Spes contra spem è il docufilm presentato all’ ultima mostra del cinema di Venezia, prodotto in collaborazione con Nessuno tocchi Caino, Indexway e Radio Radicale e girato dal regista Ambrogio Crespi.
E’ un documentario sulle storie di criminali, mafiosi e camorristi, privati della libertà personale presso il carcere di Opera, ma è sopratutto un documentario sulla speranza di queste persone di immaginare ancora il proprio futuro, fuori dalle mura del carcere.
Sulla speranza di loro, intervistati, che sono condannati all’ ergastolo ostativo.
L’ ergastolo è ostativo quando sono negati i benefici e le misure alternative previste dagli articoli 17 e 22 del codice penale.
Possibilità prevista dall’ Art. 4 dell’ Ordinamento Penitenziario, “Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti”.
Un ergastolano, lo scrittore Musumeci, ha lanciato una campagna per raccogliere firme a favore di una proposta di iniziativa popolare per l’ abolizione di questo ergastolo, in virtù di quanto prescritto dall’ art. 27 della Costituzione Italiana che prevede la rieducazione del condannato come fine ultimo della pena e vieta trattamenti contrari al senso di umanità, proposta rilanciata dalla Associazione A buon diritto.
Questo docufilm prende il titolo dal VI Congresso di Nessuno tocchi Caino, tenuto nel carcere di Opera, a Milano, e il titolo è tratto dalle parole della Lettera di San Paolo ai Romani su Abramo che “ebbe fede sperando contro ogni speranza”.
Protagonisti sono i detenuti che hanno aderito a questo progetto, nove in tutto. Di età diversa. Entrati in carcere giovanissimi, sbarbati. E in carcere poi diventati anche nonni. Sono giovani nonni…
Il regista sembra che non abbia voluto sapere nulla dei reati commessi, per non essere condizionato. “Sapevo che erano persone che avevano commesso reati molto gravi, ma poco altro”.
Io preferisco chiedere invece direttamente alle persone con cui lavoro all’ interno della Casa Circondariale di Rebibbia dei loro reati proprio per abbattere questi muri….
Questa proiezione è comunque stata una esperienza straordinaria anche grazie all’ intervento del Ministro della Giustizia Orlando il quale è seriamente sensibile al tema delle carceri. Se da un lato, infatti, il docufilm, vuole fare emergere le problematiche legate alla questione dell’ ergastolo ostativo, da un altro lato vuole “semplicemente” affrontare e affronta in maniera diretta il problema delle carceri in Italia.
C’è da dire che il carcere di Opera sta diventando davvero un modello, nonostante sia un carcere di Alta Sicurezza. Ma grazie soprattutto all’ opera del Direttore Siciliano sta cambiando sostanzialmente a partire dal rapporto assistenti-detenuti.
Quello che voglio dire è che è in atto una vera trasformazione culturale, messa in atto dal Direttore. Se generalmente il rapporto “guardie”- detenuti è un rapporto basato sulla reciproca diffidenza, oggi, ad Opera, si tenta quantomeno un approccio culturale diverso, che sta portando e in parte ha già portato ad un cambiamento radicale nel rapporto tra queste due figure apparentemente incompatibili. Alla diffidenza sostanziale e solita, si è sostituito lo scambio, la confidenza.
Questo approccio diverso ha condotto ad una cultura diversa nei confronti del detenuto, grazie soprattutto al dialogo.
Il Direttore si è speso e continua ad impegnarsi affinchè questo cambiamento in atto sia soltanto l’ inizio di un cambiamento reale.
Cambiamento che è accaduto già nel detenuto stesso.
Il detenuto è cambiato, ha abbandonato per così dire, la sua parte “nera”, per usare le parole del regista, in vista un effettivo ritorno alla vita. Gli assistenti/ guardie devono, nell’ ottica del Direttore, contribuire a questo cambiamento sostanziale e reale. Ma non è semplice.
Una persona privata della sua libertà è inevitabilmente “duro”, rigido. E lo è anche per quella che è stata la sua condotta precedente, la sua vita precedente.
Questo è l’aspetto davvero fondamentale in vista della rieducazione prevista e sancita dalla Costituzione.
Nel Carcere di Opera il detenuto è davvero cambiato a partire da questa relazione altra con gli assistenti.
Oggi c’è confidenza, e i detenuti sono orgogliosi di confidarsi con loro. Confidarsi nel senso proprio di confidenza, consigli che chiedono agli assistenti stessi.
Questo emerge dalla visione stessa del docufilm.
E’ un aspetto decisivo, come si diceva, ed è la svolta che ci si aspetta da un mondo chiuso come quello dello carcere.
E’ l’ unico modo anche, ed è questa l’ idea di Crespi, per riportare effettivamente nella legalità, chi ha vissuto ai margini della società.
Il pericolo, altrimenti, è rendere ancora più pericoloso chi lo era già prima di entrare in carcere.
Pertanto la Cultura vince su tutti i fronti, intanto come unico argine contro la Mafia.
Concretamente.
Ed inoltre questo nostro docufilm lascia emergere un altro aspetto che mi sembra molto importante anche: sono i detenuti stessi che letteralmente smontano, distruggono con le loro parole, con il loro vissuto raccontando, esponendo, anche con la loro speranza di altro, di una vita diversa, il mito del criminale stesso.
È un aspetto determinante. Chi come noi racconta queste storie ne coglie appieno l’ importanza.
Il rischio è che i giovani delle periferie degradate e dimenticate, con poca o nessuna cultura, che non hanno accesso al sapere e allo studio, prendano i criminali come”modello”.
Esattamente.
Mi sembra essenziale che, grazie all’ arte, al cinema e alla cultura in generale, si possono fare dei passaggi sostanziali in vista di un reale ripensamento del sè e di reale conoscenza di se stessi, che apre nuove strade e porta ad un allontanamento vero dal rischio di emulazione della criminalità.
Le persone protagoniste del docufilm sono “pentiti dell’ anima”. Non si pongono come modelli per i ragazzi “fuori”, tutt’altro.
Non pongono più dei modelli criminali.
L’ arte, la Cultura, il cinema e anche questo docu sono “un grande lenzuolo bianco contro la Mafia” parole che Melillo, capo gabinetto del Ministro Orlando ha usato proprio per dire di questo film.
Raccontare queste storie dicevo.
Storie negative.
I detenuti che raccontano nel film, raccontano degli sbagli fatti, di non sapere cosa sia la felicità.
E’ facilmente comprensibile come queste parole pronunciate da un detenuto abbiano una forza dirompente. Ma mostrano anche l’ aspirazione e la speranza verso un cambiamento reale e profondo nella società stessa.
E’ un film in questo senso educativo che potrebbe essere proiettato anche nelle scuole.
Anche se credo non sia semplice.
Non si vuole sentire parlare di carcere e di detenuti. Ma quest’ opera ha cercato di dimostrare invece che una svolta, un cambiamento reale e radicale è possibile e concreto.
Cambiamento che è il primo obiettivo dell’ Arte e della Cultura.
La cultura o porta a un radicale mutamento o non è cultura.
Riuscire a intervenire a livello culturale al fine di riuscire a cambiare i giovani, e proporre modelli culturali differenti è un bel cambiandoti culturale anche da parte di chi progetta cultura.
É quello che tento di fare anche io con i miei laboratori integrati con i giovani studenti della facoltà di lettere e filosofia di Tor Vergata, a Roma, e i “ragazzi” reclusi presso la Casa Circondariale…
Il cinema, il teatro servono a cambiare. Assolutamente.
Noi siamo In questo senso responsabili, abbiamo il diritto e il dovere di mostrare ai giovani che esistono possibilità altre.
É l’ unico modo in cui la criminalità può essere efficacemente combattuta e marginalizzata.
É una bella scommessa.
Ma sono convinto, anche dopo aver visto questo progetto, che chi è cambiato deve poter aiutare gli altri. E non marcire in galera ad aspettare che il tempo passi.
Spes contra spem è un progetto che si radica nella storia e nella esperienza di Nessuno tocchi e dei Radicali in generale.
Ecco, Pannella è presente nel film.
E’ nel film la lettera ultima che il leader radicale ha scritto a Papa Francesco sul tema delle carceri.
L’ impegno dei Radicali in favore dei diritti dei detenuti è ben importante. All’ inizio di settembre si è tenuto il congresso straordinario all’ interno della Casa Circondariale di Rebibbia.
La scena nel docufilm è essenziale, sacra quasi.
Una cella illuminata da quattro luci, Quasi a ricreare una sacralità che in un luogo del genere, è ben davvero difficile da trovare.
I detenuti, nell’aprirsi, nel raccontarsi, si sono commossi, mi confida il regista.
Erano, sono sinceri davvero.
Distruggere la figura del criminale, è andare anche contro loro stessi, contro il loro essere stati criminali, contro l’ aver creduto in certi valori o dis-valori piuttosto che in altri.
Raccontano del loro vissuto recluso, delle loro sensazioni, emozioni.
Si sono lasciati andare.
Quando iniziano a parlare sembra che non smetteranno più.
Sono perlopiù ragazzi/uomini ai limiti dell’ analfabetismo.
Se la Cultura è davvero uno degli aspetti più importanti rispetto all’ animo, allo spirito di una persona, lo è anche e soprattutto dove è del tutto assente.
In carcere molti, quasi tutti, hanno una cultura davvero basilare. Minima.
La cultura serve a combattere sia all’ interno del mondo penitenziario, sia e soprattutto fuori, per contrastare combattere e sconfiggere i fenomeni mafiosi, la criminalità.
Dopo Cesare deve morire dei fratelli Taviani, questo tuo docufilm sul carcere. Che è un modo dal mio punto di vista di sensibilizzare la società civile rispetto ad un mondo altrimenti chiuso e dimenticato.
Questo tipo di opere serva a porre una luce diversa su un mondo che viene raccontato sempre e solo in “negativo”. Si parla di carcere solo quando un detenuto è evaso, o solo quando un detenuto è picchiato.
Questo film ne racconta in maniera positiva.
Un detenuto non è un criminale.
Se il film dei Taviani rappresenta esattamente la risposta culturale contro la criminalità stessa, questo docufilm dà voce alle loro parole.
Parole che hanno un effetto micidiale in questo racconto.
Tirare fuori un criminale in meno, è questa l’ intenzione di chi realizza progetti importanti come questo.
Giancarlo Capozzoli *
*Giornalista, regista e scrittore teatrale
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