Droghe, Cassazione: va rivista condanna basata su norma dichiarata incostituzionale


marijuanaLa condanna in via definitiva è un tabù giuridico infranto: la Corte di Cassazione ha stabilito che se la pena è stata fondata su norme successivamente dichiarate incostituzionali, deve essere rivista.

Già la sentenza di maggio aveva messo in soffitta la legge Fini-Giovanardi (giudicata incostituzionale a inizio anno) troppo punitiva per reati leggeri, ma con le motivazioni pubblicate ieri dai giudici delle Sezioni unite della Cassazione, il principio si estende a tutti i reati, aprendo di fatto le porte del carcere per chi vi è detenuto ingiustamente più di un provvedimento “svuota-carceri” di cui sempre si parla.

È davvero storico il pronunciamento della Corte di Cassazione, il giudice delle leggi, per almeno tre motivi: intacca il tabù del giudicato, consente e ha già consentito l’uscita dal carcere di centinaia forse migliaia di detenuti, bacchetta severamente classe politica e Parlamento con la constatazione che negli ultimi anni ha approvato “una serie di irragionevoli previsioni sanzionatorie su cui è dovuto intervenire il Giudice delle leggi”.

La sentenza. La sentenza muoveva dal ricorso di un imputato per detenzione e spaccio di stupefacenti condannato nel 2012 a 6 anni di carcere a causa del divieto, introdotto nel 2005 dalla legge ex Cirielli, di dare prevalenza all’attenuante del “fatto di lieve entità” (la dose modesta di droga detenuta) rispetto alla recidiva. Un divieto cancellato dalla Corte costituzionale nel 2012, in quanto contrastante con l’articolo 27, terzo comma, della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Gli effetti sulla popolazione carceraria. In base alla sentenza pubblicata ieri dalla Cassazione, spetterà al giudice dell’esecuzione rimuovere l’illegalità di una pena inflitta in base a norme dichiarate poi incostituzionali. Ma, soprattutto, spetterà al pubblico ministero attivare il giudice dell’esecuzione per l’eventuale ricalcolo della pena, sia se deve ancora essere emesso l’ordine di esecuzione sia se la detenzione è già in corso. E questo specifico dovere del Pm è un punto centrale della decisione, destinata a incidere significativamente sulla popolazione carceraria

Bacchettata al Parlamento “irragionevole”. Negli ultimi anni, il Parlamento ha inasprito molte pene in maniera “irragionevole” e “senza fondamento” – non solo per quanto riguarda gli stupefacenti – costringendo la Consulta ad intervenire più volte, e la Cassazione a ridurre o disapplicare le pene dichiarate incostituzionali fino a travolgere il “mito giuridico” della “intangibilità del giudicato”. Lo sottolinea la Suprema Corte prendendo di mira soprattutto, ma non solo, la legge Fini-Giovanardi, una normativa “imposta” violando la Costituzione.

A sostegno della necessità di applicare le decisioni della Consulta, come la bocciature della Fini-Giovanardi dove inaspriva le pene per i piccoli pusher recidivi e dove non distingueva tra droghe pesanti e leggere, le Sezioni Unite rilevano che “far eseguire una condanna, o una parte di essa, fondata su una norma contraria alla Costituzione, e perciò dichiarata invalida dal Giudice delle leggi, significa violare il principio di legalità”. Dunque via libera agli ‘sconti di pena’. Il principio non vale se cambia la legge: vale solo se la legge con cui qualcuno è stato condannato era incostituzionale.

“Il diritto fondamentale alla libertà personale deve prevalere sul valore dell’intangibilità del giudicato”. Secondo la Cassazione, inoltre, sarebbe “del tutto irrazionale” consentire “la sostituzione dell’ergastolo con quella di trent’anni di reclusione”, come è avvenuto in varie decine di casi di boss mafiosi per effetto della sentenza ‘Ercolano’ della Corte di Strasburgo, e ritenere, invece, “intangibile” la porzione di pena “applicata per effetto di norme che mai avrebbero dovuto vivere nell’ordinamento: un ‘sovrappiù’ che risulta l’effetto ancora in atto di una norma senza fondamento, estromessa dall’ordinamento giuridico”.

Tra l’altro, prosegue la Suprema Corte, continuare a tenere in carcere persone condannate a pene divenute fuorilegge, “costituirà un ostacolo” al perseguimento dello scopo “rieducativo” perché tale condanna sarà “inevitabilmente” avvertita “come ingiusta da chi la sta subendo”. E questo in quanto la pena è stata “non già determinata dal giudice nell’esercizio dei suoi ordinari e legittimi poteri, ma imposta da un legislatore che ha violato la Costituzione”.

Anche i giudici dell’esecuzione della pena, e i pubblici ministeri nell’ambito delle loro “funzioni istituzionali di vigilanza sulla osservanza delle leggi”, hanno il compito di far ricalcolare le pene, al ribasso, obbedendo alle indicazioni della Consulta e degli ermellini, conclude la Cassazione invitando i magistrati a fare la loro parte per rendere il carcere meno disumano e le pene più equilibrate.

http://www.blitzquotidiano.it, 15 ottobre 2014

Carceri, De Cristofaro (Sel) : Strasburgo condanna l’impunità della Polizia Penitenziaria


Sen. Peppe De Cristofaro«La condanna della Corte Europea dei Diritti Umani a carico dell’Italia per aver sottoposto a trattamento inumano e degradante un detenuto nel carcere di San Sebastiano di Sassari indica non la gravità di un caso isolato ma di un intero costume che deve assolutamente cambiare».

Lo afferma Peppe De Cristofaro, Senatore di Sinistra Ecologia e Libertà (Sel), membro della Commissione Straordinaria per la Tutela dei Diritti Umani di Palazzo Madama e della Commissione Bicamerale Antimafia.
«Gli agenti denunciati dai detenuti di quel carcere per le violenze commesse dagli agenti nell’aprile del 2000 – prosegue De Cristofaro – sono stati condannati, ma a pene leggerissime e di fatto quasi prive di conseguenze. Per gli Agenti della Polizia Penitenziaria o per quelli in servizio di ordine pubblico vale una sorta di impunità a priori, per cui anche quando vengono considerati colpevoli le pene devono essere alleggerite in virtù della loro appartenenza alle forze dell’ordine. 
Ciò è del tutto inaccettabile – conclude il Parlamentare di Sel – e proprio questa perversa abitudine ha voluto denunciare, con la sua sentenza di condanna, la Corte europea»

 

 

Ruba un paio di scarpe. Condannata a 16 mesi di carcere, 200 euro di multa e spese processuali


giustizia1-640x436Sedici mesi di reclusione e 200 euro di multa (pena sospesa) oltre al pagamento delle spese processuali: questa la condanna nei confronti di Iole Maria Piazza, 28 anni, di Messina, accusata di avere rubato il 16 gennaio del 2011 un paio di scarpe in un centro commerciale di Milazzo. La sentenza è stata emessa, nei giorni scorsi, dal dal Giudice Onorario del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, Dott. Ennio Fiocco.

La giovane donna doveva rispondere di furto con destrezza e mediante violenza sulle cose, per avere rimosso la placca anti taccheggio. Il Pubblico Ministero Dott. Agatino Allegra aveva richiesto il minimo della pena con pena sospesa, mentre il difensore dell’imputato, l’avvocato Giuseppe Carrabba, aveva sollecitato l’assoluzione della sua assistita per non aver commesso il fatto.

 

Cassazione: “Ridurre carcere a piccoli spacciatori condannati con la Fini-Giovanardi”


Corte di cassazione1I condannati in via definitiva e recidivi per spaccio lieve di droga potranno chiedere la rideterminazione, al ribasso, della pena. Il via libera è giunto dalle sezioni unite penali della Cassazione e il nuovo pronunciamento è diretta conseguenza di quello con cui nel 2012 la Consulta aveva dichiarato la incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi.

I supremi giudici – presieduti dal primo presidente Giorgio Santacroce – hanno accolto un ricorso della procura di Napoli contro la decisione del tribunale, che aveva negato a un condannato recidivo per piccolo spaccio di ottenere il ricalcolo della pena a seguito della sentenza sulla incostituzionalità della norma della Fini-Giovanardi, che vietava la concessione delle circostanze attenuanti prevalenti nel caso di recidivi.

La Cassazione, inoltre, ha stabilito – comprendendo nella sua decisione anche gli effetti del recente verdetto della Consulta che ha ripristinato la distinzione tra droghe pesanti e leggere – che i giudici dell’esecuzione, chiamati al ricalcolo delle pene dei condannati definitivi, dovranno anche tenere conto del fatto che è stato ripristinato il testo della Iervolino-Vassalli, per effetto dell’ultima decisione della Consulta sulla Fini-Giovanardi.

La decisione della Corte avrà come conseguenza che “potranno uscire dal carcere migliaia di detenuti condannati per piccolo spaccio, qualora venisse accolta la loro richiesta di revisione del trattamento sanzionatorio”.

Del verdetto della Cassazione, precisano fonti della stessa Suprema corte, “non si possono avvantaggiare i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l’associazione a delinquere”. In base alle ultime stime, in carcere ci sono circa 5mila detenuti per spaccio di droghe pesanti in associazione, e circa 9mila per spaccio di lieve entità. E saranno questi ultimi a poter chiedere il ricalcolo della pena.

Il coordinatore dei garanti dei detenuti, Franco Corleone, entra ancor più nel dettaglio. “Sono circa 10mila, in base a una prima stima, i detenuti che, potenzialmente, potrebbero beneficiare della decisione delle Sezioni Unite della Cassazione. I detenuti per la violazione dell’art. 73 del Testo unico sulla droga sono circa 23 mila. Da questi bisogna discernere quali sono condannati per spaccio di cannabinoidi, che sono circa il 40%”.

Giovanardi: “Da Cassazione nessuna rivoluzione”. Per il senatore Carlo Giovanardi non scaturisce “nessuna rivoluzione” dalla pronuncia della Cassazione. “E’ appena entrata in vigore una nuova legge – spiega a Adnkronos – che stabilisce che lo spaccio di qualsiasi sostanza, sia cannabis o eroina, comporta la reclusione da sei mesi a quattro anni. Quest’intervento potrà forse avere ripercussioni sul sovraffollamento carcerario, ma non saprei quantificare in che misura”.

Manconi: “Decisione sacrosanta”.  “Ancora una volta – afferma il senatore del Partito democratico, presidente della Commissione Diritti Umani a Palazzo Madama – la magistratura provvede là dove la politica non fa o tarda a fare. Si intervenga immediatamente per sanare quella intollerabile ingiustizia che vede recluse migliaia di persone, condannate a una pena prevista da una norma dichiarata incostituzionale”.

“Su droghe leggere al passo con Strasburgo”. “La decisione della Cassazione mette l’Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mettono più ‘in regola’ con la Carta di Diritti dell’Uomo”. Così Giuseppe Maria Berruti, direttore del massimario della Cassazione, sul verdetto che riduce le condanne per spaccio leggero. Una decisione, prosegue Berruti, che avrà “effetti positivi” anche rispetto all’ultimatum dell’Europa all’Italia per il sovraffollamento carcerario. “Il diritto non è immobile, cambia a seconda del quadro storico di riferimento e questa vicenda dimostra che il quadro storico è mutato rispetto a quando la legge Fini-Giovanardi venne emanata”.

Gasparri: “Spacciatori impuniti”. “Il decreto Renzi-Lorenzin sulla droga lascerà impuniti gli spacciatori di droga. Lo conferma la Cassazione, affermando che con gli sconti di pena introdotti a vantaggio degli spacciatori di droga saranno ricalcolate le condanne. Avremo più spacciatori impuniti e scarcerati agli angoli delle strade. Uno dei più gravi risultati tenacemente voluti da Renzi e compagni” afferma in una nota Maurizio Gasparri (Forza Italia), vicepresidente del Senato.

Zaia: “Urge confronto”. Il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, invoca un “civile e pacato confronto su una materia così delicata”. “Trovo farisaico che si continui a parlare di messa in libertà di detenuti per un piccolo reato – incalza Zaia-. Per andare in galera in questo Paese non bisogna aver commesso un solo reato per piccolo spaccio, come lo definisce la Cassazione, bensì avere alle spalle o un reato ben più grave o una sommatoria di piccoli spacci che rendono il soggetto più che recidivo. Dobbiamo dire a chiare lettere alla società che chiede ordine e sicurezza che si stanno liberando dei delinquenti che minano la nostra gioventù e la convivenza civile”.

La Repubblica, 29 Maggio 2014

Carceri disumane, Paese incivile. Tra pochi giorni sarà esecutiva la condanna europea


Casa Circondariale BiellaIn Italia manca un reato fondamentale: il reato di tortura. Ci tutelerebbe tutti, non solo chi subisce e chi ne è accusato ingiustamente. Non solo chi la pratica senza esserne responsabile e chi ne è vittima dopo essere stato carnefice e per questo, l’uno e l’altro, vivono l’inferno in terra. L’introduzione del reato di tortura alzerebbe la qualità della nostra esistenza civile – dell’esistenza di tutti – in un paese dove da lungo tempo lo stato di diritto latita. Ma se il primo impunito torturatore è proprio lo stato italiano, probabilmente dovremo rassegnarci a vivere una condizione di perenne illegalità.

Vi racconto una storia che avrete sentito mille volte. Una storia che alcuni non vorranno ascoltare di nuovo. Una storia che chi governa o vorrebbe governare non ama si racconti. Una storia che tutti vorremmo non esistesse. Ma che esiste, e dobbiamo farci i conti. E facciamoli i conti allora. Nelle carceri italiane ci sono poco più di 40mila posti disponibili per oltre 60mila detenuti. Questo sovraffollamento insostenibile determina condizioni igienico-sanitarie disumane. I suicidi tra i detenuti, ma anche tra gli agenti di polizia penitenziaria sono frequentissimi. Non esiste rieducazione possibile, solo ulteriore violenza e solo un abbrutimento peggiore. Ci si domanda: un sistema carcerario che funziona in questo modo, anzi, che nel suo complesso non funziona affatto, a chi giova? Accresce forse la sicurezza dei cittadini? Scoraggia chi ha compiuto un crimine dal delinquere ancora? Naturalmente no.

Un vergognoso primato tutto italiano, quello per violazione dei diritti umani, che non genera le reazioni sperate nemmeno quando la condanna viene da lontano. La Cedu, la Corte Europea per i Diritti Umani, a gennaio 2013 condanna l’Italia a pagare un risarcimento complessivo di oltre 100mila euro ad alcuni ex detenuti (tra cui Mino Torregiani da cui il nome della sentenza) per le condizioni di detenzione a Busto Arsizio e Piacenza. Torreggiani ha dovuto condividere uno spazio di nove metri quadrati con due compagni di cella spesso senza acqua calda, in condizioni che la Cedu ha ritenuto al limite con la tortura. A me non interessa chi sia Mino Torreggiani e perché sia stato condannato: in galera doveva essere privato di una unica cosa, la libertà. E non – come accade nella stragrande maggioranza delle carceri italiane – anche della dignità. La Cedu condanna l’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani, che vieta la tortura o il trattamento disumano o degradante. E la condanna è tanto più dura perché non si riferisce a casi isolati, ma al sistema nel suo complesso.

La risposta dell’Italia fu vergognosa: il governo presentò un ricorso all’unico scopo, si disse, di guadagnare tempo per poter finalmente prendere in considerazione una riforma della giustizia che partisse proprio dall’emergenza carceri. Da maggio 2013 a maggio 2014 l’Italia aveva un anno per mettere mano al sistema carceri ed evitare che Strasburgo accogliesse le centinaia di ricorsi già pendenti di detenuti ed ex detenuti, con conseguente condanna a risarcimenti milionari. Naturalmente nulla è cambiato. Nel frattempo si sono avvicendati i governi e non c’è stato il tempo, pur volendo, di fare nulla. E la prepotente urgenza di cui parlava il Presidente Napolitano nel 2011 si è ulteriormente aggravata. Io non posso fare a meno di contestare, ancora una volta, a chi dice che occuparsi delle condizioni dei detenuti sia una perdita di tempo, che dallo stato delle carceri si misura il grado di democrazia e di civiltà di un paese. Ce lo dicono i conti che non vogliamo fare, ce lo dice Strasburgo, ce lo dice la crescita economica del nostro paese, pressoché inesistente, che dove non vige lo stato di diritto anche per chi ha sbagliato, non vige per nessuno. Le carceri non sono le case degli ultimi, non sono luoghi in cui vorremmo archiviare la monnezza. Le carceri sono il futuro da cui ripartire. Riprendiamoci chi ha sbagliato, rieduchiamoli, reinseriamoli. Non lasciamoli in balia delle organizzazioni criminali. Se il carcere diventa questo, allora fare i conti, anche quelli più difficili, inizierà a piacerci.

Roberto Saviano

L’Espresso, 16 Maggio 2014