Rapporto annuale del Blog Emilio Quintieri di WordPress.com : 65 mila visite nel 2015


I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un Rapporto annuale 2015 per il Blog “Emilio Quintieri”.

Ecco un estratto:

Il Madison Square Garden può accogliere 20 000 spettatori per un concerto. Questo blog è stato visto circa 65.000 volte nel 2015. Se fosse un concerto al Madison Square Garden, ci vorrebbero circa 3 rappresentazioni esaurite perché lo vedessero altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

Droghe : la Legge Fini-Giovanardi, abrogata dalla Consulta, produce ancora danni


cannabis 2Circola con insistenza nei palazzi romani la voce che presso il ministero della Salute sia al lavoro una commissione per stabilire, rispetto alle diverse sostanze, le soglie quantitative al di sotto delle quali si presume che la detenzione sia destinata ad uso personale. Questa norma era stata cancellata dalla sentenza della Corte Costituzionale (n. 32 del 12 febbraio 2014), che aveva dichiarato l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi. Ciononostante, era stata prontamente resuscitata dal decreto legge Lorenzin del 20 marzo 2014 e convertito in legge il 16 maggio 2014 (n.79). Vale la pena ricordare che quel decreto era nato con l’intenzione di ripristinare integralmente la legge dichiarata incostituzionale e che solo l’opposizione del ministro Orlando impedì un colpo di mano per riproporre la norma chiave della Fini-Giovanardi, ovvero la classificazione delle sostanze leggere e pesanti in un’unica tabella, con la stessa elevata pena per la detenzione, da sei a venti anni di carcere.

Più volte, in questa stessa rubrica è stato sottolineato che un decreto di tal genere non era assolutamente necessario e che rispondeva solo a esigenze di mera restaurazione; semmai, la vera necessità e urgenza sarebbe stata di avere una norma governativa per ricalcolare le pene dei condannati in base ad una legge abrogata dalla Corte (vedi gli articoli di Anastasia, 19 marzo 2014, e Corleone, 25 marzo 2014).

Questo intervento, richiesto a gran voce dalle Ong, non vide mai la luce; mentre invece si reintroduceva il comma 1-bis all’art. 73, col concetto di “quantità massima detenibile”, quale “soglia” destinata a discriminare la detenzione per consumo (punibile peraltro con pesanti sanzioni amministrative) da quella per spaccio.

A suo tempo le “quantità massime detenibili” per le diverse sostanze furono stabilite con decreto ministeriale dall’allora ministro Storace, d’accordo con lo “zar” antidroga Carlo Giovanardi (decaduto insieme alla norma cancellata dalla Corte). Che oggi si voglia procedere a una nuova determinazione delle soglie, appare assurdo e preoccupante, e per diverse ragioni.

In primo luogo, la soglia quantitativa non ha mai funzionato, tanto che la famosa “dose media giornaliera” della Jervolino-Vassalli del 1990 fu cancellata dal referendum del 1993 (ripristinata nella Fini Giovanardi per puro furore ideologico di “certezza” della pena). In secondo luogo, la “soglia quantitativa” contrasta coi principi generali di penalità, perché inverte l’onere della prova sull’accusato, chiamato a fornire prove della destinazione per uso personale se detiene quantità maggiori. Ancora, ha poco senso che sulle soglie decida il ministero della Salute (seppure di concerto col ministero della Giustizia), visto che la “quantità massima detenibile” ha rilevanza penale ed è totalmente sganciata da qualsiasi riferimento al consumo e alle sue modalità (a differenza della “dose media giornaliera” suddetta).

Anche in questo caso auspichiamo uno stop da via Arenula, ma è assai preoccupante che in un momento d’inizio della discussione sulla legalizzazione della canapa, si assista a un lavorio revanscista. Piuttosto, è venuto il tempo di una radicale riforma complessiva della normativa antidroga. La Società della Ragione ha predisposto un testo condiviso da un ampio Cartello di associazioni per segnare una profonda discontinuità, a partire dall’impianto stesso della legge, centrato com’è sulla detenzione quale condotta da penalizzare.

La Conferenza governativa potrà essere l’occasione per un confronto aperto che dia al Parlamento gli elementi per una riforma che superi l’ormai insensata guerra alla droga.

Salvina Rissa

Il Manifesto, 7 ottobre 2015

Droghe: un italiano su 10 ne fa uso, fra gli studenti uno su 4. Giro d’affari da 23 miliardi


cannabis 2Le droghe hanno ancora una forte valenza seduttiva sugli italiani. Milioni ne fanno uso, spesso in modo occasionale. Si stima che circa il 10% della popolazione in Italia (15-64 anni), quasi 4 milioni, ha assunto almeno una volta nell’ultimo anno una sostanza illegale. Cannabis e cocaina sono le droghe più diffuse. Lo afferma l’ultima Relazione annuale al Parlamento sulle dipendenze (2015) del Dipartimento delle politiche antidroga. Un fenomeno che stima un giro di affari annuo di 22,96 miliardi di euro; e spese per la repressione di circa un miliardo.

Quali sostanze si consumano. Il 32% ha provato cannabis (consumi in ripresa) almeno una volta nella vita, poco più di 12 milioni e mezzo di persone (la prevalenza è pari quasi al 40% nella fascia 15-34 anni, oltre 5 milioni di sperimentatori tra i giovani); si stima che la cocaina (uso in calo) è assunta da 3 milioni di italiani almeno una volta nella vita (7,6%); il consumo di eroina (oppio, morfina, metadone), la cui assunzione sta risalendo, almeno una volta nella vita ha coinvolto quasi 800mila italiani tra i 15 e i 64 anni (2%); le sostanze stimolanti (come amfetamine ed ecstasy) sono state consumate da un milione e mezzo di italiani (4,1%) almeno una volta nella vita; più o meno stessa dimensione (3,7%) per gli allucinogeni (lsd, funghi allucinogeni, ketamina). L’87% dei consumatori ha assunto una sostanza, il 13%, due o più.

Consumatori sono per lo più maschi. Per ogni consumatrice ci sono quasi 2 assuntori (maschi 12,5%; femmine 7,1%). In calo i decessi. In un anno sono diminuiti del 10,32%.

Sale il numero dei sequestri, diminuiscono le denunce. Lo scorso anno sono stati sequestrati 152.198,462 chilogrammi di droga (+111% rispetto all’anno precedente). Sono state denunciate all’ autorità giudiziaria 29.474 persone (-13,25%); di questi 10.585 stranieri (-9,55%) e 1.041 minori (-18,35%). Le operazioni antidroga sono state 19.449 (-11,47%); a livello regionale spicca la Lombardia (2.795 operazioni in totale), seguita dal Lazio (2.479), dalla Campania (1.871), dall’Emilia Romagna (1.659), dalla Puglia (1.581) e dalla Sicilia (1.454). I valori più bassi sono stati registrati in Molise (115) e in Valle d’Aosta (36).

Record aumento sequestri hashish. Registrano +211,29%. In aumento anche il sequestro di marijuana (+15,93%) ed eroina (+5,30%) mentre calano quelli della cocaina (-21,90%) e degli anfetaminici in polvere (-42,92%).

Fra studenti cresce consumo cannabis. Dal 24,6% del 2013 al 26,7% del 2014. Gli allucinogeni sono stati sperimentati almeno una volta nella vita dal 2,9% degli studenti. L’uso di tranquillanti o sedativi, senza prescrizione medica e senza indicazione dei genitori, è maggiormente diffuso fra le femmine. Il consumo almeno una volta nella vita è stato indicato dal 4,8% delle studentesse contro il 2,9% degli studenti maschi

Un detenuto su tre è in carcere per reati legati alla droga. Un terzo di tutti questi detenuti è tossicodipendente (-5,5%). Dal 1992 al 2014 è raddoppiata la popolazione detenuta straniera, dal 15,3% al 32,6%. Lo scorso anno sono stati entrati nelle carceri 13.679 persone; di queste, 7.140 italiani, 6.539 stranieri, 916 donne.

Segnalazioni al sistema nazionale di allerta precoce. Nel 2014 sono state 229, il 52,8% provenienti dalle forze dell’ordine. Undici i nuovi casi di intossicazione acuta.

Il Messaggero, 11 settembre 2015

Carceri, Bernardini (Radicali): “Governo schizofrenico, Orlando e Costa su fronti opposti”


carcere 3Abbiamo final­mente un mini­stro di Giu­sti­zia che ha ammesso cla­mo­ro­sa­mente che le car­ceri sono cri­mi­no­gene, in altre parole che lo Stato, vio­lando le sue stesse norme, obbliga a un per­corso verso le reci­dive e non di ria­bi­li­ta­zione. Ma allora, cosa si aspetta a far sì che dav­vero, e non solo negli orien­ta­menti acca­de­mici, il car­cere sia l’extrema ratio? Il governo invece agi­sce in modo schi­zo­fre­nico e rin­corre i popu­li­smi giu­sti­zia­li­sti senza riflet­tere sulle conseguenze».

Rita Ber­nar­dini, segre­ta­ria dei Radi­cali ita­liani, ha appena con­cluso una visita ispet­tiva nel car­cere mila­nese di Opera, come dele­gata mini­ste­riale per gli Stati gene­rali del car­cere che si con­clu­de­ranno nel pros­simo autunno con pro­po­ste orga­ni­che di riforma del sistema peni­ten­zia­rio italiano.

Le con­di­zioni delle car­ceri sono miglio­rate rispetto al 2013 quando la Corte di Stra­sburgo con­dannò l’Italia. A fine luglio, nei 49.655 posti dei 198 isti­tuti sono recluse 52.144 per­sone. Con­ti­nuano a morire, però, forse più di prima: i dati aggior­nati all’11 ago­sto di Ristretti oriz­zonti par­lano di 71 morti, di cui 27 sui­cidi. La sua impressione?

Dati alla mano posso assi­cu­rare che il sovraf­fol­la­mento è ancora un pro­blema in almeno una ses­san­tina di isti­tuti, con tassi che vanno dal 130 al 200%. A Reg­gio Cala­bria, per esem­pio, nel car­cere di Arghillà inau­gu­rato solo un paio di anni fa, c’è un reparto com­ple­ta­mente chiuso per man­canza di per­so­nale e di con­se­guenza i dete­nuti sono ammas­sati negli altri reparti. Ma sa qual è l’unica cosa che ha svuo­tato dav­vero le car­ceri ? La sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale sulla Fini-Giovanardi (la legge proi­bi­zio­ni­sta sulle dro­ghe, ndr). Per­si­stono invece tutti gli altri pro­blemi: da quello sani­ta­rio, con la man­canza di cure soprat­tutto per i dete­nuti affetti da pato­lo­gie molto gravi, alla man­canza di lavoro, per non par­lare del diritto vio­lato all’affettività e alla pros­si­mità ter­ri­to­riale. Sono tutte cose che come Radi­cali ita­liani abbiamo denun­ciato in un’altra memo­ria inviata al comi­tato dei mini­stri del Con­si­glio d’Europa, orga­ni­smo che deve veri­fi­care l’attuazione della sen­tenza Tor­reg­giani. Non è un caso, dun­que, che sia aumen­tato l’indice dei sui­cidi, anche rispetto alla popo­la­zione libera. La mia impres­sione poi è che i casi psi­chia­trici di una certa gra­vità sono aumen­tati per­ché la magi­stra­tura non può più inviare negli Opg — for­mal­mente, ma non real­mente, chiusi — tanto che alcuni car­ceri si sono attrez­zati con repar­tini ad hoc. A Pog­gio­reale il diret­tore Anto­nio Ful­lone denun­cia la pre­senza di almeno 40 casi psi­chia­trici gravi. Que­sto dimo­stra che l’operazione di chiu­sura degli Opg rischia il fal­li­mento totale, se non si for­ni­scono risorse alle strut­ture ter­ri­to­riali che dovreb­bero seguire i malati prima che si tra­sfor­mino in casi drammatici.

Infatti nell’ultimo mese tre per­sone sono morte durante un trat­ta­mento sani­ta­rio obbligatorio…

Sicu­ra­mente è aumen­tato l’esito tra­gico di que­sti Tso: senza risorse per i Dipar­ti­menti di salute men­tale, manca il per­so­nale sani­ta­rio che ese­gue i trat­ta­menti. Nel caso di Torino, per esem­pio, c’era solo un medico psi­chia­tra. Che peral­tro a quanto sem­bra pren­deva ordini dagli agenti, men­tre dovrebbe essere il contrario.

Marco Pan­nella ha inter­rotto lo scio­pero della fame e della sete, ini­ziato per denun­ciare la per­si­stente ille­ga­lità dello Stato ita­liano nelle car­ceri, dopo la tele­fo­nata del pre­si­dente Mat­ta­rella. Le sem­bra che l’attuale capo dello Stato abbia la stessa sen­si­bi­lità del suo pre­de­ces­sore, Napo­li­tano, rispetto alla con­di­zione dei detenuti?

Lo vedremo. Le parole pro­nun­ciate dal pre­si­dente sono state molto impor­tanti per­ché ha detto di con­di­vi­dere la bat­ta­glia per i diritti civili e umani e per la lega­lità che con­duce Marco. Ora però biso­gna inter­ve­nire: non a caso nell’ottobre 2013 Napo­li­tano aveva par­lato di obbligo della lega­lità da parte dello Stato. Siamo in un momento di sbando gene­rale. Per fare un esem­pio, dopo aver speso in dieci anni 110 milioni per met­tere in fun­zione una decina di brac­cia­letti elet­tro­nici, ora tutti i due­mila dispo­si­tivi pro­dotti dalla Tele­com sono impe­gnati. E dall’inizio dell’anno siamo ancora in attesa del bando per pro­durne altri. Per­ciò i magi­strati sono costretti a tenere in car­cere chi potrebbe andare ai domi­ci­liari, altro che pene alter­na­tive. Ma allora, che senso ha fare gli stati gene­rali del car­cere, cer­care solu­zioni al sovraf­fol­la­mento, se poi lo Stato ita­liano non rispetta nem­meno le leggi che ci sono già? O se il sot­to­se­gre­ta­rio Enrico Costa pre­senta in com­mis­sione Giu­sti­zia, alla Camera, emen­da­menti al ddl delega di riforma del codice di pro­ce­dura penale e dell’ordinamento peni­ten­zia­rio per aumen­tare le pene per i reati che lui chiama di allarme sociale? C’è chi nel governo pre­fe­ri­sce seguire i Sal­vini e i Grillo, la pan­cia piut­to­sto che la testa.

Eleonora Martini

Il Manifesto, 12 Agosto 2015

Droghe: c’è chi sta ancora in carcere per la Fini-Giovanardi e Renzi non fa niente


Marijuana 3Esce il Libro Bianco di Antigone e della Società della Ragione sulla legge per le droghe leggere: “La politica si è mostrata pavida e latitante”.

C’è chi è ancora in carcere illegittimamente. Chi non avendo un buon avvocato non ha potuto far valere le sue ragioni. Oppure, più semplicemente, c’è chi sta ancora scontando la pena per la lentezza e la “farraginosità della macchina giudiziaria”. Spesso i registri informatici non riescono a rilevare le richieste. E migliaia di detenuti continuano a rimanere in galera. Mette i brividi l’ultimo Libro Bianco dell’associazione Antigone e della Società della Ragione sulla legge sulle droghe.

A un anno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi non è cambiato nulla, né la maggioranza dei detenuti giudicati all’epoca è riuscita a far valere le proprie ragioni contro pene illegittime. Colpa soprattutto del legislatore, del governo di Matteo Renzi, che non è intervenuto mai sulla questione, nonostante le richieste dello stesso presidente della Corte di Cassazione all’inizio dell’anno giudiziario.

E nonostante l’emergenza del sovraffollamento delle carceri, come dichiarato più volte dall’Unione Europea. A gennaio il primo presidente della Cassazione, Giorgio Santacroce, chiese di “adeguare le pene previste in questa materia, tenuto conto del ripristino della differenziazione tra droghe leggere e droghe pesanti e, soprattutto, prendendo coraggiosamente atto della estrema inutilità dell’incremento sanzionatorio stabilito con la legge Fini-Giovanardi”.

All’epoca, era il febbraio del 2014, ci si aspettava – si legge nella relazione – che “la pronuncia di incostituzionalità avrebbe avuto effetti sulla popolazione detenuta nelle carceri italiane. Diminuendo significativamente (passando da 20 a 6 anni) il massimo della pena per detenzione e spaccio di derivati della cannabis”. In particolare l’ipotesi è che si sarebbero prodotti due effetti: “in primis l’insussistenza dei presupposti per misure cautelari in carcere basati su previsioni di pena assai superiori a quelle vigenti dopo la sentenza; e a seguire la necessità di rideterminare le condanne passate in giudicato sulla base delle pene giudicate illegittime”.

Nulla di tutto questo. Anche se nell’ultimo anno sono state portate avanti battaglie da parte della Società della Ragione contro le pene illegittime. Come le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che nell’ottobre del 2014 “dettero impulso alla rideterminazione delle pene. Fu cioè riconosciuto ai detenuti il diritto a ottenere il ridimensionamento delle pene sulla base della normativa così come uscita dalla sentenza della Corte costituzionale”

Corte di cassazione1Leonardo Fiorentini, tra gli estensori del Libro Bianco, è molto preciso nella relazione. “Sulla base del pronunciamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le associazioni iniziarono la campagna “Contro la pena illegittima”, chiedendo al parlamento e al governo un provvedimento che garantisse una decisione immediata e uguale per tutti, con una riduzione di due terzi delle pene comminate sulla base di una legge incostituzionale. Purtroppo anche in questa occasione la politica si è mostrata pavida e latitante e questo semplice provvedimento non è stato adottato”.

A nulla sono poi servite le lettere e gli appelli inviati al governo. “Molti garanti dei diritti dei detenuti” si legge “hanno anche richiesto alle Procure della Repubblica informazioni sulla quantità di incidenti di esecuzione e sul loro esito. Le risposte da parte delle istituzioni sono state poche e assai poco significative”. Il risultato è avvilente, perché migliaia di detenuti non sono riusciti a far valere i loro diritti. “La Procura generale della Corte d’Appello di Milano segnala di avere ricevuto 51 richieste e di averne accolte il 20%. Rimanda per il resto della Lombardia alla procura generale di Brescia e alle 13 Procure della Repubblica”.

E poi ancora: “La Procura Generale di Firenze ha effettuato una ricerca dei fascicoli in esecuzione relativi a reati di droga e ne ha individuati circa 400 e di questi 44 relativi a droghe leggere e solo per 7 casi si è proceduto alla rideterminazione della pena. Il quadro che emerge dalle risposte delle procure della Toscana è desolante; solo a Prato è stato disposto un monitoraggio. Per il resto poche istanze e ancora meno accoglimenti.

Alcune procure sostengono che il registro informatico dell’esecuzione (Siep) non consente la rilevazione delle specifiche richieste di rideterminazione della pena per cui non sono estrapolabili quelle conseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014. Altre procure rimandano alle cancellerie del giudice dell’esecuzione. Abbiamo avuto notizia che la Procura di Napoli si è attivata in prima persona e che sono stati esaminati 233 casi di incidenti di esecuzione”.

Per questo motivo, conclude la relazione, “Molti hanno scontato fino alla fine la pena illegittima mentre probabilmente alcuni sono ancora in carcere. In ogni caso, la campagna ha messo in luce la farraginosità della macchina giudiziaria e il suo carattere discriminatorio e di classe. Solo chi ha risorse e avvocato può sperare di vedere riconosciuto il suo diritto. La campagna “Contro la pena illegittima” proseguirà chiedendo al Ministero della Giustizia di impegnarsi nel richiedere tutti i dati e fornire almeno un quadro esaustivo di una vicenda paradossale”.

Alessandro Da Rold

http://www.linkiesta.it, 26 giugno 2015

Grosso (Gruppo Abele) : Il Governo resta in silenzio totale sulle Droghe da oltre un anno


Marijuana 3Sulla “questione droghe”, il governo risulta afasico. Dopo un primissimo vagito nei giorni iniziali del suo insediamento, costretto dalla abolizione per incostituzionalità della Fini-Giovanardi a ripristinare la vecchia normativa, il governo non ha più battuto un colpo, nonostante il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea, occasione mancata per presentare la discontinuità dalla gestione Giovanardi-Serpelloni.

Il governo di larghe intese ha “incassato” la decisione della Corte Costituzionale. Nel doppio senso del termine. “Pugilisticamente”, affidando il compito di relatore del rabbercio legislativo allo stesso Giovanardi, con un’operazione incompiuta sia rispetto a vistose incoerenze normative risultanti dal nuovo testo unico, sia per la mancanza di una disposizione di legge che evitasse ai detenuti, condannati con una legge dichiarata incostituzionale, l’onere del ricorso individuale per la rideterminazione della pena.

Nello stesso tempo il governo ha incassato i benefici di una riforma extraparlamentare (la reintroduzione della distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”, con tutti gli effetti a cascata, in primis sul sovraffollamento carcerario) che nemmeno l’ultimo governo Prodi, nonostante le buone intenzioni, era stato in grado di portare a casa abrogando la Fini-Giovanardi.

Poi il silenzio totale per un anno intero, senza la designazione di un referente politico per il Dipartimento Anti Droga, a sostituzione e “correzione” del ruolo ricoperto troppo a lungo da Giovanardi.

La legge 309 del 90 richiede che ogni tre anni venga convocata una Conferenza nazionale per verificare e rideterminare le politiche sulle droghe: è sei anni che non viene indetta. La stessa legge prevede l’istituzione di una Consulta e di un Comitato scientifico che coadiuvi l’attività del Dipartimento: non sono mai stati nominati. Il Dipartimento ogni anno finanzia progetti a sostegno di obiettivi ritenuti prioritari o sperimentali, in collaborazione con i servizi pubblici e il privato-sociale accreditato: tutto è fermo e sono state bloccate anche le progettazioni che fruivano di una biennalità già predeterminata. L’indispensabile collaborazione con le Regioni, molto tormentata nella precedente gestione, non è stata ancora riavviata. La stessa relazione al parlamento, debito informativo che il governo ha come obbligo istituzionale, è pervenuta in ritardo e senza la tradizionale prefazione che definisce le priorità e gli orientamenti politici.

A livello internazionale, si avverte con ancora più urgenza la necessità di un riposizionamento dell’Italia rispetto alle politiche dell’Unione europea e dell’Onu.

Rompendo l’unitarietà della posizione europea, la gestione Giovanardi-Serpelloni ha schierato l’Italia contro il “pilastro” della Riduzione del danno. L’importantissima scadenza di New York dell’Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass 2016), in cui si rifletterà sulla possibile revisione delle Convenzioni internazionali, necessita di un diverso ruolo dell’Italia, a favore, e non di ostacolo, alle significative innovazioni e coraggiose sperimentazioni condotte ormai in molti Paesi del vecchio e nuovo Continente.

Bisogna che il governo ri-apra con franchezza un percorso di confronto con tutto il settore: le istituzioni regionali, gli operatori del pubblico e del privato sociale, le associazioni coinvolte a vario titolo, i comitati delle famiglie, le rappresentanze dei consumatori, la società civile responsabile.

Leopoldo Grosso (Presidente onorario Gruppo Abele)

Il Manifesto, 8 aprile 2015

Droghe, il “buon senso” dell’Antimafia per il cambiamento di una Legge ingiusta


droghe-leggere-e1421682273611C’è antimafia e antimafia, come ricorda spesso don Ciotti. Ce n’è una che fa della legalità un feticcio intangibile e un’altra che persegue il cambiamento, anche delle leggi ingiuste. C’è quella che si affida alla tortura del 41 bis e dell’ergastolo ostativo e quella che vorrebbe si investisse su cultura, educazione, politiche sociali, responsabilità della politica.

C’è l’antimafia delle passerelle e quella del buon senso. Quest’ultima, con la recente Relazione della DNA di Franco Roberti, ha battuto un colpo. Tanto più significativo data la fonte, certo non sospetta di “permissivismo” o di “cultura dello sballo”, per usare gli epiteti con cui i tifosi della war on drugs usano stigmatizzare chi non fa della tolleranza zero verso i consumatori di sostanze una crociata.

La Relazione annuale (datata gennaio 2015 e relativa al periodo 1° luglio 2013-30 giugno 2014), nel capitolo relativo alla criminalità transnazionale e al contrasto del narcotraffico, giustamente prende le mosse dalla dimensione statistica. Va detto che i numeri di riferimento, di fonte UNODC, non sono freschissimi (2010-11, marginalmente 2012) e anche ciò è indicativo di come all’enfasi allarmistica di organismi ONU non corrisponda poi uno sforzo adeguato e tempestivo di monitoraggio, né una sufficiente esaustività: per quanto concerne le droghe sintetiche, definite «fenomeno in grande espansione che rappresenta la nuova frontiera del narcotraffico», la Relazione DNA afferma che «né l’UNODC né altri organismi internazionali dispongono di dati sicuri».

Ma, al là delle cifre e sia pure a partire da esse, la Relazione è netta nella valutazione: ritenere che il traffico di droghe «riguardi un popolo di tossicodipendenti, da un lato, e una serie di bande criminali, dall’altro, è forse il più grave errore commesso dal mondo politico che, non a caso, ha modellato tutti gli strumenti investigativi e repressivi sulla base di questo stolto presupposto». Si tratta, invece, di fenomeno che riguarda e attraversa l’intera società, la sua economia, la totalità delle categorie professionali. Dunque, ne consegue, irrisolvibile con lo strumento penale.

Per quanto riguarda l’Italia, e in specie le droghe leggere, i ricercatori della DNA scrivono di un «mercato di dimensioni gigantesche», stimato in 1,5-3 milioni di chili all’anno di cannabis venduta. Una quantità, viene sottolineato, che consentirebbe un consumo di circa 25-50 grammi pro capite, bambini compresi. Coerente la conclusione: «senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia, si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente […] si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva». Nel caso si volesse continuare a fare al riguardo come le tre proverbiali scimmiette, la Relazione non si sottrae dall’indicare esplicitamente, pur nel rispetto dei ruoli, la strada: «spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo […]) sia opportuna una depenalizzazione della materia».

Inutile dire che la Relazione è rimasta sinora priva di risposte da «chi di dovere». La decennale pervicacia dell’ideologia repressiva, e del connesso grumo di interessi, che condiziona i governi di diverso colore e che ha prodotto, o tollerato, l’obbrobrio della legge incostituzionale Fini-Giovanardi, è dura da estirpare. Ma il buon senso e i fatti hanno la testa dura: il muro criminogeno del proibizionismo si sta sgretolando in più di un paese, come ha riepilogato qui Grazia Zuffa (“il manifesto”, 11 marzo 2015). Verrà il momento anche dell’Italia, dove ancora, come diceva il compianto Giancarlo Arnao, è proibito capire.

Sergio Segio

Il Manifesto, 18 Marzo 2015

Marijuana, Antimafia : “La repressione ? Ha fallito. Depenalizziamola”


marijuana4“Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro […] sia opportuna una depenalizzazione della materia”. La bomba la lancia la Direzione Nazionale Antimafia.

Il pool guidato da Franco Roberti ha presentato lo scorso 25 febbraio la sua relazione al Parlamento. Dietro la scrivania lo stesso procuratore generale, accompagnato dalla presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. Nel tomo, che consta di oltre 700 pagine, la svolta: l’ammissione del fallimento della repressione del mercato illegale di cannabinoidi e la secca apertura alla depenalizzazione del loro consumo.

Parole pesantissime, se considerato che non arrivano da chi ha sempre sostenuto con forza la necessità di liberalizzare e depenalizzare il consumo di marijuana&co. (vedi i Radicali) ma da chi è in prima linea nella battaglia quotidiana per far rispettare la normativa vigente. Una manciata di paginette, dalla 355 alla 360, che sono sfuggite alla maggior parte di coloro che hanno spulciato nel testo, ma che risultano esplosive.

La Dna sottolinea che il quantitativo sequestrato “è di almeno 10/20 volte inferiore a quello consumato”. Ci si trova, dunque, dinanzi a “un mercato che vende, approssimativamente, fra 1,5 e 3 milioni di Kg all’anno di cannabis”. Tradotto, sarebbero all’incirca 200 canne pro capite, anziani e giovanissimi compresi. Poi l’ammissione di sostanziale fallimento:

“Di fronte a numeri come quelli appena visti – e senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia – si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva”.

Il punto, sottolinea l’Antimafia, è che “il sistema repressivo ed investigativo nazionale, che questo Ufficio osserva da una posizione privilegiata, è nella letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi”.

Insomma, “con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale”. La Dna spiega che se si volessero spostare risorse e uomini per contrastare l’uso di marijuana e affini, “di conseguenza rimarrebbero “scoperte” e prive di risposta investigativa altre emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione, ecc”.

Qual è la soluzione? La depenalizzazione. L’agenzia guidata da Roberti non lo fa capire tra le righe, ma lo dice chiaro e tondo:

“Davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”.

Non solo. L’Antimafia equipara le droghe leggere a fumo e alcolici: “I dati statistici e quantitativi nudi e crudi, segnalano, in questo specifico ambito, l’affermarsi di un fenomeno oramai endemico, capillare e sviluppato ovunque, non dissimile, quanto a radicamento e diffusione sociale, a quello del consumo di sostanze lecite (ma, il cui abuso può del pari essere nocivo) quali tabacco ed alcool”.

Sarebbe dunque un harakiri “spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe pesanti al contrasto al traffico di droghe leggere”. La soluzione? Depenalizzarle. E no, non lo dice il solito Marco Pannella. Parole, nero su bianco, di una delle più alte e stimate autorità indipendenti dello stato italiano.

La relazione della Dna (la parte sulle droghe leggere da p. 355 in poi)

Pietro Salvatori

http://www.huffingtonpost.it – 08 Marzo 2015

Droghe: Sono migliaia i detenuti che scontano ancora le pene illegali della Fini Giovanardi


Corte di cassazione1Nel primo anniversario della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittime le pene draconiane previste dalla Fini-Giovanardi per le droghe “leggere” (da 6 a 20 anni di reclusione) e ripristinato le più miti pene della legge precedente (da 2 a 6 anni), le Sezioni Unite della Cassazione sono chiamate a risolvere i prevedibili contrasti insorti tra pubblici ministeri e giudici, di legittimità e di merito, sulla incidenza della pronuncia della Consulta sulle condanne definitive in corso di esecuzione.

Gli appelli di giuristi e associazioni per un intervento legislativo che prevenisse tali contrasti, adottando una soluzione equa ed uniforme per tutti i condannati, sono caduti nel vuoto e così, nella latitanza della politica, sarà ancora una volta il massimo organo della giurisdizione penale che, nell’udienza di domani, dovrà dire una parola definitiva sulla sorte di migliaia di detenuti che stanno scontando pene “illegittime”.

I giudici di piazza Cavour si trovano la strada parzialmente spianata da una precedente decisione delle stesse Sezioni Unite, che, sia pure con riferimento ad una diversa vicenda, nel maggio scorso hanno spazzato via il feticcio del “giudicato”, invocato da una parte della magistratura per contrastare gli effetti delle decisioni della Consulta sulle condanne definitive.

Ma i giudici più restii a dare piena attuazione ai valori costituzionali, non potendo continuare ad invocare lo sbarramento del “giudicato”, si sono attestati su una nuova frontiera. Dicono che la decisione della Consulta vale solo per i casi in cui la condanna definitiva superi il minimo della pena prevista dalla Fini-Giovanardi, che coincide con il massimo previsto dalla ripristinata legge precedente (6 anni di reclusione). In altre parole, secondo questa giurisprudenza, può considerarsi “illegale” solo la parte di pena che superi il minimo della legge precedente, sicché, per ripristinare la legalità, basterebbe eliminare la pena eccedente.

Questo orientamento non tiene conto di un dato, ben noto a chiunque abbia una qualche conoscenza delle prassi giudiziarie. La commisurazione della pena è una scelta che i giudici compiono collocando il fatto da giudicare nella “cornice edittale” prevista dalla legge vigente e riservando il minimo ai fatti di minore gravità. È perciò evidente che il minimo della pena inflitta nel vigore della illegittima legge Fini-Giovanardi (6 anni di reclusione) potrebbe riguardare, e quasi sempre riguarda, fatti che, se giudicati secondo i parametri legali ripristinati dalla decisione della Consulta, avrebbero meritato un minimo di 2 anni o comunque una pena di gran lunga inferiore.

Perciò la giurisprudenza più attenta a dare effettiva attuazione ai valori costituzionali, ritiene che tutte le condanne in corso di espiazione inflitte nel vigore della Fini-Giovanardi per droghe leggere vadano annullate e il trattamento sanzionatorio vada rideterminato dal giudice della esecuzione sulla base delle pene previste dalle precedenti norme costituzionalmente legittime (più miti, anche se ancora troppo severe).

Sono appunto questi contrastanti orientamenti giurisprudenziali che i giudici della Cassazione dovranno risolvere nell’udienza di domani. L’auspicio è che le Sezioni Unite proseguano il percorso della ragione intrapreso nel maggio scorso, ponendo fine alla esecuzione delle pene illegittime.

Resta comunque il rammarico per tutti coloro che l’inerzia della politica ha nel frattempo condannato ad espiare, nell’ancora sovraffollate galere, una pena che per i principi costituzionali del nostro ordinamento non avrebbero dovuto espiare.

Luigi Saraceni

Il Manifesto, 25 febbraio 2015

Pannella (Radicali): Mattarella ? lo valuteremo su carceri e legalizzazione delle droghe


On. Marco PannellaIl leader dei Radicali sulla manovra del premier per portare il siciliano al Quirinale: “è stato molto abile, ma ha una visione a lungo termine?”.

Non si lascia ipnotizzare come il resto del mondo politico italiano dalle evoluzioni tattiche del premier, dopo le elezioni del Presidente della Repubblica. Dal suo osservatorio in via della Torre Argentina, sede del Partito Radicale, così vicino così lontano al Parlamento, Marco Pannella preferisce affrontare la vittoria di Sergio Mattarella da tutt’altra prospettiva.

Del resto l’84enne leader radicale, ha sempre preferito muovere le proprie guerriglie a partire da uno sguardo sulle dinamiche e sugli strumenti giuridici internazionali. Laico anche sulla figura del democristiano Mattarella, Marco Pannella conta soprattutto su un impegno concreto sui temi dei diritti dei carcerati e della giustizia.

Pannella. alla fine tutti o quasi d’accordo sul nome di Sergio Mattarella. Lei che ne pensa del nuovo presidente della Repubblica?

“C’è qualcuno che ritiene che è esattamente quello che ci voleva. Io dico che i nomi in campo più o meno si equivalevano”.

Non mi sembra molto entusiasta.

“Più che altro, aspetto di vedere come si muoverà su alcuni temi importanti per noi radicali. Di Mattarella posso dire che quando era ministro della Difesa ha abolito la naja e ha avviato il paese verso la professionalizzazione delle forze dell’ordine, che era una nostra battaglia da decenni”.

Un punto a suo favore. E invece per quanto riguarda il leit motiv di questi giorni, “moriremo democristiani”?

“Ma guarda, da questo punto di vista devo dire che i radicali hanno sempre avuto rapporti ottimi con il mondo cattolico, formali ma ottimi. Non solo con il papa attuale, che mi ha telefonato, ma anche, per restare alla Sicilia, la regione del presidente, con tanti esponenti del partito popolare, con lo stesso Sturzo. C’è anche un aneddoto che riguarda papa Wojtyla, quando il sindaco comunista Petroselli presentò la sua giunta al pontefice, erano i primi anni 80, e arrivato ad Angiolo Bandinelli, disse: “Questo è quello di Pannella” e lui rispose, tra la sorpresa di tutti: “Ah, lui ci vuole bene. Dio ce l’ha dato e nessuno ce lo tocchi”.

Mi sembra di capire che per il momento sospende il giudizio su Mattarella. A bocce ferme, invece, qual è il suo giudizio sull’operato di Napolitano al Colle?

“Sicuramente con l’ultimo atto, il suo discorso sulle carceri, il mio giudizio non può che essere sostanzialmente positivo. Dirò di più, quelle sue dichiarazioni noi le abbiamo assunte come manifesto operativo”.

Addirittura.

“Certo, un presidente della Repubblica, parla di obbligo di ripristinare una situazione di normalità per quanto riguarda la giustizia e le condizioni carcerarie per far rientrare l’Italia in una situazione di legalità a livello internazionale, è una bomba che prima o poi esploderà. E Se non si fosse dimesso, lo stesso Napolitano avrebbe dovuto fare qualcosa per dar seguito a queste parole, come ad esempio scrivere alla Corte internazionale di giustizia”.

Adesso c’è Mattarella al suo posto.

“E noi lo giudicheremo su come interverrà sulla giustizia, sulle carceri e anche quale sarà la sua posizione rispetto alla legalizzazione delle droghe”.

Adesso chiede troppo a un democristiano!

“Ma no, perché ormai il mondo va in quella direzione. Guarda anche gli Stati Uniti che stanno legalizzando. L’atmosfera è diversa da quando abbiamo iniziato la battaglia antiproibizionista in un clima totalmente sfavorevole”.

Resta il fatto che un presidente della Repubblica non è un capo del Governo.

“Infatti, noi chiediamo che svolga fino in fondo la sua funzione di garante e non di arbitro”.

Qual è la differenza?

“Che l’arbitro nella politica italiana si barcamena tra interessi diversi, invece il garante deve difendere l’applicazione delle leggi, soprattutto quelle internazionali. Ad esempio anche sul dissesto idrogeologico, abbiamo presentato diversi esposti a livello internazionale, e sono sicuro che ci verrà dato ragione. Ecco, il presidente della Repubblica deve essere garante, come ha fatto Giorgio Napolitano”.

I suoi detrattori dicono che ha fatto politica, altroché garante.

“Questo succede perché negli ultimi trent’anni i presidenti della Repubblica hanno seguito un altro tipo di comportamento. Io glielo dissi a Giorgio appena eletto, “se proteggerai i principi costituzionali fino in fondo, avrai tutti i costituzionalisti contro”.

Tornando a queste ultime elezioni per il Colle. Pensa che se non avesse annunciato di doversi curare per un tumore, Emma Bonino sarebbe stata tra i papabili, questa volta?

“Nonostante i radicali vengano scientificamente tagliati fuori dai media, Emma Bonino risulta sempre la più popolare nei sondaggi. Ma appunto, i partiti hanno paura di noi”.

L’esito finale del voto è stato un capolavoro politico di Renzi?

“Certo, è stato abilissimo. Ma il punto è un altro. Quanto questa sua abilità reggerà nel tempo? Quanto le sue posizioni, le sue intuizioni, sono radicate nel tempo? Questo è quello che conta. Noi radicali abbiamo le stesse posizioni da quarant’anni, e ad esempio sulla legalizzazione delle droghe, ci sono voluti parecchi anni, ma adesso il vento è favorevole in tutto il mondo. Ma Renzi è quello che non ha voluto firmare i nostri referendum perché diceva che toccava al Parlamento occuparsene. Mentre Berlusconi è venuto a firmarli tutti davanti alle telecamere”.

Il patto del Nazareno reggerà dopo lo schiaffo di Renzi su Mattarella?

“Ma che importa! Queste sono cose che cambiano di sei mesi in sei mesi. Quello che conta è se l’Italia risponderà all’appello di Napolitano, e alle richieste dell’Europa sulla giustizia. Per questo chiediamo a Mattarella di dare seguito alle parole di Giorgio”.

Qualcuno le risponderebbe che ci sono cose che vengono prima della giustizia, come ad esempio la crisi economica.

“Ma le due cose sono assolutamente legate. Chi viene a investire in Italia, quando qui un creditore per riavere i suoi soldi deve aspettare un processo che non inizia prima di tre o quattro anni?”.

A proposito d’Europa, la soluzione si chiama Tsipras?

“Noi radicali abbiamo lottato per anni contro l’aumento esponenziale del debito pubblico. La strada scelta è invece stata quella di tassare il mondo del commercio e le imprese. Con i risultati disastrosi che tutti vedono”.

Lorenzo Misuraca

Il Garantista, 3 febbraio 2015