Vibo Valentia, per la Cassazione lo Stato è responsabile del suicidio del detenuto Giofrè


La Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro nella vicenda che riguarda un detenuto vibonese che nel giugno del 2008 aveva “annunciato” il suicidio in cella.

Oltre un milione di euro di risarcimenti danni. E’ ciò che il Ministero di Giustizia rischia di pagare per la morte di Salvatore Giofrè, il bracciante agricolo di San Gregorio d’Ippona che nella notte tra il 27 e il 28 giugno del 2008 si impiccò nella cella n. 3 del Reparto Nuovi Giunti della Casa Circondariale di Vibo Valentia dopo aver dichiarato la propria intenzione di suicidarsi. Nonostante la gravità della situazione, Giofrè non fu sottoposto a nessuna vigilanza speciale. I suoi familiari (rappresentati dagli avvocati Nicola D’Agostino, Giuseppe Di Renzo e Nazzareno Rubino) hanno quindi denunciato il Ministero per omessa vigilanza. L’iter processuale è giunto fino alla Corte di Cassazione e proprio nelle ultime ore la terza sezione ha annullato la sentenza emessa in secondo grado che di fatto assolveva da ogni responsabilità il Ministero della Giustizia rinviando gli atti nuovamente alla Corte d’Appello di Catanzaro per un nuovo giudizio in diversa composizione.

L’iter giudiziario. In primo grado il Tribunale di Catanzaro, con sentenza dell’ottobre del 2013, aveva dapprima colto la domanda presentata dai familiari condannando il Ministero a pagare, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, una cifra di oltre un milione di euro. La Corte d’Appello, adita dallo stesso Ministero, aveva però ribaltato il verdetto ritenendo “non fosse né prevedibile, né prevenibile di guisa che il nesso causale tra il comportamento dell’Amministrazione Penitenziaria e la morte di Giofrè doveva ritenersi interrotto dall’eccezionalità dell’evento”. Secondo i giudici il detenuto sarebbe stato sottoposto al regime di “grande sorveglianza”, ovvero guardato a vista ogni 20 minuti.

Annullamento con rinvio. La Corte di Cassazione ha però dato ragione ai familiari della vittima sostenendo che “la situazione del Giofrè, nonostante i dichiarati intenti suicidari, fu grandemente sottovalutata dal personale dell’istituto penitenziario il quale omise di disporne la restrizione in “comune”, nonostante il giudice di sorveglianza avesse disposto in tale senso ed omise altres^ un “controllo a vista” quale sarebbe stato richiesto a seguito delle dichiarazioni suicidarie del Giofrè”. Accolto quindi il ricorso dei familiari, si ripartirà dalla Corte d’Appello di Catanzaro che, in diversa composizione, dovrà prendere atto delle osservazioni messe nero su bianco dai giudici della Suprema Corte.

Sulla questione, all’epoca dei fatti, ci fu anche un Procedimento Penale, conclusosi con l’archiviazione disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Vibo Valentia su conforme richiesta della locale Procura della Repubblica.

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