiesto al Ministro della Giustizia Orlando ed al Ministro della Salute Lorenzin, di conoscere di quali notizie dispongano in ordine ai fatti riferiti, quali iniziative intendano intraprendere affinché ai detenuti venga assicurato il godimento al diritto alla tutela della salute, al pari dei cittadini liberi, come prevede il Decreto Legislativo n. 230/1999 di riordino della Medicina Penitenziaria ed infine, se non ritengano doveroso verificare eventuali omissioni nella condotta tenuta dall’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza e, in caso affermativo, se non ritengano opportuno procedere nei confronti dei responsabili. La risposta agli otto membri del Parlamento, previa istruttoria da parte delle competenti articolazioni dei Dicasteri della Giustizia e dalla Salute, sarà fornita dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando.

Interrogazione 4-07380 – Senato della Repubblica (clicca per leggere)

Interrogazione 4-16369 – Camera dei Deputati (clicca per leggere)

Interrogazione 4-07403 – Senato della Repubblica (clicca per leggere)

Cosenza, Sulla morte del detenuto Tavola, interrogati gli Agenti Penitenziari


 

Aldo TavolaLe condizioni di salute di Aldo Tavola sono state al centro della nuova udienza di oggi nell’ambito del processo sulla morte del detenuto deceduto il 26 giugno del 2012 nell’ospedale bruzio. Il tribunale di Cosenza ha acquisito i verbali delle guardie penitenziarie nel corso dell’udienza che si è svolta questa mattina nell’aula 5. L’uomo era stato trasferito nel nosocomio il 22 giugno per problemi neurologici.

Nel processo sono imputati Francesco Montilli, responsabile dell’area sanitaria del carcere di Castrovillari, e i medici dell’Annunziata Furio Stancati, Angela Gallo, Domenico Scornaienghi, Ermanno Pisani, Carmen Gaudiano e Antonio Grossi. Tavola che era stato ricoverato per problemi neurologici e lamentava – emerge dalle denunce dei familiari – dolori alle gambe, è deceduto però per shock emorragico causato da un’ulcera perforante.

Per l’accusa, i medici e il responsabile sanitario del carcere avrebbero sottovalutato la patologia lamentata dal paziente e riscontrata da alcuni esami endoscopici.
In particolare, il giudice monocratico del foro bruzio ha deciso di acquisire i verbali delle guardie che hanno svolto il servizio di piantonamento quando Tavola era detenuto. Solo due degli agenti sono stati sentiti, oggi, per ulteriori approfondimenti: Alfredo Ponterio e Giuseppe Brusco.

I due hanno riferito delle condizioni di salute del paziente: Tavola si lamentava per i dolori, ma i medici in servizio sono arrivati sempre a visitarlo. Il processo è stato rinviato al prossimo 23 giugno quando sarà sentito il direttore facente funzioni del reparto di Neurologia dell’Annunziata, Alfredo Petrone, e i consulenti della Procura, i medici legali Silvio Cavalcanti e Vannio Vercillo. Per quella data il giudice ha disposto, anche, l’acquisizione dei registri di accesso alle celle custoditi dalle guardie penitenziarie. Nel collegio difensivo, tra gli altri, anche l’avvocato Franz Caruso.

Mirella Molinaro

Corriere della Calabria, 07 Aprile 2015

L’orrore è finito, oggi chiudono per sempre i Manicomi Criminali italiani


opgOggi, 31 marzo 2015 chiudono i 6 manicomi criminali italiani, luoghi che hanno lacerato le vite psichiche e fisiche di migliaia di persone.

“Estremo orrore”, li ha definiti Giorgio Napolitano e la giornata in cui gli Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari) chiudono, arriva dopo anni di sentenze della Corte Costituzionale, dopo battaglie civili e dopo le denunce di giuristi, intellettuali, associazioni, gente comune e artisti. Anni durante i quali gli internati hanno continuato a morire, a soffrire, a perdere la loro dignità di cittadini, di esseri umani.

Amnesty International e l’Associazione Antigone, così come altre numerosissime associazioni della società civile, come il Comitato stop Opg, partiti politici e parlamentari denunciano da anni la barbarie rappresentata dall’esistenza stessa degli Opg. Tutti aspettavano questo momento affinché vengano finalmente offerti spazi e tempi migliori ai detenuti.

La vergogna della follia. “Perché la cultura occidentale ha affermato con chiarezza, a partire dal XIX secolo, ma anche già dall’età classica, che la follia era la verità denudata dell’uomo, e tuttavia l’ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata?”: questo chiede il filosofo Michel Foucault nella sua celebre Storia della Follia nell’età classica (1961). Spazio neutralizzato, annullato e pallido: ecco cosa sono stati gli Opg.

L’inciviltà degli Opg. L’idea di internare detenuti pazzi e pericolosi (non sono sinonimi) negli Opg, nasce con il Codice Penale fascista del 1930. Ma chiudere degli esseri umani in gabbie (per quanti crimini efferati possano aver commesso) e buttarne le chiavi, non è un’idea lungimirante. Eppure è stato fatto, secondo la legge di questo Stato, nei 6 Opg italiani: Montelupo Fiorentino; Aversa, provincia di Caserta; Napoli; Reggio Emilia; Barcellona Pozzo di Gotto; Messina, Castiglione delle Stiviere, provincia di Mantova, l’unico ad avere anche un reparto femminile.

Poi, nel 1978, mentre la cultura psichiatrica (e non solo quella) si andavano evolvendo, la legge Basaglia sanciva la chiusura dei manicomi, che per molti anni a venire, purtroppo, fu solo teorica. Ma gli Opg restavano tali e quali. Nel 1982, una sentenza della Corte Costituzionale stabilì che la pericolosità sociale non può essere definita come attributo naturale di una persona e di quella malattia. Deve avere, piuttosto, opportunità di cure e di emancipazione.

Ma gli Opg restavano tali e quali. Nel 2003 e nel 2004, altre 2 sentenze della Corte Costituzionale hanno dichiarato incostituzionale la non applicazione di misure alternative all’internamento in Opg, per “assicurare adeguate cure all’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale”. Ma gli Opg restano tali e quali.

Il risveglio dello Stato. Nel 2008 il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa visita un Opg. Dopo aver letto il rapporto del comitato, il governo italiano è costretto a giustificarsi: “La legge non prevede un limite per l’esecuzione delle misure di sicurezza temporanee”. Nel 2010, però, la commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale effettua ripetuti sopralluoghi a sorpresa nei 6 Opg. “Le modalità di attuazione osservate negli Opg lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona”.

Dopo di che, i senatori di tutti i partiti politici approvano all’unanimità risoluzioni per la chiusura degli Opg, in vista di sostituirli con strutture interamente sanitarie. A luglio del 2011 la Commissione dispone la chiusura di alcuni reparti degli Opg di Montelupo Fiorentino e di Barcellona Pozzo di Gotto. A gennaio 2012 in Senato si discute il decreto ribattezzato “svuota carceri”. La legge del 14 febbraio 2012 dichiara che “A decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di sicurezza del ricovero in Opg sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie”. Poi. la prima proroga: 31 marzo 2013, poi la seconda: 31 marzo 2014. Oggi, la fine.

Lo stato delle cose degli Opg. È trascorso quasi un secolo dall’apertura degli Opg in Italia. Sono morti o hanno interrotto le loro esistenze altre centinaia di migliaia di persone. I dati recenti dicono che il numero dei detenuti è diminuito, ma i ricoveri sono costanti: si è passati infatti dalle oltre 1200 persone internate nel 2012 alle 761 del 30 novembre 2014; ciò nonostante, la media di ricoveri è di 77 a trimestre, praticamente un paziente al giorno.

Attualmente, la vera follia, è che dei 750 internati, circa la metà è dichiarato “dimissibile” (cioè non socialmente pericoloso) e ricoverabile in altre strutture. Dal 31 marzo, nascono le Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza): strutture sanitarie con pochi posti letto (al massimo 20) e diffuse in tutto il territorio nazionale. Ma non tutte le regioni sono pronte ad accogliere gli internati in complessi consoni.

In molte regioni le Rems non sono ancora pronte. “Il Piemonte e la Liguria – spiega Michele Miravalle, coordinatore nazionale Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone – hanno preferito continuare a ospitare i propri internati nell’Opg di Castiglione delle Stiviere (sostenendo i costi delle rette) invece di riaccoglierli sul territorio, come previsto dalla legge, perché non sono ancora pronti i piani per le nuove Rems, in altre (come l’Emilia Romagna) si sono individuate delle “pre-rems”, dove pare che la sicurezza degli interati sarà gestita da società di vigilanza privata. Il Governo deve continuare a monitorare e a pretendere risposte dalle Regioni inadempienti, altrimenti una battaglia apparentemente semplice, come quella di garantire a 300 persone (in un Paese di 60 milioni di abitanti) condizioni dignitose sul piano sanitario e giuridico, verrà persa”.

Lo Stato della follia. In questa vergogna senza aggettivi, nel 2010, per fornire una testimonianza visiva alle incursioni senza preavviso della Commissione Parlamentare negli Opg, Francesco Cordio viene chiamato come regista delle riprese che hanno cambiato lo stato delle cose degli Opg. L’orrore che documenta non può limitarsi a qualche immagine e nel 2013 Cordio realizza Lo Stato della follia, con le oscenità degli Opg alternate al doloroso racconto, girato in un teatro, di ex internato incolpevole dell’Opg di Aversa: l’attore Luigi Rigoni. Cordio mette a nudo la follia della società e delle istituzioni, con un documentario mirabile, girato con una fotografia livida (simile a quella “pallida” di Foucault), un montaggio rapido, uno sguardo profondo.

L’orrore delle immagini modifica lo Stato delle cose. “Nel novembre del 2010 – racconta Francesco Cordio – fui chiamato dalla Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale a riprendere ciò che avveniva negli Opg: le immagini avrebbero impresso per sempre ciò che lo Stato nascondeva, in primis, a se stesso. Arrivato nell’Opg rimasi sconvolto. Montai un video di 34 minuti che fece il giro dei Palazzi, dal Presidente Napolitano ai ministri competenti, Alfano e Fazio, e qualcosa cominciò a scricchiolare.

Ma io sentii l’esigenza di raccontare ciò che vidi a chi i palazzi non li frequenta. Prima, con Riccardo Iacona, realizzammo un servizio per “Presa Diretta” (menzione speciale Premio Ilari Alpi 2011, ndr), che provocò un’ondata di indignazione e fece sì che nel giro di un mese 120 persone, non più pericolose o che non lo erano mai state, poterono uscire da un Opg. Poi, realizzai Lo Stato della follia. Di quest’esperienza mi sono rimasti le voci nelle orecchie, gli odori nel naso, gli sguardi negli occhi di ogni internato che ho intervistato”.

Quel nesso sbagliato fra follia e delinquenza. “La chiusura degli Opg è un atto da tempo necessario – osserva Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – Nella maggior parte dei casi, il trattamento inflitto ai detenuti in queste strutture è contrario alla dignità umana e in violazione degli standard internazionali in materia di reclusione di soggetti psichiatrici o presunti tali. Gli Opg italiani hanno consolidato la pericolosa e infondata idea che vi fosse un legame tra follia e delinquenza e che la società potesse sentirsi al riparo dall’una e dall’altra attraverso la sedazione e la contenzione dei corpi dei detenuti. Le storie individuali di queste persone, rivelate dall’indagine parlamentare del 2011 e portate sullo schermo dal documentario Lo Stato della follia, hanno dimostrato invece che, nella maggior parte dei casi, non si trattava di soggetti socialmente pericolosi, ma anzi dimissibili, se solo fossero esistite strutture che avrebbero potuto prenderle in carico.

Marta Rizzo

La Repubblica, 31 marzo 2015

Roma: detenuto morì di appendicite. Il Gip: no all’archiviazione, due medici a processo


regina-coeli-carcereAntonio Tonelli, 52 anni, spirò nella sala operatoria della Nuova Itor l’8 febbraio 2010. Per tre giorni, il detenuto fu un paziente invisibile, sbalzato da un ospedale all’altro, malgrado una violenta crisi di appendicite in corso. Visitato al Centro clinico di Regina Coeli, controllato al Santo Spirito, ispezionato pure al Fatebenefratelli, morì nella sala operatoria della Nuova Itor, la sera dell’ 8 febbraio 2010, quando l’appendicite era ormai degenerata in peritonite. Per la vicenda si arrivò a un processo, ma fu il medico sbagliato a finire a giudizio. Quel chirurgo che aveva tentato il possibile quando ormai era troppo tardi.

E il giudice lo prosciolse dalle accuse. Ora, cinque anni dopo, è il gip del tribunale di Roma, Stefano Aprile a riaprire la via della giustizia. Il gip ha infatti respinto la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura e ordinato l’imputazione coatta per omicidio colposo nei confronti di due medici del Fatebenefratelli, Andrea Colaci e Paolo Mascagni per una serie di negligenze.

“Appare evidente – scrive Aprile – che l’intervento salvavita avrebbe dovuto essere posto in essere a partire dalle 15 dell’8 febbraio se non addirittura prima. Con un’anticipazione di circa 5 ore. Tenuto conto che, come ha concluso il consulente tecnico del pm, una adeguata anticipazione dell’intervento avrebbe consentito di evitare la morte (del paziente, ndr)”. Torniamo, brevemente, a quel giorno.

Antonio Tonelli, 52 anni, in carcere per furto da un anno, altri 11 mesi da scontare, è nelle mani dei medici, in una sezione protetta del Fatebenefratelli. da due giorni combatte con una crisi violenta di appendicite, la Tac ha confermato la prima diagnosi. Lo operano d’urgenza allora? No. I due medici ignorano la procedura d’urgenza, dicono che lì non c’è posto, insistono perché sia ricoverato in un altro ospedale, “disconoscendo la prevista procedura di collocare i pazienti urgenti in astanteria o altre sale”.

La consulenza tecnica della procura avvalora l’ipotesi che, così facendo, quei medici lo abbiano condannato: “Tenuto conto che, come conclude il consulente del pubblico ministero, una adeguata anticipazione dell’intervento avrebbe consentito di evitare l’evento morte e che la dilazione temporale verificatasi appare attribuibile ai sanitari che, pur in presenza di indicazioni della direzione sanitaria in ordine all’utilizzo di posti letto di fortuna, non disponevano l’immediato atto operatorio e optavano erroneamente per il differimento dell’intervento”. Sul caso avevano presentato un’interrogazione la segretaria dei radicali Rita Bernardini e il garante dei detenuti. La Bernardini chiedeva di sapere “se nel corso della sua detenzione Antonio Fondelli avesse usufruito di tutte le cure necessarie che il suo precario stato di salute”.

Ilaria Sacchettoni

Corriere della Sera, 5 marzo 2015

Roma: detenuto morì a Rebibbia per una polmonite. Potevano salvarlo, Medici a giudizio


carcere rebibbiaPer la Procura il giovane detenuto “poteva essere salvato” i sanitari che lo dovevano curare “agirono con negligenza”. In tre visite mediche non gli avevano mai misurato la febbre, né auscultato il torace o misurato la pressione.

È così, con una polmonite non diagnosticata, che Danilo Orlandi, un detenuto di 30 anni di Primavalle con piccoli precedenti per droga, era morto dietro le sbarre di Rebibbia. In pochi giorni, dal 27 maggio al primo giugno del 2013, si era spento senza che nessuno si accorgesse dell’urgenza. Lo curavano con una aspirina. La sua morte, ha concluso ora la procura di Roma, poteva essere evitata.

Il sostituto procuratore Mario Ardigò e il procuratore aggiunto Leonardo Frisani hanno iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo il medico di reparto del G11 che lo aveva in cura e il dirigente sanitario di Rebibbia, pronti a chiederne a breve il processo.

Il giovane, che ha lasciato la moglie e una bambina di 9 anni, in quei giorni era sottoposto ad una sanzione disciplinare, non poteva partecipare alle attività in comune. Ed è proprio per questo, forse, che sarebbe stato sottoposto per tre volte a visite frettolose. Una prassi, a quanto pare, per i detenuti in punizione. Orlandi infatti sarebbe stato visitato dal medico del suo braccio, una dottoressa, sia il 27, il 28 e il 29 maggio senza che gli venisse neanche palpato l’addome.

Il medico infatti si sarebbe limitato per tutti e tre i giorni a un colloquio con lui non riuscendo, appunto, secondo i magistrati, “per negligenza a rilevare i sintomi tipici specifici di una polmonite alveolare bilaterale batterica”, una polmonite grave per cui invece si sarebbe dovuti intervenire subito con approfondimenti diagnostici e cure urgenti.

Nell’inchiesta è finito anche il dirigente sanitario della casa circondariale, in questo caso, perché non avrebbe vigilato sui medici, che per prassi, secondo i magistrati, quando “visitavano i detenuti sottoposti alla sanzione disciplinare dell’esclusione dell’attività in comune si limitavano a un colloquio anamnesico senza eseguire un esame obiettivo generale attraverso l’ispezione quanto meno del torace”. Nel diario clinico del giovane, tra l’altro è stato rilevato un buco. Nessuno infatti lo avrebbe visitato il 31 maggio, il giorno prima della morte. Proprio il giorno in cui la madre del ragazzo, Maria Brito, aveva visitato il figlio trovandolo pallido, febbricitante e debilitato. Eppure tutti i bollettini medici degli ultimi giorni di vita di Danilo avevano concluso che non ci fosse “nessun fatto acuto da riferire”.

Ad accertare le cause della morte del giovane era stata la perizia stilata dal professor Costantino Ciallella de La Sapienza. Un esame che aveva escluso l’ipotesi dell’infarto ventilato nell’ambiente carcerario. Nel diario clinico del detenuto la conferma: si parlava solo di prodotti anti-infiammatori o analgesici, al massimo un antibiotico. “Mio figlio è stato lasciato morire”. Paolo Orlandi si era sfogato pure coi magistrati “ma combatterò”. Il legale della famiglia, l’avvocato Stefano Maccioni, da parte sua, intanto è pronto a formalizzare la costituzione di parte civile.

Adelaide Pierucci

Il Messaggero, 26 febbraio 2015

Trentenne morì di anoressia in cella a Regina Coeli. Chiesta la condanna di 3 Medici


regina-coeli-carcereCi fu chi lo definì «un altro caso Cucchi». E chi smentì. Adesso, comunque si voglia etichettare la vicenda, la morte del detenuto Simone La Penna nel carcere di Regina Coeli, nel 2009, ha indotto il Pubblico Ministero Eugenio Albamonte a chiedere al Giudice della VII Sezione Penale del Tribunale Monocratico di Roma a chiedere la condanna a 2 anni e 10 mesi di reclusione per Andrea Franceschini, Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano, i tre Medici del Carcere romano che ebbero in cura il detenuto.

Mancata vigilanza del personale sanitario

Nel novembre di cinque anni fa, a Regina Coeli, avrebbero causato la morte del detenuto. I tre camici bianchi, accusati di omicidio colposo, non avrebbero vigilato doverosamente sulle condizioni di salute di La Penna. E questo nonostante Simone fosse già allora affetto da una grave forma di anoressia contratta durante la permanenza in carcere: il 32enne viterbese morì all’interno del penitenziario della Capitale il 26 novembre 2009, dopo aver perso più di 40 chili. Stava scontando una pena di 2 anni e 4 mesi una condanna per stupefacenti. “Non siamo di fronte ad un nuovo caso Cucchi perché nella vicenda di Simone La Penna non si sono verificate vessazioni in ambiente penitenziario nè maltrattamenti”, aveva precisato all’epoca la Procura della Repubblica di Roma.

Non compatibile con il carcere

Simone La PennaIl Procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara ed il Sostituto Eugenio Albamonte, che fa parte del pool di magistrati che si occupano di colpe professionali, hanno spiegato che «nella vicenda La Penna gli indagati» erano inizialmente «sei medici e un infermiere della struttura sanitaria interna al carcere di Regina Coeli, e non personale medico dell’ospedale Sandro Pertini» e che il reato ipotizzato era quello di omicidio colposo. I magistrati avevano anche sottolineato che «occasionalmente La Penna era stato visitato anche al Pertini». Lo stato di salute del detenuto non era compatibile con la presenza nella struttura medica del carcere.

Il 30 aprile scorso, innanzi al Tribunale di Roma presso cui pende il processo, è stato sentito anche Mauro Mariani, all’epoca dei fatti, Direttore del Carcere di Regina Coeli, il quale spiegò come era organizzata l’assistenza sanitaria nell’Istituto Penitenziario e quali erano i compiti del direttore sanitario.

Secondo la Procura della Repubblica di Roma, i medici, non avrebbero somministrato al giovane le cure necessarie, nonostante i loro colleghi in servizio nel carcere di Viterbo, dove era detenuto La Penna prima del trasferimento a Regina Coeli, gli avessero diagnosticato “anoressia e vomito con calo ponderale e episodi di ipokaliemia”.

Le terapie, secondo l’accusa, furono iniziate solo 43 giorni dopo il ricovero nel centro clinico del carcere romano. Un lasso di tempo, ritenuto eccessivo dagli inquirenti, aggravato dalla mancata verifica sulla effettiva somministrazione della terapia psichiatrica. Inoltre, i medici, nonostante il progressivo peggioramento delle condizioni di La Penna, non avrebbero chiesto il suo trasferimento in una struttura sanitaria specializzata nel contrasto dell’anoressia e dei suoi effetti.

Entro la fine dell’anno è presumibile che si arrivi alla sentenza.

Napoli, Ispezione di Radicali e Socialisti al Carcere di Poggioreale. Chiesta alla Regione la riapertura della Sala Operatoria


Luigi Mazzotta, Radicali NapoliCome preannunciato, nella mattinata di ieri, i Radicali unitamente ai Socialisti Italiani hanno tenuto presso la Casa Circondariale di Napoli Poggioreale una Visita ispettiva per accertare quali fossero le condizioni di detenzione, a distanza dell’ultima ispezione effettuata qualche tempo fa. Nel penitenziario cittadino, recentemente affidato al Direttore Antonio Fullone, proveniente dalla Casa Circondariale “Borgo San Nicola” di Lecce, sono entrati l’Onorevole Corrado Gabriele, Consigliere della Regione Campania, del Partito Socialista Italiano (Psi) e Luigi Mazzotta, Dirigente Nazionale dei Radicali Italiani e militante dell’Associazione Radicale per la Grande Napoli. Fuori le mura, nel frattempo, era stato organizzato un sit-in da parte dei Radicali a cui si sono aggiunti numerosi parenti e familiari dei detenuti ristretti a Poggioreale. Tra di loro, anche Nina Scafuro, la madre di Federico Perna, deceduto proprio a Poggioreale nei mesi scorsi in circostanze ancora poco chiare e sulle quale vi è in corso una inchiesta giudiziaria presso il Tribunale di Napoli.

La delegazione, accompagnata personalmente dal Direttore Fullone, ha visitato il Padiglione “San Paolo” che è il Centro Diagnostico Terapeutico cioè il “Reparto Ospedaliero” nonché il Padiglione Avellino. Nel corso della visita è stato fatto un sopralluogo anche alle Sale Colloquio che, proprio di recente, sono state completamente ristrutturate ed aumentate alleviando i problemi per i detenuti ed i loro familiari, prima costretti ad estenuanti file di attesa davanti all’Istituto Penitenziario. Sia l’Onorevole Gabriele che il Radicale Mazzotta hanno voluto esprimere la propria soddisfazione per l’accoglienza riservatagli dal nuovo Direttore e per l’impegno che in questo breve periodo ha profuso e che continuerà a praticare nel futuro per il miglioramento della struttura carceraria, ritenuta a ragione, una delle peggiori di tutta l’Unione Europea.

Manifestazione PoggiorealeC’è da segnalare che è stato, almeno per il momento, risolto il problema del sovraffollamento. Infatti in celle in cui prima vi erano rinchiuse dalle 8 alle 12 persone, ora ve ne sono molto di meno (4) e pare che sia rispettato il limite dei 3 metri quadri a detenuto imposto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Nonostante ciò, specialmente per quanto concerne il “San Paolo”, l’assistenza sanitaria fornita ai detenuti è insufficiente ed inadeguata. Bisognerebbe, infatti, riaprire immediatamente la Sala Operatoria del Carcere per evitare esosi costi per le traduzioni ed i piantonamenti in Ospedale. Per tale motivo, i Radicali ed i Socialisti, chiedono alla Regione Campania di provvedere con urgenza ad attivarsi per ripristinare questo importante servizio all’interno dell’Istituto. Secondo quanto riferisce il Consigliere socialista, il Direttore Fullone avrebbe l’intenzione di aumentare il numero delle ore d’aria ai detenuti in quei Padiglioni in cui ve ne sia la concreta possibilità. Anche questa iniziativa è stata salutata con piacere dalla delegazione poiché, consentirà ai detenuti, di non trascorrere più 20 ore al giorno su 24 chiusi in cella. “Questo va bene – dice l’On. Gabriele – ma serve ancora tantissimo e non bisogna spegnere i riflettori su questo Penitenziario che contiene 1834 detenuti, dei quali oltre 1.000 in custodia cautelare nonché tanti ammalati che, diversamente, dovrebbero stare in Ospedale.” Relativamente alle persone detenute ammalate, il radicale Mazzotta, ha preso i loro nominativi e l’Associazione Radicale per la Grande Napoli, seguirà tutte le loro problematiche con attenzione come sempre fatto negli ultimi tempi.

Quanto ai maltrattamenti da parte del personale di Polizia Penitenziaria, fino a poco tempo fa denunciati dai detenuti, non sono state fatte alcune lamentele anche perché la situazione è cambiata (è stato trasferito il vecchio Direttore e mandato in pensione il Comandante della Polizia Penitenziaria) anche grazie allo sfollamento effettuato che, consente, una migliore convivenza tra il personale che opera all’interno dell’Istituto e chi vi è costretto a viverci.

Il Servizio di Radio Radicale sulla Ispezione al Carcere di Poggioreale

Malattie nelle Carceri, situazione drammatica. Ne discutono i Medici Penitenziari


cella penitenziariaMostratemi le vostre carceri, non i vostri palazzi” diceva Voltaire.
E quando si parla di carceri non esiste solo il problema del sovraffollamento, ma anche quello, di non minore importanza e drammaticità, delle malattie che sono presenti all’interno delle strutture carcerarie, delle quali si parlerà domani, mercoledì 18 (a Santa Maria la Nova, a partire dalle 15), e giovedì 19 (Ospedale Cotugno, aula magna De Lorenzo), nell’ambito del Convegno di aggiornamento di Medicina penitenziaria organizzato in onore del Prof. Raffaele Pempinello, primario emerito dell’ospedale Cotugno, dalla dottoressa Maria Donata Iannece in collaborazione con i medici specialisti, infermieri,personale tecnico e dirigenti sanitari dell’Agenzia dei Colli (Monaldi, Cotugno e Cto).

Al Convegno, che si svolge sotto l’egida della Simspe (Società italiana di Medicina e sanità penitenziaria) interverranno studiosi del problema sia in campo medico che in quello legale, amministratori di aziende ospedaliere, esperti del settore che daranno vita ad un approfondito dibattito sulle tematiche presenti nel titolo: “Bioetica e giustizia. Il disagio psichico; Proposte per nuovi modelli organizzativi per l’assistenza sanitaria”.
Tra gli interventi in programma quelli di Antonio Giordano, direttore generale dell’Azienda dei Colli, Sergio Babudieri, presidente del Simspe, Aldo Bova, presidente Medici cattolici di Napoli,Giulio Starnini, direttore Medicina penitenziaria di Viterbo, Carmine Esposito, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Michele Schiano, presidente V commissione Sanita Regione Campania, Tommaso Contestabile, provveditore regionale Amministrazione penitenziaria di Napoli, Ernesto Esposito, direttore generale Asl Napoli 1, Pasquale Giustiniani, docente di Bioetica, Seconda Università di Napoli, Riccardo Polidoro, avvocato, presidente de “Il carcere possibile”.

“I dati ufficiali del Ministero della Giustizia sono molto indicativi – illustra il prof. Pempinello, cui si deve per riconoscimento unanime il fatto che Napoli possa contare su uno dei pochi centri di Medicina penitenziaria, da lui istituito al “Cotugno”, riconosciuti a livello nazionale dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – le malattie infettive sono ampiamente diffuse nei penitenziari con stime elevatissime: l’infezione HIV/AIDS 7%; l’Epatite da virus C 50%; l’Epatite da virus B 10%. Per quanto attiene alle problematiche assistenziali correlate all’infezione da virus HIV è oggi possibile effettuare una terapia molto efficace che contrasta il progredire dell’infezione verso la grave immunodeficienza dell’AIDS conclamata. Ma molti problemi sono ancora aperti ed associati all’infezione HIV/AIDS: la tubercolosi, le epatiti-virali croniche con evoluzione in cirrosi; la tossicodipendenza; le malattie psichiatriche; vi è inoltre una emergenza di neoplasie correlate all’infezione da HIV”.

Altri problemi di natura diversa sono rappresentati dalle malattie cardiache, coronariche, diabete, vasculopatie e patologie osteo-articolari.
Questo il quadro da tener presente per ogni discussione che si proponga di cercare una soluzione: “La proposta operativa che intendiamo sostenere con forza e convinzione – afferma il prof. Pempinello – riguarda l’istituzione dei Reparti Ospedalieri di Medicina protetta. Nel 2010 il Ministero della Giustizia ha pubblicato un documento intitolato: “ I Reparti Ospedalieri di Medicina Protetta: protocolli condivisi di presa in carico del paziente detenuto”. Il Reparto di Medicina Protetta rappresenta il paradigma operativo del concetto di Connected Health ( sanità connessa), una sanità che pone al centro il paziente come individuo e lo sostiene armonizzando tutti gli della cura (sanitario, sociale, psicologico e, nel caso specifico, giudiziario)”.
Secondo tali linee il Reparto dovrebbe essere così organizzato: il reparto necessita da un lato di personale sanitario formato e dall’altro di un contingente di Polizia Penitenziaria assegnato a prestare servizio in ambiente di ricovero. La pianta organica per 20 posti letto dovrebbe prevedere un Direttore Medico; 8 dirigenti medici; 1 coordinatore infermieristico; 12 infermieri professionali; 6 operatori sanitari O.S.
Il Progetto prevede per il 2014 il coinvolgimento dei Reparti di Medicina Protetta che, nel caso specifico della Regione Campania, è stato già individuato dal Ministero nel Reparto di Malattie Infettive finora diretto dal Prof. Raffaele Pempinello, attualmente Primario Emerito dell’Azienda dei Colli. Il prossimo obiettivo è il coinvolgimento del Reparto di Medicina Protetta dell’Azienda Ospedaliera Cardarelli di Napoli.

Questo Convegno, in conclusione, vuole proporre nuovi modelli organizzativi, riconoscendo il ruolo svolto dal Prof. Pempinello quale ispiratore e protagonista in questi anni della crescita ed affermazione di una nuova specialità: la Medicina Penitenziaria, un problema di sanità pubblica che richiede la formazione continua degli operatori ad essa afferenti: sanitari, infermieri, psicologi, polizia penitenziaria, magistrati ed in ultima analisi la società in cui viviamo.

Redazione Il Denaro, 17 Giugno 2014

Carceri: allarme Medici Penitenziari, boom diffusione Tbc, epatiti e Aids


medicoE’ boom di tubercolosi, epatiti e Aids nelle carceri italiane, con numeri allarmanti: l’incidenza di Tbc in cella e’ maggiore dalle 25 alle 40 volte rispetto alla prevalenza che ha nella popolazione generale; discorso simile per l’HIV (10 volte) e le epatiti.

Sono i dati diffusi dalla della Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria (SIMSPe) durante il suo congresso nazionale a Torino. Su questo aspetto si e’ soffermato il professor Sergio Babudieri, Professore associato di malattie infettive all’Universita’ di Sassari e Presidente della SIMSPe, che ha rilevato come nella popolazione carceraria tra il 30 e il 40% delle persone abbiano l’epatite C, mentre l’epatite B attiva e’ intorno al 7%; oltre la meta’ dei detenuti (56%), inoltre, ha avuto contatti con l’epatite B; l’infezione della tubercolosi e’ oltre 50% nei detenuti stranieri.

“Questi numeri dovrebbero essere raccolti dallo Stato, serve un Osservatorio Nazionale di Studi sulla Sanita’ in carcere” afferma Babudieri. “Uno degli scopi del Congresso e’ proprio quello di iniziare a ragionare sulla creazione di Raccomandazioni che possano poi essere presentate all’interno di un documento ufficiale e consegnate alle Istituzioni. Alcuni gruppi di lavoro si stanno gia’ attivando su questo”. Ma non solo malattie infettive: i prigionieri sono spesso soggetti all’obesita’, sono fumatori e costretti ad una cattiva alimentazione. L’attivita’ della SIMSPe risiede pure nel creare consapevolezza negli individui, ponendoli di fronte ad eventuali terapie e diagnosi.

A questo proposito, il carcere rappresenta un osservatorio straordinario per coinvolgere delle fasce di popolazione che altrimenti non terrebbero mai in conto il bene salute. “Il detenuto di oggi e’ il cittadino di domani; in carcere si riesce ad intercettarlo, fuori come si fa?” si domanda Babudieri per far capire quanto sia importante intervenire in questo contesto. “L’importanza di una simile azione e’ poi testimoniata dai numeri: vari studi dimostrano che i pazienti positivi all’HIV non consapevoli trasmettono il virus sei volte di piu’ di quelli che sanno di esserne infetti” ha concluso Babudieri.

Roma: detenuto anoressico morto in cella, tre medici di Regina Coeli alla sbarra


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Omisero di informare i giudici sul profilo psichiatrico del paziente.

“L’atto in cui si parla di anoressia è una semplice relazione, non una diagnosi”. Questo, in estrema sintesi, il senso delle dichiarazioni spontanee rilasciate da uno dei medici che avevano in cura Simone La Penna, trentaduenne morto nel carcere di Regina Coeli dove era rinchiuso, dopo avere perso 34 chili in una manciata di mesi (quasi la metà del peso corporeo della vittima al momento del suo arresto).

Una morte assurda quella del giovane viterbese – condannato a due anni e 4 mesi di carcere per possesso di stupefacenti – che ha portato alla sbarra, per omicidio colposo, il direttore sanitario del carcere Andrea Franceschini e i medici Giuseppe Tizzano e Andrea Silvano che lo ebbero in cura dopo il suo trasferimento dalla casa circondariale di Viterbo. Ed è proprio sulla diagnosi di anoressia e sul mancato supporto psichiatrico al paziente che gira il fulcro del processo.

I tre imputati devono infatti rispondere del fatto che, nonostante il trasferimento di La Penna dal carcere di Viterbo fosse stato motivato con “diagnosi di anoressia e vomito con calo ponderale e episodi di ipokaliemia”, la terapia specialistica fu iniziata solo 43 giorni dopo. Un ritardo inspiegabile aggravato dalla mancata verifica sulla effettiva somministrazione della terapia psichiatrica e dal fatto che i medici nel tentativo “di contenere il progressivo deterioramento delle condizioni di salute di La Penna, omettevano di assumere, di propria iniziativa, le determinazioni mediche per favorire il trasferimento del detenuto presso una struttura sanitaria in grado di fronteggiare al meglio la patologia”.

E ancora: gli imputati, non solo ignorarono a lungo la necessità del supporto psichiatrico ma, sollecitati dal tribunale del riesame che doveva esprimersi sul possibile trasferimento in ospedale del detenuto, omisero di segnalare nella relazione il profilo psichiatrico della patologia e omisero “qualsiasi informazione in ordine al notevole e allarmante calo ponderale subito da La Penna dal momento del suo ingresso presso la struttura (il reparto medico del carcere di Regina Coeli)”, esprimendo un giudizio di compatibilità del detenuto con il regime carcerario: detenuto che morì appena 18 giorni dopo.

Una brutta storia quella della morte di Simone La Penna; una brutta storia esplosa contemporaneamente al “caso Cucchi” e che riporta in primo piano la situazione al collasso delle carceri italiane. Una morte che avrebbe potuto essere evitata e che invece è andata ad allungare il lunghissimo elenco dei “morti di carcere”.

di Vincenzo Imperitura

Il Tempo, 7 aprile 2014