Bruno Bossio (Pd) : Nessun attacco ai Magistrati, si tratta di una riforma giusta


Aula Udienza TribunaleNessun attacco ai magistrati, ma la risposta alla richiesta di una ‘giustizia giusta’. Mi pare assai discutibile la reazione dell’ANM che ha parlato di una norma contro i giudici.
Sarebbe come dire che quando i parlamentari hanno limitato i privilegi della cosiddetta ‘casta’, ad esempio in tema di immunità, poi avrebbero dovuto reagire, loro stessi, dicendo che si trattava di una misura contro i parlamentari e non di una riforma che eliminava tutele ingiuste e spesso anche abusi.

Le nuove norme sulla responsabilità civile rispondono in primo luogo a un’osservazione della Corte di Giustizia Europea che riteneva troppo limitativa la necessità della sussistenza della ‘colpa grave’ per poter ottenere risarcimento. Serviva un requisito meno stringente, quale la ‘manifesta violazione del diritto’, che è il requisito a cui si ispirano le normative europee. Ora possiamo farlo valere anche in Italia, e i cittadini non debbono piu’ appellarsi alla Corte di Giustizia.

E’ un passo avanti significativo ed equilibrato, perché si supera la colpa grave e si mantiene la responsabilità indiretta. Il cittadino chiede risarcimento allo Stato. L’azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato, laddove ne sussistano gli estremi, diventa obbligatoria. Insomma, l’errore del magistrato non è considerato meno importante di quello dei medici. Non c’è un attacco ai magistrati, ma la risposta alla richiesta di una ‘giustizia giusta’.

On. Enza Bruno Bossio

Deputato del Partito Democratico

Romanelli (Camere Penali) : Caro Csm, ce lo chiede l’Europa… non parlare di “attacco alla Magistratura”


Avv. Rinaldo RomanelliII Csm, in vista della prossima discussione al Senato del testo di riforma della responsabilità civile dei magistrati, ha lasciato filtrare attraverso la stampa le prime indiscrezioni sulla bozza di parere elaborata dalla sesta commissione, che sarà discussa in plenum oggi.

Vista la generale reazione negativa del mondo politico e di chiunque a vario titolo si occupi di giustizia, all’evidente ed insostenibile difesa corporativa messa in atto da palazzo dei Marescialli, il Vice Presidente Legnini è intervenuto per lamentare letture “un po’ forzate” e ribadire che la posizione ufficiale sarà resa nota solo dopo la riunione del Csm.

C’è da augurarsi che tale posizione si discosti fortemente da quella che è stata fatta filtrare alla stampa, che ha dipinto il ddl sulla responsabilità civile dei magistrati come un grave attacco alla loro indipendenza. Non è in atto alcun attacco all’ordine giudiziario e chi voglia ricondurre in questa fuorviante prospettiva il tema del risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e della responsabilità civile dei magistrati, lo fa per difendere posizioni di privilegio a scapito della tutela dei diritti dei cittadini.

Le giurisprudenza elaborata dalla Corte di Giustizia Ue espressa già a partire dal 2003 e ribadita nel 2011, a seguito della procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea, ha affermato con adamantina chiarezza che l’attività giudiziaria di interpretazione di norme giuridiche e di valutazione di fatti e prove non può essere esclusa dall’alveo della responsabilità civile dello Stato. Data la delicatezza delle funzioni giudiziarie, la violazione di legge determina la risarcibilità del danno solo qualora sia “manifesta” e l’erronea valutazione dei fatti e delle prove solo quando degeneri nel “travisamento”.

Si tratta dell’affermazione di un fondamentale principio di diritto, destinato ad operare in tutta l’Unione Europea. Allo stesso modo, gli alti magistrati europei hanno chiarito che il filtro di ammissibilità dell’azione e l’orientamento estremamente restrittivo espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, hanno reso del tutto ineffettiva la vigente disciplina sulla responsabilità civile delle toghe (nel decennio 2005/2014 vi sono state solo nove condanne a carico dello Stato, con una liquidazione media di importi pari a circa 54.000,00 euro). Posto che, col disegno di legge elaborato in materia, il Governo ha avuto cura di tradurre letteralmente nel testo normativo i passaggi fondamentali esposti dalla Corte di Giustizia, pare del tutto fuori luogo ipotizzare che qualcuno voglia attentare all’autonomia della magistratura, salvo che non si vogliano attribuire entrambi gli intendimenti direttamente alla Corte Ue.

Rendendo, invece, giustizia alla verità dei fatti, va riconosciuto il merito del Governo nell’avere avviato la riforma organica della disciplina, scelta in parte obbligata dalla procedura di infrazione avviata dalla Commissione (che ad oggi ha maturato una sanzione superiore ai trentasette milioni di euro a carico dell’Italia e costa trentaseimila euro in più ogni giorno che trascorre inutilmente), ma certamente voluta anche sotto il profilo politico. La prima contestazione della Commissione Ue risale al 10 febbraio 2009 e la successiva diffida è del 9 ottobre dello stesso anno; la condanna poi risale al 2011, tre anni orsono. Tre governi si sono succeduti prima dell’attuale senza mettere mano alla spinosa questione.

Nel merito è poi condivisibile l’opzione di rendere obbligatorio l’avvio dell’azione disciplinare in caso di accoglimento della domanda di risarcimento del danno. Questo aspetto andrebbe però ulteriormente meditato, atteso che, come è stato autorevolmente affermato anche dal Presidente della Commissione Giustizia del Senato, nel caso in cui il magistrato venga sanzionato, il provvedimento dovrebbe incidere sull’avanzamento di carriera, poiché diversamente rischierebbe di rimanere privo di effetti pratici.

È il profilo disciplinare, infatti, quello che più propriamente deve svolgere anche una funzione preventiva e rendere i magistrati, che già non lo siano, coscienziosi e responsabili nello svolgimento delle loro funzioni. Il tema dell’azione di rivalsa in sede civile da parte dello Stato nei confronti del magistrato che, con la sua condotta imperita o negligente abbia danneggiato il cittadino, è e deve restare, invece, estraneo ad ogni scopo general-preventivo. La ragione della rivalsa, il cui limite massimo complessivo (anche in caso di più soggetti danneggiati) è stato innalzato dal ddl governativo, con una scelta equilibrata e condivisibile, da un terzo alla metà dello stipendio netto annuo, va ricercata nel principio generale del neminem laedere.

Questo è posto a fondamento della disciplina della responsabilità extracontrattuale ed in base ad esso, chiunque violi il divieto di ledere l’altrui sfera giuridica è chiamato a rispondere del danno che sia conseguenza immediata e diretta della propria condotta. In via ordinaria il danno va risarcito nella sua integralità da chi ne è l’autore, la particolare delicatezza delle funzioni giudiziarie, induce poi ad introdurre eccezionali correttivi, che operino quali adeguate tutele a protezione magistrati.

Tali tutele sono, appunto, il giusto divieto di azione diretta (il danno può essere richiesto dal cittadino solo allo Stato) e l’altrettanto corretto limite nell’azione di rivalsa. Limite che, sia detto una volta per tutte, malgrado le grida di dolore che si alzano da palazzo dei Marescialli e qua e là da parte di qualche togato cui fa, evidentemente, difetto l’onestà intellettuale, è estremamente cautelativo e non comporta, né comporterà, in concreto nessun esborso, perché assicurabile con una somma irrisoria.

Per tradurre in numeri: lo stipendio annuale netto medio di un magistrato è di circa 50.000,00 euro; ciò vuol dire che, qualunque sia l’ammontare del danno che lo Stato sarà chiamato a risarcire (a uno o più persone fisiche e/o giuridiche) in ragione dell’atto o del provvedimento manifestamente erroneo, il limite complessivo dell’azione di rivalsa non potrà mediamente superare la somma 25.000,00 euro. Chiunque può comprendere quanto possa costare assicurarsi contro un rischio così irrisorio nell’ammontare e remoto nel suo verificarsi.

Resta, invece, la pressante necessità di approvare in tempi brevi la riforma della disciplina del risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio di funzioni giudiziarie e la responsabilità civile dei magistrati, sia per evitare l’aggravarsi delle sanzioni Ue, che per dotare il nostro sistema di un corpus normativo adeguato, degno di un paese civile evoluto e democratico.

Che per far ciò sia necessario vincere le resistenze corporative e le indebite pressioni della magistratura è ormai evidente a tutti, non tanto perché i magistrati vedano effettivamente messa in pericolo da questa riforma l’autonomia nell’esercizio della giurisdizione (tesi oggettivamente insostenibile), ma perché una legge che faccia sorgere loro in capo una qualche responsabilità (pur con tutte le cautele ed i correttivi di cui si è detto) è avvertita come oltraggiosa, ancor più perché li coglie in un momento di profonda crisi di identità.

Dopo un ventennio in cui sono stati identificati dall’opinione pubblica come l’unica soluzione possibile a tutti i mali del paese ed in cui, nel vuoto lasciato da un politica screditata hanno recitato, a vario titolo, ruoli che non avrebbero dovuto competergli, si trovano anch’essi messi in discussione ed il loro intoccabile operato addirittura sindacabile quale possibile fonte di danno ingiusto.

Rinaldo Romanelli (Componente Giunta Unione Camere Penali)

Il Garantista, 30 ottobre 2014

Giustizia: Cooperazione Penale Europea, l’Italia rischia una procedura d’infrazione


Corte di Giustizia EuropeaL’Italia arranca nell’attuazione degli atti Ue in materia di cooperazione giudiziaria penale e corre il rischio, dal prossimo dicembre, di subire una procedura d’infrazione.

Lo dice la Commissione europea in due rapporti pubblicati ieri, uno sullo stato di attuazione della decisione quadro 2008/675/Gai del 24 luglio 2008 relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell’Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale e l’altro sulla decisione quadro 2009/948/Gai del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali. In entrambi gli atti l’Italia segna il passo.

Eppure, la loro attuazione effettiva consente un rafforzamento nella protezione delle vittime, una più efficace lotta alla criminalità transfrontaliera e assicura maggiori garanzie agli stessi autori di reato, grazie alla concreta attuazione del principio del ne bis in idem riconosciuto dall’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Proprio con riguardo alla decisione quadro 2009/948 si sono verificati, nel complesso, i maggiori ritardi. Solo 15 Stati membri hanno recepito in modo completo l’atto Ue, mentre 13 Paesi, tra i quali l’Italia, non hanno ancora provveduto, frenando l’attuazione dello spazio giudiziario Ue. L’applicazione della decisione è una tappa importante per evitare doppi processi su stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati.

La Commissione lancia così agli Stati inadempienti un messaggio chiaro. È vero, infatti, che in base al Trattato Ue l’esecutivo non può ancora avviare una procedura per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia, ma dal 1° dicembre 2014 la Commissione potrà fare ricorso alla procedura d’infrazione. Con buona pace dei Paesi ritardatari come l’Italia. Tra l’altro, osserva la Commissione nel rapporto (Com(2014)213), la decisione quadro ha messo in campo un sistema che permette un dialogo continuo tra le autorità degli Stati membri, con risposte rapide tra gli organi nazionali competenti, evitando in via preventiva ogni problema sull’applicazione del principio del ne bis in idem. Ombre sull’Italia anche dal rapporto sulla decisione quadro 2008/675 (Com(2014)312). Se 22 Stati hanno già attuato la decisione (e ben 13 hanno ottenuto una promozione da Bruxelles), rimangono al palo Belgio, Spagna, Italia, Lettonia, Malta e Portogallo.

È vero che questo non impedisce l’attuazione dei principi fissati nella decisione quadro negli altri Stati membri, ma è certo nell’interesse della giustizia che le condanne siano prese in considerazione nell’intero spazio Ue. Alcuni Stati membri hanno anche previsto che condanne già comminate in altri Paesi dell’Unione siano prese in considerazione durante la fase delle indagini. Non solo. In Austria, Paesi Bassi, Svezia, Grecia e Irlanda una condanna può influenzare le decisioni sulla custodia cautelare e anche le modalità di esecuzione della pena.

di Marina Castellaneta

Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2014

Carceri piene di innocenti o di imputati in attesa di giudizio


Parlamento Europeo 2L’emergenza giustizia ormai ha raggiunto livelli insostenibili soprattutto per il cittadino comune. E con essa aumenta esponenzialmente l’emergenza carceri di cui in questo paese si fa un uso disinvolto e terrificante come contrappeso alle mancate riforme. Da una parte i magistrati mandano volentieri in galera chiunque incappi in un problema con la giustizia a prescindere dalla gravità del reato o del supposto reato, dall’altra la politica lascia ai magistrati (salvo poi lamentarsene con accenti di vittimismo francamente insopportabili) la totale libera iniziativa in proposito non mettendo mano alle riforme che ormai da anni vengono invocate dagli stessi politici che non le fanno.

E sapete perché non le fanno? Perché in realtà anche ai politici fa comodo questo stato di cose, se infatti la mannaia dell’azione discrezionale del giudice si può abbattere su di loro (che però hanno le spalle più larghe del cittadino comune, soldi e avvocati, e possono sempre invocare la persecuzione), essa diventa anche un’arma da rivolgere contro l’avversario politico o contro la stampa quando sia utile. Ognuno avrà osservato che nell’imminenza di appuntamenti elettorali si scatenano inchieste, iniziative legali di parte, “retate” varie spesso su denuncia più o meno esplicita di una parte politica piuttosto che di un’altra. Alla fine tutto viene adulterato, inquinato, confuso, in una guerra senza quartiere dove alla fine chi paga è solo il cittadino che si ritrova in un vortice incomprensibile di inchieste, controinchieste e simili perdendo totalmente la fiducia nella politica, nei politici e nella giustizia.

Il risultato di questa situazione non è una moralizzazione della cosa pubblica, non è una diminuzione dei reati, non è una garanzia di tutela del cittadino ma sono le carceri piene di innocenti o di imputati in attesa di giudizio, o di persone accusate di reati la cui pena potrebbe essere scontata con pene alternative, mentre i veri delinquenti (soprattutto quelli macchiatisi di reati di sangue) sono fuori e gli unici a beneficiare di incredibili sconti benefici ecc.

Gli unici che da anni si stanno occupando della questione, seppure non sempre in maniera condivisibile, sono i Radicali ai quali la politica ha lasciato totalmente l’iniziativa in proposito. Così oggi non resta che seguire almeno dal punto di vista dell’informazione, le proposte che essi propugnano nella speranza che intervenga, come abbiamo scritto qualche giorno, fa una soluzione che azzeri lo status quo e faccia partire una vera e profonda riforma che tuteli i cittadini.

Perciò riceviamo, e volentieri pubblichiamo, il comunicato che segue.

Il Gruppo Parlamentare dei Verdi al Parlamento Europeo ha inoltrato alla Commissione Europea una Interrogazione con richiesta di risposta scritta denunciando la gravissima ed intollerabile situazione in cui, ormai da troppo tempo, versano le Carceri della Repubblica Italiana.

L’atto di Sindacato Ispettivo, sollecitato dall’Ecologista Radicale Emilio Quintieri ed elaborato dallo stesso, è stato sottoscritto dai Deputati Europei dei Verdi Raul Romeva i Rueda, Rui Tavares, Eva Lichtenberger, Jean-Paul Besset, Karima Delli, Jan Philipp Albrecht e dai loro colleghi italiani Gianni Pittella e Mario Pirillo del Gruppo Parlamentare Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo ed infine dall’On. Andrea Zanoni membro del Gruppo Parlamentare Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.

“Nelle carceri d’Italia, a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti sono rinchiuse 66.271 persone detenute delle quali 24.773 straniere. Degli oltre 66.000 detenuti, 25.970 sono ancora in attesa di giudizio mentre i condannati definitivi risultano essere 38.906. Di questi detenuti 685 sono sottoposti al 41 bis, un regime detentivo speciale che gli organismi comunitari considerano, a ragione, una forma sofisticata di tortura, severamente proibita dall’Art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani e dall’Art. 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. In Italia oggi oltre la metà delle persone recluse è sottoposto a custodia cautelare : si tratta di una delle percentuali più alte di tutta l’Europa che fotografa chiaramente un’anomalia tutta italiana per non parlare del sovraffollamento che ha raggiunto il 157% contro una media europea del 97%. Dall’inizio dell’anno nelle carceri italiane sono morti già 117 detenuti dei quali ben 40 per suicidio. La Repubblica Italiana è stata già richiamata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e condannata migliaia di volte dalla Corte Europea dei Diritti Umani; attualmente sarebbero pendenti oltre 1.000 ricorsi che, probabilmente, verranno esaminati con una sentenza pilota”. Tanto premesso, i Parlamentari Europei hanno chiesto alla Commissione Europea di sapere “se non ritenga urgente agire per assicurare il rispetto uniforme dei diritti delle persone detenute e di condizioni dignitose di vita ponendo fine ai trattamenti disumani, crudeli e degradanti posti in essere in tutte le Carceri della Repubblica Italiana e se non ritenga doveroso avviare d’ufficio ai sensi dell’Art. 258 del TFUE una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica Italiana per ripetuta violazione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea.”

Come Gruppo Parlamentare dei Verdi al Parlamento Europeo – afferma l’Ecologista Radicale Emilio Quintieri – ci impegneremo affinché la Repubblica Italiana rispetti gli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione Europea ed esegua le sentenze pronunciate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. A nulla sono servite le condanne, i richiami ed i rimproveri fatti all’Italia in questi anni per cui riteniamo che la Commissione Europea debba ufficialmente aprire una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro ingiungendogli di porre fine all’indiscriminata e reiterata violazione dei diritti umani fondamentali riconosciuti dall’Unione Europea e, in caso di inottemperanza, di adire formalmente la Corte di Giustizia del Lussemburgo.

Bruxelles lì 28 Settembre 2012

Simonetta Bartolini

Totalità.it – 28 Settembre 2012