Prof.ssa Pecorella (UniBicocca): il regime ostativo non risponde ad esigenze di difesa sociale


Il condannato alla pena dell’ergastolo non può mai essere privato di una prospettiva concreta ed effettiva di liberazione. La questione dell’ergastolo ostativo pone la Corte Costituzionale di fronte a un bivio, dovendo scegliere se andare alla ricerca di possibili giustificazioni sul piano teorico della presunzione assoluta di non rieducabilità di chi non collabora con la giustizia oppure valutare quella presunzione alla luce dell’esperienza concreta maturata nei ventisette anni trascorsi dalla sua introduzione.

La Corte Europea, con la sua recente sentenza nel caso Viola, ha ritenuto la disciplina italiana contraria all’art. 3 Cedu perché impedisce al detenuto di vedere riconosciuti i progressi compiuti nel suo percorso rieducativo, fino a quando non collabora con la giustizia. Smentendo quella presunzione in senso contrario, si prende atto del fatto che la mancata collaborazione non ha impedito che un percorso rieducativo sia stato intrapreso dal detenuto e si esige, anzi, che i risultati di quel percorso siano valutabili dal giudice in vista della possibile e graduale uscita dal carcere. Perché il condannato alla pena dell’ergastolo non può mai essere privato di una prospettiva concreta ed effettiva di liberazione.

D’altra parte, abbiamo davanti agli occhi casi di ergastolani ostativi che, senza aver collaborato con l’autorità giudiziaria, hanno potuto ottenere dei benefici penitenziari o delle misure alternative alla detenzione, avendo partecipato attivamente al programma rieducativo durante i lunghi anni trascorsi in carcere. Sono gli ergastolani usciti dal regime ostativo attraverso il riconoscimento della inesigibilità della loro collaborazione, perché tutto è stato ormai chiarito o niente sono in grado di ulteriormente chiarire.

Come è potuto accadere? Nell’unico modo che l’ordinamento penitenziario contempla sulla base:

a) di una relazione positiva dell’equipe penitenziaria che, avendo più di chiunque altro osservato l’evoluzione del condannato durante la detenzione, ha ritenuto da lui compiuta quella “presa di distanza dal suo passato criminale” necessaria, ma anche sufficiente, per poter intraprendere un graduale percorso di ritorno alla libertà; nonché

b) sulla successiva pronuncia del giudice che quella relazione ha ritenuto di poter condividere, concedendo il beneficio penitenziario richiesto.

Perché negare questo stesso percorso, lungo e faticoso, ma ricco di speranza agli ergastolani che non collaborano, pur essendo ritenuti astrattamente in grado di farlo? Si dice che serve la loro collaborazione, sia pure a distanza di tanto tempo dai fatti. Se anche questa fosse la ragione, e se anche questa ragione fosse ritenuta sufficiente a giustificare il sacrificio della funzione rieducativa della pena nei confronti di questi soggetti, dovremmo arrenderci all’evidenza dei fatti: chi non ha collaborato nella fase processuale, ricavandone sensibili benefici in termini di pena, non decide di collaborare una volta che è stato condannato, se non sono cambiate o venute meno le ragioni, qualunque esse fossero, che gli hanno impedito di farlo nel momento più vantaggioso.

E se è vero che la preoccupazione per l’incolumità dei propri familiari è la ragione principale che inibisce la scelta di collaborare, difficile è immaginare che quella preoccupazione svanisca dalla mente del condannato proprio mentre si trova in carcere, lontano da tutto e da tutti e con il solo conforto dei suoi familiari. Una condizione, si noti, che l’ergastolano ostativo condivide con le persone condannate a pena temporanea e parimenti eseguite in regime ostativo: anche ad esse è precluso, se non collaborano con la giustizia, il normale percorso rieducativo e quindi un’effettiva chance di reinserimento una volta uscite dal carcere. Perché loro, a differenza degli ergastolani, riacquistano necessariamente la libertà, una volta terminata l’esecuzione della pena. E allora, possiamo davvero continuare a credere che il regime ostativo previsto dalla legge risponda a esigenze di difesa sociale?

Claudia Pecorella Professore di Diritto Penale Università di Milano Bicocca

Il Sole 24 Ore, 21 ottobre 2019

Gherardo Colombo: “Il fine pena mai è incostituzionale. Il giudice decida sugli ergastolani”


Oggi alla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si comincerà a discutere del “Fine pena mai”: il carcere ostativo che esclude dai benefici carcerari chi si è macchiato di reati di mafia e terrorismo e non collabora con la giustizia.

Gherardo Colombo, secondo lei non c’è il rischio che molti possano tornare liberi?

“Il carcere ostativo, previsto dall’articolo 4 bis del nostro ordinamento penitenziario, impedisce al giudice di verificare caso per caso se il detenuto possa ottenere benefici. E di valutare se dopo un numero di anni (particolarmente elevato) di pena scontata possa accedere alla liberazione condizionale. Non vedo perché togliere al giudice questa funzione”.

Si applica per reati di grave allarme sociale. Il detenuto può riottenere i benefici se collabora. Non basta?

“C’è anche chi non può collaborare. Ad esempio chi è dentro da vent’anni, come fa? Oppure chi ha un figlio che vive accanto a un boss mafioso e teme vendette”.

Non è una misura voluta da Falcone contro la mafia?

“Non so quanto Falcone si sia interessato a questa legge del 1991. Ma il punto è un altro. Perché precludere al giudice la valutazione? E poi ci sono anche una serie di altri reati inclusi nell’elenco. Ad esempio la corruzione”.

Che non prevede l’ergastolo…

“Però per tutto il periodo della detenzione il condannato per corruzione non può avere permessi, né lavorare all’esterno”.

Sorprende che lo dica lei, ex membro del pool Mani Pulite, accusato di essere una “toga rossa” giustizialista…

“In realtà sono uscito dalla magistratura 12 anni fa proprio perché credo che il sistema “carcere e basta” non garantisca la sicurezza dei cittadini. Occorre un sistema complessivo che deve puntare al recupero, fondato sull’educazione e sulla prevenzione: è meglio che i reati non siano commessi piuttosto che punire la loro commissione. Invece lo sa quanti sono i detenuti all’ergastolo?”.

Quanti?

“1.790. E all’ergastolo ostativo, per quel che mi risulta, 1.255. Oltre il 70%. Tra questi ci sono i boss, ma anche i picciotti che, magari a vent’anni, hanno ucciso durante uno scontro a fuoco, e sono passati già trent’anni da allora. Potrà un giudice valutare se possono essere reinseriti nella società? Perché lo può fare per chi ha ucciso la moglie e per loro no? Bisogna far sapere come nasce questa discussione”.

Dalla sentenza di Strasburgo in favore di Marcello Viola: condannato per associazione mafiosa, sequestro di persona, omicidio e possesso illegale di armi…

“Esatto. Il 13 giugno la Corte europea dei diritti umani gli ha dato ragione. L’Italia ha impugnato di fronte alla Grande Camera. Se dovesse decidere che il ricorso non è ammissibile la sentenza diventerà definitiva. Peraltro anche la Corte Costituzionale a fine ottobre dovrà decidere sull’articolo 4 bis”.

Pensa sia incostituzionale?

“Secondo me sì. Le dico una cosa che può apparire scandalosa. Se escludiamo la pena di morte, che per fortuna non esiste più, per certi versi abbiamo reso la legge penale meno liberale di quella elaborata dai fascisti. La Costituzione afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Mi pare che l’ergastolo ostativo contrasti entrambe queste statuizioni”.

Virginia Piccolillo

Corriere della Sera, 7 ottobre 2019

Ergastolo ostativo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo condanna l’Italia


L’Italia deve rivedere la legge che regola il carcere a vita, perché viola il diritto del condannato a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Così la Corte europea dei diritti umani in una sentenza che in assenza di ricorsi sarà definitiva tra tre mesi. La decisione riguarda il caso di Marcello Viola, condannato per associazione mafiosa, omicidi e rapimenti, in prigione da inizio anni Novanta. La sentenza non implica la liberazione di Viola a cui l’Italia deve versare 6mila euro per i costi legali.

La decisione sull’Italia della Corte di Strasburgo si basa sul fatto che chi è condannato al carcere a vita (ergastolo ostativo) non può ottenere, come gli altri carcerati, alcun `beneficio´ – come per esempio i permessi d’uscita, o la riduzione della pena – a meno che non collabori con la giustizia. Nella sentenza i giudici di Strasburgo evidenziano che «la mancanza di collaborazione è equiparata ad una presunzione irrefutabile di pericolosità per la società» e questo principio fa si che i tribunali nazionali non prendano in considerazione o rifiutino le richieste dei condannati all’ergastolo ostativo. La Corte osserva che se «la collaborazione con la giustizia può offrire ai condannati all’ergastolo ostativo una strada per ottenere questi benefici», questa «strada» è però troppo stretta.

«Alla Corte di Strasburgo pendono già numerosi altri ricorsi» contro il carcere a vita (ergastolo ostativo) e dopo la condanna di oggi «potrebbero arrivarne molti altri», scrivono i giudici di Strasburgo nella sentenza . Il problema messo in luce oggi, per i magistrati, «è di natura strutturale» e richiede quindi, per essere risolto, un intervento, di preferenza legislativo, delle autorità. L’Italia dovrebbe quindi agire «con una riforma della reclusione a perpetuita’ in modo da garantire la possibilità agli ergastolani di ottenere un riesame della pena». Questo, scrivono, «permetterebbe alle autorità di determinare se durante la pena già scontata il detenuto ha fatto progressi tali sul cammino della riabilitazione da renderne ingiustificabile il mantenimento in prigione».

Per l’associazione “Nessuno tocchi Caino” si tratta di un «pronunciamento storico» «Secondo la Corte – spiega una nota -, l’ergastolo ostativo è una forma di punizione perpetua incomprimibile. Con questa sentenza la CEDU svuota l’art 4 bis dell’ordinamento penitenziario, che prevede uno sbarramento automatico ai benefici penitenziari, alle misure alternative al carcere e alla liberazione condizionale in assenza di collaborazione con la giustizia. La CEDU fa cadere la collaborazione con la giustizia ex art 58 ter o.p, come unico criterio di valutazione del ravvedimento del detenuto. La Corte considera inoltre questo un problema strutturale dell’ordinamento italiano e chiede che si metta mano alla legislazione in materia». «Il successo alla Corte EDU è il preludio di quel che deve succedere alla Corte Costituzionale italiana che il 22 ottobre discuterà l’ergastolo ostativo a partire dal caso Cannizzaro, nel quale Nessuno tocchi Caino è stato ammesso come parte interveniente – spiega il segretario Sergio d’Elia -. Il pensiero non può non andare che a Marco Pannella, al suo Spes contra Spem che ci ha animati e nutriti in questi anni, e ai detenuti di Opera protagonisti del docu-film di Ambrogio Crespi `Spes contra Spem – Liberi dentro´ che contro ogni speranza sono stati speranza, con ciò liberando oltre che se stessi anche le menti dei giudici di Strasburgo».

Redazione Corriere della Sera http://www.corriere.it – 13 giugno 2019

Rossano, già 20 studenti universitari dietro le sbarre. Radicali ed Unical in visita al Penitenziario


Cresce sempre di più il numero dei detenuti, ristretti nella Casa di Reclusione di Rossano, che decidono di iscriversi all’Università della Calabria ed in modo particolare ai corsi di laurea in Scienze del Servizio Sociale e Scienze Politiche. Al momento, sono 20 i detenuti, quasi tutti appartenenti al circuito penitenziario dell’alta sicurezza, ad essere iscritti presso l’Unical, il più grande ateneo calabrese, situato ad Arcavata di Rende, nell’area urbana di Cosenza, guidato dal Magnifico Rettore Gino Mirocle Crisci. Molti degli studenti, sono detenuti da tantissimi anni, ed alcuni di loro sono condannati alla pena perpetua.

Nei giorni scorsi, una delegazione di studenti del corso di laurea magistrale in “Intelligence ed Analisi del Rischio” del Dipartimento di Lingue e Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria, guidati dal Prof. Mario Caterini, Docente di Diritto Penale, si è recata a visitare l’Istituto Penitenziario di Rossano, accompagnata dall’ex Consigliere Nazionale dei Radicali Italiani e candidato Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Emilio Enzo Quintieri, previamente autorizzato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia. Nella circostanza, all’interno dell’Istituto, vi era anche la Prof.ssa Franca Garreffa, Docente di Sociologia della Devianza dell’Unical insieme ad altri studenti, per una lezione didattica.

Attualmente, riferisce il radicale Quintieri, nel Carcere di Rossano, il cui reggente è il Direttore della Casa Circondariale di Paola Caterina Arrotta, a fronte di una capienza di 263 posti, sono presenti 282 detenuti, 62 dei quali stranieri (prevalentemente albanesi, tunisini ed iracheni). 81 detenuti appartengono al circuito della media sicurezza e 201 a quello dell’alta sicurezza. Tra questi ultimi, 179 al sottocircuito As3 (criminalità organizzata) e 22 al sottocircuito As2 (terrorismo internazionale di matrice islamica). Essendo una Casa di Reclusione, la maggior parte dei detenuti (262) sono definitivi e vi sono molti ergastolani (33). Per 5 di loro il “fine pena mai” è di tipo condizionale mentre per gli altri 28 è ostativo, a meno che non collaborino con la giustizia o che la loro collaborazione sia dichiarata dall’Autorità Giudiziaria impossibile o inesigibile. Pochissimi sono quelli in attesa di primo giudizio (4) e pochi sono anche gli appellanti (7) ed i ricorrenti (9). Più che altro i detenuti con queste posizioni giuridiche sono gli appartenenti al sottocircuito As2 cioè quelli accusati di terrorismo internazionale di matrice islamica. A Rossano vi sono 20 studenti universitari e non sono pochi considerato che in tutta Italia risultano iscritti all’Università soltanto 590 persone detenute. Vi è anche un detenuto in semilibertà, fruitore anche di licenza premio.

Nell’Istituto, alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, lavorano solo 83 detenuti, abbastanza pochi poiché per i condannati il lavoro è obbligatorio secondo quanto stabilisce l’Art. 20 della Legge Penitenziaria. Pochissimi detenuti sono impegnati in lavori esterni di pubblica utilità (canile municipale) e pochi altri sono dipendenti di una impresa esterna (ditta di ceramica). Ma non è tutto rose e fiori a Rossano perché vi sono anche delle criticità, in parte già denunciate all’esito delle precedenti visite, che debbono essere risolte al più presto. Tra queste la mancanza di un Direttore titolare (è pendente un interpello straordinario per la Direzione dell’Istituto di Rossano poiché il precedente Direttore Giuseppe Carrà è stato trasferito alla Casa Circondariale di Castrovillari), l’assenza di un funzionario della mediazione culturale e la carenza del personale di Polizia Penitenziaria. Il Reparto, guidato dal Commissario Capo Elisabetta Ciambriello, dovrebbe essere composto da 153 unità ma ve ne sono assegnate soltanto 131 che non sono tutte in servizio poiché 3 sono distaccate in altra sede penitenziaria, 2 sono in missione ed altre 6 in missione per partecipare al corso di Vice Ispettore presso le Scuole di Formazione dell’Amministrazione Penitenziaria. In servizio, vi sono, a malapena, 120 unità di Polizia Penitenziaria (di cui 12 addetti al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti) che sono assolutamente insufficienti per un Istituto particolare e complesso come Rossano con circuiti di media ed alta sicurezza. Tale carenza, non riguarda esclusivamente il profilo della sicurezza, ma anche quello del trattamento perché senza sorveglianza non possono essere svolte attività trattamentali di nessun genere, ricreative, culturali, sportive.

Recentemente, grazie all’impegno profuso dal Prof. Mario Caterini dell’Università della Calabria ed alla disponibilità dell’Amministrazione Penitenziaria, sia nella Casa di Reclusione di Rossano che nelle Case Circondariali di Castrovillari, Cosenza e Paola, gli studenti di Giurisprudenza che sono al quinto anno, potranno svolgere attività di tirocinio. Il Dipartimento di Scienze Giuridiche ed Aziendali dell’Unical ha già fatto apposito bando e, prossimamente, ad ogni Istituto Penitenziario verranno assegnati 2 tirocinanti per 4 mesi.

Ma non basta il lavoro e l’impegno svolto dall’Amministrazione Penitenziaria, dall’Università o dagli altri Enti ed Associazioni, conclude l’ex Consigliere Nazionale dei Radicali Italiani Emilio Enzo Quintieri. Bisogna che le Istituzioni Pubbliche ed in particolare modo la Regione Calabria facciano la loro parte per sostenere tutte le attività finalizzate alla rieducazione ed al reinserimento sociale. Ad esempio nel Carcere di Rossano, gli studenti-detenuti, hanno solo un computer stravecchio, possibile che la Regione Calabria non provveda a fornire quantomeno dei nuovi personal computer all’Istituto per consentire ai detenuti di poter espletare l’attività di studio e di ricerca?

Adriano Sofri: L’ergastolo ostativo in Italia è uno scempio ! Una pena di morte centellinata


Adriano-SofriLe armi, Trump, e quel sondaggio sulla pena di morte in America. Un accreditato sondaggio annuale, di cui ho letto sul New York Times, avverte che per la prima volta nella storia la maggioranza dei cittadini degli Stati Uniti si dichiara contraria alla pena di morte. La trovo una formidabile notizia, sostanzialmente e simbolicamente. Verrà il giorno in cui si conoscerà il nome dell’ultimo giustiziato, e forse non è lontano. Nel 1994, poco più di vent’anni fa, era l’80 per cento degli americani a dichiararsi in favore della pena capitale.

Le tendenza opposta non ha fatto che crescere poi, per una serie di cause: lo spaventoso numero di assassinati legali dimostrati poi innocenti, le peripezie dei metodi dell’omicidio legale, i costi finanziari eccetera, ma soprattutto il turbamento crescente per la contraddizione fra quella pratica e una società che si vuole civile. Questo complicato intreccio di cause era riassunto dall’Economist a gennaio (ne trovate un resoconto sul Post.it): è interessante che a quella data si valutasse che i favorevoli alla pena di morte fossero ancora il 60 per cento. Ci sono due ragioni peculiari per congratularsi della notizia sul sondaggio: che viene in un periodo in cui particolarmente calda è la discussione sul “libero” spaccio di armi, e nel periodo in cui tiene metà della scena un personaggio come Trump. La speranza sul progressivo rigetto della schifezza della pena di morte è amareggiata da un suo complemento americano ma non solo americano. Là le voci contrarie alla pena capitale ricorrono spesso all’argomento del carcere inesorabilmente a vita, una pena di morte centellinata.

Non solo americano, perché come si sa, se solo lo si voglia sapere, l’Italia ha introdotto una mostruosa dizione giuridica, l’ergastolo cosiddetto “ostativo”, che cioè non può mai avere fine per quanto tempo trascorra e quali che siano i cambiamenti attraversati dal condannato, salvo che questi “collabori”, cioè denunci altre persone. Condizione ulteriormente mostruosa e caricatura del pentimento beninteso.
L’ergastolo “ostativo” è una micidiale violenza fatta al dettato e allo spirito della Costituzione. Oggi lo denunciano prima di tutto con voci intelligenti e sconvolgenti molti di quegli ergastolani che hanno saputo riscattarsi in carcere e nonostante il carcere, e con loro “i soliti radicali” (anch’io) e un numero crescente di persone che hanno professionalmente a che fare con la giustizia, la galera e i detenuti: giuristi, magistrati, avvocati, dirigenti e personale di carceri. Il Papa, anche, che al suo Stato ha provveduto in fretta. Oggi succede anche che all’ergastolo “ostativo” siano contrari anche i maggiori responsabili dell’amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia. Bel paradosso, cui contrasta l’estensione progressiva e quasi per inerzia dell’ergastolo “ostativo” a categorie di condannati diverse da quelle che pretesero di giustificarne l’introduzione. Americani e italiani, ancora uno sforzo.

Adriano Sofri

Il Foglio, 5 ottobre 2016

Rossano, Quintieri (Radicali): Il Corpo di Polizia Penitenziaria va subito rafforzato


Carcere di RossanoNei giorni scorsi, una delegazione dei Radicali guidata da Emilio Enzo Quintieri, già membro del Comitato Nazionale di Radicali Italiani, ha effettuato una visita ispettiva alla Casa di Reclusione di Rossano, grazie all’autorizzazione concessa dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

La delegazione, della quale facevano parte anche Valentina Anna Moretti ed Ercole Blasi Nevone, stante l’assenza del Direttore Giuseppe Carrà e del Comandante di Reparto, Commissario Elisabetta Ciambriello, è stata ricevuta ed accompagnata dal Sovrintendente Damiano Cadicamo, sottufficiale della Polizia Penitenziaria, nella circostanza addetto al coordinamento della Sorveglianza Generale dell’Istituto.

La delegazione, che ha visitato tutti i Padiglioni detentivi di Alta e Media Sicurezza nonché il Reparto di Isolamento, ha accertato che nella struttura erano presenti 216 detenuti (157 italiani e 59 stranieri) a fronte di una capienza regolamentare di 215 posti (1 in esubero) con le seguenti posizioni giuridiche : 204 condannati definitivi e 12 giudicabili (7 imputati, 3 appellanti e 2 ricorrenti). 129 sono i ristretti appartenenti al Circuito dell’Alta Sicurezza (120 al Sottocircuito As3 criminalità organizzata e 9 al Sottocircuito As2 terrorismo internazionale di matrice islamica) e 75 quelli appartenenti al Circuito della Media Sicurezza. Tra di essi vi sono 26 condannati all’ergastolo dei quali 23 appartengono all’Alta Sicurezza e quindi “ostativi” e 3 alla Media Sicurezza.

Per quanto riguarda le ulteriori “posizioni” della popolazione detenuta, i Radicali, hanno riscontrato la presenza di 18 tossicodipendenti e di 4 “lavoranti” in Art. 21 o.p. all’interno dell’Istituto. Nell’occasione 1 detenuto si trovava in permesso premio fuori dall’Istituto, beneficio accordatogli dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Silvana Ferriero. 2 detenuti, invece, provenienti da altri Istituti Penitenziari del Nord Italia, si trovano nel Reparto di Isolamento, poiché sottoposti al regime di sorveglianza particolare previsto dall’Art. 14 bis o.p. Con riferimento a questi 2 detenuti, entrambi di nazionalità straniera, la Delegazione ha preso atto che, tra le altre cose, è stato loro proibito di vedere persino la televisione e quindi di tenersi informati, rimuovendo il televisore dalle rispettive camere di pernottamento. Secondo i Radicali, esperti di questioni carcerarie, l’Ordinamento (Art. 14 quater o.p.) prevede che le restrizioni previste dal regime di sorveglianza particolare debbono essere “strettamente necessarie per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza”. Non si comprende quali siano i motivi che giustifichino la rimozione dalle camere detentive del televisore, afferma il capodelegazione Quintieri, posto che tale apparecchio non può assolutamente ritenersi, nel caso specifico, funzionale al mantenimento dell’ordine e della sicurezza intramoenia per cui la sua rimozione è ingiustificata, inutilmente afflittiva ed illegittima non essendo “strettamente necessaria” allo scopo previsto dalla legge. Con la rimozione del televisore viene anche impedito ai detenuti di potersi avvalere dei mezzi di informazione, negandogli un diritto umano fondamentale costituzionalmente protetto dall’Art. 21 della Costituzione oltre che dall’Art. 18 comma 6 della Legge Penitenziaria.

Per tali motivi, la Delegazione, con una nota inviata anche all’Amministrazione Penitenziaria ed al Garante Nazionale dei Diritti dei Detenuti, ha sollecitato l’intervento “d’ufficio” del Magistrato di Sorveglianza di Cosenza (poiché i detenuti non hanno presentato alcun reclamo) per valutare la legittimità del decreto disposto dall’Amministrazione Penitenziaria ed in particolare modo della restrizione segnalata, adottando i provvedimenti conseguenti qualora condivida che la rimozione del televisore sia “contra legem”. Nell’Istituto, da qualche mese, proprio grazie ai Radicali, opera un Mediatore Culturale dell’Associazione Alone Cosenza Onlus che si occupa gratuitamente dell’integrazione interculturale e linguistica dei detenuti stranieri. Infine, la delegazione Radicale, ha lamentato la grave carenza del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria nel Carcere di Rossano; nell’ambito della visita, infatti, erano presenti solo 11 unità di Polizia Penitenziaria fino alle 20 (2 delle quali in servizio dalle 8 del mattino ed 1 richiamato nonostante fosse in congedo per fare il Preposto) e che, successivamente, si sarebbero ulteriormente ridotte a 8 unità (dalle 20 alle 24) e poi ancora, nel turno notturno, a 7 unità dalle 24 alle 8 del mattino seguente.

Il personale di Polizia Penitenziaria di Rossano, la maggior parte del quale ha una età superiore ai 50 anni, non può continuare a svolgere servizio in queste condizioni, anche perché la carenza di organico (mancherebbero oltre 30 unità), limiterà notevolmente la realizzazione delle molteplici attività trattamentali programmate dall’Istituto, con tutte le gravi conseguenze che ne deriveranno nella gestione e nel trattamento della popolazione ivi reclusa.

Pertanto, la delegazione dei Radicali, ha sollecitato l’Amministrazione Penitenziaria, centrale e periferica, di voler intervenire tempestivamente per potenziare l’organico del personale di Polizia Penitenziaria presso la Casa di Reclusione di Rossano, ricorrendo anche ad eventuali distacchi da altri Istituti, al fine di eliminare disagi e stress per il personale operante e, contestualmente, al fine di consentire l’effettivo e concreto svolgimento di tutte le attività trattamentali programmate dall’Istituto di Rossano.

Dell’esito della visita ispettiva condotta dai Radicali, con una dettagliata relazione, sono stati informati il Capo ed il Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo e Massimo De Pascalis, il Provveditore Regionale della Calabria Salvatore Acerra, il Direttore della Casa di Reclusione di Rossano Giuseppe Carrà, il Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Silvana Ferriero ed il Garante Nazionale per i Diritti dei Detenuti Mauro Palma.

Bruno Bossio (Pd) : “L’ergastolo ostativo va superato modificando l’Art. 4 bis Op”


On. Enza Bruno Bossio“L’inferno della speranza. Riflessioni sull’ergastolo ostativo”. E’ stato questo il tema su cui si è dibattuto in un convegno svoltosi ieri presso la Casa di Reclusione di Opera a Milano, organizzato dalla Camera Penale “Gian Domenico Pisapia”, dal Ministero della Giustizia e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria della Lombardia. Al convegno, che ha riunito intorno allo stesso tavolo magistrati, giuristi, accademici e rappresentanti istituzionali, ho avuto l’onore di partecipare in quanto prima firmataria di un disegno di legge sottoscritto da numerosi parlamentari del Partito Democratico, Partito Socialista e Sinistra Ecologia e Libertà, che propone la modifica dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario.

Il dibattito ha innanzitutto sottolineato il carattere incostituzionale dell’ergastolo ostativo
ed ha preso spunto dalla proposta di un gruppo di detenuti di Opera che individua le condotte riparatorie tese a superare la ostatività. I condannati all’ergastolo definito ostativo, in base alla normativa vigente, non possono accedere alle misure di rieducazione e di reinserimento nella società. Papa Francesco ha definito l’ergastolo ostativo una forma di “pena di morte occulta”.
L’ergastolo ostativo è una pena inflitta al 70 % degli ergastolani ai quali, dopo lunghissimi anni di detenzione e dopo la perdita di ogni contatto con il contesto criminale, è precluso l’accesso a quei benefici minimi che l’ordinamento penitenziario concede, semplicemente perché non collaboranti in processi che magari si sono già chiusi da anni. Si tratta di una realtà di dolore resa ancora più drammatica dalle criticità del sistema carcerario italiano di cui la Casa di Opera è un’eccezione positiva.

La proposta di legge affida al giudizio della magistratura di sorveglianza la valutazione della sussistenza dei requisiti che consentono l’accesso ai benefici. Ovviamente è la magistratura competente che è chiamata ad assumersi la responsabilità di riconoscere al detenuto i requisiti che escludono l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica, eversiva e l’assenza della pericolosità sociale e consentire, così, l’accesso alle misure di rieducazione e reinserimento nella società.

Con questo disegno di legge non si propone nessuno ‘sconto di pena’ per i mafiosi irriducibili, né la liberazione di ‘migliaia di pericolosi criminali’, come vanno affermando in maniera strumentale e distorcente i colleghi Giarrusso e Sarti del M5S. Se approvata, questa norma consentirà, sempre previa rigorosa valutazione della magistratura di sorveglianza, la possibilità di accesso al lavoro esterno, ai permessi premio e alle misure alternative alla detenzione.

Insomma si tratta solo di rendere la pena dell’ergastolo più compatibile con gli standards richiesti dalla nostra Carta Costituzionale e dall’Unione Europea anche al fine che, dopo un lungo periodo di detenzione, possano prevalere le esigenze umanitarie. Ritengo assai grave che da una parte si cristallizzi per sempre una pena perpetua per persone che oggi sono altra cosa rispetto al tempo del compimento del crimine e dall’altra invece possa considerarsi fatto ordinario la scarcerazione per decorrenza dei termini.

Insomma, come diceva Aldo Moro ‘la pena non è passionale e smodata vendetta privata ma risposta calibrata dell’ordinamento giuridico’. Per questo, rivolgendomi ai detenuti presenti all’incontro ho ricordato le parole di Marco Pannella (molto evocato nel convegno) “mi auguro che la vostra speranza diventi anche la nostra speranza”.

On. Enza Bruno Bossio

Deputato del Partito Democratico

18 Giugno 2016

Padova, Natale in carcere, alla ricerca di un po’ di speranza. Lettere degli Ergastolani ostativi


Casa Circondariale di PadovaIl Papa ha deciso che i detenuti passeranno la Porta santa del Giubileo ogni volta che varcheranno la soglia della loro cella, a Padova poi anche la cappella del carcere Due Palazzi è Porta santa. Ma troppe persone in carcere vivono ancora SENZA SPERANZA. Sono i condannati all’ergastolo, una pena che Papa Francesco ha definito “pena di morte nascosta”, e in particolare all’ergastolo ostativo, l’ergastolo cioè che non concede vie d’uscita a meno che la persona condannata non collabori con la Giustizia, ma in tanti non lo vogliono fare per non rovinare la vita dei propri cari.

Assieme alle testimonianze di ergastolani, per aprire uno spiraglio di speranza riportiamo anche le parole di Agnese Moro, la figlia dello statista ucciso dai terroristi nel 1978: “Ogni essere umano è, in quanto tale, titolare di dignità e di diritti; anche se in uno o più momenti della vita ha scelto il male, se è profugo, povero, violento, barbone, straniero, disabile, tossicodipendente, malato, giovane e ribelle. La nostra Repubblica nasce dal rifiuto di ogni totalitarismo per il quale – di destra o di sinistra che sia – le persone non sono niente. Per noi, invece, sono tutto. Ad ognuno di noi, noi che siamo la Repubblica, la responsabilità di non lasciare indietro nessuno”.

Il Mattino di Padova, 29 dicembre 2015

Il mio orologio ha un orario fisso, l’orario dell’ergastolo ostativo

Questa mattina mi sono alzato alle 5, fuori era ancora buio e mi sono messo a pensare alla mia vita passata, a quanto tempo ho trascorso in questi posti e quanto ancora ci dovrò restare. Sono passati tanti anni da quel lontano 1994 e per fortuna gioisco ancora quando, quelle rare volte, il sole riesce a spaccare le giornate gelide dell’inverno di Padova. Vorrei essere anch’io forte come il sole e risorgere ogni giorno, ma da 21 anni l’inverno è entrato nel mio cuore e nel cuore dei miei cari senza mai abbandonarci.

Il tempo si è fermato per sempre, il mio orologio ha un orario fisso, l’orario dell’ERGASTOLO OSTATIVO. I primi tempi sognavo che la mia situazione potesse cambiare, cercavo di farmi forza per lottare e facevo di tutto per essere il sostegno morale della mia famiglia, ma purtroppo quell’orologio mi ha dimostrato di essere più forte di ogni mia volontà, di ogni mio sogno e desiderio. Per tanti anni ho allenato il mio fisico nella speranza vana di contrastare i segni dell’invecchiamento sul mio corpo, ma oggi mi rendo conto che il ciclo della vita è inarrestabile, niente e nessuno può fermare lo scorrere degli anni e l’amarezza di vederli scorrere nel peggiore dei modi.

Oggi mi rendo conto che quello che mi salva da tutto questo orrore è l’amore di mia figlia e di mia moglie, che sono state più forti di tutti questi anni di carcere, anche se per resistere a questo lungo calvario stanno pagando un caro prezzo, visto che hanno scelto di starmi vicino seguendomi nelle varie carceri che mi hanno fatto girare su giù e per l’Italia, come un pacco postale e per motivi che non avevano a che fare con i miei comportamenti. A volte mi chiedo se si sono mai rese veramente conto che dovranno seguirmi per tutta la vita poiché io da qui non uscirò vivo, perché il mio ergastolo ostativo non me lo permetterà, perché chi è condannato a questa pena è ritenuto colpevole per sempre, irrecuperabile.

Vorrei solo trovare la forza e la lucidità di dire a mia moglie e a mia figlia che la speranza non ha nulla di concreto a cui aggrapparsi, ma non vorrei che anche loro smettessero di sognare come ho fatto io. Sicuramente il fatto di non essere mai riuscito a spiegare chiaramente che cos’è l’ergastolo ostativo ai miei cari non mi fa stare bene, ma è anche vero che sono sempre stato convinto che l’ergastolo ostativo fosse una condanna fatta per errore e che uno stato democratico come l’Italia, culla del cristianesimo, non potesse fregiarsi di una pena così disumana, visto che ha sempre lottato in prima linea contro le torture e la pena di morte, quindi pensavo che sarebbe stata rivista e con questa ferma convinzione ho sempre temporeggiato. Comunque, non voglio rassegnarmi a questa pena di morte mascherata così come l’ha definita Papa Francesco e continuo a sperare che al più presto venga rivista, così che non mi sentirò di essere stato un bugiardo nei confronti di mia moglie e di mia figlia, dalle quali traggo ancora oggi la forza necessaria per continuare a lottare.

Gaetano Fiandaca

La mia famiglia vive a 1.800 Km. di distanza e fare colloqui diventa un’impresa

Dopo sei anni di regime duro del 41bis sono stato trasferito nella Casa di reclusione di Padova, nella sezione Alta Sicurezza, adesso sono tre anni che mi trovo in questo istituto. La mia famiglia vive a 1.800 Km. di distanza (Gela) e fare colloqui diventa un’impresa, specialmente per questioni economiche. Tutta la mia famiglia, compresi genitori, fratelli e sorelle, sono persone oneste e lavoratori che vivono di stipendio e non sempre hanno un posto fisso di lavoro, quindi ognuno ha i suoi problemi e non possono certo pensare a me. I sacrifici per me li fanno mia moglie e i miei figli.

Ho fatto l’ultimo colloquio nel mese di luglio e spero in Dio che sotto le feste di Natale mia moglie e uno dei miei figli riescano a racimolare la somma necessaria per venirmi a trovare. Purtroppo, ogni volta che faccio colloquio non c’è la possibilità che vengano a trovarmi tutti insieme, mia moglie e i miei tre figli, solo per due persone spendono intorno ai 1.500 euro, tra biglietto dell’aereo e albergo, poiché sono obbligati ad arrivare la sera prima del giorno di colloquio. E così, due volte l’anno, al massimo tre, riesco a fare un colloquio di sei ore… ma cosa sono sei ore in confronto a sei mesi che non vedi la tua famiglia? Quelle sei ore passano come se fossero sei minuti. Non vedo la figlia più piccola da oltre un anno. Nessuno può capire il cuore di un padre come si può sentire, solo chi ha i miei stessi problemi mi può capire. Aumentare le ore di colloquio non ucciderebbe nessuno. Io sono stato privato della libertà perché ho commesso un reato, ma la mia famiglia di che colpa si è macchiata? Mia moglie e i miei figli alla fine del colloquio la prima cosa che dicono è: “Sono già passate sei ore?” e vanno via nascondendo le lacrime dietro un sorriso e chiedendosi quando ci rivedremo di nuovo. E che dire delle telefonate? Una a settimana e per la durata di dieci minuti da dividere con mia moglie e i miei tre figli, il tempo di salutarci e domandarci come stai e subito dall’altro lato del telefono ti dicono che la telefonata sta per terminare. Durante questa mia detenzione, ho incontrato una persona che negli anni passati era stata detenuta in Spagna e mi diceva che lì se avevi i soldi ti caricavi la scheda telefonica e potevi chiamare la famiglia ogni volta che volevi nei giorni della settimana e per la durata che volevi. Perché non poterlo fare anche qui in Italia?

Domenico Vullo

Non c’è pena di morte o ergastolo ostativo che possa frenare chi è pieno di odio.

La notizia delle stragi di Parigi mi ha portato a riflettere perché anche io sono padre e nonno. È indiscutibile che i conflitti alimenteranno odio e vendette. Una volta quei paesi geograficamente distanti da noi tenevano per sé anche le loro cose negative, e i conflitti restavano lontani da noi, invece oggi il mondo ha accorciato le distanze, e siamo diventati una miscela esplosiva. Io che sono da ventitré anni in carcere mi accorgo di questa miscela vedendo come è cambiata la popolazione detenuta dai primi anni del mio arresto, oggi in ogni sezione troverai detenuti di etnie diverse. E lo stesso è nelle grandi città del nostro paese e molti di questi stranieri, in particolare i giovani, si sentono ghettizzati, come lo sono i nostri nipoti. Io quando faccio colloquio e vedo il mio nipotino di sette anni fissare gli agenti e nei suoi occhi leggo l’odio, finisco per rimproverare mia figlia, che però mi dice “Papà, mai nessuno di noi si è permesso di parlare male delle istituzioni, ma nella sua scuola la maggior parte dei bambini ha un parente in carcere e sicuramente parleranno di queste cose”. La mia grande paura è che si stia spingendo le nuove generazioni verso l’estremismo e in particolare nella braccia di organizzazioni come ISIS, non c’è pena di morte o ergastolo ostativo che possa frenare chi è pieno di odio. Lo Stato si deve preoccupare di quella generazione dell’età di mio nipotino, di quei bambini che fin da piccoli vengono additati come i figli o nipoti del criminale. Lo Stato vincerà la sua battaglia quando toglierà dallo sguardo di quei bambini l’odio verso le istituzioni. Penso che qualcuno debba riflettere pensando a tutti quei bambini che crescono vedendo il proprio genitore dietro un vetro blindato e che non hanno nessuna speranza di poterlo abbracciare in libertà, anche dopo che ha scontato trent’anni di detenzione, perché condannato all’ergastolo ostativo. Togliere l’odio da quegli occhi innocenti significa costruire un futuro sereno, un primo passo è che lo Stato faccia vedere un volto umano e non implacabile e punitivo.

Tommaso Romeo

Carceri, Consolo (Dap) : “Sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo ostativo”


“Ho dato parere favorevole all’abolizione dell’ergastolo ostativo”. Lo ha detto chiaramente il Dott. Santi Consolo, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia intervenendo al VI Congresso di “Nessuno Tocchi Caino, l’Associazione Radicale presieduta dall’Onorevole Marco Pannella, svoltosi nella Casa di Reclusione di Milano Opera ove all’interno sono reclusi il maggior numero di ergastolani (circa 150), molti dei quali ostativi cioè destinati a morire in carcere perché esclusi dalla possibilità di ottenere benefici o misure alternative alla detenzione inframuraria.

“Il titolo del congresso “spes contra spem” aiuta il cambiamento in atto – ha rilevato il Dott. Consolo – anche il Corpo di Polizia Penitenziaria ha cambiato motto, “Despondere spem, munus nostrus” – “Garantire la speranza è il nostro compito” questo è il ruolo della nostra Amministrazione. L’ergastolo ostativo prima non c’era, l’ergastolo prima con l’articolo 176 del codice penale era compatibile con l’articolo 27 della Costituzione, che parla di umanità, cioè di speranza, e se non si ha speranza come si può migliorare ? Come è successo allora tutto questo ? Perché abbiamo avuto gli anni di piombo. Da un lato ci siamo calati un un regime differenziato, il 41 bis, e dall’altro c’è stata l’incentivazione della legislazione premiale fino a prevedere, e lì c’è la violazione della Costituzione che ci porta ad essere incostituzionali, che c’è uno sbarramento all’accesso alla liberazione condizionale laddove non c’è collaborazione utile con la Giustizia. Auspico che il sistema italiano in fatto e in diritto – ha concluso il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo – offra la possibilità anche agli ergastolani ostativi di poter ottenere la liberazione anticipata”.

On. Bruno Bossio PdPrima del 1992, infatti, i condannati alla pena dell’ergastolo, pur sottoposti alla tortura dell’incertezza, hanno sempre avuto la speranza di non finire il resto dei loro giorni in carcere. Successivamente, invece, questa possibilità è stata del tutto abolita con l’approvazione dell’Articolo 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario. Oggi, per la maggior parte degli ergastolani (1.174 su 1.619) la pena è divenuta realmente perpetua poiché se non collaborano con la Giustizia, non potranno mai più uscire dal carcere se non con i piedi davanti. Negli scorsi mesi, proprio sull’abolizione dell’ergastolo ostativo e quindi sulla possibilità anche per questi condannati, a determinate condizioni, di poter ottenere i benefici premiali o le altre misure alternative alla detenzione previste dall’Ordinamento Penitenziario, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato del Partito Democratico e membro della Commissione Bicamerale Antimafia, aveva presentato una proposta di legge sottoscritta da altri Deputati. Tale iniziativa legislativa venne abbinata al Disegno di Legge del Governo sulla Riforma dell’Ordinamento Penitenziario ed assorbita dallo stesso ma, praticamente, non sono state accolte le ottime osservazioni ed indicazioni in essa contenute non pervenendo al superamento degli sbarramenti preclusivi per questi particolari condannati posti dall’Art. 4 bis dell’Ordinamento Penitenziario.

Intervento del Dott. Santi Consolo – Capo del Dap

Campailla (Ergastolano) : Trattare le persone con maggiore umanità è la strada più efficace per vincere il male


Biagio CampaillaIl carcere duro per chi ha commesso reati nell’ambito della criminalità organizzata viene visto come necessario, e nessuno o quasi ha il coraggio di metterlo in discussione. Noi vogliamo provare a farlo, nella convinzione che uno Stato debba avere la forza di trattare da esseri umani anche i più feroci delinquenti.

Solo così si sconfigge davvero la cultura mafiosa, non “imitando” i metodi dei criminali, ma rifiutandoli e dando ai loro figli la sensazione che le istituzioni sono forti perché rifiutano la violenza, SEMPRE. Quella che segue è la storia di un detenuto che per anni è stato trattato come un animale, e stava diventando realmente un mostro, poi per fortuna qualcosa è cambiato, qualcuno ha capito che trattare le persone con umanità è la strada per vincere il male.

Dalla pena di tortura al reinserimento vero

Durante i 17 anni in cui ho vissuto in carcere in regimi durissimi (41 bis e Alta Sicurezza), ero diventato una persona “animalesca”. Non pensavo ad altro che a come fare sempre del male, soprattutto a certe persone delle istituzioni, volevo solo vendicarmi del male che avevo ricevuto durante la mia detenzione in quei regimi. Il mio cambiamento vero è avvenuto nel momento in cui sono giunto alla Casa di reclusione di Padova. Dopo un paio di mesi circa dal mio trasferimento riesco a entrare a far parte della redazione di Ristretti Orizzonti e mi viene data la possibilità di fare un percorso unico nel suo genere. Dopo qualche mese di attività vengo inserito in uno dei progetti della redazione, “Il carcere entra a scuola, le scuole entrano in carcere”.

Un progetto che cambia radicalmente la mia vita. Ascolto i miei compagni mentre si confrontano con gli studenti con tanta sincerità, affronto una riflessione interiore. Inizio a chiedermi se davanti a quei ragazzi dovevo rimanere sempre quel mostro che ero diventato. In quel periodo ero impegnato a capire se ero così cattivo da continuare a mentire di fronte agli studenti e tenermi addosso quella maschera da duro. Ma non è possibile raccontare bugie davanti a quelle persone, non puoi dare dei brutti esempi, e il motivo è semplice, come per i tuoi figli non vuoi correre il rischio che un ragazzo provi ad imitarti. Se lo influenzi negativamente portandolo a sbagliare, porterai sulla coscienza questo tuo atto.

Io non volevo avere ancora degli altri sensi di colpa. Questa è la spinta che mi porta a confrontarmi anch’io con quei ragazzi. Inizio a parlare con sincerità, finché comincio a percepire che stavo bene con me stesso, non ero più nervoso, riuscivo ad avere un approccio alla vita diverso. Poi iniziano le domande complicate degli studenti, dove vogliono delle spiegazioni. È stato il momento più difficile della mia vita, ma non potevo essere disonesto! Allora mi metto in gioco, trovo la forza di raccontare la mia vita, vedo che mi ascoltano con tanta attenzione, vedo nel loro viso trapelare espressioni di comprensione nei miei confronti, mi fanno sentire una persona, ero ancora qualcuno, un essere umano! Si, qualcuno di diverso da prima. Mi sentivo davvero libero, mi sentivo in pace con me stesso. Ho riconquistato il coraggio di parlare in pubblico, non sentendomi colpevole per sempre.

Oggi non mi nascondo più dalla responsabilità del reato che ho commesso. Grazie a questo percorso trovo il coraggio di assumermi le responsabilità dei miei errori davanti alle mie figlie. Grazie a questo percorso ho ritrovato la vita, e con essa la speranza di un futuro. Svolgendo un’azione di volontariato mi sento di poter essere utile in qualcosa. Cerco di “assolvermi” un po’ dentro me stesso del male che ho provocato, mi sento ancora una persona che possa dare aiuto e sostegno a qualcuno.

La differenza di una detenzione diversa

Oggi dopo 17 anni di detenzione sono stato rivalutato da persone competenti, che in quella persona cattiva che ero trovano anche qualcosa di buono. E mi hanno concesso un permesso di necessità per incontrare la mia anziana madre ammalata. Non avrei mai creduto di poter pranzare ancora una volta con la mia famiglia. Mi ero convinto che mia mamma l’avrei rivista solamente al suo funerale. Di conseguenza immaginavo che non avrei mai conosciuto fuori “in libertà” i miei nipotini, men che meno vederli pranzare con me. Gioia immensa è stata rivedere mia figlia Veronica non in carcere, era piccolina l’ultima volta che abbiamo pranzato insieme.

È stato come rinascere di nuovo. Il giorno del permesso arrivo nella Casa di accoglienza “Piccoli passi”, incontro Egidio, il direttore della struttura. Mi offre un caffè in una tazza di porcellana. Sensazione strana bere il caffe in quel modo. Arriva l’ora di pranzo, a vedermi accerchiato da tutta la mia famiglia mi sentivo in un altro mondo. E che strano pranzare con posate di acciaio in piatti di porcellana!

Il rumore delle posate che sbattevano sui piatti, per le mie orecchie erano tutti rumori nuovi.

In questa occasione speciale, agognata da anni, mi sentivo pieno di gioia. Ma, nello stesso tempo, percepivo qualcosa di strano. Mi stavo accorgendo che stavo fingendo. Sembravo un ragazzo che doveva fare il perfettino davanti a delle persone a cui desideravo mostrarmi in una certa maniera, mi sono accorto allora che i miei familiari erano come degli estranei. Tutto questo diventa più evidente nel momento in cui arrivano a pranzare con noi tanti volontari che ho conosciuto in carcere. È allora che inizio a sentirmi veramente felice. Inizio a scherzare, quell’ironia che mi fa essere me stesso. La mia mamma si accorge di questo mio cambiamento e mi dice: “Figlio mio, devi capire che ora come ora hai più confidenza con loro, voi vivete tutti i giorni insieme, il sentimento di affetto ti lega più a loro che a noi”. Nel frattempo mi ricorda un suo modo di dire: “Il genitore non è chi ti concepisce o ti fa nascere, ma chi ti cresce con la convivenza quotidiana. Figlio mio, tu sei cresciuto con loro, adesso devi abituarti a rientrare in un contatto di affetto vero con noi che siamo i tuoi cari”.

Un forte imbarazzo e tanta vergogna a dare spiegazioni ai miei nipotini

Arriva il momento che mia figlia Veronica mi chiede di dare delle spiegazioni ai suoi figli e a suo marito, perché non sono stato mai presente nel loro matrimonio, non ci sono stato quando lei ha dato alla luce i suoi figli, non sono stato presente a un loro compleanno o durante una festa.

Questa volta mi sono messo davanti ai miei occhi quei ragazzi delle scuole a cui tante volte parlo e ho capito che devo affrontare anche questo ostacolo. Ci sediamo intorno a un tavolo, c’erano i miei nipotini, Biagio junior e Domenico, mio genero e mia figlia Veronica. Inizio a spiegare il perché della mia assenza da 17 anni, il motivo per cui mi ritrovavo in carcere, per aver commesso un crimine, Domenico mi chiede che tipo di crimine, la mia risposta è stata che non importa il tipo di crimine, per il motivo che qualunque tipo di crimine si commette non è buono e porta la vita di una persona a deragliare. L’importante è non rimanere incastrato in certe circostanze della vita, non mettere il dio denaro al primo posto. Vedevo che mia figlia Veronica piangeva, ricordava il passato, le sue sofferenze. Allo stesso tempo si era liberata di un peso: quello di dover dare lei delle spiegazioni ai suoi figli e a suo marito. Mio nipote Domenico è andato via facendosi mille domande, ma prima di andarsene mi ha detto: “Nonno, adesso devi fare il bravo in modo che non ti perda ancora l’affetto della famiglia, devi venire per giocare con noi, ci devi accompagnare a scuola in modo che possiamo far vedere ai nostri compagni che nonno giovane abbiamo”.

Ma il contatto con mia mamma è stato il più commovente. La mia mamma è affetta da una grave malattia, la sua patologia principale è il diabete, deve fare di continuo l’insulina per mantenere la glicemia al di sotto di 300. Quel giorno le ero vicino mentre controllava il diabete: era nella media di 120. Così lei mi ha detto: “Sei tu che mi fai stare bene”. Questo mentre me la curavo e la coccolavo come una bambina. Le massaggiavo le gambe che spesso le si gonfiano. Penso sia stato uno dei momenti più felici della sua vita. Poverina, mi è sempre stata vicina in tutti questi anni di detenzione. Sono convinto che il dolore più grande per un genitore è il perdere i propri figli. Mia mamma ne ha persi tre, di cui due deceduti. Oggi ne ritrova uno.

Biagio Campailla – Ergastolano detenuto a Padova

Il Mattino di Padova, 24 agosto 2015