Gherardo Colombo: “Il fine pena mai è incostituzionale. Il giudice decida sugli ergastolani”


Oggi alla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si comincerà a discutere del “Fine pena mai”: il carcere ostativo che esclude dai benefici carcerari chi si è macchiato di reati di mafia e terrorismo e non collabora con la giustizia.

Gherardo Colombo, secondo lei non c’è il rischio che molti possano tornare liberi?

“Il carcere ostativo, previsto dall’articolo 4 bis del nostro ordinamento penitenziario, impedisce al giudice di verificare caso per caso se il detenuto possa ottenere benefici. E di valutare se dopo un numero di anni (particolarmente elevato) di pena scontata possa accedere alla liberazione condizionale. Non vedo perché togliere al giudice questa funzione”.

Si applica per reati di grave allarme sociale. Il detenuto può riottenere i benefici se collabora. Non basta?

“C’è anche chi non può collaborare. Ad esempio chi è dentro da vent’anni, come fa? Oppure chi ha un figlio che vive accanto a un boss mafioso e teme vendette”.

Non è una misura voluta da Falcone contro la mafia?

“Non so quanto Falcone si sia interessato a questa legge del 1991. Ma il punto è un altro. Perché precludere al giudice la valutazione? E poi ci sono anche una serie di altri reati inclusi nell’elenco. Ad esempio la corruzione”.

Che non prevede l’ergastolo…

“Però per tutto il periodo della detenzione il condannato per corruzione non può avere permessi, né lavorare all’esterno”.

Sorprende che lo dica lei, ex membro del pool Mani Pulite, accusato di essere una “toga rossa” giustizialista…

“In realtà sono uscito dalla magistratura 12 anni fa proprio perché credo che il sistema “carcere e basta” non garantisca la sicurezza dei cittadini. Occorre un sistema complessivo che deve puntare al recupero, fondato sull’educazione e sulla prevenzione: è meglio che i reati non siano commessi piuttosto che punire la loro commissione. Invece lo sa quanti sono i detenuti all’ergastolo?”.

Quanti?

“1.790. E all’ergastolo ostativo, per quel che mi risulta, 1.255. Oltre il 70%. Tra questi ci sono i boss, ma anche i picciotti che, magari a vent’anni, hanno ucciso durante uno scontro a fuoco, e sono passati già trent’anni da allora. Potrà un giudice valutare se possono essere reinseriti nella società? Perché lo può fare per chi ha ucciso la moglie e per loro no? Bisogna far sapere come nasce questa discussione”.

Dalla sentenza di Strasburgo in favore di Marcello Viola: condannato per associazione mafiosa, sequestro di persona, omicidio e possesso illegale di armi…

“Esatto. Il 13 giugno la Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione. L’Italia ha impugnato di fronte alla Grande Camera. Se dovesse decidere che il ricorso non è ammissibile la sentenza diventerà definitiva. Peraltro anche la Corte Costituzionale a fine ottobre dovrà decidere sull’articolo 4 bis”.

Pensa sia incostituzionale?

“Secondo me sì. Le dico una cosa che può apparire scandalosa. Se escludiamo la pena di morte, che per fortuna non esiste più, per certi versi abbiamo reso la legge penale meno liberale di quella elaborata dai fascisti. La Costituzione afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Mi pare che l’ergastolo ostativo contrasti entrambe queste statuizioni”.

Virginia Piccolillo

Corriere della Sera, 7 ottobre 2019

Manconi (Pd) “nel 41bis riscontrate numerose violazioni delle garanzie dei detenuti”


Luigi Manconi 3Nell’abisso del 41bis “abbiamo riscontrato numerose violazioni delle garanzie dei detenuti”. Lo rivela a “l’Espresso” Luigi Manconi, senatore e presidente della commissione Diritti umani molto critico sul metodo di applicazione del regime speciale di reclusione.

Senatore, il 41bis è una misura eccezionale diventata regola nella lotta alla mafia. Eppure…

“È un regime straordinario per situazioni di emergenza. Dovrebbe, quindi, terminare una volta esaurita – fosse pure tra mille anni – l’eccezionalità del fenomeno. Si è scelto, invece, di rendere fisiologica e accettabile una forma particolarmente pesante di reclusione”.

In cosa consiste davvero questo regime?

“La verità è che il 41bis non dovrebbe costituire un regime crudelmente afflittivo, ma perseguire uno scopo strumentale: impedire la relazione tra il detenuto e l’organizzazione criminale. Si pensa, invece, che tanto più alto è il profilo delinquenziale del detenuto, maggiore deve essere la durezza della pena. Tutte le misure finalizzate a impedire quel collegamento con l’esterno sono legittime, ma non quelle che rendono più intollerabile la pena. Per quale motivo, ad esempio, viene ridotto il numero di quaderni acquistabili o viene impedito di dipingere nella propria cella? E perché mai i dieci minuti di incontro col figlio minore vengono sottratti all’ora mensile di colloquio con i familiari? Queste sono misure inutilmente persecutorie”.

La commissione dei Diritti umani che lei presiede si sta occupando proprio del carcere duro.

“Abbiamo riscontrato numerose violazioni di diritti. La Commissione verifica la coerenza della sua applicazione con leggi e regolamenti. Tuttavia, ricordo che un magistrato come Gherardo Colombo ne contesta la costituzionalità. Il diffuso populismo penale, però, impedisce una serie discussione sul tema. Lo Stato d’eccezione, prodotto dalle stragi mafiose, si è fatto permanente e si presume come eterno”.

Giovanni Tizian

L’Espresso, 6 novembre 2015

Gherardo Colombo (Magistrato) : Ero uno che mandava in galera le persone. Ho sbagliato, oggi sono pentito !


PM Colombo“Questa donna ha ragione. E va ascoltata. Perché se oggi il carcere svolge una funzione, è la vendetta”. Prima giudice, poi pubblico ministero in inchieste che hanno fatto la storia d’Italia come la Loggia P2 o Mani Pulite, Gherardo Colombo ha messo profondamente in discussione le sue idee: “Ero uno che le mandava le persone in prigione, convinto fosse utile. Ma da almeno quindici anni ho iniziato un percorso che mi porta a ritenere errata quella convinzione”.

Da uomo di legge, la sua è una posizione tanto netta quanto sorprendente.

“È concreta. I penitenziari sono inefficaci, se non dannosi per la società. Anziché aumentare la sicurezza, la diminuiscono, restituendo uomini più fragili o più pericolosi, privando le persone della libertà senza dare loro quella possibilità di recupero sancita dalla Costituzione. Esistono esempi positivi, come il reparto “La Nave” per i tossicodipendenti a San Vittore, o il carcere di Bollate, ma sono minimi”.

Molti dati mostrano la debolezza della rieducazione nei nostri penitenziari. Ma perché parlare addirittura di vendetta?

“Credo sia così. Pensiamo alle vittime: cosa riconosce la giustizia italiana alla vittima di un reato? Nulla. Niente; se vuole un risarcimento deve pagarsi l’avvocato. Così non gli resta che una sola compensazione: la vendetta, sapere che chi ha offeso sta soffrendo. La nostra è infatti una giustizia retributiva: che retribuisce cioè chi ha subito il danno con la sofferenza di chi gli ha fatto male”.

Esistono esperienze alternative?

“Sì. In molti Paesi europei sono sperimentate da tempo le strade della “giustizia riparativa”, che cerca di compensare la vittima e far assumere al condannato la piena responsabilità del proprio gesto. Sono percorsi difficili, spesso più duri dei pomeriggi in cella. Ma dai risultati molto positivi”.

Se questa possibilità è tracciata in Europa, perché un governo come quello attuale, così impegnato nelle riforme, non guarda anche alle carceri?

“Nei discorsi ufficiali sono tutti impegnati piuttosto ad aumentare le pene, a sostenere “condanne esemplari”, come sta succedendo per la legge sull’omicidio stradale – una prospettiva che trovo quasi fuori luogo: quale effetto deterrente avrebbe su un delitto colposo? Ma al di là del caso particolare, il problema è che i politici rispondono alla cultura dei loro elettori. Il pensiero comune è che al reato debba corrispondere una punizione, che è giusto consista nella sofferenza. Me ne accorgo quando parlo nelle scuole del mio libro, “Il perdono responsabile”: l’idea per cui chi ha sbagliato deve pagare è un assioma granitico, che solo attraverso un dialogo approfondito i ragazzi, al contrario di tanti adulti, riescono a superare. D’altronde il carcere è una risposta alla paura, e la paura è irrazionale, per cui è difficile discuterne”.

È una paura comprensibile, però. Parliamo di persone che hanno rubato, spacciato, ucciso, corrotto.

“Ovviamente chi è pericoloso deve stare da un’altra parte, nel rispetto delle condizioni di dignità spesso disattese nei nostri penitenziari. Ma solo chi è pericoloso. Ed è invece necessario pensare in da subito, per tutti, alla riabilitazione. Anche perché queste persone, scontata la condanna, torneranno all’interno di quella società che li respinge”.

Francesca Sironi

L’Espresso, 15 maggio 2015

Giustizia: l’ex Pm Gherardo Colombo “il carcere ? è inumano e non serve a nulla”


Gherardo Colombo PMConsegnato ieri dal presidente della fondazione Bruno Rossi. L’ex pm: “Il 68% dei detenuti scarcerati torna in cella. Il sistema non è efficace”.

“Il carcere non serve”. È il messaggio lanciato dall’ex magistrato Gherardo Colombo ieri mattina, in occasione della consegna del premio Mario Tommasini 2015. “Il 68% di chi esce dal carcere torna al suo interno perché commette nuove azioni criminose – ha dichiarato.

È chiaro che questo sistema non è efficace. Inoltre il concetto della punizione è in contrasto con il riconoscimento della dignità delle persone. Il sistema carcerario non è coerente con i principi dell’umanità”. “Il premio Tommasini – ha aggiunto – è un incentivo a portare avanti queste idee”.

A consegnare il riconoscimento – durante la cerimonia svoltasi all’auditorium Don Gnocchi, in piazzale dei Servi – Bruno Rossi, presidente della Fondazione Tommasini, e Barbara Tommasini, figlia di Mario. “Diversi concetti legano l’opera di Tommasini – ha dichiarato Rossi – con le idee di Gherardo Colombo, soprattutto sul tema del carcere. Tommasini diceva che bisognava far uscire almeno per qualche ora i detenuti dal carcere, mentre Gherardo Colombo afferma che il carcere non serve”. “Questa importante personalità – ha aggiunto Barbara Tommasini – incarna l’idea di libertà della persona che animava anche mio padre”.

La cerimonia di consegna è stata anticipata dall’introduzione di Maristella Galli, vicepresidente della Fondazione Tommasini, che ha sottolineato come Gherardo Colombo, lasciata l’attività professionale, abbia dedicato il suo tempo ed energie alla valorizzazione della cultura del rispetto e alla divulgazione dell’esercizio di una giustizia riparativa, per il recupero di una relazione che si è interrotta con la società e la conquista di un posto utile e rispettato nella comunità.

All’incontro erano presenti anche alcune classi del liceo delle Scienze Umane Sanvitale che hanno preso parte al progetto Fuga d’affetto. Per l’occasione il liceo ha ricevuto una targa per l’impegno sul tema del carcere che gli studenti svolgono da alcuni anni con la Cooperativa Sirio. La Fondazione Tommasini nasce per iniziativa di un gruppo di persone, amici, studiosi, politici e religiosi, determinati a conservare la memoria dell’uomo e del politico, ma soprattutto a creare un laboratorio di riflessioni e idee in grado di accrescere e sviluppare i principi ispiratori della vita di Mario Tommasini. All’iniziativa hanno aderito le principali istituzioni di Parma e provincia, oltre ai comuni del territorio parmense che hanno sostenuto le iniziative di Tommasini.

Luca Molinari

Gazzetta di Parma, 17 maggio 2015