Legge Pinto, Cianfanelli (Radicali): “Lo Stato legifera per rendere quasi impossibili i risarcimenti”


Deborah Cianfanelli, Radicali ItalianiAncora una volta il nostro Stato non smentisce il suo oramai acquisito status di delinquente abituale a danno dei cittadini ed in costante spregio della Legge, preparandosi a nuove e certe condanne da parte della Corte europea dei Diritti dell’Uomo.

Sappiamo che l’Italia ha accumulato oltre 5.000 condanne per violazione dell’art. 6 in relazione alla durata dei processi. L’art. 6 così recita: “ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente ed imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

La celere definizione dei giudizi è connaturata all’esplicazione dell’individuo nella società ed ogni ingiustificato ritardo incide pesantemente sulla qualità della vita dei cittadini in quanto determina una situazione di incertezza che la Corte di Strasburgo equipara ad un vero e proprio diniego di giustizia. La Legge Pinto nacque su sollecitazione della Corte europea quale rimedio meramente risarcitorio alla violazione dell’art. 6 da parte dello Stato italiano a danno dei cittadini.

A tale rimedio risarcitorio non sono mai conseguite, però, riforme strutturali tali da evitare la reiterazione della violazione che, ad oggi, continua a verificarsi.

Nel corso dei 14 anni di vigenza della Legge Pinto lo Stato italiano si è mostrato più preoccupato di legiferare in modo da non rendere effettivi i risarcimenti che di portare i nostri processi a tempi ragionevoli di definizione. In quest’ottica va anche l’ultima riforma proposta all’interno del disegno di Legge di Stabilità 2016 dove al titolo IX, art. 56, vengono introdotte tante e tali modifiche alla Legge Pinto da renderne molto difficile se non meramente eccezionale la possibilità di accesso e di conseguente riconoscimento del diritto ad un equo indennizzo per coloro che abbiano subito un procedimento la cui durata sia tale da essere in contrasto con l’Art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Il nostro legislatore ha finalmente preso atto dei costi causati all’intera economia nazionale da un sistema giustizia che non funziona. Solo che, ancora una volta, anziché cercare di porre in essere dei rimedi strutturali in grado di riportare il nostro sistema giustizia sui binari della legalità e del rispetto dei diritti umani fondamentali, cerca di aggirare l’ostacolo rendendo inaccessibile la strada che porta ad ottenere almeno il risarcimento del danno a fronte del diritto leso. Per i soggetti che subiscono lesioni da parte dello Stato italiano, quindi, oltre al danno anche la beffa!

Ma vediamo nei dettagli le riforme alla legge Pinto che vengono proposte dalla Legge di stabilità. Il diritto ad ottenere l’equa riparazione del danno causato dall’irragionevole durata del processo viene innanzitutto limitato ai soggetti che, nel corso del processo, abbiano esperito i “rimedi preventivi” che vengono introdotti all’art. 1 ter. Ossia: introdurre il giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione (ex 702 bis cpc); formulare richiesta di passaggio da rito ordinario a rito sommario (ex art. 183 bis) entro l’udienza di trattazione; laddove non si applichi il rito sommario di cognizione, ivi incluso l’appello, proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale ex 281 sexies cpc prima che siano decorsi i termini della ragionevole durata; nel processo penale aver depositato, a mezzo di procuratore speciale, istanza di accelerazione almeno sei mesi prima del decorso del termine ragionevole; nel processo amministrativo e nel processo davanti alla Corte dei Conti presentare istanza di prelievo sei mesi prima che siano decorsi i termini di ragionevole durata; nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione depositare istanza di accelerazione due mesi prima dello spirare del termine ragionevole di durata; al di fuori di queste ipotesi diviene inammissibile la domanda di equa riparazione.

Inoltre vengono introdotti i casi nei quali l’indennizzo non è comunque dovuto: a favore della parte che ha agito o resistito in giudizio “consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese” e ciò anche al di fuori dei casi previsti di lite temeraria (quindi totale discrezionalità); nel caso art. 91 co 1 cpc, ossia se viene accolta la domanda nella misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa e il giudice condanna la parte che ha rifiutato immotivatamente la proposta; nel caso di cui art. 13 d. lgs 28/10 ossia quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde al contenuto della proposta e viene esclusa la ripetizione delle spese della parte vincitrice che ha rifiutato la proposta; nei casi in cui il giudice abbia disposto d’ufficio il passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione ex art. 183 bis cpc; in ogni altro caso di abuso dei tempi processuali che abbia determinato un’ingiustificata dilazione dei tempi del procedimento. Questa è una vera e propria clausola di esclusione lasciata alla mera discrezionalità del giudicante.

Le modifiche non finiscono qui. Vengono infatti enumerate delle ipotesi nelle quali si “presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata del processo” salva prova contraria: per quanto riguarda l’imputato quando sia intervenuta la prescrizione del reato; nel caso di parte contumace; estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti; perenzione del ricorso nel processo amministrativo; nel giudizio amministrativo mancata presentazione della domanda di riunione nel giudizio presupposto e nel caso di introduzione di domande nuove connesse con altre già proposte; irrisorietà della pretesa o del valore della causa valutata in relazione alle condizioni personali della parte.

Quando la parte ha conseguito dalla irragionevole durata del processo vantaggi patrimoniali uguali o maggiori rispetto alla misura dell’indennizzo altrimenti dovuto. In particolare questi ultimi punti, oltre a riconfermare una totale discrezionalità nel determinare i casi di insussistenza del pregiudizio, evidenziano la totale mancanza nel nostro legislatore del concetto di giustizia e di lesione di diritti umani riconosciuti dalla convenzione europea, che appare sussistere solo ed esclusivamente quando sia economicamente apprezzabile! Come se tutto ciò non bastasse a perpetrare la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo da parte del nostro Stato, questa proposta di riforma va altresì ad intaccare il quantum del risarcimento (per i casi meramente residuali che abbiano avuto la fortuna di riuscire a superare il percorso ad ostacoli sopra delineato).

Stabilisce infatti che: “il giudice liquida una somma di denaro non inferiore a 400,00€ e non superiore a 800,00€ per ogni anno di causa che eccede il termine ragionevole….può essere incrementata fino al 20% per gli anni successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo” detta somma viene poi diminuita del 20% se le parti sono più di 10 e del 40% se sono più di 50.

Ulteriori diminuzioni sono previste in caso di integrale rigetto delle richieste di parte ricorrente. È appena il caso di ricordare che nelle liquidazioni effettuate dalla Corte di Strasburgo questa ha individuato il parametro per la quantificazione dell’indennizzo nell’importo compreso tra € 1.000,00 ed € 1.500,00 per anno. Il percorso ad ostacoli prosegue anche in riferimento alle modalità di pagamento: il creditore deve rilasciare all’amministrazione debitrice una dichiarazione (il cui modello verrà predisposto dall’amministrazione entro il 30.10.16, unitamente all’elenco della documentazione che dovrà essere prodotta dal creditore), attestante la mancata riscossione di somme per il medesimo titolo, l’esercizio di azioni giudiziarie per il medesimo credito, l’ammontare degli importi che l’amministrazione è tenuta a corrispondere, la modalità di riscossione prescelta. Tale dichiarazione ha validità semestrale e va rinnovata. In mancanza, il pagamento non sarà emesso.

L’erogazione degli indennizzi avverrà entro sei mesi dalla data in cui sono assolti tutti gli obblighi da parte del creditore ed avverrà ove possibile per intero e comunque nei limiti delle risorse disponibili nei relativi capitoli di bilancio. Prima del decorso di questi sei mesi il creditore non potrà procedere esecutivamente né con giudizio di ottemperanza. Tutta questa manovra è paradossale e va nella direzione di una spudorata reiterazione nella violazione del diritto garantito dalla convenzione europea ad ottenere giustizia in tempi ragionevoli. Ciò che appare evidente è che la giustizia nel nostro Stato, oltre ad essere costantemente denegata, è oramai ridotta ad un concetto esistente solo in funzione del valore economico, o meglio della monetizzazione del diritto vantato, salvo oltretutto escogitare sempre nuovi elementi utili alla non corresponsione del dovuto ristoro.

Deborah Cianfanelli (Avvocato, Direzione Radicali Italiani)

http://www.radicali.it, 30 ottobre 2015

Malagiustizia, quanto ci costi ! Esposto dei Radicali alla Corte dei Conti


Corte dei ContiIeri una delegazione di Radicali composta da Marco Pannella, Rita Bernardini, Laura Arconti e io, si è recata presso la Corte dei Conti del Lazio per depositare un esposto volto a richiedere un’indagine in merito al danno erariale causato dall’ormai ultradecennale malfunzionamento della giustizia in Italia. Abbiamo inteso renderci ancora una volta strumento di attivazione delle istituzioni, nel tentativo di portare a conoscenza di tutti gli italiani il grave costo che incombe su ognuno di loro a causa della disastrosa situazione del sistema giustizia e carceri, più volte condannato dalla Corte Europea.

In questo modo noi Radicali abbiamo voluto celebrare l’anniversario del messaggio alle Camere del presidente della Repubblica nel quale veniva ricordato il principio stabilito dalla Corte Costituzionale, che fa obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino.

Siamo stati ricevuti personalmente dal procuratore Angelo Raffaele De Dominicis. Nel corso del lungo e cordiale colloquio abbiamo illustrato il contenuto dell’esposto redatto da me in qualità di avvocato. In tale documento si evidenzia in modo particolareggiato come lo stato di assoluta illegalità del sistema giustizia italiano abbia ormai delle enormi ripercussioni sull’economia nazionale, andando ad incidere fortemente sul debito pubblico.

Sul fronte civile l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sancisce il diritto di ognuno ad ottenere giustizia in termini ragionevoli. Dalla cronica irragionevole durata dei processi in Italia consegue il diritto, per chi li ha subiti, a chiedere ed ottenere un congruo risarcimento ai sensi della Legge Pinto.

Tale rimedio meramente risarcitorio doveva essere temporaneo, in attesa di riforme strutturali in grado di rendere i processi più veloci e quindi conformi alla convenzione europea dei diritti dell’uomo. Nei tredici anni di vigenza della legge Pinto non si è avuta però alcuna riforma in grado di evitare il reiterarsi della violazione e lo Stato italiano si rende altresì moroso rispetto a detti risarcimenti.

Sul bilancio del ministero della Giustizia gravano quindi pesantemente i costi dei risarcimenti che hanno avuto nel corso degli anni un andamento crescente. Già nel 2007 la commissione tecnica per la Finanza Pubblica (Ctfp) rilevava che tale contenzioso era una delle voci di spesa più significative (ed una delle cause principali di indebitamento) del ministero della Giustizia: era costato negli ultimi cinque anni circa 41,5 milioni di euro, di cui 17,9 nel solo 2006.

La commissione evidenziava come l’inefficienza del sistema giustizia non rappresenta soltanto un costo sociale, ma la fonte di costi rilevanti per il sistema produttivo in termini di crescita e produttività, soprattutto in sistemi di mercato aperti e concorrenziali. L’incertezza sui tempi delle decisioni ed il loro procrastinarsi in tempi non ragionevoli, ha ripercussioni distorsive sulle transazioni commerciali e sulle decisioni di investimento. In particolare la commissione stimava il rischio economico dello Stato per le (future e probabili) condanne ex Legge Pinto in circa 500 milioni di euro all’anno.

Stesse considerazioni allarmanti in riferimento al danno causato all’economia nazionale sono state espresse nel 2011 dalla Banca d’Italia; secondo quest’ultima, in termini economici, il costo dell’inefficienza della giustizia italiana può essere misurato come pari all’1 % del Pil. Da ultimo si ricorda che lo stesso ministero della Giustizia, nella relazione presentata all’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2014, ha ammesso che i ritardi della giustizia ordinaria determinano ricadute anche sul debito pubblico e che l’alto numero di condanne dello Stato ed i limitati stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, hanno comportato un forte accumulo di arretrato del debito Pinto ancora da pagare che, ad ottobre 2013, ammontava ad oltre 387 milioni di euro.

Le somme sopra riportate si riferiscono unicamente alle condanne ai sensi della Legge Pinto, e non tengono conto delle condanne subite dallo Stato in materia di violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che riguarda il divieto di trattamenti inumani e degradanti con riferimento ai detenuti delle nostre carceri.

Anche in questo caso Governo e Parlamento, lungi dal voler prendere in seria considerazione un provvedimento di amnistia quale unico strumento in grado di abbattere il reiterarsi delle violazioni e le conseguenti condanne, hanno preferito optare per rimedi meramente risarcitori, con ulteriori costi per le casse dello Stato. Di tutti questi costi non è dato rintracciare una stima certa nei bilanci dello Stato ed anche su questo punto l’esposto presentato alla Corte dei Conti chiede di fare chiarezza.

Visto l’interesse e la cordialità dimostrati dal procuratore De Dominicis, i Radicali si augurano che oltre al “Giudice a Berlino” vi siano un procuratore ed un Giudice in Italia che abbiano il coraggio di fornire risposte, nell’interesse di ogni italiano cui lo Stato chiede enormi sacrifici, specialmente in questo periodo di crisi economica, senza smettere di violare la sua stessa legalità, e causando con tale comportamento gravi ripercussioni sull’intera economia nazionale.

Deborah Cianfanelli

Il Garantista, 10 ottobre 2014

Carceri inumane e processi infiniti. Pannella continua la battaglia !


marco-pannella-6402Giacca anni Ottanta con spalline e bottoni di metallo, camicia portata fuori, jeans, cravatta a macchie di colori sgargianti, tratti approfonditi dall’età, codino incanutito; e poi, frasi ellittiche, il soggetto che scompare per riemergere dopo cinque subordinate, ricordi affioranti, nomi di cinquant’anni fa, buttati lì, come se tutti avessero il dovere morale di conoscerli.

Anche a Padova, ieri pomeriggio, Marco Pannella ha dato spettacolo di sé, della propria cultura e del proprio impegno civile. Intervistato dal direttore del “Corriere del Veneto”, Alessandro Russello, ha parlato soprattutto dei temi che gli stanno più a cuore, e cioè quelli legati alla privazione dei diritti dei detenuti, e alla durata irragionevole dei processi; ma qualcosa di “local” alla fine lo ha detto.

Per esempio, ce l’ha con gli indipendentisti, i Veneti come i Catalani. A suo giudizio, “c’è una speranza contro l’esplosione dei nuovi nazionalismi, quelli che operano su scala provinciale, e che costituiscono un effetto della crisi economica: l’esempio del Dalai Lama (autorità spirituale del buddismo nonché, fino al marzo 2011, capo del governo tibetano in esilio; ndr)”.

Sempre secondo Pannella, infatti, il Dalai Lama avrebbe “rinunciato all’indipendenza del Tibet dalla Cina; punta, invece, a democratizzare gli oppressori”. Che poi sono i Cinesi della Repubblica Popolare, che occupa, manu militari, Lhasa dal 1959. “Ora – ha continuato Pannella – i tibetani chiedono autonomia, tanto che han preso a modello lo Statuto del Trentino Alto Adige”.

Altro tema riconducibile al Veneto, quello della corruzione. Sì, perché c’è l’Expo, con i soliti imprenditori e la solita classe dirigente, ma c’è anche il Mose. “Finché in questo Paese regna indisturbata l’anti-democrazia – ha spiegato Pannella – non se ne esce. Solo con una democrazia autorevole si può fare qualcosa”. E, per Pannella, la democrazia vera, da noi, non c’è, perché i diritti sono calpestati. In Italia “c’è continua strage di legalità”.

Se ne era già parlato alla conferenza stampa organizzata dal partito Radicale, di cui Pannella, classe 1930, è stato tra i fondatori nel 1955. In questo contesto, l’avvocato Olga Lo Presti del foro di Padova ha descritto la disciplina della legge Pinto per richiedere un’equa riparazione per il danno, patrimoniale 0 non patrimoniale, subito per l’irragionevole durata di un processo. “Il fatto è che i casi di ricorso, sia nel civile che nel penale, aumentano esponenzialmente”. Secondo in radicali, va peggio in altre cose: “In Italia – secondo il segretario nazionale del partito Rita Bernardini – c’è la tortura.

In carcere si sperimenta la degradazione. Chi è detenuto ha la certezza che tra il 60% e l’80% dei casi si ammalerà in carcere, per infezioni ed altro”. Secondo Pannella sono “temi rispetto ai quali l’attuale premier Matteo Renzi è perfettamente disinteressato. Non gliene importa niente: sono temi scomodi, non portano consenso, e lui è sempre in tv. Era più interessato Berlusconi”.

Un esempio è il caso di Bernardo Provenzano, criminale, dal 1995 al 2006 capo di Cosa Nostra. “Ora è incapace di intendere e di volere. Non riconosce i figli. Ma per la burocrazia deve morire in carcere. Ora: la Chiesa ha abolito l’ergastolo. Renzi no. L’ho incontrato in stazione, a Firenze, e gli ho chiesto se firmava i nostri referendum. Mi ha risposto che per questioni come queste c’è la Camera”.

Marco De Francesco

Corriere del Veneto, 07 Luglio 2014