Droghe : la Legge Fini-Giovanardi, abrogata dalla Consulta, produce ancora danni


cannabis 2Circola con insistenza nei palazzi romani la voce che presso il ministero della Salute sia al lavoro una commissione per stabilire, rispetto alle diverse sostanze, le soglie quantitative al di sotto delle quali si presume che la detenzione sia destinata ad uso personale. Questa norma era stata cancellata dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 32 del 12 febbraio 2014), che aveva dichiarato l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi. Ciononostante, era stata prontamente resuscitata dal decreto legge Lorenzin del 20 marzo 2014 e convertito in legge il 16 maggio 2014 (n.79). Vale la pena ricordare che quel decreto era nato con l’intenzione di ripristinare integralmente la legge dichiarata incostituzionale e che solo l’opposizione del ministro Orlando impedì un colpo di mano per riproporre la norma chiave della Fini-Giovanardi, ovvero la classificazione delle sostanze leggere e pesanti in un’unica tabella, con la stessa elevata pena per la detenzione, da sei a venti anni di carcere.

Più volte, in questa stessa rubrica è stato sottolineato che un decreto di tal genere non era assolutamente necessario e che rispondeva solo a esigenze di mera restaurazione; semmai, la vera necessità e urgenza sarebbe stata di avere una norma governativa per ricalcolare le pene dei condannati in base ad una legge abrogata dalla Corte (vedi gli articoli di Anastasia, 19 marzo 2014, e Corleone, 25 marzo 2014).

Questo intervento, richiesto a gran voce dalle Ong, non vide mai la luce; mentre invece si reintroduceva il comma 1-bis all’art. 73, col concetto di “quantità massima detenibile”, quale “soglia” destinata a discriminare la detenzione per consumo (punibile peraltro con pesanti sanzioni amministrative) da quella per spaccio.

A suo tempo le “quantità massime detenibili” per le diverse sostanze furono stabilite con decreto ministeriale dall’allora ministro Storace, d’accordo con lo “zar” antidroga Carlo Giovanardi (decaduto insieme alla norma cancellata dalla Corte). Che oggi si voglia procedere a una nuova determinazione delle soglie, appare assurdo e preoccupante, e per diverse ragioni.

In primo luogo, la soglia quantitativa non ha mai funzionato, tanto che la famosa “dose media giornaliera” della Jervolino-Vassalli del 1990 fu cancellata dal referendum del 1993 (ripristinata nella Fini Giovanardi per puro furore ideologico di “certezza” della pena). In secondo luogo, la “soglia quantitativa” contrasta coi principi generali di penalità, perché inverte l’onere della prova sull’accusato, chiamato a fornire prove della destinazione per uso personale se detiene quantità maggiori. Ancora, ha poco senso che sulle soglie decida il ministero della Salute (seppure di concerto col ministero della Giustizia), visto che la “quantità massima detenibile” ha rilevanza penale ed è totalmente sganciata da qualsiasi riferimento al consumo e alle sue modalità (a differenza della “dose media giornaliera” suddetta).

Anche in questo caso auspichiamo uno stop da via Arenula, ma è assai preoccupante che in un momento d’inizio della discussione sulla legalizzazione della canapa, si assista a un lavorio revanscista. Piuttosto, è venuto il tempo di una radicale riforma complessiva della normativa antidroga. La Società della Ragione ha predisposto un testo condiviso da un ampio Cartello di associazioni per segnare una profonda discontinuità, a partire dall’impianto stesso della legge, centrato com’è sulla detenzione quale condotta da penalizzare.

La Conferenza governativa potrà essere l’occasione per un confronto aperto che dia al Parlamento gli elementi per una riforma che superi l’ormai insensata guerra alla droga.

Salvina Rissa

Il Manifesto, 7 ottobre 2015

Carceri, Bernardini (Radicali): “Governo schizofrenico, Orlando e Costa su fronti opposti”


carcere 3Abbiamo final­mente un mini­stro di Giu­sti­zia che ha ammesso cla­mo­ro­sa­mente che le car­ceri sono cri­mi­no­gene, in altre parole che lo Stato, vio­lando le sue stesse norme, obbliga a un per­corso verso le reci­dive e non di ria­bi­li­ta­zione. Ma allora, cosa si aspetta a far sì che dav­vero, e non solo negli orien­ta­menti acca­de­mici, il car­cere sia l’extrema ratio? Il governo invece agi­sce in modo schi­zo­fre­nico e rin­corre i popu­li­smi giu­sti­zia­li­sti senza riflet­tere sulle conseguenze».

Rita Ber­nar­dini, segre­ta­ria dei Radi­cali ita­liani, ha appena con­cluso una visita ispet­tiva nel car­cere mila­nese di Opera, come dele­gata mini­ste­riale per gli Stati gene­rali del car­cere che si con­clu­de­ranno nel pros­simo autunno con pro­po­ste orga­ni­che di riforma del sistema peni­ten­zia­rio italiano.

Le con­di­zioni delle car­ceri sono miglio­rate rispetto al 2013 quando la Corte di Stra­sburgo con­dannò l’Italia. A fine luglio, nei 49.655 posti dei 198 isti­tuti sono recluse 52.144 per­sone. Con­ti­nuano a morire, però, forse più di prima: i dati aggior­nati all’11 ago­sto di Ristretti oriz­zonti par­lano di 71 morti, di cui 27 sui­cidi. La sua impressione?

Dati alla mano posso assi­cu­rare che il sovraf­fol­la­mento è ancora un pro­blema in almeno una ses­san­tina di isti­tuti, con tassi che vanno dal 130 al 200%. A Reg­gio Cala­bria, per esem­pio, nel car­cere di Arghillà inau­gu­rato solo un paio di anni fa, c’è un reparto com­ple­ta­mente chiuso per man­canza di per­so­nale e di con­se­guenza i dete­nuti sono ammas­sati negli altri reparti. Ma sa qual è l’unica cosa che ha svuo­tato dav­vero le car­ceri ? La sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale sulla Fini-Giovanardi (la legge proi­bi­zio­ni­sta sulle dro­ghe, ndr). Per­si­stono invece tutti gli altri pro­blemi: da quello sani­ta­rio, con la man­canza di cure soprat­tutto per i dete­nuti affetti da pato­lo­gie molto gravi, alla man­canza di lavoro, per non par­lare del diritto vio­lato all’affettività e alla pros­si­mità ter­ri­to­riale. Sono tutte cose che come Radi­cali ita­liani abbiamo denun­ciato in un’altra memo­ria inviata al comi­tato dei mini­stri del Con­si­glio d’Europa, orga­ni­smo che deve veri­fi­care l’attuazione della sen­tenza Tor­reg­giani. Non è un caso, dun­que, che sia aumen­tato l’indice dei sui­cidi, anche rispetto alla popo­la­zione libera. La mia impres­sione poi è che i casi psi­chia­trici di una certa gra­vità sono aumen­tati per­ché la magi­stra­tura non può più inviare negli Opg — for­mal­mente, ma non real­mente, chiusi — tanto che alcuni car­ceri si sono attrez­zati con repar­tini ad hoc. A Pog­gio­reale il diret­tore Anto­nio Ful­lone denun­cia la pre­senza di almeno 40 casi psi­chia­trici gravi. Que­sto dimo­stra che l’operazione di chiu­sura degli Opg rischia il fal­li­mento totale, se non si for­ni­scono risorse alle strut­ture ter­ri­to­riali che dovreb­bero seguire i malati prima che si tra­sfor­mino in casi drammatici.

Infatti nell’ultimo mese tre per­sone sono morte durante un trat­ta­mento sani­ta­rio obbligatorio…

Sicu­ra­mente è aumen­tato l’esito tra­gico di que­sti Tso: senza risorse per i Dipar­ti­menti di salute men­tale, manca il per­so­nale sani­ta­rio che ese­gue i trat­ta­menti. Nel caso di Torino, per esem­pio, c’era solo un medico psi­chia­tra. Che peral­tro a quanto sem­bra pren­deva ordini dagli agenti, men­tre dovrebbe essere il contrario.

Marco Pan­nella ha inter­rotto lo scio­pero della fame e della sete, ini­ziato per denun­ciare la per­si­stente ille­ga­lità dello Stato ita­liano nelle car­ceri, dopo la tele­fo­nata del pre­si­dente Mat­ta­rella. Le sem­bra che l’attuale capo dello Stato abbia la stessa sen­si­bi­lità del suo pre­de­ces­sore, Napo­li­tano, rispetto alla con­di­zione dei detenuti?

Lo vedremo. Le parole pro­nun­ciate dal pre­si­dente sono state molto impor­tanti per­ché ha detto di con­di­vi­dere la bat­ta­glia per i diritti civili e umani e per la lega­lità che con­duce Marco. Ora però biso­gna inter­ve­nire: non a caso nell’ottobre 2013 Napo­li­tano aveva par­lato di obbligo della lega­lità da parte dello Stato. Siamo in un momento di sbando gene­rale. Per fare un esem­pio, dopo aver speso in dieci anni 110 milioni per met­tere in fun­zione una decina di brac­cia­letti elet­tro­nici, ora tutti i due­mila dispo­si­tivi pro­dotti dalla Tele­com sono impe­gnati. E dall’inizio dell’anno siamo ancora in attesa del bando per pro­durne altri. Per­ciò i magi­strati sono costretti a tenere in car­cere chi potrebbe andare ai domi­ci­liari, altro che pene alter­na­tive. Ma allora, che senso ha fare gli stati gene­rali del car­cere, cer­care solu­zioni al sovraf­fol­la­mento, se poi lo Stato ita­liano non rispetta nem­meno le leggi che ci sono già? O se il sot­to­se­gre­ta­rio Enrico Costa pre­senta in com­mis­sione Giu­sti­zia, alla Camera, emen­da­menti al ddl delega di riforma del codice di pro­ce­dura penale e dell’ordinamento peni­ten­zia­rio per aumen­tare le pene per i reati che lui chiama di allarme sociale? C’è chi nel governo pre­fe­ri­sce seguire i Sal­vini e i Grillo, la pan­cia piut­to­sto che la testa.

Eleonora Martini

Il Manifesto, 12 Agosto 2015

Droghe: c’è chi sta ancora in carcere per la Fini-Giovanardi e Renzi non fa niente


Marijuana 3Esce il Libro Bianco di Antigone e della Società della Ragione sulla legge per le droghe leggere: “La politica si è mostrata pavida e latitante”.

C’è chi è ancora in carcere illegittimamente. Chi non avendo un buon avvocato non ha potuto far valere le sue ragioni. Oppure, più semplicemente, c’è chi sta ancora scontando la pena per la lentezza e la “farraginosità della macchina giudiziaria”. Spesso i registri informatici non riescono a rilevare le richieste. E migliaia di detenuti continuano a rimanere in galera. Mette i brividi l’ultimo Libro Bianco dell’associazione Antigone e della Società della Ragione sulla legge sulle droghe.

A un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi non è cambiato nulla, né la maggioranza dei detenuti giudicati all’epoca è riuscita a far valere le proprie ragioni contro pene illegittime. Colpa soprattutto del legislatore, del governo di Matteo Renzi, che non è intervenuto mai sulla questione, nonostante le richieste dello stesso presidente della Corte di Cassazione all’inizio dell’anno giudiziario.

E nonostante l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, come dichiarato più volte dall’Unione Europea. A gennaio il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, chiese di “adeguare le pene previste in questa materia, tenuto conto del ripristino della differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti e, soprattutto, prendendo coraggiosamente atto della estrema inutilità dell’incremento sanzionatorio stabilito con la legge Fini-Giovanardi”.

All’epoca, era il febbraio del 2014, ci si aspettava – si legge nella relazione – che “la pronuncia di incostituzionalità avrebbe avuto effetti sulla popolazione detenuta nelle carceri italiane. Diminuendo significativamente (passando da 20 a 6 anni) il massimo della pena per detenzione e spaccio di derivati della cannabis”. In particolare l’ipotesi è che si sarebbero prodotti due effetti: “in primis l’insussistenza dei presupposti per misure cautelari in carcere basati su previsioni di pena assai superiori a quelle vigenti dopo la sentenza; e a seguire la necessità di rideterminare le condanne passate in giudicato sulla base delle pene giudicate illegittime”.

Nulla di tutto questo. Anche se nell’ultimo anno sono state portate avanti battaglie da parte della Società della Ragione contro le pene illegittime. Come le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nell’ottobre del 2014 “dettero impulso alla rideterminazione delle pene. Fu cioè riconosciuto ai detenuti il diritto a ottenere il ridimensionamento delle pene sulla base della normativa così come uscita dalla sentenza della Corte costituzionale”

Corte di cassazione1Leonardo Fiorentini, tra gli estensori del Libro Bianco, è molto preciso nella relazione. “Sulla base del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le associazioni iniziarono la campagna “Contro la pena illegittima”, chiedendo al parlamento e al governo un provvedimento che garantisse una decisione immediata e uguale per tutti, con una riduzione di due terzi delle pene comminate sulla base di una legge incostituzionale. Purtroppo anche in questa occasione la politica si è mostrata pavida e latitante e questo semplice provvedimento non è stato adottato”.

A nulla sono poi servite le lettere e gli appelli inviati al governo. “Molti garanti dei diritti dei detenuti” si legge “hanno anche richiesto alle Procure della Repubblica informazioni sulla quantità di incidenti di esecuzione e sul loro esito. Le risposte da parte delle istituzioni sono state poche e assai poco significative”. Il risultato è avvilente, perché migliaia di detenuti non sono riusciti a far valere i loro diritti. “La Procura generale della Corte d’Appello di Milano segnala di avere ricevuto 51 richieste e di averne accolte il 20%. Rimanda per il resto della Lombardia alla procura generale di Brescia e alle 13 Procure della Repubblica”.

E poi ancora: “La Procura Generale di Firenze ha effettuato una ricerca dei fascicoli in esecuzione relativi a reati di droga e ne ha individuati circa 400 e di questi 44 relativi a droghe leggere e solo per 7 casi si è proceduto alla rideterminazione della pena. Il quadro che emerge dalle risposte delle procure della Toscana è desolante; solo a Prato è stato disposto un monitoraggio. Per il resto poche istanze e ancora meno accoglimenti.

Alcune procure sostengono che il registro informatico dell’esecuzione (Siep) non consente la rilevazione delle specifiche richieste di rideterminazione della pena per cui non sono estrapolabili quelle conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014. Altre procure rimandano alle cancellerie del giudice dell’esecuzione. Abbiamo avuto notizia che la Procura di Napoli si è attivata in prima persona e che sono stati esaminati 233 casi di incidenti di esecuzione”.

Per questo motivo, conclude la relazione, “Molti hanno scontato fino alla fine la pena illegittima mentre probabilmente alcuni sono ancora in carcere. In ogni caso, la campagna ha messo in luce la farraginosità della macchina giudiziaria e il suo carattere discriminatorio e di classe. Solo chi ha risorse e avvocato può sperare di vedere riconosciuto il suo diritto. La campagna “Contro la pena illegittima” proseguirà chiedendo al Ministero della Giustizia di impegnarsi nel richiedere tutti i dati e fornire almeno un quadro esaustivo di una vicenda paradossale”.

Alessandro Da Rold

http://www.linkiesta.it, 26 giugno 2015

Cannabis legale, le proposte dell’On. Bruno Bossio (Pd) alla bozza dell’Intergruppo


cannabis 1Non c’è nulla di “ufficiale” per il momento ma, seppur doveva rimanere “riservata”, la proposta di legge che l’Intergruppo Parlamentare sulla Cannabis ha abbozzato, è stata già resa pubblica. In verità, durante l’ultimo incontro dell’Intergruppo costituito su iniziativa del Senatore Benedetto Della Vedova, radicale del Gruppo Misto, Sottosegretario agli Affari Esteri del Governo Renzi, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, calabrese, molto vicina alle posizioni dei Radicali, ha proposto alcune importanti modifiche al testo che, per la gran parte, riprende le proposte di legge presentate sin’ora nei due rami del Parlamento dal Movimento Cinque Stelle, da Sinistra Ecologia e Libertà e dal Partito Democratico. Inizialmente, la predetta, voleva presentare una sua proposta di legge per la revisione completa del Testo Unico sugli Stupefacenti ma, nel frattempo, essendo stato costituito l’Intergruppo ed avendovi aderito, ci ha rinunciato, impegnandosi a “migliorare” per quanto possibile il progetto di legge denominato “Norme per la legalizzaziopne della cannabis e dei suoi derivati” che verrà presentato dall’Intergruppo.

In particolare, le modifiche proposte dall’On. Bruno Bossio sono quattro e riguardano i primi dei quattro articoli della bozza dell’Intergruppo. Per quanto concerne la coltivazione in forma associata di cannabis sul modello dei cannabis sociale club spagnoli (Art. 1) ha proposto di aggiungere al comma 1 ter, le seguenti parole “limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80”. La norma, infatti, così come proposta, prevede che gli associati debbano essere maggiorenni e residenti in Italia e non debbano aver riportato condanne definitive per i reati di cui all’Art. 416 bis del Codice Penale e agli Articoli 70, 73 e 74 del Testo Unico. Ritengo doveroso – ha detto l’On. Bruno Bossio – che il divieto di coltivazione, previsto in tale articolo all comma 1 ter, fermo restando le altre ipotesi, venga circoscritto per tutti i condannati per spaccio o cessione (Art. 73), che siano stati riconosciuti responsabili per fatti di grave entità ed altro (ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80. In sostanza, vanno inclusi, tra i possibili coltivatori in forma associata, quelle migliaia di cittadini sino ad oggi condannate per detenzione e/o cessione di piccole quantità di stupefacenti che, invece, attualmente, la proposta escluderebbe. E su tale modifica, pare che la maggioranza dell’Intergruppo, si sia espressa favorevolmente. Altra questione affrontata è stato il divieto assoluto di fumare i derivati della cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro pubblici e privati, contenuto nell’Art. 30 bis comma 2. Tale divieto, per la Parlamentare, così come proposto, è del tutto assurdo e sproporzionato. Ha proposto, infatti, di sopprimere tout court il comma 2 dell’Articolo 30 bis oppure di sostituirlo con il divieto, attualmente vigente, per quanto concerne il fumo del tabacco, lasciando in via supplementare la possibilità alle Amministrazioni e agli Enti Pubblici, nell’ambito del territorio di loro competenza, di istituire tale divieto in spazi pubblici e aperti al pubblico qualora ricorrano comprovati motivi per la salute dei non fumatori previo parere delle Autorità Sanitarie. Questa proposta, al momento, seppur condivisa da altri membri dell’Intergruppo, pare che non venga accolta e che resterà il divieto sancito nella bozza provvisoria.

Poi ha proposto alcune modifiche importantissime anche all’Articolo 3 concernente le condotte non punibili e fatti di lieve entità. Si sancisce la “non punibilità” della cessione di cannabis e dei prodotti da essa ottenuti a determinate condizioni ed entro specifici limiti. In sostanza, si depenalizza la cessione a persona maggiorenne e, comunque, la cessione che avvenga fra soggetti minori, di una modica quantità di cannabis (nei limiti consentiti), in quanto presuntivamente preordinata al consumo personale. E su questo, nulla da eccepire. Non altrettanto, però, per quel che riguarda le pene detentive e pecuniarie ipotizzate. Infatti, la Deputata calabrese, ha proposto di modificare la lettera b) al fine di ridurne sensibilmente il minimo ed il massimo edittale previsto per le c.d. “droghe pesanti” (cocaina, etc.) anziché 6 anni, 4 anni di reclusione e la multa anziché da euro 2.064 a euro 13.000, da euro 1.000 a euro 5.000 e, fermo restando le pene detentive ipotizzate per le c.d. “droghe leggere” (cannabis, etc.) da 6 mesi a 3 anni, ha proposto di ridurre quelle pecuniarie, nel minimo e nel massimo, anziché da euro 1.032 a euro 6.500, da euro 500 ad euro 2.500. Ciò, ha inteso precisare l’On. Bruno Bossio, per evitare il ripristino della possibilità, per l’Autorità Giudiziaria, di disporre la custodia in carcere anche per i fatti di lieve entità per le c.d. “droghe pesanti” e salvaguardare la possibilità di sospendere la carcerazione del condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza, in attesa del giudizio della Magistratura di Sorveglianza e per applicare, nella fase processuale, il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato nonché l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto poiché, con l’innalzamento della pena a 6 anni di reclusione, verrebbe categoricamente escluso. Salvaguardare la non punibilità per particolare tenuità del fatto va nella direzioone della riduzione del sovraffollamento carcerario e per non ingolfare i Tribunali con processi per fatti tenui e non abituali come quello della modesta detenzione e/o cessione di sostanze stupefacenti anche di tipo “non leggere”, così come la non applicabilità della carcerazione preventiva ai reati puniti con pena detentiva inferiore a 5 anni. Infine, ha proposto di aggiungere un ulteriore comma, dopo il comma 1, per abrogare i commi 1 e 2 dell’Articolo 85 del Testo Unico sugli Stupefacenti. Sono le “pene accessorie” che il Giudice può comminare ai condannati e che consistono nel divieto di espatrio e nel ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a 3 anni. Ritengo, ha insistito la democrat, che sia giusto abrogare queste “pene accessorie” o, comunque, di non applicarle per i fatti di lieve entità, ritenendole eccessive ed inadeguate in quando riducono ed ostacolano, tra le altre cose, le opportunità di lavoro e di reinserimento sociale dei soggetti sanzionati in spregio a quanto previsto dal principio di finalizzazione della pena, più volte affermato dalla Corte Costituzionale, e perché comunque non hanno alcuna concreta efficacia nei confronti dei condannati. Il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto o relativo, assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e relativo in tutte quelle in cui l’uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida oggi è una forma di grave incapacitazione della persona. I condannati, non saranno certo “ostacolati” dal divieto di espatrio o dal ritiro della patente se intendano tornare a delinquere mentre lo saranno se intendano seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro. Su tutte queste proposte, invece, stante la loro importanza, nei prossimi giorni, ci sarà una riunione specifica. Inoltre, l’ultima modifica proposta, attiene all’Articolo 4 sugli illeciti amministrativi. E’ stato proposto di inserire la lettera e) che prevede un’aggiunta all’Articolo 75 comma 4 del Testo Unico e cioè che il termine concesso al Prefetto per l’adozione del provvedimento di convocazione della persona segnalata dalle Forze dell’Ordine per uso personale, debba essere perentorio e non più ordinatorio, in modo tale da rispettare quel tempo congruo e ragionevole (40 giorni) che la normativa vigente individua rispetto la finalità cautelare cui il provvedimento è legato. Infine, è stato proposto, di aggiungere sempre all’Articolo 75 comma 4, che la mancata presentazione al colloquio prefettizio non possa comportare automaticamnete l’irrogazione delle sanzioni se la persona convocata adduca giustificati motivi. Anche su queste ultime proposte, l’Intergruppo, farà le proprie valutazioni.

Emilio Quintieri, Radicali Italiani

Il Garantista, 26 Giugno 2015

6° Libro Bianco sulla Legge sulle Droghe, Giugno 2015


libro bianco drogheIl 24 giugno a Roma, nel corso di una conferenza stampa tenutasi presso la sala Stampa della Camera dei Deputati è stato presentata la sesta edizione del Libro Bianco Illustrazione e commento dei dati sulle conseguenze penali e l’impatto sul sovraffollamento delle carceri, sulle sanzioni amministrative e sui servizi.

Curato da la Società della Ragione Onlus, Antigone, CNCA e Forum Droghe, il Libro Bianco 2015 è il primo che vede esplicitarsi gli effetti della cancellazione della Fini-Giovanardi dopo la sentenza della Corte Costituzionale. Al suo interno anche si trovano anche i dati sul consumo di sostanze in Italia forniti dal CNR e un’analisi del contesto internazionale in vista di “UNGASS 2016”, la sessione straordinaria sulle droghe dell’ONU che si terrà il prossimo anno.

6° Libro Bianco sulla legge sulle droghe: giugno 2015

Carceri, i Radicali al Consiglio d’Europa “In Italia si violano ancora i Diritti Umani”


Consiglio d'Europa 2

I Radicali hanno presentato una memoria al Consiglio d’Europa sulla sentenza Torreggiani, con la quale l’Italia è stata condannata per il sovraffollamento delle carceri e sono stati gli unici sino ad ora.

“Nel giorno in cui il ministro della Giustizia Andrea Orlando presenta a Strasburgo le misure messe in atto e da incardinare per corrispondere a quanto richiesto dalla sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2013 aveva condannato l’Italia per i trattamenti inumani e degradanti inferti ai detenuti nelle nostre carceri – sottolinea il segretario dei Radicali Italiani Rita Bernardini – ci auguriamo che la nostra documentazione sia vagliata dai delegati del Consiglio d’Europa”.

“Nella nostra memoria, redatta con la collaborazione dell’avvocato Giuseppe Rossodivita, oltre a documentare come, nonostante la diminuzione della popolazione detenuta, in 58 istituti ci sia ancora un sovraffollamento che va dal 130 al 200%, Radicali italiani – spiega Bernardini – si soffermano sui cosiddetti rimedi preventivi e risarcitori che il nuovo art. 35 ter dell’Ordinamento Penitenziario assicura solo ad un’estrema minoranza delle decine di migliaia di reclusi che hanno subito quei trattamenti disumani e degradanti. La sentenza Torreggiani, invece, chiedeva fossero ‘effettivi e non semplicemente scritti sulla carta ma inarrivabili”.

“Nella documentazione inviata a Strasburgo – chiarisce ancora Bernardini – i radicali evidenziano il dato drammatico dei suicidi e tutte le altre violazioni dei diritti umani in atto ancora oggi negli istituti penitenziari: dal mancato accesso alle cure alla diffusione di malattie anche infettive, dalle carenze igienico-sanitarie a quelle trattamentali come il lavoro e la scuola alle quali hanno accesso solo il 20/30% dei reclusi”.

“Il fatto che il ministro Orlando abbia definito criminogena le nostre carceri, è stato salutato con favore da noi e dal leader radicale Marco Pannella: è la prima volta, infatti – sottolinea Bernardini – che un ministro della Giustizia fa un’ammissione di questa portata.

L’analisi è dunque giusta e, se è giusta l’analisi, occorrono comportamenti riformatori e di “legalizzazione” del sistema conseguenti”. “Per noi radicali continua ad essere obbligato un intervento di amnistia che consenta alla giustizia penale italiana, oggi paralizzata da 4.600.000 procedimenti penali pendenti, di ripartire – denuncia il segretario.

Non è sufficiente fare accordi con la Banca d’Italia per risarcire finalmente i tantissimi italiani ai quali viene riconosciuta l’irragionevole durata dei processi se la macchina della giustizia produce sistematicamente ritardi che da trent’anni, secondo il Consiglio d’Europa, colpiscono nell’insieme decine di milioni di cittadini italiani”.

Memoria dei Radicali Italiani al Consiglio d’Europa sulla Sentenza Torreggiani

Droghe, Milioni di sanzioni per uso personale. Incalcolabile il numero delle persone finite in galera


marijuanaIl numero di quanti sono finiti in galera in un quarto di secolo per la legge sulle droghe è impressionante e probabilmente incalcolabile per intero.

“Troveremo una soluzione per dire con più chiarezza che drogarsi non è lecito. Ma il carcere per i tossicodipendenti, quello no. In coscienza non mi sento di arrivarci. E per la verità mi sembra non ci pensino neanche i socialisti”. Così dichiarava, certamente in buona fede, Rosa Russo Iervolino, madre della disciplina sulle droghe all’epoca in discussione (“la Repubblica”, 30-31 ottobre 1988).

Il numero di quanti sono finiti in galera per quella legge in un quarto di secolo (sic!), nonostante le mitigazioni introdotte dal referendum del 1993 e, all’opposto, grazie anche alla recrudescenza portata dalla legge Fini-Giovanardi del 2006, è impressionante e probabilmente incalcolabile per intero.

Basti solo ricordare che i detenuti presenti in carcere al 31 dicembre sono passati dai 29.113 del 1990 ai 34.857 del 1991 e ai 46.968 del 1992.

Un numero invece definito è quello delle sanzioni amministrative (per modo di dire, dato che in caso di inottemperanza possono divenire penali).

Secondo i dati più recenti, contenuti ne “Le tossicodipendenze in Italia”, anno 2013, a cura del ministero dell’Interno, dall’11 luglio 1990 al 31 dicembre 2013 le segnalazioni ai Prefetti a norma dell’art. 75 T.U. 309/90 – che sanziona le condotte di minore gravità, vale a dire la detenzione per uso personale – sono state in totale 989.702, 243.220 le sanzioni comminate e 142.953 le richieste di programma terapeutico, mentre le persone segnalate sono state ben 828.416 (33.431 nel solo 2013), di cui 72.754 minorenni.

Le segnalazioni riguardano in larghissima misura il possesso di cannabinoidi (727.842 in totale, di cui 28.362 nel 2013), seguiti a distanza da eroina (rispettivamente 134.581 e 2230) e cocaina (99.146 e 4350).

Esattamente rovesciata la casistica dei morti: nel 2013 si sono registrate 349 vittime (secondo i dati aggiornati al 5 novembre 2014); dei 199 casi in cui è stato possibile risalire alla presunta sostanza causa del decesso, 148 sono da eroina, 30 da cocaina e solo 2 da hashish, numero di cui oltretutto è lecito dubitare, giacché “si tratta di dati non sempre supportati da esiti peritali o da esami autoptici e/o tossicologici”. Insomma, la sostanza meno pericolosa è quella più pesantemente criminalizzata e perseguita.

Il fallimento delle norme in vigore è testimoniato dai numeri ma anche ammesso dagli addetti. Come scrive in premessa la pubblicazione: “Il consumo di sostanze stupefacenti, pur coinvolgendo in gran parte il mondo giovanile, continua ad avere grande diffusione nella popolazione in generale. Infatti, l’uso di droga risulta molto diffuso anche tra persone adulte e ben integrate nel contesto sociale e lavorativo, configurandosi come fenomeno esteso a tutti gli strati della società e quindi non più relegato alla condizione di emarginazione sociale”.

Si potrebbe concludere con le parole di allora del vicepresidente del Consiglio, il socialista Gianni De Michelis, tifoso della linea punizionista: “È apparso chiaro che la legge del 1975 non è servita ad arginare il fenomeno della droga né a impedirne l’aggravarsi. Quindi è ormai necessario compiere un salto di qualità” (“la Repubblica”, 29 ottobre 1988).

Quel “salto di qualità”, la nuova legge del 1990 imposta dagli oltranzisti catto-socialisti, oltre a non arginare, ha prodotto centinaia di migliaia di inquisiti, sanzionati, imprigionati, talvolta suicidati, costretti a un uso di sostanze reso più pericoloso dalla clandestinità e dal governo mafioso del mercato, con relativo maggior rischio di contrarre Aids e altre malattie. In un paese civile sarebbe materia di “class action” e richiesta di risarcimento dei danni, individuali e sociali.

Sergio Segio

Il Manifesto, 17 giugno 2015

 

Carceri, Bernardini (Radicali) : Allibiti per le dichiarazioni del Segretario Generale del Consiglio d’Europa


consiglio europa 2“Sulle risposte da dare per risolvere la questione del sovraffollamento carcerario l’Italia è diventato un esempio di buone pratiche per diversi altri Stati membri”. Le parole del segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjorn Jagland, dopo l’incontro col ministro della Giustizia, Andrea Orlando, suonano provenire, più che dall’Europa, da un altro continente rimasto nello scantinato del mondo, ignaro che lassù, al primo piano va in scena una ben più tragica realtà.

Frasi che iniettano anche tra chi ogni giorno naviga a vista nell’odissea giudiziario-carceraria del nostro Paese, una massiccia dose di sbigottimento. “Ma questo Thorbjorn Jagland – si interroga piccata il segretario dei Radicali Rita Bernardini – sa qualcosa dell’irragionevole durata dei processi in Italia?”. “Il fatto che con incredibile ritardo paghiamo finalmente le sanzioni in denaro della legge Pinto (da verificare comunque se sarà efficace l’accordo con la Banca d’Italia) – argomenta la leader radicale – non significa che i processi sono di una durata “ragionevole” ma che lo Stato italiano “paga” cifre spaventose (oggetto peraltro di una nostra denuncia per danno erariale confezionata da Deborah Cianfanelli della Direzione di Radicali italiani) per violare la Costituzione italiana e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

“Premesso che non si comprende a quale titolo il Segretario Generale del Consiglio d’Europa rilasci dichiarazioni “politiche” sull’operato dei governi – prosegue Rita Bernardini – colpiscono le parole secondo le quali Thorbjorn Jagland promuova l’Italia in merito alla sentenza Torreggiani e si spinga a congratularsi con il ministro Orlando su quanto l’Italia avrebbe fatto per ridurre la lunghezza dei processi”.

Sebbene al Guardasigilli Orlando vada riconosciuta maggiore sensibilità dei predecessori sui temi detentivi, che hanno portato tra l’altro all’apertura di un dibattito sulla materia con gli Stati generali delle carceri, la situazione ereditata dal ministro, numeri alla mano, rimane ancora disastrosa. I dati diffusi dal Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria dicono che al 31 marzo 2015 i detenuti che inzeppano le nostre 200 carceri sono 54.122, e cioè di nuovo in aumento dopo i piccoli segnali di miglioramento legati ai provvedimenti “svuota carceri” e la sentenza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la legge Fini-Giovanardi che equiparava le sostanze stupefacenti leggere (hashish e marijuana) a quelle pesanti (eroina, cocaina).

E va ricordato poi, come già chiarito dalla stessa Rita Bernardini, che nonostante i miglioramenti degli ultimi cinque anni (nel 2010 i detenuti in attesa di giudizio erano il 43 per cento) a oggi vivono tra le sbarre, ancora in attesa di un processo 19.799 persone, e cioè quasi tre detenuti su dieci. In particolare, desta allarme la grande quantità di detenuti in attesa di primo giudizio, che sono in tutto quasi diecimila.

E il sovraffollamento rimane una piaga dalle enormi conseguenze, che lede la dignità di chi spende la propria esistenza in gattabuia. Le carceri italiane che presentano un sovraffollamento superiore al 130 per cento sono 58. Il triste record tocca alla Casa circondariale di Udine, che con 164 detenuti stipati come polli negli 82 effettivi, tocca il 200 per cento di sovraffollamento.

Thorbjørn JaglandMa dovrebbero far rizzare anche i capelli inamidati dei burocrati di Bruxelles, il 199% del carcere di Busto Arsizio (303 detenuti in 145 posti effettivi), il 196% del carcere di Latina (149 detenuti in 76 posti). E poi Milano-San Vittore, dove c’è un “overbooking” del 182% (963 detenuti in 530 posti effettivi), Roma-Regina Coeli (178%,) Verona Montorio (608 detenuti in 345 posti), Padova-2 Palazzi (738 detenuti in 436 posti), a Lecce-Nuovo complesso (1.017 detenuti in 622 posti), Napoli Secondigliano (1.353 detenuti in 886 posti), Bologna-Dozza (734 detenuti in 489 posti), Milano- Opera (1.303 detenuti in 893 posti).

“Quel che preoccupa – ha avuto modo di osservare Rita Bernardini – e quindi come radicali ci “occupa” di più, sono i tanti detenuti che si trovano ancora in carcere perché non hanno potuto rivedere al ribasso la pena che è stata loro comminata in base ai vecchi minimi e massimi edittali della legge Fini-Giovanardi che andavano dai 6 ai 20 anni senza fare distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere mentre, dopo la dichiarazione di incostituzionalità per i derivati della cannabis, si è passati a pene edittali che vanno dai 2 ai 6 anni”.

Se è questa l’Italia che improvvisamente è assurta dagli altari dell’Europa a modello di giustizia ed equità della pena, l’Italia dei 4milioni e 600mila processi pendenti, l’Italia dove sei detenuti su dieci sono ammalati e tre su dieci usano droghe, l’Italia dei 44 suicidi in cella soltanto nel 2015, allora la spiegazione è una sola. Gli applausi che si levano nella nostra direzione, devono essere quelli beffardi di “Scherzi a parte”.

Francesco Lo Dico

Il Garantista, 17 giugno 2015

Scacco Matto, Quintieri (Radicali) : “Rinuncio anche ai testimoni, basta altri rinvii del processo”


Emilio Quintieri - RadicaliSi terrà il prossimo 15 luglio 2015 alle ore 12 presso il Tribunale di Paola, Sezione Penale in composizione Collegiale (Del Giudice, Presidente, Elia e Mesiti a latere), l’ultima udienza relativa all’Operazione Antidroga “Scacco Matto” che vede imputati i cetraresi Emilio Enzo Quintieri e Davide Pinto, 29 e 33 anni, per traffico illecito in concorso di sostanze stupefacenti (cocaina e marijuana) nel Tirreno Cosentino e nelle Città di Rende e Cosenza. Insieme a Quintieri – che al momento dell’arresto era candidato alla Camera dei Deputati, nella circoscrizione calabrese, per la Lista Radicale “Amnistia Giustizia e Libertà” – ed a Pinto, il 13 febbraio 2013, alle prime ore del mattino, su disposizione della Procura della Repubblica di Paola vennero arrestate dai Carabinieri del Nucleo Operativo della Compagnia di Paola coadiuvati dai Militari del Comando Provinciale di Cosenza e dalle Unità Cinofile del Gruppo Operativo Calabria di Vibo Valentia, altre 4 persone  di Cetraro (Carmine e Giuseppe Antonuccio, Luca Occhiuzzi e Ido Carmine Petruzzi) che hanno già definito le loro posizioni, in primo e secondo grado, avendo scelto di procedere con il rito abbreviato. A firmare i 6 provvedimenti restrittivi, fu il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Paola Carmine De Rose.

Quintieri, difeso dagli Avvocati Sabrina Mannarino e Marta Gammella del Foro di Paola, già durante l’interrogatorio di garanzia, contrariamente a tutti gli altri indagati, non si avvalse della facoltà di non rispondere difendendosi dalle contestazioni che gli vennero rivolte nell’ordinanza custodiale. Ma fu del tutto inutile perché il Gip non gli credette confermandogli la misura cautelare di massimo rigore che, tra l’altro, venne poi ratificata dal Tribunale del Riesame di Catanzaro. Dopo quasi un anno di custodia inframuraria, prima a Paola e poi a Cosenza, l’attivista radicale, venne scarcerato e posto agli arresti domiciliari nel Comune di Fagnano Castello nonostante l’opposizione della Procura della Repubblica. Successivamente, la misura cautelare, per la sua considerevole durata e per la rigorosa osservanza delle prescrizioni e degli obblighi imposti dall’Autorità Giudiziaria, venne inizialmente sostituita con quella più lieve dell’obbligo di presentazione trisettimanale alla Polizia Giudiziaria e poi revocata completamente all’esito dell’abrogazione della Legge Fini Giovanardi sugli Stupefacenti disposta dalla Corte Costituzionale della quale anche Quintieri aveva sollevato eccezione di costituzionalità. Pinto, invece, è difeso dagli Avvocati Giuseppe Bruno del Foro di Paola e Rossana Cribari del Foro di Cosenza, è sin dal primo momento è stato sottoposto agli arresti domiciliari poi, in maniera gradata, sostituiti con altre misure meno afflittive. Durante l’udienza del 13 maggio scorso, dopo l’esame degli Ufficiali di Polizia Giudiziaria e dei tossicodipendenti indicati dal Pubblico Ministero, avrebbero dovuto essere sentiti i tre testimoni della difesa di Quintieri ma, purtroppo, nessuno di questi aveva ritirato le citazioni all’Ufficio Postale per cui ci sarebbe stato un ulteriore rinvio dell’udienza di alcuni mesi per disporre l’accompagnamento coatto degli stessi a mezzo della Forza Pubblica. L’Avv. Mannarino, in accordo con il suo assistito, ha proposto al Collegio giudicante di rinunciare a far sentire i propri testi qualora il processo venisse definito prima della pausa estiva e che venisse acquisita al fascicolo processuale la deposizione resa ai Carabinieri, durante le indagini, da uno dei testimoni che smentiva la detenzione e cessione di sostanza stupefacente da parte di Quintieri. Il Presidente Del Giudice, sentito il parere favorevole del Pubblico Ministero Teresa Grieco, ha disposto l’acquisizione del verbale richiesto dalla difesa ed ha revocato l’ammissione delle ulteriori testimonianze, fissando l’udienza conclusiva del processo per il prossimo 15 luglio alle ore 12.

Sono fermamente convinto che, nonostante l’accanimento sbirresco e giudiziario senza tregua nei miei confronti, sarò assolto con formula piena, non per non aver commesso i fatti contestati ma proprio per la insussistenza degli stessi. Per questo motivo, dice l’imputato Emilio Quintieri, non ho voluto fare il rito abbreviato, nonostante rischiassi una pena molto alta, perché ero sicuro che l’istruttoria dibattimentale avrebbe chiarito come stavano realmente le cose e che quelle imputazioni non avrebbero trovato riscontro nelle risultanze processuali.

 

Grosso (Gruppo Abele) : Il Governo resta in silenzio totale sulle Droghe da oltre un anno


Marijuana 3Sulla “questione droghe”, il governo risulta afasico. Dopo un primissimo vagito nei giorni iniziali del suo insediamento, costretto dalla abolizione per incostituzionalità della Fini-Giovanardi a ripristinare la vecchia normativa, il governo non ha più battuto un colpo, nonostante il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea, occasione mancata per presentare la discontinuità dalla gestione Giovanardi-Serpelloni.

Il governo di larghe intese ha “incassato” la decisione della Corte Costituzionale. Nel doppio senso del termine. “Pugilisticamente”, affidando il compito di relatore del rabbercio legislativo allo stesso Giovanardi, con un’operazione incompiuta sia rispetto a vistose incoerenze normative risultanti dal nuovo testo unico, sia per la mancanza di una disposizione di legge che evitasse ai detenuti, condannati con una legge dichiarata incostituzionale, l’onere del ricorso individuale per la rideterminazione della pena.

Nello stesso tempo il governo ha incassato i benefici di una riforma extraparlamentare (la reintroduzione della distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”, con tutti gli effetti a cascata, in primis sul sovraffollamento carcerario) che nemmeno l’ultimo governo Prodi, nonostante le buone intenzioni, era stato in grado di portare a casa abrogando la Fini-Giovanardi.

Poi il silenzio totale per un anno intero, senza la designazione di un referente politico per il Dipartimento Anti Droga, a sostituzione e “correzione” del ruolo ricoperto troppo a lungo da Giovanardi.

La legge 309 del 90 richiede che ogni tre anni venga convocata una Conferenza nazionale per verificare e rideterminare le politiche sulle droghe: è sei anni che non viene indetta. La stessa legge prevede l’istituzione di una Consulta e di un Comitato scientifico che coadiuvi l’attività del Dipartimento: non sono mai stati nominati. Il Dipartimento ogni anno finanzia progetti a sostegno di obiettivi ritenuti prioritari o sperimentali, in collaborazione con i servizi pubblici e il privato-sociale accreditato: tutto è fermo e sono state bloccate anche le progettazioni che fruivano di una biennalità già predeterminata. L’indispensabile collaborazione con le Regioni, molto tormentata nella precedente gestione, non è stata ancora riavviata. La stessa relazione al parlamento, debito informativo che il governo ha come obbligo istituzionale, è pervenuta in ritardo e senza la tradizionale prefazione che definisce le priorità e gli orientamenti politici.

A livello internazionale, si avverte con ancora più urgenza la necessità di un riposizionamento dell’Italia rispetto alle politiche dell’Unione europea e dell’Onu.

Rompendo l’unitarietà della posizione europea, la gestione Giovanardi-Serpelloni ha schierato l’Italia contro il “pilastro” della Riduzione del danno. L’importantissima scadenza di New York dell’Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass 2016), in cui si rifletterà sulla possibile revisione delle Convenzioni internazionali, necessita di un diverso ruolo dell’Italia, a favore, e non di ostacolo, alle significative innovazioni e coraggiose sperimentazioni condotte ormai in molti Paesi del vecchio e nuovo Continente.

Bisogna che il governo ri-apra con franchezza un percorso di confronto con tutto il settore: le istituzioni regionali, gli operatori del pubblico e del privato sociale, le associazioni coinvolte a vario titolo, i comitati delle famiglie, le rappresentanze dei consumatori, la società civile responsabile.

Leopoldo Grosso (Presidente onorario Gruppo Abele)

Il Manifesto, 8 aprile 2015