Cannabis legale, le proposte dell’On. Bruno Bossio (Pd) alla bozza dell’Intergruppo


cannabis 1Non c’è nulla di “ufficiale” per il momento ma, seppur doveva rimanere “riservata”, la proposta di legge che l’Intergruppo Parlamentare sulla Cannabis ha abbozzato, è stata già resa pubblica. In verità, durante l’ultimo incontro dell’Intergruppo costituito su iniziativa del Senatore Benedetto Della Vedova, radicale del Gruppo Misto, Sottosegretario agli Affari Esteri del Governo Renzi, l’Onorevole Enza Bruno Bossio, Deputato Pd, calabrese, molto vicina alle posizioni dei Radicali, ha proposto alcune importanti modifiche al testo che, per la gran parte, riprende le proposte di legge presentate sin’ora nei due rami del Parlamento dal Movimento Cinque Stelle, da Sinistra Ecologia e Libertà e dal Partito Democratico. Inizialmente, la predetta, voleva presentare una sua proposta di legge per la revisione completa del Testo Unico sugli Stupefacenti ma, nel frattempo, essendo stato costituito l’Intergruppo ed avendovi aderito, ci ha rinunciato, impegnandosi a “migliorare” per quanto possibile il progetto di legge denominato “Norme per la legalizzaziopne della cannabis e dei suoi derivati” che verrà presentato dall’Intergruppo.

In particolare, le modifiche proposte dall’On. Bruno Bossio sono quattro e riguardano i primi dei quattro articoli della bozza dell’Intergruppo. Per quanto concerne la coltivazione in forma associata di cannabis sul modello dei cannabis sociale club spagnoli (Art. 1) ha proposto di aggiungere al comma 1 ter, le seguenti parole “limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80”. La norma, infatti, così come proposta, prevede che gli associati debbano essere maggiorenni e residenti in Italia e non debbano aver riportato condanne definitive per i reati di cui all’Art. 416 bis del Codice Penale e agli Articoli 70, 73 e 74 del Testo Unico. Ritengo doveroso – ha detto l’On. Bruno Bossio – che il divieto di coltivazione, previsto in tale articolo all comma 1 ter, fermo restando le altre ipotesi, venga circoscritto per tutti i condannati per spaccio o cessione (Art. 73), che siano stati riconosciuti responsabili per fatti di grave entità ed altro (ipotesi aggravate ai sensi dell’Art. 80. In sostanza, vanno inclusi, tra i possibili coltivatori in forma associata, quelle migliaia di cittadini sino ad oggi condannate per detenzione e/o cessione di piccole quantità di stupefacenti che, invece, attualmente, la proposta escluderebbe. E su tale modifica, pare che la maggioranza dell’Intergruppo, si sia espressa favorevolmente. Altra questione affrontata è stato il divieto assoluto di fumare i derivati della cannabis negli spazi pubblici o aperti al pubblico e nei luoghi di lavoro pubblici e privati, contenuto nell’Art. 30 bis comma 2. Tale divieto, per la Parlamentare, così come proposto, è del tutto assurdo e sproporzionato. Ha proposto, infatti, di sopprimere tout court il comma 2 dell’Articolo 30 bis oppure di sostituirlo con il divieto, attualmente vigente, per quanto concerne il fumo del tabacco, lasciando in via supplementare la possibilità alle Amministrazioni e agli Enti Pubblici, nell’ambito del territorio di loro competenza, di istituire tale divieto in spazi pubblici e aperti al pubblico qualora ricorrano comprovati motivi per la salute dei non fumatori previo parere delle Autorità Sanitarie. Questa proposta, al momento, seppur condivisa da altri membri dell’Intergruppo, pare che non venga accolta e che resterà il divieto sancito nella bozza provvisoria.

Poi ha proposto alcune modifiche importantissime anche all’Articolo 3 concernente le condotte non punibili e fatti di lieve entità. Si sancisce la “non punibilità” della cessione di cannabis e dei prodotti da essa ottenuti a determinate condizioni ed entro specifici limiti. In sostanza, si depenalizza la cessione a persona maggiorenne e, comunque, la cessione che avvenga fra soggetti minori, di una modica quantità di cannabis (nei limiti consentiti), in quanto presuntivamente preordinata al consumo personale. E su questo, nulla da eccepire. Non altrettanto, però, per quel che riguarda le pene detentive e pecuniarie ipotizzate. Infatti, la Deputata calabrese, ha proposto di modificare la lettera b) al fine di ridurne sensibilmente il minimo ed il massimo edittale previsto per le c.d. “droghe pesanti” (cocaina, etc.) anziché 6 anni, 4 anni di reclusione e la multa anziché da euro 2.064 a euro 13.000, da euro 1.000 a euro 5.000 e, fermo restando le pene detentive ipotizzate per le c.d. “droghe leggere” (cannabis, etc.) da 6 mesi a 3 anni, ha proposto di ridurre quelle pecuniarie, nel minimo e nel massimo, anziché da euro 1.032 a euro 6.500, da euro 500 ad euro 2.500. Ciò, ha inteso precisare l’On. Bruno Bossio, per evitare il ripristino della possibilità, per l’Autorità Giudiziaria, di disporre la custodia in carcere anche per i fatti di lieve entità per le c.d. “droghe pesanti” e salvaguardare la possibilità di sospendere la carcerazione del condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza, in attesa del giudizio della Magistratura di Sorveglianza e per applicare, nella fase processuale, il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato nonché l’istituto della non punibilità per la particolare tenuità del fatto poiché, con l’innalzamento della pena a 6 anni di reclusione, verrebbe categoricamente escluso. Salvaguardare la non punibilità per particolare tenuità del fatto va nella direzioone della riduzione del sovraffollamento carcerario e per non ingolfare i Tribunali con processi per fatti tenui e non abituali come quello della modesta detenzione e/o cessione di sostanze stupefacenti anche di tipo “non leggere”, così come la non applicabilità della carcerazione preventiva ai reati puniti con pena detentiva inferiore a 5 anni. Infine, ha proposto di aggiungere un ulteriore comma, dopo il comma 1, per abrogare i commi 1 e 2 dell’Articolo 85 del Testo Unico sugli Stupefacenti. Sono le “pene accessorie” che il Giudice può comminare ai condannati e che consistono nel divieto di espatrio e nel ritiro della patente di guida per un periodo non superiore a 3 anni. Ritengo, ha insistito la democrat, che sia giusto abrogare queste “pene accessorie” o, comunque, di non applicarle per i fatti di lieve entità, ritenendole eccessive ed inadeguate in quando riducono ed ostacolano, tra le altre cose, le opportunità di lavoro e di reinserimento sociale dei soggetti sanzionati in spregio a quanto previsto dal principio di finalizzazione della pena, più volte affermato dalla Corte Costituzionale, e perché comunque non hanno alcuna concreta efficacia nei confronti dei condannati. Il ritiro della patente di guida è un handicap assoluto o relativo, assoluto nelle attività di lavoro in cui la patente è necessaria e relativo in tutte quelle in cui l’uso della stessa è più o meno indispensabile per raggiungere il luogo di lavoro. Non disporre della patente di guida oggi è una forma di grave incapacitazione della persona. I condannati, non saranno certo “ostacolati” dal divieto di espatrio o dal ritiro della patente se intendano tornare a delinquere mentre lo saranno se intendano seguire un percorso di riabilitazione sociale e di lavoro. Su tutte queste proposte, invece, stante la loro importanza, nei prossimi giorni, ci sarà una riunione specifica. Inoltre, l’ultima modifica proposta, attiene all’Articolo 4 sugli illeciti amministrativi. E’ stato proposto di inserire la lettera e) che prevede un’aggiunta all’Articolo 75 comma 4 del Testo Unico e cioè che il termine concesso al Prefetto per l’adozione del provvedimento di convocazione della persona segnalata dalle Forze dell’Ordine per uso personale, debba essere perentorio e non più ordinatorio, in modo tale da rispettare quel tempo congruo e ragionevole (40 giorni) che la normativa vigente individua rispetto la finalità cautelare cui il provvedimento è legato. Infine, è stato proposto, di aggiungere sempre all’Articolo 75 comma 4, che la mancata presentazione al colloquio prefettizio non possa comportare automaticamnete l’irrogazione delle sanzioni se la persona convocata adduca giustificati motivi. Anche su queste ultime proposte, l’Intergruppo, farà le proprie valutazioni.

Emilio Quintieri, Radicali Italiani

Il Garantista, 26 Giugno 2015

Grosso (Gruppo Abele) : Il Governo resta in silenzio totale sulle Droghe da oltre un anno


Marijuana 3Sulla “questione droghe”, il governo risulta afasico. Dopo un primissimo vagito nei giorni iniziali del suo insediamento, costretto dalla abolizione per incostituzionalità della Fini-Giovanardi a ripristinare la vecchia normativa, il governo non ha più battuto un colpo, nonostante il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea, occasione mancata per presentare la discontinuità dalla gestione Giovanardi-Serpelloni.

Il governo di larghe intese ha “incassato” la decisione della Corte Costituzionale. Nel doppio senso del termine. “Pugilisticamente”, affidando il compito di relatore del rabbercio legislativo allo stesso Giovanardi, con un’operazione incompiuta sia rispetto a vistose incoerenze normative risultanti dal nuovo testo unico, sia per la mancanza di una disposizione di legge che evitasse ai detenuti, condannati con una legge dichiarata incostituzionale, l’onere del ricorso individuale per la rideterminazione della pena.

Nello stesso tempo il governo ha incassato i benefici di una riforma extraparlamentare (la reintroduzione della distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere”, con tutti gli effetti a cascata, in primis sul sovraffollamento carcerario) che nemmeno l’ultimo governo Prodi, nonostante le buone intenzioni, era stato in grado di portare a casa abrogando la Fini-Giovanardi.

Poi il silenzio totale per un anno intero, senza la designazione di un referente politico per il Dipartimento Anti Droga, a sostituzione e “correzione” del ruolo ricoperto troppo a lungo da Giovanardi.

La legge 309 del 90 richiede che ogni tre anni venga convocata una Conferenza nazionale per verificare e rideterminare le politiche sulle droghe: è sei anni che non viene indetta. La stessa legge prevede l’istituzione di una Consulta e di un Comitato scientifico che coadiuvi l’attività del Dipartimento: non sono mai stati nominati. Il Dipartimento ogni anno finanzia progetti a sostegno di obiettivi ritenuti prioritari o sperimentali, in collaborazione con i servizi pubblici e il privato-sociale accreditato: tutto è fermo e sono state bloccate anche le progettazioni che fruivano di una biennalità già predeterminata. L’indispensabile collaborazione con le Regioni, molto tormentata nella precedente gestione, non è stata ancora riavviata. La stessa relazione al parlamento, debito informativo che il governo ha come obbligo istituzionale, è pervenuta in ritardo e senza la tradizionale prefazione che definisce le priorità e gli orientamenti politici.

A livello internazionale, si avverte con ancora più urgenza la necessità di un riposizionamento dell’Italia rispetto alle politiche dell’Unione europea e dell’Onu.

Rompendo l’unitarietà della posizione europea, la gestione Giovanardi-Serpelloni ha schierato l’Italia contro il “pilastro” della Riduzione del danno. L’importantissima scadenza di New York dell’Assemblea Generale Onu sulle droghe (Ungass 2016), in cui si rifletterà sulla possibile revisione delle Convenzioni internazionali, necessita di un diverso ruolo dell’Italia, a favore, e non di ostacolo, alle significative innovazioni e coraggiose sperimentazioni condotte ormai in molti Paesi del vecchio e nuovo Continente.

Bisogna che il governo ri-apra con franchezza un percorso di confronto con tutto il settore: le istituzioni regionali, gli operatori del pubblico e del privato sociale, le associazioni coinvolte a vario titolo, i comitati delle famiglie, le rappresentanze dei consumatori, la società civile responsabile.

Leopoldo Grosso (Presidente onorario Gruppo Abele)

Il Manifesto, 8 aprile 2015

Droghe: Cassazione, incostituzionalità Fini-Giovanardi non incide sulla custodia cautelare


cassazioneL’incostituzionalità della Fini-Giovanardi sotto il profilo della equiparazione tra droghe leggere e droghe pesanti (sentenza 32/2014 della Consulta) non incide sulla rideterminazione della custodia cautelare per i procedimenti in corso e nei quali la fase cautelare sia stata già chiusa. Lo hanno stabilito le Sezioni unite penali della Cassazione (sentenza 44895/14, depositata martedì) respingendo il ricorso di un imputato cagliaritano, impugnazione rimessa dalla Quarta sezione per un conflitto giurisprudenziale sul tema.

L’uomo era finito in custodia cautelare nel giugno del 2013 per detenzione a fini di spaccio di marijuana, in concorso con altre dieci persone. Prima il Gip poi il Riesame avevano più volte respinto la richiesta di sostituzione della misura e/o la sua revoca, anche dopo che la Consulta, nel marzo di quest’anno, aveva dichiarato l’incostituzionalità parziale della Fini-Giovanardi.

Secondo i difensori la custodia cautelare dell’imputato, protrattasi per più di otto mesi – a fronte di un termine massimo di tre mesi alla luce del ripristino delle vecchie e più miti sanzioni – doveva essere dichiarata illegittima “per contagio”, considerata la patologia originaria della norma caduta, con un effetto giuridico “ora per allora”.

La Quarta penale, esaminando il caso, aveva rilevato un precedente simile (Corte costituzionale 253/2004) che, in materia di presofferto all’estero, aveva riaperto il computo dei termini in senso favorevole all’imputato, anche di fronte a una fase procedimentale (la custodia cautelare) già chiusa.

Le Sezioni unite, al termine di una lunghissima ricostruzione storica/giuridica, sono però pervenute a una decisione diversa rispetto al precedente di dieci anni fa, negando l’effetto benefico retroattivo della pronuncia della Consulta sugli arresti del sospetto spacciatore sardo. Questo perché, argomenta il relatore, nonostante lo scrutinio costituzionale “la legittimità di un provvedimento nel momento della sua adozione e fino al momento della cessazione dei suoi effetti era ed è rimasta perfettamente tale; l’atto ha esaurito i suoi effetti indiretti, sulla disciplina delle durata delle fasi della custodia cautelare, all’interno di un quadro di stabilità normativa, senza ulteriori ricadute nella vicenda cautelare; infatti la fase successiva, non ancora conclusa, ha visto l’immediata potenziale applicabilità della nuova disciplina fin dall’inizio della sua vigenza”.

Applicare invece il parametro di calcolo “nuovo “a una fase procedimentale già chiusa e a sua modo “perfetta” darebbe invece luogo a un risultato “illegittimo”. In sostanza, a giudizio delle Sezioni unite, “in questo caso per tutto il periodo di riferimento (la fase cautelare, ndr) il parametro normativo è stato rispettato”. Se successivamente alla fase considerata sono cambiate le regole “non può ritenersi tuttavia che la disciplina del sistema della custodia cautelare che ha trovato applicazione (…) debba essere considerata irragionevole e comporti una violazione dell’articolo 3 della Costituzione”.

Alessandro Galimberti

Il Sole 24 Ore, 30 ottobre 2014

Droghe: pena rivista anche per chi ha patteggiato, dopo bocciatura della Fini-Giovanardi


marijuanaAnche chi ha patteggiato per reati di droga ha diritto a una revisione della sua pena, per effetto della parziale abolizione della legge Fini-Giovanardi dopo la dichiarazione di illegittimità da parte della Corte costituzionale che ha condotto a una rivisitazione della disciplina. La Cassazione, con la sentenza 28198 depositata ieri, afferma l’applicabilità del trattamento più favorevole al reo, anche quando la pena è stata concordata dalle parti.

Una sanzione meno severa che è il risultato della rinnovata distinzione tra droghe pesanti e leggere, tornata in auge con le tabelle della Iervolino Vassalli (Dpr 309/90).

A beneficiare del principio affermato dai giudici della quarta sezione penale il ricorrente, condannato a un anno e quattro mesi di reclusione, oltre 34.500 euro di multa per aver coltivato e detenuto marijuana. La Suprema corte annulla dunque la precedente sentenza, senza rinvio con contestuale trasmissione degli atti al Tribunale di Napoli Nord, perché la cancellazione della norma incide sulla pena concordata e determina la “caducazione del patto”.

La Corte di cassazione si esprime così su un ricorso che, in punta di diritto, sarebbe stato inammissibile perché sollevava un difetto di motivazione infondato. La Suprema corte ricorda però che, come stabilito da una precedente sentenza della Sezioni unite (23428/2005), esiste una chance di arrivare a un giudizio di cognizione anche per le impugnazioni inammissibili, ed è rappresentata proprio dall’abolitio crimins o dalla declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice. Come avvenuto nel caso esaminato.

Patrizia Maciocchi

Il Sole 24 Ore, 2 luglio 2014

Giustizia: la legge sulle droghe va in Gazzetta Ufficiale… ma è quella sbagliata


marijuanaNessuna differenza tra sostanze, nel testo aggiornato delle norme dopo il decreto Lorenzin.

In Italia gli antiproibizionisti devono fare un doppio lavoro: non solo prefigurare alternative concrete e fattibili all’evidente fallimento delle attuali politiche sulle droghe ma anche tirare per la giacchetta i governi che si succedono a Palazzo Chigi, quando non rispettano in malafede le loro stesse leggi o incorrono in buonafede in errori madornali.

L’ultimo caso, scoperto da noi radicali e dall’Aduc, è quello del pasticcio della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 20 maggio 2014 (n. 115) del “Testo coordinato e aggiornato” del decreto-legge 20 marzo 2014, n. 36, il cosiddetto “Decreto Lorenzin”. Si tratta del provvedimento che aggiorna le leggi in vigore, recependo le ultime disposizioni. In questo caso avrebbe dovuto recepire gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale del febbraio scorso che ha abrogato la legge Fini-Giovanardi, ripristinando la divisione in tabelle delle sostanze già prevista dalla precedente legge sugli stupefacenti.

Nulla di rivoluzionario o di particolarmente difficile. Eppure, il governo, in particolare il ministero di Giustizia, è incorso in un errore grossolano, gravido di pericolose conseguenze: sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato un testo sbagliato, che riporta l’art. 73 del Testo unico 309/90 – articolo fondamentale perché fissa le pene per la produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti – in una versione che non tiene conto della nuova divisione in Tabelle approvata dal Parlamento e della conseguente differenziazione delle pene a seconda che si tratti delle cosiddette “droghe pesanti” (Tabella I) o della cannabis e derivati (Tabella II). Non è un errore di poco conto perché il testo errato, essendo quello “ufficiale”, è stato subito ripreso e rilanciato dalle banche dati giuridiche online.

Non solo. Ad aumentare la confusione ci si è messo anche il Dipartimento Antidroga dell’ex Serpelloni (ma è davvero ex?) che dà il peggio di sé pubblicando sul suo sito, nella sezione “Normativa”, solamente il decreto-legge originario di marzo e non la legge di conversione di maggio… e l’articolo 73 sbagliato, quello appena pubblicato in Gazzetta ufficiale. Tutto questo crea enorme confusione, a scapito della certezza del diritto.

E ora che fare? Chiediamo al Ministro di Giustizia di provvedere a spron battuto a una pubblicazione corretta e completa in Gazzetta ufficiale della legge di conversione del “Decreto Lorenzin”, tenendo finalmente conto delle modifiche apportate dalla sentenza della Consulta. Potrebbe essere l’occasione buona per la pubblicazione di un nuovo Testo unico sulle sostanze stupefacenti, perché quello attuale, sottoposto agli innumerevoli “taglia e cuci” degli ultimi 24 anni, è diventato un vestito di Arlecchino: l’art. 73 citato ha subito sette aggiornamenti.

Ma gli interventi tecnici non possono bastare: occorre che finalmente il premier Renzi (che ha tenuto le deleghe in materia) riformi radicalmente il Dipartimento Politiche Antidroga: serve un Dipartimento non arroccato nella torre d’avorio ma che sappia dialogare e interagire con le regioni, i comuni, i servizi per dipendenze, le comunità. E occorre che il governo convochi finalmente in autunno la Sesta Conferenza Nazionale sulle Droghe; sempre il Testo Unico prescrive che tale Conferenza si tenga ogni tre anni; l’ultima fu fatta a Trieste nel 2009, in piena era “Giovanardi-Serpelloni”.

Una conferenza nazionale per fare il punto sull’efficacia o meno delle politiche proibizioniste; per ridare dignità alla politiche di riduzione del danno; per incardinare la sperimentazione di nuove iniziative, dalle narco sale ai pill-test sulle sostanze.

Come potete constatare, a dispetto di chi li accusa di ideologismo settario, gli antiproibizionisti radicali sono sempre stati pragmatici e concreti. Ci attendiamo dal governo una risposta altrettanto pragmatica e concreta, nella consapevolezza che ogni norma si ripercuote su persone concrete, vittime del regime proibizionista, fuori e dentro le carceri. Non dimentichiamolo mai.

di Giulio Manfredi (Direzione Radicali Italiani)

Il Manifesto, 11 giugno 2014

Carceri, promozione a metà. Il giudizio del Consiglio d’Europa


Consiglio d'Europa 2Diciamolo senza ipocrisia: in materia di carceri l’Italia deve ringraziare il Consiglio d’Europa e il suo organo giudiziario, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Il ringraziamento, beninteso, non riguarda quella che la sintesi giornalistica traduce come la “promozione” sancita ieri, ovvero la presa d’atto dei “risultati significativi” fin qui raggiunti dal nostro Paese in fatto di sovraffollamento e di condizioni detentive, con conseguente sospensione delle salate sanzioni che erano state minacciate sulla scia della sentenza-pilota “Torreggiani più altri”.
Al contrario, proprio quella causa, quel verdetto e poi l’ultimatum – che sarebbe scaduto il 28 maggio scorso – sono state le molle che hanno spinto il governo Renzi e i due che lo hanno preceduto (Monti e Letta) ad affrontare con misure deflattive finalmente strutturali una “tragedia” nazionale, per ricorrere a un termine usato dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
“È il riconoscimento del lavoro fatto”, ha osservato il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Un lavoro che sarà agevolato, è bene ricordarlo, anche dalla recente sentenza della Cassazione (applicativa della discussa pronuncia della Consulta sulla legge Fini-Giovanardi) in base alla quale saranno rimesse in libertà fino a 3mila persone condannate per spaccio di droghe cosiddette “leggere”.
In ogni caso, la soddisfazione del ministro e del governo è più che legittima. Così come è rassicurante la constatazione di Orlando che “c’è ancora molto da fare”. Adesso, infatti, è indispensabile non smarrire la consapevolezza che, se la fase emergenziale più nera sembra essere alle spalle, il problema non è risolto. Quella che abbiamo incassato non è una promozione bensì un’ulteriore proroga: a giugno 2015, tra un anno esatto, da Strasburgo arriverà la valutazione definitiva. Nel frattempo, l’Italia dovrà comunque risarcire (in denaro chi è già uscito, con alleggerimenti di pena chi è tuttora dietro le sbarre) coloro che sono stati reclusi in condizioni lesive della dignità umana. E, una volta approvata anche la riforma della custodia cautelare, dovrà trovare sistemi diversi dalle misure alternative al carcere per far coincidere il numero dei detenuti con la capienza effettiva. Per esempio recuperando i posti oggi inagibili e aprendo le strutture pronte ma chiuse, magari a causa della carenza di organico della Polizia penitenziaria.

di Danilo Paolini

Avvenire, 6 giugno 2014

 

Droghe: Anastasia (Antigone) : Subito un decreto per le pene illegittime


Stefano AnastasiaAl decreto-legge promesso a Strasburgo sulle carceri si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisce che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi).

Dunque anche su questo avevamo ragione: non è possibile eseguire pene illegittime. Come la Corte costituzionale ci ha dato ragione sulla illegittimità della legge Fini-Giovanardi, così le sezioni unite della Cassazione ci hanno dato ragione sull’impossibilità di continuare l’esecuzione di pene determinate sulla base di norme giudicate costituzionalmente illegittime.

Il caso all’esame della Suprema Corte riguardava l’esecuzione di pene viziate dalle norme incostituzionali della legge Cirielli, la “Three Strikes Law” dè noaltri, ma c’erano precedenti sull’aggravante di immigrazione clandestina (anch’essa giudicata incostituzionale dalla Consulta) e gli effetti della decisione inevitabilmente si riflettono sulle pene spropositate volute dalla Fini-Giovanardi.

Eccole qua, le tre leggi del sovraffollamento penitenziario italiano riunite nel comune giudizio di illegittimità costituzionale. Non si poteva far di meglio per rendere chiaro al colto e all’inclita che quella vergogna nazionale non è il frutto di una congiunzione astrale, ma di precise scelte politiche di cui qualcuno porta la responsabilità.

Vedremo se Governo e Parlamento saranno capaci di “cambiare verso” in queste delicate materie. Intanto, però, bisogna affrontare il destino di quelle migliaia di detenuti che stanno scontando una pena illegittima. Quello affermato dalla Cassazione è un principio di diritto che vale nel caso concreto. I singoli giudici di merito potranno richiamarvisi per decidere quelli che verranno loro sottoposti. Ma quanti delle migliaia di detenuti condannati sulla base di pene illegittime sanno che stanno scontando una pena cui non dovrebbero essere tenuti? E quanti sanno che possono rivolgersi a un giudice per farsela rideterminare? E quanti sono i giudici che, come a Milano qualche settimana fa, potrebbero confermare una pena minima in base alla Fini-Giovanardi per il solo fatto che rientra nei nuovi limiti di pena, senza considerare che ora sarebbe una pena massima? Il campo delle ingiustizie potrebbe allargarsi fino a includere la maggioranza di quei detenuti in esecuzione di pene illegittime.

All’indomani della sentenza della Corte costituzionale avevamo chiesto al Governo un decreto ad hoc, affinché fosse fissata per legge la rideterminazione delle pene illegittime. L’amministrazione penitenziaria avrebbe potuto almeno informare i detenuti interessati della possibilità di ricorrere al giudice dell’esecuzione. Nulla di tutto ciò è successo, salvo qualche modifica migliorativa del discutibile decreto Lorenzin. Ora però la pronuncia della Cassazione ripropone il problema e in alcune procure si comincia a paventare il collasso degli uffici di esecuzione. Bene, sarà dunque il momento per recuperare il tempo perduto: nel decreto-legge promesso a Strasburgo per sanare la mancanza di rimedi compensativi alla violazione dei diritti dei detenuti in Italia, si aggiunga un articolo, semplice semplice, con cui si stabilisca che il giudice dell’esecuzione provvede d’ufficio alla rideterminazione della pena illegittima nella misura in cui essa è stata ridotta in astratto (dei due terzi, nel caso della dichiarazione di incostituzionalità della Fini-Giovanardi).

Non è la riforma organica che ci vorrebbe sulle droghe, non è un provvedimento di clemenza ad hoc come quello che Obama sta mettendo in opera negli Usa, non è il generale provvedimento di clemenza che servirebbe per ricondurre alla piena legalità le carceri italiane, ma – almeno – cancellerebbe l’ulteriore vergogna di migliaia di detenuti trattenuti in carcere sulla base di una legge dichiarata incostituzionale.

di Stefano Anastasia, Presidente Nazionale Onorario Antigone Onlus

Il Manifesto, 4 giugno 2014

Carceri : Il Pg di Milano Nunzia Gatto, “Si ad Amnistia ed Indulto per i Carcerati”


Nunzia Gatto, PGQuante saranno, nessuno lo sa. Certo il Procuratore Aggiunto Nunzia Gatto, che coordina il gruppetto di magistrati dell’esecuzione penale, si aspetta centinaia e centinaia di domande. La Cassazione, infatti, ha appena sancito che – degli attuali detenuti – chi ha avuto condanne solo per spaccio di droghe leggere potrà chiedere che la pena venga ricalcolata, visto che la legge Fini-Giovanardi (che metteva sullo stesso piano “roba” leggera e pesante) è stata cancellata di recente, proprio su questo punto, da una pronuncia della Corte costituzionale. Così molte pene inflitte potranno essere abbassate. E molti piccoli spacciatori di hascish o marijuana ora in carcere potranno andare ai domiciliari o in affidamento al servizio sociale se non, addirittura, tornare liberi.

Dottoressa Gatto, si può fare una stima del numero delle richieste che arriveranno in Procura?

«È un calcolo molto difficile in questo momento. Posso dire che nel solo 2013 abbiamo dato esecuzione a 8.800 condanne definitive. Certezze statistiche ovviamente non ne ho, ma per esperienza direi che quasi il 70% riguardava reati di droga. Poi ci sono le persone inviate in carcere negli anni precedenti, ovviamente».

La platea dei possibili interessati è vastissima, dunque. Ma non dovrebbe essere proprio la Procura a individuare, tra tutti costoro, quelli che abbiano concretamente diritto a una riduzione di pena? 

«Impossibile. Noi magistrati siamo pochi e i fascicoli migliaia. Fra l’altro, poiché la legge Fini-Giovanardi non distingueva tra droghe leggere e pesanti, dalla semplice lettura del dispositivo della sentenza non si può capire nulla, ogni caso andrà riesaminato singolarmente. Saranno i detenuti interessati a farsi avanti, non c’è dubbio».

La riduzione di pena non potrà essere automatica.

«Come Procura daremo il nostro parere per ogni fascicolo, ma dovrà essere il giudice dell’esecuzione a decidere: il gup o il tribunale che a suo tempo emise l’ultima sentenza divenuta poi irrevocabile. Dovrà essere fissata un’udienza con la partecipazione delle parti».

Centinaia di udienze. I tempi si allungheranno.

«Inevitabilmente. Per quanto riguarda il nostro ufficio chiederò un rinforzo di personale che possa aiutarci ad affrontare l’emergenza. Ma lo stesso problema avranno i giudici dell’esecuzione».

Non c’era un modo più semplice, da un punto di vista legislativo, per ottenere lo stesso risultato?

«Guardi, personalmente sono dell’idea che si sarebbe dovuto seguire la linea più volte indicata dal Presidente della Repubblica per alleggerire il sovraffollamento carcerario: amnistia e indulto. In quel modo, per noi sarebbe stato possibile applicare automaticamente il condono ai detenuti che ne avessero avuto diritto. Così invece il giudice dovrà rideterminare ogni singola sanzione attraverso un incidente di esecuzione alla presenza delle parti. Sarà tutto più lento e complicato».

di Mario Consani

http://www.ilgiorno.it – 31 Maggio 2014

Droghe, Gonnella (Antigone) : Importante decisione Cassazione. Servirà anche per decongestionare le Carceri


marijuana1Droghe/Antigone: “decisione sezioni unite della Cassazione contribuirà a decongestionare il sistema penitenziario”.

La decisione delle Sezioni Unite della Cassazione è molto importante e contribuirà a decongestionare ulteriormente il nostro sistema penitenziario. Tutti i detenuti che hanno subito gli eccessi di pena della legge Fini-Giovanardi potranno ora finalmente ottenere il ricalcolo del loro periodo di detenzione. Si tratta di varie migliaia di persone. Speriamo che ora i tempi della giustizia siano sufficientemente rapidi affinché, nel giro di qualche mese, tutti gli aventi diritto possano vedere la loro pena finalmente ridotta come deciso prima dalla Corte Costituzionale e ora dalla Corte di Cassazione.

Patrizio Gonnella, Presidente Nazionale Antigone Onlus

Droga, Cassazione: sì a riduzione pene per piccolo spaccio. “Fuori dal carcere migliaia di detenuti”


Giudici cassazioneVanno rideterminate al ribasso le condanne definitive per spaccio di droghe leggere, inflitte nel periodo in cui era in vigore la legge Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale lo scorso febbraio. E’ quanto hanno stabilito le sezioni unite penali della Cassazione, chiarendo così le ricadute della pronuncia della Corte Costituzionale, a seguito della quale è tornata in vigore la legge Iervolino-Vassalli.

I giudici della suprema corte erano chiamati a pronunciarsi su una questione più generale rispetto alle norme in materia di stupefacenti: la questione da chiarire era infatti “se la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, ma che incide sul trattamento sanzionatorio comporti una rideterminazione della pena in sede di esecuzione, vincendo la preclusione del giudicato”.

La soluzione dei giudici di piazza Cavour è stata “affermativa”. In tal modo, questo principio generale secondo cui l’illegittimità costituzionale di una norma ‘travolge’ anche le condanne già divenute definitive, assume oggi particolare importanza in relazione agli effetti della bocciatura della legge Fini-Giovanardi sulle condanne passate in giudicato. Questa sentenza potrebbe avere, dunque, notevoli ripercussioni anche sul numero di detenuti che stanno scontando una condanna per spaccio di droghe leggere. Inoltre, i giudici della Cassazione, nella massima provvisoria diffusa al termine della camera di consiglio, spiegano che la rideterminazione della pena è possibile anche per i recidivi, nel caso i cui venga ritenuta prevalente la circostanza attenuante della lieve entità del fatto.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge in materia di stupefacenti, la Cassazione aveva già affrontato in questi mesi i casi riguardanti processi ad imputati per spaccio di droghe leggere: per questi processi ancora in corso, la Suprema Corte ha applicato il principio del ‘favor rei’, ritenendo dunque che neiprocessi ancora in atto si torni ad applicare la legge Iervolino-Vassalli.

POSSIBILI EFFETTI – Fonti della Suprema Corte spiegano che per effetto della decisione delle sezioni unite penali della Cassazione “potranno uscire dal carcere migliaia di detenuti condannati per piccolo spaccio, qualora venisse accolta la loro richiesta di revisione del trattamento sanzionatorio”. Le stesse fonti della Suprema corte, preannunciano anche come, in questo modo, “aumentera’ di molto il lavoro dei magistrati dell’esecuzione della pena” che nella maggior parte dei casi sono i tribunali e in misura minore le corti d’appello.

Informazione Provvisoria CassazioneDel verdetto della Cassazione inoltre “non si possono avvantaggiare i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l’associazione a delinquere”. In base alle ultime stime, in carcere ci sono circa cinque mila detenuti per spaccio di droghe pesanti in associazione, e circa nove mila per spaccio di lieve entità. E’ quest’ultima ‘platea’ che potrà chiedere il ricalcolo della pena ai giudici dell’esecuzione.

“La decisione della Cassazione mette l’Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mettono piu’ ‘in regola’ con la Carta di Diritti dell’Uomo”. Così Giuseppe Maria Berruti, direttore del massimario della Cassazione.