Domanda di accesso agli atti per i detenuti, decide il Magistrato di Sorveglianza e non il Tar


Spetta al Magistrato di Sorveglianza e non al Giudice Amministrativo decidere in merito all’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione Penitenziaria alla richiesta di un detenuto di accedere agli atti amministrativi che lo riguardano. Lo ha spiegato il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Seconda Sezione (Pres. Testori, Est. Malanetto), con la Sentenza n. 1045/2019 del 07 ottobre 2019, decidendo sul ricorso proposto da un detenuto che si era visto rigettare dalla Direzione dell’Istituto Penitenziario in cui si trovava ristretto una istanza di “accesso alla posizione giuridica integrale”. Il ricorrente aveva precisato che tale documentazione gli occorreva poiché aveva intenzione di proporre un incidente di esecuzione per l’estinzione delle pene e per l’applicazione dell’istituto della continuazione.

L’Amministrazione Penitenziaria, invece, respingeva l’istanza sostenendo che la richiesta non riguardava documentazione esistente presso l’Istituto in quanto la “posizione giuridica” era una elaborazione di dati predisposta a proprio uso interno per cui non poteva essere oggetto di una istanza di accesso. Il Tar del Piemonte all’esito della Camera di Consiglio del 2 ottobre 2019, pur non ritenendo illogica la risposta dell’Amministrazione Penitenziaria non emergendo in concreto quali documenti il detenuto abbia richiesto, ha rilevato d’ufficio un difetto di giurisdizione, dichiarando il ricorso inammissibile, sussistendo la giurisdizione del Giudice Ordinario individuato nel Magistrato di Sorveglianza.

Infatti, secondo il Collegio giudicante, la peculiare posizione di restrizione carceraria che caratterizza il ricorrente, il quale chiedeva di fatto al Tar di ingerirsi nei rapporti tra il medesimo e l’Amministrazione Penitenziaria, se da un lato non comprime o estingue ex se le posizioni giuridiche soggettive di cui il detenuto resta certamente titolare, le conforma secondo una gestione compatibile con l’ambiente carcerario e la funzione rieducativa della pena. Il rapporto carcerario vede il proprio Giudice naturale nel Magistrato di Sorveglianza che, di tale rapporto, ha una necessaria gestione complessiva. Invero, con colpevole ritardo (D.L. n. 146/2013) il Legislatore è intervenuto sul combinato disposto degli Artt. 69 e 35 dell’Ordinamento Penitenziario, prevedendo un apposito rimedio giurisdizionale (Art. 35 bis) innanzi alla Magistratura di Sorveglianza relativamente ai reclami dei detenuti in generale e concernente il pregiudizio a diritti che possano loro occorrere nel contesto della detenzione. Nonostante il disposto normativo si limiti a parlare di “diritti”, sia la dottrina che la giurisprudenza, ritengono che siano giustiziabili innanzi al Magistrato di Sorveglianza tutte le posizioni giuridiche soggettive dei detenuti ed inerenti il rapporto carcerario, prescindendo dalla loro qualificazione in termini di diritti.

Pertanto, i Giudici Amministrativi, hanno denegato la propria competenza, ritenendo competente il Magistrato di Sorveglianza poiché Giudice specializzato per la gestione delle posizioni giuridiche soggettive dei detenuti in contesto di detenzione, proprio per la specifica funzione di detta Magistratura e la particolare e bilanciata valutazione che le eventuali problematiche richiedono in ottica di corretta gestione della pena. Ciò resta tanto più vero là dove la posizione giuridica soggettiva azionata è l’accesso, devoluta ad una cognizione di giurisdizione esclusiva nelle ipotesi di ordinario rapporto privato/pubblica amministrazione.

Emilio Enzo Quintieri

“Bambinisenzasbarre”: la “Carta dei diritti dei figli dei genitori detenuti” si rinnova


bambini-senza-sbarreIl Ministro della Giustizia Andrea Orlando, la Garante Nazionale per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano e la presidente dell’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus Lia Sacerdote hanno siglato lo scorso 6 settembre 2016 presso il Ministero della Giustizia il rinnovo per altri due anni del Protocollo d’Intesa Carta dei figli di genitori detenuti, avviato il 21 marzo 2014. Durante il biennio di applicazione, il protocollo è diventato un modello per la rete europea Children of prisoners Europe con la quale la onlus firmataria sta conducendo una campagna di sensibilizzazione perché venga adottata nei 21 Paesi membri della rete.

L’intesa sottoscritta oggi intende individuare nuovi strumenti di azione e rafforzare e ampliare i risultati fin qui ottenuti: la tutela dell’interesse superiore del minore, al quale deve essere garantito il mantenimento del rapporto con il genitore detenuto, in un legame affettivo continuativo, riconoscendo a quest’ultimo il diritto/dovere di esercitare il proprio ruolo genitoriale; la promozione di interventi e provvedimenti normativi che regolino questa relazione, contribuendo alla rimozione di discriminazioni e pregiudizi attraverso la creazione di un processo di integrazione socio-culturale, nella prospettiva di una società solidale e inclusiva; l’agevolazione ed il sostegno dei minori nei rapporti con il genitore detenuto, sia durante sia oltre la detenzione, cercando di evitare che eventuali ricadute negative possano incidere sul rendimento scolastico o sulla salute. Il nuovo Protocollo, tenendo conto dell’esperienza acquisita durante il biennio di applicazione, individua come necessaria l’offerta di percorsi di sostegno alla genitorialità sia alle madri sia ai padri sottoposti a restrizione della libertà personale.

L’articolo 1 detta le linee di comportamento che l’autorità giudiziaria dovrà tenere nei confronti di arrestati o fermati che siano genitori di minori: se possibile, in caso di applicazione di misura cautelare, dare priorità alla misura alternativa alla custodia in carcere; in caso di detenzione del genitore, non violare il diritto del minore a rimanere in contatto con lui; disciplinare i permessi di uscita, con particolare riguardo per le “giornate particolari” come compleanni, primi giorni di scuola, recite e diplomi, e per situazioni di emergenza, quali i ricoveri ospedalieri. L’articolo 2 individua in 12 punti una serie di azioni necessarie a proteggere il legame tra minore e genitore che garantisca da un lato lo sviluppo psico-affettivo del bambino, e dall’altro preservi il vincolo familiare, ritenuto importante anche in relazione alla prevenzione della recidiva e nel successivo reintegro sociale del detenuto. Si è ritenuto quindi fondamentale regolamentare: i tempi di visita, privilegiando i pomeriggi per non creare ostacoli alla frequentazione scolastica, che in situazioni del genere è una delle realtà del minore destinate ad essere compromesse; i luoghi, creando spazi attrezzati per il gioco, la conversazione, l’intrattenimento, i momenti di privacy. La Carta chiede comunque di accompagnare i minori con informazioni adeguate all’età e che, ove possibile, siano organizzati gruppi di esperti a sostegno, in una esperienza che potrebbe rivelarsi traumatica.

L’articolo 3 è un’ulteriore passo verso la semplificazione del rapporto figlio-genitore detenuto e impegna le parti a sviluppare linee specifiche che coadiuvino gli incontri, laddove più difficoltosi, anche utilizzando i mezzi che la nuova tecnologia mette a disposizione come conversazioni in chat o webcam. L’articolo 4 impegna il sistema penitenziario ad affrontare il tema dell’accoglienza non solo in termini strutturali, ma soprattutto culturali, attraverso una formazione adeguata del personale dell’Amministrazione penitenziaria e della Giustizia minorile e di comunità, che prepari all’accoglienza di minori e famiglie. L’articolo 5 intende assicurare ai detenuti, ai loro parenti e ai loro figli tutte le informazioni appropriate (all’età), aggiornate e pertinenti (alla fase del processo o della detenzione); offrire programmi di assistenza alla genitorialità, per aiutare allo sviluppo e al consolidamento del rapporto genitori-figli e una guida all’utilizzo dei servizi socio-educativi e sanitari messi a disposizione dagli enti locali.

L’articolo 6 regolamenta la raccolta sistematica di informazioni relative al numero di colloqui e all’età dei soggetti coinvolti. L’articolo 7, pur ribadendo l’obiettivo di evitare la permanenza in carcere dei bambini, ne regolamenta la presenza, cercando di garantire loro una quotidianità il più possibile vicina a quella dei coetanei all’esterno, anche attraverso la frequentazione di aree all’aperto, asili nido e scuole al di fuori dell’Istituto, in modo che la loro crescita non abbia a subire eccessive ripercussioni psico-fisiche.
L’articolo 8 conferma il Tavolo permanente, già istituito con il protocollo precedente, composto da rappresentanti del Ministero della Giustizia, dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, dal Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e dell’Associazione Bambinisenzasbarre che, convocato ogni tre mesi, svolgerà azione di monitoraggio sull’applicazione del protocollo appena prorogato.

Protocollo d’Intesa tra l’Amministrazione Penitenziaria, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e l’Associazione Bambinisenzasbarre (clicca per scaricare)

Carceri, Per i rimedi risarcitori compensativi non occorre la gravità ed attualità del pregiudizio


Corte di cassazione1Con decreto del 13.11.2014 il Magistrato di Sorveglianza di Foggia dichiarava inammissibile, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., l’istanza con la quale Koleci Alban, detenuto presso la Casa Circondariale di Foggia, chiedeva il risarcimento per le condizioni inumane di detenzione ai sensi dell’art. 35-ter legge n. 354 del 1975 (Ord. Pen.), come introdotto dall’art. 1 d.l. n. 92 del 2014 conv. nella legge n. 117 del 2014.

Riteneva, a ragione, che presupposto necessario ai fini del risarcimento in forma specifica della riduzione della pena detentiva da espiare, di competenza del Magistrato di Sorveglianza, è l’attualità del pregiudizio al momento della richiesta, siccome previsto dall’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen., espressamente richiamato dall’art. 35-ter, comma 1, Ord. Pen.; in mancanza dell’attualità, unico risarcimento possibile è quello di competenza del giudice civile, previsto dal comma 3 dell’art. 35-ter citato, della liquidazione di una somma di danaro di euro 8,00 per ciascuna giornata nella quale vi è stato pregiudizio.

Rilevava, quindi, che, nella specie, il detenuto aveva formulato la richiesta con riferimento al periodo compreso tra il 14.8.2009 ed il 29.10.2014 «lasciando intendere che al momento della presentazione della domanda, il 31.10.2014, il pregiudizio fosse cessato, seppure da pochi giorni».

L’interessato ha proposto personalmente ricorso alla Corte Suprema di Cassazione, denunciando la violazione di legge ed il vizio della motivazione in relazione all’ art. 35-ter Ord. Pen..

Preliminarmente rilevava che nell’istanza avanzata il 29.10.2014 era stato precisato che le condizioni inumane, vissute per complessivi 1.405 giorni presso gli istituti di pena indicati, «persistono a tutt’oggi».

Contestava, comunque, che il rinvio dell’ art. 35-ter, comma 1, Ord. Pen. al pregiudizio di cui all’art. 69, comma 6, lett. b), Ord. Pen. si riferisca anche ai presupposti di «gravità» ed «attualità», dovendosi, invece, avere riguardo esclusivamente al tipo di pregiudizio dei diritti del detenuto determinato da un comportamento dell’Amministrazione Penitenziaria.

La interpretazione sostenuta nel provvedimento impugnato, ad avviso del ricorrente, non è conforme alla ratio ed alle finalità perseguite dal legislatore attraverso l’introduzione della norma, in particolare, quella di prevedere uno strumento effettivo ed immediato di tutela per i detenuti contro il pregiudizio derivante da condizione detentiva inumana e degradante.

Inoltre, se si dovesse avallare l’interpretazione posta a fondamento del provvedimento impugnato, stante la ripartizione di competenza tra magistrato di sorveglianza e giudice civile come prevista dall’ art. 35-ter Ord. Pen., rimarrebbero esclusi da ogni forma di tutela tutti i condannati ancora detenuti in espiazione di pena per i quali la condizione degradante sia cessata. Questi, infatti, non potrebbero agire dinanzi al giudice civile in quanto ancora ristretti e, comunque, verrebbero privati della possibilità di ottenere il rimedio risarcitorio in forma specifica al quale può provvedere soltanto il magistrato di sorveglianza. Conseguentemente, deve ritenersi che presupposto per proporre il reclamo di cui all’ art. 35-ter Ord. Pen. al magistrato di sorveglianza sia soltanto l’attuale stato di detenzione dell’istante e la prospettazione delle circostanze di fatto dalle quali desumere l’esistenza del pregiudizio da condizione detentiva inumana e degradante.

La Suprema Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi in merito, ha stabilito che “la ritenuta esclusione del rimedio risarcitorio di competenza del magistrato di sorveglianza, disciplinato dal comma 1 e 2 dell’art. 35-ter Ord. Pen., per coloro che in costanza di detenzione lamentino il pregiudizio derivante da condizioni di carcerazione inumane in violazione dell’art. 3 CEDU non più attuali, perché rimosse, non risulta conforme, sotto il profilo logico-sistematico, alle finalità proprie delle disposizioni introdotte dal legislatore in materia di ordinamento penitenziario nel 2013 e 2014, per porre termine alle condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Convenzione dei diritti dell’uomo secondo le indicazioni della Corte EDU (a partire dai casi Sulejmanovic e Torreggiani), per risarcire i pregiudizi derivati da tali condizioni e, più in genere, per realizzare un sistema di tutela dei diritti dei soggetti ristretti con maggiori caratteristiche di effettività e tempestività rispetto a quello esistente, sia pure modulato ed applicato secondo i correttivi interventi della Corte cost. e, in specie, della sentenza n. 26 del 1999.”

Inoltre, secondo i Giudici del Supremo Collegio “Pur avendo il legislatore ricondotto il pregiudizio derivato al detenuto dalle condizioni inumane e degradanti della carcerazione a quello più generale dell’esercizio dei diritti del soggetto ristretto, derivante dall’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dall’ordinamento penitenziario, attraverso il richiamo espresso del comma 1 dell’ art. 35-ter all’art. 69 comma 6 lett. b) Ord. Pen., ciò non autorizza a ritenere che le caratteristiche di «gravità» e «attualità» del pregiudizio indicate da tale ultima norma costituiscano presupposto essenziale per accedere al rimedio risarcitorío compensativo che può essere richiesto dal detenuto al magistrato di sorveglianza a norma del comma 1 e 2 dell’ art. 35-ter Ord. Pen.”

Per tale motivo, il provvedimento impugnato dal detenuto Koleci Alban, è stato annullato senza rinvio e gli atti sono stati trasmessi al Magistrato di Sorveglianza di Foggia perché provveda alla trattazione della richiesta nel contraddittorio delle parti ai sensi dell’Art. 35 bis comma 1 dell’Ordinamento Penitenziario.

Cass. Pen. Sez. I, n. 46966 del 16.07.2015 – Pres. Chieffi, Rel. La Posta, Ric. Koleci (clicca per scaricare)

conforme

Cass. Pen. Sez. I, n. 46967 del 16.07.2015, Pres. Chieffi, Rel. La Posta, Ric. Mecikian (clicca per scaricare)

 

 

Catanzaro, Violati i diritti dei detenuti. Il Prap Calabria non esegue gli ordini della Magistratura di Sorveglianza


Casa Circondariale Catanzaro SianoSono tanti anni che i Radicali Italiani e pochi altri sostengono che la legalità prima di pretenderla bisognerebbe darla e che le nostre carceri, che dovrebbero essere il regno del diritto, siano i luoghi più illegali del Paese ove non esiste alcuna effettiva tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti sanciti dall’Ordinamento Penitenziario. In Calabria, come nel resto delle altre Regioni d’Italia, viene sistematicamente violato il principio di umanità e di territorialità della pena.

Negli scorsi mesi Giuseppe Macrì, 47 anni, di Delianuova in Provincia di Reggio Calabria, ristretto nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro in espiazione di una condanna a 6 anni di reclusione per detenzione abusiva di arma da sparo, durante una visita ispettiva esperita il 16/06/2015 dal Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro Angela Cerra, rappresentava di avere seri problemi di salute e che voleva essere trasferito a Reggio Calabria, perché la vicinanza ai suoi figli lo avrebbe fatto stare meglio. Dalle informazioni acquisite presso la Direzione della Casa Circondariale di Catanzaro emergeva che, effettivamente, il condannato, era affetto da numerose patologie e che aveva bisogno di cure e controlli periodici, soprattutto neurologici, psichiatrici ed otorinolaringoatrici.

Per cui, l’avvicinamento al proprio nucleo familiare, poteva sicuramente giovare al miglioramento del tono dell’umore e dello stato psicologico del detenuto con probabile riduzione degli episodi critici. Le doglianze del detenuto, a cui resta da espiare ancora qualche anno, hanno trovato riscontro durante l’istruttoria espletata e lo stesso Dirigente del Servizio Sanitario Penitenziario ha segnalato l’opportunità di un trasferimento del predetto in altro Istituto il più possibile vicino alla residenza del suo nucleo familiare. Per tale motivo, il Magistrato di Sorveglianza Angela Cerra, in accoglimento del reclamo, disponeva che l’Amministrazione Penitenziaria (Prap e Dap), provvedesse con sollecitudine ad adottare le determinazioni di competenza in merito a quanto indicato nella parte motiva del decreto del 07/07/2015 e cioè di trasferire il detenuto richiedente in un Istituto Penitenziario il più vicino possibile al luogo di residenza dei propri familiari.

Giuseppe MacrìL’Amministrazione Penitenziaria, nei giorni scorsi, in esecuzione di quanto disposto dall’Ufficio di Sorveglianza di Catanzaro, disponeva l’assegnazione e la traduzione del detenuto Macrì dalla Casa Circondariale di Catanzaro (distante 134 km) a quella di Vibo Valentia (distante 79 km) mentre lo stesso aveva richiesto di essere trasferito in uno degli Istituti di Reggio Calabria (distante 65 km) o, comunque, per come disposto dal Giudice Cerra, in altro Istituto più vicino alla residenza del nucleo familiare (ad esempio la Casa Circondariale di Palmi, distante 31 km oppure quella di Locri, distante 69 Km).

Tra l’altro, secondo quanto denunciato ai Radicali dai familiari del Macrì, nel nuovo Istituto di Vibo Valentia, il proprio congiunto, non avrebbe più assicurate le cure necessarie per la tutela della sua salute e non avrebbe nemmeno più la possibilità di avere un altro detenuto piantone in cella che gli presti assistenza quando ne abbia la necessità.

L’Ordinamento Penitenziario (Legge nr. 354/1975) all’Art. 42 dispone che i trasferimenti dei detenuti siano disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell’Istituto, per motivi di Giustizia, di salute, di studio e familiari e che nel disporre detti trasferimenti debba essere favorito il criterio di destinare i soggetti in Istituti prossimi alla residenza delle famiglie.

Decreto Magistrato Sorveglianza Catanzaro Reclamo MacrìNon si comprende, per quale motivo, l’Amministrazione Penitenziaria, abbia individuato e tradotto il detenuto presso la Casa Circondariale di Vibo Valentia, Istituto come Catanzaro lontano dal luogo di residenza del nucleo familiare, quando invece vi sono tanti altri Carceri nella zona di Reggio Calabria, sicuramente più vicini alla famiglia dello stesso. Eppure il provvedimento disposto dalla Magistratura di Sorveglianza, Autorità preposta al controllo della legalità dell’esecuzione della detenzione le cui decisioni sono vincolanti per l’Amministrazione Penitenziaria, è abbastanza chiaro perché parla di “altro Istituto il più possibile vicino al suo nucleo familiare”.

Nel caso in questione, si registra ancora una volta, l’ennesima violazione del principio di umanità e di territorialità della pena e quindi dei diritti fondamentali dei detenuti nonché l’inottemperanza, da parte dell’Amministrazione Penitenziaria centrale e periferica, delle determinazioni assunte dalla Magistratura di Sorveglianza che priva la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti di ogni effettività e che, contestualmente, lede gravemente le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al potere giudiziario ed in particolare alla Magistratura di Sorveglianza quale titolare della giurisdizione in materia di diritti dei detenuti e di eventuali loro violazioni ad opera dell’Amministrazione Penitenziaria.

Ci si aspetta che, con cortese sollecitudine, il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria, provveda con urgenza a riesaminare nuovamente il caso del detenuto Giuseppe Macrì disponendo il suo trasferimento in altro Istituto Penitenziario più vicino alla residenza del nucleo familiare così come disposto dal Magistrato di Sorveglianza e come sancito dall’Ordinamento Penitenziario che assegna grande rilevanza al mantenimento ed al miglioramento delle relazioni familiari.

Emilio Quintieri

Donatiello (Ergastolano) : Da Padova a Parma, il rispetto dei diritti in carcere è “discrezionale” ?


CC Parma DAPMi chiamo Giovanni Donatiello, sono detenuto nella sezione A.S1 della Casa di Reclusione di Parma dal 4 giugno di quest’anno proveniente dalla Casa di Reclusione di Padova.

Porto la mia testimonianza a conforto del documento “Lettera aperta dei detenuti AS1 di Parma” per portare a conoscenza la sperequazione esistente tra i due Istituti penitenziari già citati, sia sotto l’aspetto trattamentale sia sotto l’aspetto della garanzia dei diritti del detenuto, ma soprattutto della persona. Sono stato il primo, dei due detenuti già giunti da Padova cui il Garante comunale fa riferimento nel comunicato stampa del 17.06.2015.

Mi trovo in carcere ininterrottamente dal luglio del 1986 (29 anni) e dal 2000 nelle sezioni EIV-AS1. Nella sede di provenienza svolgevo una serie di attività che mi permettevano di impegnare il tempo utilmente e vivere una detenzione decente. Sono iscritto al secondo anno della Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Per motivi di studio ero autorizzato a detenere il proprio PC nella camera di pernottamento. L’Università di Padova, attraverso una fondazione, garantiva sia l’iscrizione gratuita sia tutte le spese occorrenti per un eventuale cambio di sede, come nel mio caso. Infatti, prima di arrivare a Padova ero iscritto presso l’Università di Pisa. Era previsto un servizio di tutoraggio eccellente, veniva assegnato ogni studente un tutor, che potevi incontrare puntualmente anche tutte le settimane.

L’accesso dei tutor era consentito tutti i giorni fino alle ore 17:00. I testi per gli esami venivano forniti con puntualità. Un metodo che mi metteva nelle condizioni di studiare con più serenità. Facevo e faccio parte a pieno titolo della redazione della rivista “Ristretti Orizzonti”. Partecipavo al progetto “Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere”. Gli incontri con gli studenti, nella media di 70-80 ragazzi a ogni incontro, si svolgevano in un auditorium tre volte alla settimana per tutta la durata dell’anno scolastico. Frequentavo un corso di lingua Inglese. Ho frequentato un corso universitario di Diritto Privato, un corso di yoga e meditazione. Ero iscritto per seguire un corso universitario di Diritto del Lavoro. Ho partecipato a diverse partite di calcetto con scolaresche. Sono intervenuto in svariati incontri con professori universitari, i quali nella veste di relatori affrontavano tematiche di vario genere. Per ultimo, non per ordine di importanza, il 22 maggio sono intervenuto al convegno che si è tenuto presso la Casa di Reclusione di Padova intitolato “La rabbia e la pazienza” alla presenza di 600 persone giunte da tutta Italia.

Tutte le attività svolte a Padova coprono un arco temporale di appena 17 mesi, il tempo di durata della mia permanenza in quel carcere. Il comunicato stampa del Garante elenca le attività presenti in questo istituto: veramente esigue e “possibili” più che reali. Se provassimo a fare una semplice comparazione tra le attività da me svolte a Padova e le attività svolte da tutti i detenuti presenti in questa sezione in tutto l’arco della loro permanenza in questo Istituto, credo che il confronto dovrebbe mettere in crisi chi amministra questo Istituto rispetto all’art.27 della Costituzione.

Ma se le amministrazioni hanno come finalità il raggiungimento degli obiettivi prefissati, mi chiedo quali siano in questo Istituto, e se alla fine non rischino di essere solo quelli dell’annientamento delle persone, spesso lasciate marcire in cella per tutta la giornata, prova ne è che mi ritrovo rinchiuso per almeno venti ore al giorno in cella e per giunta in compagnia di un’altra persona, condizione degradante in particolare per chi è da anni in carcere e ritengo anche illegale in quanto lo spazio calpestabile è di gran lunga inferiore ai tre metri quadrati previsti dalla sentenza Cedu (Torreggiani V.S. Italia), nella quale viene ribadito il diritto di vivere una detenzione che sia rispettosa della dignità della persona.

A me pare di palmare evidenza che in questo Istituto vengono violati i più elementari diritti garantiti all’art.3 e 27 della Costituzione; vengono ignorate le garanzie stabilite dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (V.S. Torreggiani); non si rispetta la prescrizione dell’articolo 27 comma 4 D.P.R. n°230/2000 della continuità trattamentale, che di fatto viene azzerata. In sintesi, ciò che voglio dire è che essere quotidianamente a contatto con un pensiero attivo, profondo e creativo, come viene praticato nel carcere di Padova, dovrebbe essere una condizione della detenzione fondamentale e continuamente alimentata, mentre in questa sede viene annientata! Ecco come il potere discrezionale con cui viene gestito ogni carcere, spesso non rispettando i principi di legalità, spesso si traduce in una violazione sistematica dei Diritti del detenuto, dimenticando che dietro ad una posizione giuridica vi è sempre una persona.

Giovanni Donatiello (Casa di Reclusione di Parma, Sezione AS1)

Ristretti Orizzonti, 23 giugno 2015

Carcere di Rossano Calabro… oltre il limite di ogni possibile pessimismo


CARCERE ROSSANOL’irruzione dell’on. Enza Bruno Bossio nel carcere di Rossano ci ha svelato all’improvviso una realtà che forse nemmeno potevamo sospettare. Una cosa è indignarsi per le celle minuscole, per il sovraffollamento, per l’assenza di strutture, per la mancata rieducazione, per la repressione, eccetera eccetera. Tutte cose che sappiamo, da tanto tempo.

Una cosa diversa è scoprire che dentro le celle ci sono persone trattate peggio delle bestie, che c’è violenza estrema, sadismo, sopraffazione, violazione di ogni legge. Le immagini che l’articolo qui accanto descrive sono quelle dei lager, come Guantánamo, come Abu Ghraib. Siamo scesi in piazza tante volte per chiedere che fossero chiuse Guantánamo e Abu Ghraib. Se è vero che nel carcere di Rossano c’era un detenuto lasciato a terra, sul pavimento, malato, circondato dal suo vomito, se è vero che diversi detenuti presentavano ematomi e dicevano di essere stati picchiati (…)

Se è vero che qualcuno trascorreva l’ora d’aria in quattro o cinque metri quadrati, peggio di un maiale all’ingrasso, di una gallina in batteria, se tutto questo è vero bisogna chiudere il carcere di Rossano. Chiudere. E forse – per una volta lasciatelo dire a noi – sarebbe anche il caso che la magistratura aprisse un’indagine. Dopodiché, fatte queste due cose essenziali e urgentissime, bisognerà anche porsi delle domande. Se l’on Bruno Bossio, che ha fatto irruzione senza preavviso nel carcere, in agosto, quando nessuno se l’aspettava, ha trovato questa situazione, è legittimo sospettare che la medesima situazione possa esserci in molte altre carceri, dove magari non sono avvenute visite improvvise dei deputati?

È chiaro che è possibile. L’iniziativa dell’on Bruno Bossio ci fa capire a quel grado di gravità e di inciviltà sia giunta la situazione delle carceri in Italia. E quanto ipocrita e insufficiente sia stato il varo di una leggina che dispone qualche giorno di sconto di pena o una mancia di 240 euro al mese per chi subisce le torture del sovraffollamento.

Il problema delle carceri è gigantesco, e lo standard delle nostre prigioni spinge l’Italia, in una virtuale classifica della civiltà, tra i più arretrati paesi del terzo mondo. Non si può restare fermi di fronte a questa situazione. Il problema carceri è il più urgente nell’agenda. Se vogliamo che l’Italia resti nel novero dei paesi civili bisogna che le forze politiche, almeno per una volta, si tappino le orecchie, non ascoltino gli urlacci e gli insulti della vasta platea giustizialista, mettano in conto la perdita di un po’ di voti e pongano mano a una riforma seria delle carceri.

In quattro passi. Primo passo: subito amnistia e indulto, per allentare la pressione nelle celle e nei tribunali. Va fatto a settembre, come hanno chiesto il papa e Napolitano, e come da anni, senza sosta, con le proteste e gli scioperi della fame, è sostenuto dai radicali e da Pannella. Secondo depenalizzazione di tutti i reati minori.

Terzo, riforma radicale della carcerazione preventiva che riduca a poche decine di casi le custodie cautelari. Quarto, norme sulla responsabilità civile dei giudici, che abbattano il numero dei procedimenti penali pretestuosi. In questo modo si può arrivare in tempi rapidissimi alla riduzione del 60 o 70 per cento della popolazione carceraria. E a quel punto sarà necessario trovare il modo per avere la certezza di controlli su come si vive nelle prigioni, e probabilmente anche una forte riforma, in senso garantista, di tutti i regolamenti carcerari (a partire dall’abolizione dello sciaguratissimo articolo 41 bis).

Non costa niente una riforma di questo genere. Anzi, produce risparmi. Costa dei voti, questo sì, costa le grida di Travaglio e dell’Anm. E se per una volta, solo per una volta, cari politici di sinistra e di destra, ve ne fregaste di Travaglio e dell’Anm?

P.S. Certo che se ci fossero in giro più deputate e deputati come Enza Bruno Bossio, sarebbe una buona cosa.

Piero Sansonetti

Il Garantista, 12 agosto 2014

Napoli: i Radicali raccolgono le denunce dei detenuti ammalati, 300 in attesa di ricovero


Luigi Mazzotta, Radicali NapoliA fine maggio arriveranno le salate multe da parte dell’Unione Europea per le condizioni in cui versano le carceri italiane. Sovraffollamento, condizioni igienico sanitarie pessime, negazione dei diritti per i detenuti sono alcune delle motivazioni delle multe che l’Italia sarà, da qui a breve, condannata a pagare.

Per questo motivo, la scorsa settimana una delegazione di militanti dell’associazione Radicale Per la Grande Napoli, insieme ai parenti dei detenuti si è riunita davanti alla Casa Circondariale di Poggioreale per dare vita ad un presidio non violento, voluto per continuare le lotte in favore dell’amnistia e per il ripristino della legalità all’interno delle carceri per evitare i provvedimenti disciplinari dell’Europa e garantire livelli migliori di vita ai detenuti.

“La manifestazione – spiega Luigi Mazzotta, segretario dell’Associazione Radicale Per la Grande Napoli – è stata voluta soprattutto per raccogliere gli appelli dei detenuti ammalati, che sono rinchiusi in delle catacombe, senza l’adeguata assistenza medico sanitaria”. Quella di Poggioreale è solo la prima delle tappe previste dai Radicali per denunciare l’abbandono che vivono i detenuti ammalati all’interno delle carceri.

Oggi, infatti, ci sarà un’altra manifestazione, all’esterno del Carcere di Secondigliano, a cui parteciperà anche il Senatore del Gal, Luigi Compagna, da sempre in prima linea per i diritti dei detenuti. Intanto proseguono gli appelli con manifestazioni anche eclatanti come quelli degli scioperi della fame e della sete di Marco Pannella e dei Radicali e seguito dai detenuti del Carcere di Poggioreale, che a volte per giorni rifiutano il cibo in segno di protesta. A loro si sono, in alcune occasioni, uniti anche i detenuti di un altro carcere campano, quello di Bellizzi Irpino.

“Tra poco arriveranno le multe dell’Unione Europea – prosegue Mazzotta – e qui non è cambiato ancora nulla, nessuno prende una decisione e in carcere si continua a soffrire. Vogliamo dire ai familiari dei detenuti di non tacere e li invitiamo a fare ricorso quando si presentano casi di omissione di cure all’interno del carcere”. Nonostante la macchina burocratica sia lenta e farraginosa, a Roma, qualcosa sta andando avanti. Per il 15 maggio, infatti, doveva essere pronto il testo unificato in materia di amnistia e indulto, redatto dalla senatrice Nadia Ginetti del Pd e dal senatore Ciro Falanga, di Fi, in qualità di relatori dei quattro ddl per amnistia e indulto. L’esame congiunto dei ddl per amnistia e indulto 2014 è proprio in questi giorni al vaglio della commissione Giustizia al Senato della Repubblica.

Trecento richieste di ricovero

“Sono oltre trecento le richieste di ricovero in ospedale, da parte di detenuti, inevase all’interno delle carceri italiane dall’inizio dell’anno”. A fornire i dati è Luigi Mazzotta dei Radicali Per la Grande Napoli, che spiega: “Si tratta di richieste per operazioni chirurgiche, per le quali i detenuti aspettano anche otto mesi. Alcuni riescono ad essere operati, altri rischiano di morire prima di arrivare in sala operatoria. Invito i detenuti e i loro parenti a prendere esempio da chi ha fatto ricorso e ha ricevuto un indennizzo dalla Corte Europea di quindicimila euro per mancata assistenza sanitaria in carcere”

di Claudia Sparavigna

Roma, 18 maggio 2014