Milano, Il Sindaco Sala nomina l’ex Magistrato di Sorveglianza Maisto, Garante dei Diritti dei Detenuti


Francesco Maisto è il nuovo Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano. Lo ha nominato il Sindaco Giuseppe Sala al termine di un percorso di selezione pubblica dedicato a profili di indiscusso prestigio e di chiara fama nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani ovvero nelle attività sociali. Laureato in Giurisprudenza, già in servizio con il grado di Magistrato di Cassazione con funzioni di presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna, abilitato all’insegnamento di Diritto ed Economia Politica e specializzato in Criminologia clinica, Francesco Maisto ricoprirà l’incarico di Garante dei detenuti per tre anni.

Il Garante, secondo quanto previsto dal Regolamento istituito con deliberazione del Consiglio Comunale n. 40/2012 del 5 ottobre 2012, si occuperà di promuovere l’esercizio dei diritti e delle opportunità di partecipazione alla vita civile e di fruizione dei servizi comunali delle persone private della libertà personale, promuoverà altresì iniziative e momenti di sensibilizzazione pubblica sul tema dei diritti umani delle persone private della libertà personale e dell’umanizzazione della pena detentiva e iniziative congiunte con altri soggetti pubblici e in particolare con l’Assessorato alle Politiche sociali e la Sottocommissione Carcere; rispetto a possibili segnalazioni che giungano, anche in via informale, alla sua attenzione e riguardino violazioni di diritti, garanzie e prerogative delle persone private della libertà personale, il Garante si rivolge alle autorità competenti per avere eventuali ulteriori informazioni, segnala il mancato o inadeguato rispetto di tali diritti e conduce un’opera di assidua informazione e di costante comunicazione alle autorità stesse relativamente alle condizioni dei luoghi di reclusione. Promuove inoltre con gli Istituti di Pena, gli Organi e gli Uffici milanesi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e del Dipartimento per la Giustizia Minorile e con tutte le altre pubbliche amministrazioni interessate dei protocolli d’intesa utili a poter espletare le sue funzioni anche attraverso visite ai luoghi di detenzione; promuove, infine, forme di collaborazione con le Università nonché con il mondo del volontariato, dell’associazionismo e del privato sociale milanese che opera in campo penale e penitenziario o che a vario titolo si occupa di persone private della libertà personale.

Domani, mercoledì 5 giugno, dalle ore 9 alle 13.30, in Sala Alessi a Palazzo Marino si terrà il convegno “Vagli a spiegare che è primavera”, per presentare le attività svolte dalla Garante uscente Alessandra Naldi e per richiamare l’Amministrazione e la città ad un rinnovato impegno sulle tematiche connesse all’esecuzione penale. L’evento è organizzato dalla Presidenza della Sottocommissione Carceri Pene e Restrizioni.

Milano, il Giudice Crosti : i detenuti malati restano in cella perché mancano le strutture


cella detenuti 1Troppi detenuti non vengono scarcerati per motivi di salute e non hanno delle strutture idonee. A denunciare questo problema non sono le solite associazioni che si occupano dei diritti, ma la giudice del Tribunale di Sorveglianza di Milano, Beatrice Crosti.

“È capitato spesso di dover tenere persone in carcere perché non si sapeva dove mandarle. Oppure di ritardare scarcerazioni per riuscire a trovare una soluzione”, così la giudice Beatrice Crosti ha sintetizzato il più grosso problema del sistema penitenziario di Milano. Mancano le strutture adeguate per detenuti che hanno bisogno di un ospedalizzazione una volta usciti dal carcere, così capita che alcuni di loro, i più gravi, restino in infermeria nel penitenziario nell’attesa che si liberi un posto in qualche hospice.

È la denuncia che emerge dall’incontro “Il carcere e la città. Promuovere buoni processi di inclusione sociale e di sostegno all’autonomia”, nell’ambito del Forum delle Politiche sociali del Comune di Milano. Il Tribunale dei Sorveglianza – secondo l’agenzia Redattore Sociale – fa quanto può per alleggerire con pene alternative da scontare fuori dal carcere.

E, sempre secondo la testata giornalistica sui temi sociali, i risultati sono apprezzabili: nel 2013 le richieste accolte di affidamento ai servizi sociali sono state 1.116 e 111 le respinte. Nel 2014 1.463 accolte e 100 respinte e nei primi due mesi del 2015 le richieste accolte sono state 184 e 12 respinte. Gli ultimi numeri dell’Uepe (Ufficio Esecuzione Penale Esterna) di Milano indicano che i casi di affidamento sono stati 1.423, altri 820 i casi di detenzione domiciliare e 190 quelli in libertà vigilata. Numeri che evidenziano l’impegno della magistratura milanese a tenere, chi può, fuori dal carcere. Almeno quando ci sono le condizioni. I problemi sorgono anche nei confronti dei detenuti ai domiciliari: capita spesso che il ristretto a fine pena o che deve espiare a casa sua non possa rientrare nella sua vecchia abitazione perché inquilino abusivo.

E cosa accade? A spiegarlo è Alessandra Naldi, la garante dei detenuti di Milano: “Il più delle volte gli ex detenuti tornano a casa dai loro familiari, evento che spesso crea nuovi conflitti in famiglia”. Per questo la giudice Crosti propone di creare “un centro di smistamento di chi va preso in carico fuori dal carcere, per evitare che si debba ricorrere sempre alla buona volontà di qualcuno o ai propri contatti”. Una proposta accolta anche dalla Garante dei detenuti.

Sempre secondo i dati snocciolati da Redattore Sociale, ci sono notizie migliori invece per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri: “In tutte le strutture milanesi – ha spiegato il provveditore lombardo Aldo Fabozzi – sono garantiti i tre metri quadri a detenuto, in alcuni casi si arriva anche a quattro”. La situazione migliorerà ulteriormente con l’aggiunta di 75 posti nel carcere di Busto Arsizio e un altro reparto a Cremona.

Damiano Aliprandi

Il Garantista, 5 marzo 2015

Cronache di un ordinario orrore carcerario ….. Casa Circondariale di Milano Opera


Vicenza 6Si può cominciare con una storia emblematica: secondo il Tribunale di Milano le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione, ma per il giovane romano che vive sulla sedia a rotelle, l’uscita dal carcere di Opera è scattata solo un paio di giorni fa. Come mai? Per “colpa” della mancanza di strutture in grado di accoglierlo e, naturalmente, la solita burocrazia.

L.V. poteva, dunque, essere scarcerato, ma dietro le sbarre c’è rimasto per nove lunghissimi mesi. Per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo e per colpa della burocrazia. L.V. è un giovane romeno, ha tentato due volte il suicidio in cella ed è semi-paralizzato.

Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito, nel novembre dell’anno scorso, che le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione. Solo dopo nove mesi il Comune di Milano e il garante per i detenuti sono riusciti a trovargli un posto all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il suo caso era stato denunciato dalla stesso direttore del carcere, Giacinto Siciliano, durante un’audizione alla sottocommissione carcere di Palazzo Marino: “Abbiamo percorso tutte le strade possibili perché qualche struttura esterna se ne occupi ma nessuno vuole prenderlo in carico”.

Il paradosso è che quando la struttura si trova, non si riesce a farlo uscire per problemi burocratici. “L’attuale normativa prevede infatti che debba essere garantita l’assistenza sanitaria a tutte le persone detenute o sottoposte a misure alternative alla detenzione”, afferma Alessandra Naldi, garante per i detenuti del Comune di Milano. “L.V. però non è in nessuna di queste due situazioni perché il Tribunale di sorveglianza gli concede il differimento pena per motivi di salute. Il differimento pena non è formalmente una misura alternativa alla detenzione, e quindi non rientra tra le situazioni in cui è esplicitamente prevista la garanzia dell’assistenza sanitaria anche ai cittadini stranieri”.

Per farla breve: l’Asl non concede la tessera sanitaria perché formalmente L.V. non è più un detenuto. Allo stesso tempo la Sacra Famiglia non può ricoverarlo perché non ha la tessera sanitaria e quindi il carcere di Opera non può lasciarlo libero. La situazione si sblocca quando il Comune di Milano interviene e garantisce per il giovane L.V.. “È una storia che fa anche rabbia”, dice Alessandra Naldi, “perché la lentezza e le incongruenze della burocrazia a volte creano situazioni paradossali. Per questo a fine giugno abbiamo istituito un tavolo con Asl, Regione, Comune e amministrazione carceraria per creare un protocollo che colmi questi vuoti che impediscono ai detenuti di usufruire di benefici di cui hanno diritto”.

Altra emblematica vicenda. Un po’ tutti conoscono e sanno chi è Primo Greganti, il famoso ‘compagno G.’, protagonista delle vicende tangentocratiche della prima, della seconda e della terza Repubblica. Attualmente Greganti si trova in carcere per vicende relative a tangenti e corruzioni a Expo 2015.

Sia colpevole o no, qui non interessa. Greganti aveva il cuore malandato, ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, tuttavia impiega quasi un mese per avere l’autorizzazione dalla burocrazia carceraria. Quattro settimane per spostare Greganti dal carcere al Policlinico San Donato di Milano per poter rimediare ai danni provocati dalla rottura della valvola mitralica. Alla fine l’intervento è stato fatto, è andato bene, Greganti è fuori pericolo. Resta il fatto che per un intervento urgente sono occorse quattro settimane, a causa della burocrazia carceraria.

Si annunciano comunque novità per il mondo carcerario. Il decreto governativo convertito in legge sabato scorso prevede oltre 20 milioni di euro da qui al 2016 per indennizzare i detenuti sottoposti a trattamenti inumani, meno carcere preventivo e priorità agli arresti domiciliari, oltre a più magistrati di sorveglianza e agenti penitenziari.

Sono 204 i penitenziari in Italia, 54.414 i detenuti, 5.012 in più rispetto ai posti disponibili, un terzo sono stranieri, 36.415 condannati in via definitiva, gli altri per metà in carcere preventivo e per metà in attesa di giudizio definitivo.

Ma ecco come valuta la situazione don Virgilio Balducchi, Ispettore generale dei Cappellani delle Carceri italiane. A “Radio Vaticana” dice: “Si va verso una conduzione della giustizia che utilizzi il meno possibile il carcere. Questa scelta di costruire delle pene sul territorio è più responsabilizzante per le persone, perché le mette nella condizione di dover rispondere alle loro responsabilità: si va a lavorare per mantenere anche la propria famiglia e, se si ha un reddito, per ricominciare a riparare anche economicamente ai danni fatti, ad esempio. Gli arresti domiciliari dovrebbero però essere accompagnati da un’opera sul territorio che permetta a queste persone di fare qualche piccola attività o dei lavori socialmente utili o del volontariato”.

Pene sul territorio che vanno evidentemente organizzate, anche per quietare i timori di chi teme una ricaduta sul territorio di reiterata criminalità, perché, dice don Balducchi “il rischio aumenta se le persone non sono in grado di “reggere” economicamente…Le persone che sono in carcere, che hanno le loro responsabilità e di cui devono risponderne, sono però persone che vivono nelle nostre società. È una chiamata di corresponsabilità ad affrontare il male”.

E di “male”, chiamiamolo così, ce n’è davvero tanto. Nel loro libro ‘Viaggio nelle carcerì, Davide La Cara e Antonino Castorina descrivono così la situazione del carcere romano di Rebibbia: “Nella cella accanto dormono in undici, su una superficie che potrebbe contenerne massimo quattro, hanno risolto installando vecchi letti a castello in legno a tre piani. Vicino c’è una porta che conduce a una l’acqua per la pasta, accanto a questa, il lavandino e il water”.

Si parla di Rebibbia, ma potrebbe essere uno qualunque degli istituti di pena italiani, dove da tempo i detenuti vivono in condizioni disperate. Sono davvero tante le storie raccolte nel libro che tracciano il panorama delle carceri italiane. Un viaggio in luoghi avvilenti che denuncia le innumerevoli carenze strutturali di cui oggi soffrono gli istituti di pena italiani.

Una delle interviste di La Cara e Castorina è a Nobila Scafuro, madre di Federico Perna, morto a Poggioreale lo scorso anno a causa di un ictus, ma sulle cui cause certe di morte, c’è ancora da fare chiarezza. “Federico mi aveva raccontato di aver subito abusi sessuali, da parte delle stesse guardie carcerarie a cui avrebbe dovuto denunciare il fatto”, racconta Nobila. “Non ho mai capito perché abbia girato 9 carceri in 3 anni. Un ragazzo malato di epatite C e di cirrosi epatica, per quale motivo viene sbattuto da carcere a carcere, per andarsi a prendere altri virus?”.

Prosegue il “viaggio” dell’Osservatorio carcere Ucpi all’interno degli Ospedali psichiatrici giudiziari italiani per valutare le condizioni di vita di chi è ristretto in queste strutture ibride, a metà tra il penitenziario e il nosocomio. Antonella Calcaterra e Annamaria Alborghetti, per l’Osservatorio Carceri, insieme al Presidente della Camera Penale di Napoli Domenico Ciruzzi sono entrati nella struttura di Napoli adiacente alla casa circondariale di Secondigliano. Ancora una volta colpiscono i numeri, in particolare quelli relativi alle presenze non necessarie sotto il profilo della gravità dei reati commessi e dell’effettiva pericolosità delle persone internate che, al contrario, avrebbero necessità di essere prese in carico, come previsto dalla legge, dai servizi di cura territoriali. Ancora una volta la chiusura degli ospedali Psichiatrici Giudiziari è stata rinviata. Una nuova proroga, pochi mesi fa, ne ha stabilito la chiusura nel 2015.

Il problema, spiega l’avvocato Ciruzzi, “sono le strutture esterne esistenti solo sulla carta perché non vengono realizzate. Il problema è a monte perché si deve stabilire se queste persone hanno bisogno di cure o di detenzione, le strutture ibride non sono efficaci”.

Non si mette in dubbio la professionalità degli operatori interni e i loro sforzi anche sotto il profilo umano, ma “questo stato di cose non può continuare ad andare avanti in questo modo, è necessario applicare misure alternative, differenti a seconda del caso e ricordare che la detenzione resta sempre l’estrema ratio. La loro professionalità non può e non deve farci dimenticare quello che il dettato normativo oggi ci impone, e cioè la rigorosa ed esclusiva applicazione delle misure di sicurezza non detentive”.

Valter Vecellio

http://www.lindro.it, 7 agosto 2014

Milano: Detenuto disabile incompatibile con il Carcere. 9 mesi per trovare una soluzione


Cella carcereSecondo il Tribunale di Milano le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione, ma per il giovane romano, che vive sulla sedia a rotelle, solo ieri l’uscita da Opera. Colpa della mancanza di strutture in grado di accoglierlo e burocrazia.

Poteva essere scarcerato, ma dietro le sbarre c’è rimasto per altri nove mesi. Per la mancanza di strutture in grado di accoglierlo e per colpa della burocrazia. L.V. è un giovane romeno, che ha tentato due volte il suicidio in cella ed è semi-paralizzato. Vive sulla sedia a rotelle. Il Tribunale di sorveglianza di Milano ha stabilito, nel novembre dell’anno scorso, che le sue condizioni sono incompatibili con la detenzione.

Ma dal carcere di Opera è uscito solo ieri, quando finalmente il Comune di Milano e il garante per i detenuti sono riusciti a trovargli un posto all’Istituto Sacra Famiglia di Cesano Boscone. Il suo caso era stato denunciato dalla stesso direttore del carcere, Giacinto Siciliano, durante un’audizione alla sottocommissione carcere di Palazzo Marino: “Abbiamo percorso tutte le strade possibili perché qualche struttura esterna se ne occupi – aveva detto – ma nessuno vuole prenderlo in carico”.

Il paradosso è che quando la struttura è stata trovata, non si riusciva a farlo uscire per problemi burocratici. “L’attuale normativa prevede infatti che debba essere garantita l’assistenza sanitaria a tutte le persone detenute o sottoposte a misure alternative alla detenzione – racconta Alessandra Naldi, garante per i detenuti del Comune di Milano. Ma L.V. non è in nessuna di queste due situazioni perché il Tribunale di sorveglianza gli ha concesso il differimento pena per motivi di salute. Il differimento pena non è formalmente una misura alternativa alla detenzione, e quindi non rientra tra le situazioni in cui è esplicitamente prevista la garanzia dell’assistenza sanitaria anche ai cittadini stranieri”.

Risultato: l’Asl non concedeva la tessera sanitaria perché formalmente L.V. non era più un detenuto. Allo stesso tempo però la Sacra Famiglia non poteva ricoverarlo perché non aveva la tessera sanitaria e quindi il carcere di Opera non poteva lasciarlo libero. Un gatto che si morde la coda, insomma. La situazione si è sbloccata quando il Comune di Milano è intervenuto e ha garantito per il giovane L.V.. “È una storia che fa anche rabbia – commenta Alessandra Naldi, perché la lentezza e le incongruenze della burocrazia a volte creano situazioni paradossali. Per questo a fine giugno abbiamo istituito un tavolo con Asl, Regione, Comune e amministrazione carceraria per creare un protocollo che colmi questi vuoti che impediscono ai detenuti di usufruire di benefici di cui hanno diritto”.

Dario Paladini

Redattore Sociale, 2 agosto 2014