Ergastolo ostativo, Pugiotto: Caino che si fa speranza contro ogni speranza. E’ più utile la risocializzazione che le manette


La sentenza della Corte europea dei diritti nasce dal ricorso di Marcello Viola, ergastolano ostativo ristretto a Sulmona. È grazie a lui che i giudici a Strasburgo, per la prima volta, si sono pronunciati sull’italico “fine pena mai”, condannandolo perché pena perpetua de facto non riducibile.

Pena fino alla morte, l’ergastolo ostativo è salito alla ribalta nei giorni scorsi in ragione di due decisioni. La prima, ora definitiva, è la sua condanna a Strasburgo perché nega dell’ergastolano la dignità umana, che non si acquista per meriti né si perde per demeriti.

La seconda è l’attesa sentenza della Consulta, chiamata a misurarne la conformità alla Costituzione secondo cui tutte le pene devono sempre tendere alla rieducazione e non possono mai essere inumane o degradanti. Ho riletto la (spesso sguaiatamente urlata) rassegna stampa di questi giorni, rilevandone il silenzio su un aspetto decisivo. Provo a colmare la lacuna.

La sentenza della Corte europea dei diritti nasce dal ricorso di Marcello Viola, ergastolano ostativo ristretto a Sulmona. Chiede due volte il beneficio del permesso premio, senza esito. Domanda la liberazione condizionale, senza esito. Ogni volta prospetta al suo giudice l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo, sempre senza esito. Ci sarà pure un giudice, si chiede testardamente, e lo trova: non a Berlino, ma a Strasburgo.

È grazie a lui che la Corte europea, per la prima volta, si è pronunciata su questo italico “fine pena mai”, condannandolo perché pena perpetua de facto non riducibile.

E se il legislatore non ne modificherà tempestivamente la disciplina, la natura strutturale del problema provocherà una slavina di ricorsi da parte degli attuali 1.255 ergastolani ostativi (il 70,1% dei 1.790 condannati a vita). Oggi, per gli ergastolani senza scampo, viola è il colore della speranza.

Anche Sebastiano Cannizzaro è un ergastolano ostativo, ristretto a L’Aquila, in galera da ventiquattro anni.

Gli è negata l’ammissione al permesso premio, prima dal magistrato e poi dal tribunale di sorveglianza. Gli stessi respingono anche l’ipotesi di un’impugnazione costituzionale della legge che vieta ogni beneficio penitenziario a chi non collabora con la giustizia. Ricorre allora in Cassazione che, finalmente, solleva la quaestio. Si deve alla sua cocciutaggine se, il 22 ottobre prossimo, la Consulta sarà chiamata a misurare la conformità dell’ergastolo ostativo alla Costituzione.

Tutto ciò ci racconta del protagonismo di Caino nel rimettere sui binari di una ritrovata legalità non solo sé stesso, ma l’intero ordinamento.

La cella di un condannato, addirittura a vita, è l’ultimo posto dove si poteva immaginare di avviare una simile rivoluzione copernicana. Invece, è proprio da lì che tutto nasce, grazie all’uso del diritto (lex) in funzione dei diritti (jura), adoperato da chi pure il diritto e i diritti ha calpestato in passato.

Non sono casi così a testimoniare la metanoia del reo? Le molteplici definizioni che la Corte costituzionale ha dato della finalità rieducativa della pena convergono, tutte, nella necessità di favorire il recupero del reo ad una vita nella società, rispettosa dell’ordinamento democratico configurato in Costituzione. Di ciò, quale segnale è più tangibile che quello di Caino che sostituisce alla violenza l’arma nonviolenta del diritto?

Si badi. La Corte europea non ha riconosciuto a Viola alcuna somma a titolo di indennizzo. E se la Consulta gli darà ragione, Cannizzaro non tornerà libero: potrà solo domandare al suo giudice se la sua condotta carceraria e l’assenza di pericolosità sociale giustificano la concessione di un permesso di qualche ora, dopo un quarto di secolo di galera. Entrambi, dunque, hanno agito non tanto per interesse individuale, ma nell’interesse generale o, perlomeno, di tutti quelli che ancora pensano che l’unica pena giusta sia quella conforme a Costituzione.

Spes contra spem, Caino che si fa speranza contro ogni speranza: questo è accaduto. È una buona notizia: a impedire la recidiva e a proteggere la società, infatti, è più utile la risocializzazione che le manette.

Andrea Pugiotto (Professore di Diritto Costituzionale all’Università di Ferrara)

Il Manifesto, 16 ottobre 2019

Burić (Segretario Coe) al Ministro Bonafede “Nessuna scarcerazione automatica per gli ergastolani ostativi”


Nel quadro della Conferenza dei Ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa a Strasburgo, Marija Pejčinović Burić, Segretario Generale del Consiglio d’Europa (la principale organizzazione internazionale a difesa dei diritti umani e dello stato di diritto), ha incontrato il Ministro della Giustizia italiano Alfonso Bonafede.

Nell’incontro, la Buric, ha spiegato a Bonafede che : “La sentenza della Corte di Strasburgo sull’ergastolo ostativo, non significa che il detenuto deve essere rilasciato automaticamente. Spetta alle Autorità nazionali valutare caso per caso e decidere in ogni situazione come reagire e dare esecuzione alla sentenza. Capisco benissimo che la decisione della Corte sia difficile da comprendere nel Paese che ha sofferto cosi tanto a causa della mafia”, aggiungendo che l’Italia “ha il nostro pieno appoggio nella lotta alla mafia”.

Quanto a Bonafede, il Ministro ha ribadito che “la posizione dell’Italia su questa sentenza è nota a tutti, c’è una non condivisione della decisione presa dalla Corte di Strasburgo. Riguardo a quanto l’Italia farà, io non voglio scavalcare il Parlamento italiano e so che le forze politiche hanno già reso nota la loro posizione che e’ praticamente unanime” ha aggiunto il Ministro della Giustizia. “Era mio dovere incontrare il Segretario Generale del Consiglio d’Europa e farle presente la posizione dell’Italia e le preoccupazioni del Paese per questa decisione”.