Magi e Capano (Radicali) : “Garante Detenuti abbia ruolo in procedura applicazione Tso”


riccardo-magi-segretario-radicali-italianiSi è svolto oggi a Roma un incontro tra il Movimento Nazionale dei Radicali Italiani ed il Collegio del Garante Nazionale dei Diritti dei Detenuti composto da Mauro Palma, da Emilia Rossi e da Daniela De Robert. Al centro dell’incontro le prospettive di riforma della procedura di applicazione del trattamento sanitario obbligatorio, in direzione di un aumento della tutela dei pazienti e della previsione di un ruolo dello stesso Garante Nazionale, secondo le linee di intervento di cui Radicali Italiani è portatore.

“Ringraziamo il Presidente Palma e le dottoresse Rossi e De Robert”, dichiarano il segretario di Radicali Italiani Riccardo Magi e il tesoriere Michele Capano. “Il Collegio, come da mandato normativo, estende il suo ruolo alla verifica non solo delle condizioni di internati e detenuti, ma anche dei migranti ristretti nei Cie e da rimpatriare, come delle migliaia di persone che, pazienti psichiatrici, sono sottoposti a misure di sicurezza o al Tso. L’efficacia di questa attività di monitoraggio risiede anche nella capacità di “fare rete” con i Garanti Regionali: occorre dunque che per un verso Liguria, Basilicata e Calabria – che mancano all’appello – si dotino finalmente della figura, per l’altro che tutte le Regioni intendano il ruolo come relativo non ai soli detenuti, ma alla generalità delle persone in condizioni di restrizione della libertà personale. Abbiamo proposto al Garante un’ “anagrafe” dei luoghi di restrizione, affinché anche l’arcipelago di strutture sanitarie e socio-sanitarie dove i pazienti psichiatrici si trovano in condizione di “libertà vigilata” siano noti, controllabili, visitabili”, concludono Magi e Capano.

Ispezione dei Radicali nel Carcere di Cosenza: 286 detenuti per 218 posti. Affollamento del 131,19%


Delegazione CC CosenzaNella festività del Santo Natale, una delegazione dei Radicali Italiani, autorizzata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, si è recata presso la Casa Circondariale di Cosenza “Sergio Cosmai” diretta dal Direttore Filiberto Benevento per accertare le condizioni di detenzione dei detenuti ed anche quelle di lavoro del personale di Polizia Penitenziaria.

La Delegazione visitante, composta da Emilio Enzo Quintieri, Valentina Moretti e Roberto Blasi Nevone, è stata ricevuta ed accompagnata nel giro ispettivo, dal Commissario Davide Pietro Romano, Comandante di Reparto della Polizia Penitenziaria.

Attualmente, nello stabilimento penitenziario cosentino, a fronte di una capienza regolamentare di 218 posti, sono ristrette 286 persone detenute, 58 delle quali straniere. 3 sono i detenuti in semilibertà che, al momento della visita, erano in licenza premio, concessa dal Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Paola Lucente. Ci sono 147 Poliziotti Penitenziari, 23 dei quali addetti al Nucleo Traduzioni e Piantonamenti mentre la pianta organica ne prevede 165. Mancano 1 Commissario, 5 Ispettori e 13 Sovrintendenti. Carente anche i Funzionari della professionalità giuridico pedagogica. Dovrebbero esserci 6 Educatori ma ne sono effettivamente in servizio soltanto 4.

Ai detenuti dell’Alta e della Media Sicurezza, la Direzione dell’Istituto, ha concesso di trascorrere gran parte della giornata in “socialità” per pranzare insieme tra di loro in occasione del Natale. Tutto si è svolto secondo quanto stabilito, non ci sono stati problemi di alcun genere. Precedentemente, invece, vi erano stati dei “contrasti” tra la popolazione detenuta ed in particolare tra gli italiani ed i marocchini che hanno costretto il Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria per la Calabria ad intervenire, anche col trasferimento immediato di alcuni detenuti in altri stabilimenti calabresi (Paola, Rossano, etc.).

Nella Casa Circondariale di Cosenza, da poco tempo, grazie all’interessamento degli esponenti radicali Quintieri e Moretti, è stato aperto uno Sportello di Assistenza Fiscale e Patronato gestito da Confagricoltura Cosenza a disposizione dei detenuti, dei Poliziotti Penitenziari e delle rispettive famiglie e nei prossimi giorni, nell’ambito del progetto “Officina Mente e Corpo” verrà finalmente aperta e resa fruibile alla popolazione detenuta anche la palestra che sarà gestita dal Centro Sportivo Scorpion Health Club con la supervisione degli Istruttori Roberto Blasi Nevone e Francesco Iacucci. Per il 2017 il Centro Sportivo Scorpion Health Club ha regalato 200 tessere Acsi sport alla Casa Circondariale di Cosenza che prevedono anche la copertura assicurativa per i detenuti durante l’esercizio dell’attività sportiva.

A breve, dovrebbero partire, anche i lavori di rifacimento dell’area verde esterna per i colloqui con i bambini nonché il rifacimento del campo sportivo che sarà sostituito da due campi di calcetto con una pista di atletica leggera, progetti presentati dalla Direzione ed entrambi finanziati con i fondi della Cassa delle Ammende del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Radicali in visita al Carcere di Paola, al terzo posto in classifica tra quelli sovraffollati in Calabria


casa-circondariale-di-paola-2Sono 231 i detenuti che, attualmente, ospita la Casa Circondariale di Paola, a fronte di una capienza regolamentare di 182 posti (49 in eccesso). 134 dei ristretti sono italiani (di cui 2 Alta Sicurezza in attesa di trasferimento ad altro Istituto) e 97 sono quelli di nazionalità straniera. Lo dichiara Emilio Enzo Quintieri, esponente dei Radicali Italiani, all’esito della visita effettuata la vigilia di Natale, nello stabilimento penitenziario tirrenico.

Nonostante sia una Casa Circondariale con delle Sezioni di Reclusione, la maggior parte dei detenuti ha una posizione giuridica di condannato definitivo (178 di cui 2 As). 21 sono gli imputati in attesa di primo giudizio, 16 gli appellanti e 16 i ricorrenti. A 18 dei condannati definitivi che hanno tenuto una buona condotta, il Magistrato di Sorveglianza di Cosenza Paola Lucente, ha concesso un permesso premio di trascorrere le festività all’esterno dell’Istituto Penitenziario. Circa la metà dei permessanti è costituita dai detenuti del padiglione a custodia attenuata.

La Delegazione Radicale, autorizzata da Roberto Calogero Piscitello, Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia, era composta da Emilio Enzo Quintieri, Valentina Moretti, Roberto Blasi Nevone e dall’Avvocato Carmine Curatolo del Foro di Paola.

La Casa Circondariale di Paola con i suoi 49 detenuti in eccesso rispetto alla capienza regolamentare si pone al terzo posto tra gli Istituti Penitenziari sovraffollati della Calabria (7 su 12), preceduta dalle consorelle “Sergio Cosmai” di Cosenza e “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria. A Paola, l’indice di sovraffollamento è del 125,82 % con una grave carenza di organico di Polizia Penitenziaria e di Funzionari Giuridico Pedagogici. Infatti, pur essendo presenti 103 unità di Polizia Penitenziaria a fronte di una pianta organica che ne prevede 113, mancano 2 Commissari, 7 Ispettori ed 11 Sovrintendenti. Sono il ruolo degli Agenti/Assistenti è al completo perché, rispetto ad un’organico di 84 unità, nel Reparto di Paola ve ne sono in servizio 94. Per quanto riguarda invece gli Educatori, a fronte di una pianta organica di 6 unità, sono in forza nell’Istituto soltanto 3 Funzionari.

La Delegazione visitante, accolta ed accompagnata durante il giro ispettivo dai sottufficiali di Polizia Penitenziaria Ercole Vanzillotta e Attilio Lo Bianco, ha avuto modo di apprendere anche notizie relative alla morte del detenuto marocchino Youssef Mouhcine avvenuta la fine del mese di ottobre e finita, più volte, all’attenzione del Governo grazie a delle Interrogazioni Parlamentari presentate alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica. Intanto non corrisponde al vero che lo stesso si trovasse in isolamento poiché era allocato nella Prima Sezione, a piano terra, nella camera detentiva n. 17, attualmente sottoposta a sequestro giudiziario. Per quanto riferito Mouhcine si trovava da solo in cella ed è stato trovato morto sul letto, ricoperto dal lenzuolo e dalla coperta, insieme ad una bomboletta di gas e ad un sacchetto di plastica. Relativamente alla questione della sepoltura nel Cimitero di Paola pare che l’Amministrazione Penitenziaria abbia proceduto poiché i congiunti dello straniero avevano detto all’interprete che non erano nelle condizioni di poter affrontare le spese per il funerale. I familiari, invece, negano tale circostanza. Saranno le Autorità competenti a chiarire l’esatta dinamica del decesso e tutto il resto.

Rispetto alla mancanza dei Mediatori Culturali per gli stranieri lamentata nell’ultima visita del 24 settembre, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, ha precisato che la Direzione dell’Istituto provvederà a breve alla realizzazione di un protocollo di intesa con Associazioni varie che forniscano oltre all’attività di mediazione culturale, anche un approfondimento su ulteriori aspetti, quali, ad esempio, l’apprendimento della lingua italiana da parte dei detenuti arabi e viceversa, per i detenuti italiani, affinché la popolazione detenuta possa intraprendere un valido e fattivo percorso di coesione interculturale che possa rendere la vita degli stessi più consona a quelle che sono le regole del sistema penitenziario.

In ordine, invece, alla possibilità di applicazione del modello operativo della c.d. “sorveglianza dinamica” presso l’Istituto di Paola, la Direzione ha reso noto che la stessa potrebbe trovare attuazione apportando modifiche strutturali ad hoc, così come già proposto con apposita progettualità avanzata al Dipartimento. A tal riguardo, non essendo noti gli esiti di tale iniziativa al Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, quest’ultimo provvederà ad effettuare ulteriori verifiche per conoscere quale sia a tutt’oggi il relativo stato dell’arte.

Quanto alle problematiche sanitarie lamentate dalla Delegazione Radicale, è stato riscontrato che i detenuti bisognosi di accertamenti specialistici extramoenia, dopo una lunga attesa, sono stati finalmente tradotti e sottoposti alle visite oncologiche e neurochirurgiche di cui necessitavano.

Questo pomeriggio, gli esponenti dei Radicali Italiani, visiteranno anche la Casa Circondariale di Castrovillari “Rosetta Sisca” che, allo stato, è l’unico Istituto Penitenziario nel territorio della Provincia di Cosenza a non essere colpito dal problema del sovraffollamento (capienza regolamentare 122, detenuti presenti 110).

Visita dei Radicali al Carcere di Vibo Valentia, domani ispezione al “Salsone” di Palmi


Casa Circondariale di Vibo ValentiaProsegue l’attività ispettiva dei Radicali Italiani nelle strutture penitenziarie della Calabria. Nella giornata di ieri una delegazione composta da Emilio Enzo Quintieri e Valentina Moretti, ha fatto visita alla Casa Circondariale di Vibo Valentia ove è stata accolta dal Direttore Mario Antonio Galati e dal Comandante di Reparto della Polizia Penitenziaria Commissario Domenico Montauro. Nel complesso penitenziario vibonese, a fronte di una capienza regolamentare di 407 posti, erano ristrette 355 persone detenute, 59 delle quali di nazionalità straniera.

Dopo un lungo colloquio col Direttore Galati e col Comandante Montauro, gli esponenti del Movimento Radicale, si sono recati all’interno degli spazi detentivi per accertare le condizioni di detenzione, visitando tutti i detenuti appartenenti ai Circuiti dell’Alta e della Media Sicurezza presenti in Istituto. Nel corso della visita sono state diverse le lamentele provenienti dai ristretti, più che altro afferenti problematiche di natura sanitaria come il mancato rilascio, in tempi ragionevoli, del proprio diario clinico oppure la mancata effettuazione di visite specialistiche intra ed extra moenia dai medici dell’Azienda Sanitaria Provinciale.

Altre rimostranze della popolazione detenuta hanno riguardato la gestione e conduzione dell’Istituto da parte del Direttore e del Comandante ritenuta particolarmente “rigida”, rappresentando che, per tale motivo, hanno compiuto una manifestazione di protesta collettiva. Sul punto, la delegazione, dopo aver assunto informazioni ed ascoltato anche le risposte dei vertici dell’Istituto, effettuerà degli approfondimenti e relazionerà al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Santi Consolo, al Provveditore Regionale Reggente per la Calabria Cinzia Calandrino, al Magistrato di Sorveglianza di Catanzaro Giuseppe Neri ed al Garante Nazionale dei Diritti dei Detenuti Mauro Palma.

Per quanto riferito, ci sarebbero ancora problemi per la scarsità d’acqua, calda e fredda, che comporta seri disagi a tutti i detenuti. Prossimamente, grazie ad un finanziamento concesso dal Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, verrà sistemato l’impianto che produce l’acqua calda e le relative condotture. Inoltre, a breve, verrà aperta l’area verde esterna per i colloqui dei detenuti con i bambini o le persone anziane, realizzata grazie ad un finanziamento della Cassa delle Ammende. Alla realizzazione dell’opera hanno contribuito anche i detenuti della Casa di Reclusione “Luigi Daga” di Laureana di Borrello, recentemente convertita ad Istituto a Custodia Attenuata. La Direzione di Vibo Valentia, infine, si sta attivando per individuare uno spazio da destinare a palestra per lo svolgimento di attività sportiva.

Domani, venerdì 23 dicembre alle ore 16, una delegazione composta oltre da Quintieri e Moretti anche dagli Avvocati Nicola Galati del Foro di Palmi e Sebastiano Brancati del Foro di Locri, farà visita alla Casa Circondariale “Filippo Salsone” di Palmi, guidata dal Direttore Romolo Pani e dal Comandante di Reparto della Polizia Penitenziaria Commissario Paolo Cugliari. Sabato 24 e domenica 25 i Radicali Italiani proseguiranno con le visite alle Carceri di Paola e di Cosenza.

Radicali: in Calabria 7 carceri su 12 sono sovraffollate. Ai primi posti Reggio Calabria, Cosenza e Paola


delegazione-radicaleAnche quest’anno, come da tradizione, durante le prossime festività visiteremo con attenzione gran parte degli Istituti Penitenziari della Calabria. Mercoledì 21 inizieremo dalla Casa Circondariale di Vibo Valentia, venerdì 23 saremo a Palmi, sabato 24 a Paola, domenica 25 a Cosenza, martedì 27 a Castrovillari, venerdì 30 a Catanzaro e sabato 31 alla Casa di Reclusione di Rossano. Lo dichiara Emilio Enzo Quintieri, già membro del Comitato Nazionale dei Radicali Italiani, a capo delle delegazioni visitanti autorizzate dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Attualmente, nei 12 Istituti Penitenziari della Calabria, a fronte di una capienza regolamentare di 2.661 posti, sono ristretti 2.702 detenuti (43 donne), 542 dei quali sono di nazionalità straniera (20.06%). 25 sono i semiliberi, 1 dei quali straniero. Quindi, apparentemente, vi sarebbero soltanto 41 detenuti in esubero. Ma non è proprio così poiché, dalla capienza generale regionale, bisogna togliere altri 223 posti che non sono disponibili ed utilizzabili. Per cui, allo stato, sono 264 i detenuti in eccesso e quelli che sono coinvolti nel sovraffollamento, cioè quelli che sono ristretti in carceri sovraffollate, sono 1.637, quindi il 60,58% del totale dei detenuti presenti. L’indice di affollamento è del 101.54%.

Oltre la metà delle nostre Carceri  e per la precisione 7 su 12 sono sovraffollate. Al primo posto c’è la Casa Circondariale “Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria col 140,76% di sovraffollamento (capienza 184, detenuti presenti 259, 75 in esubero); a seguire la Casa Circondariale “Sergio Cosmai” di Cosenza col 131,19% (capienza 218, detenuti presenti 286, 68 in esubero); la Casa Circondariale di Paola col 125,82% (capienza 182, detenuti presenti 229, 47 in esubero); la Casa Circondariale “Filippo Salsone” di Palmi col 123,68% (capienza 152, detenuti presenti 188, 36 in esubero); la Casa Circondariale di Arghillà di Reggio Calabria col 109,06% (capienza 302, detenuti presenti 331, 29 in esubero); la Casa Circondariale di Crotone col 104,17% (capienza 120, detenuti presenti 125, 5 in esubero) e la Casa di Reclusione di Rossano col 101,86% (capienza 215, detenuti presenti 219, 4 in esubero). Negli altri 5 penitenziari calabresi (CC di Locri, Castrovillari, Vibo Valentia, Catanzaro e C.R. di Laureana di Borrello) non vi sono problemi di sovraffollamento.

Ma non è solo il sovraffollamento il problema che affligge il sistema penitenziario regionale perché a questo deve aggiungersi anche la gravissima carenza di personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che oltre a limitare fortemente le attività trattamentali intramurali comporta anche rilevanti problemi di gestione degli Istituti. Rispetto ad una pianta organica, divisa per ruoli, che prevede 1.441 unità di Polizia Penitenziaria, sono effettivamente in servizio 1.398 unità. Anche in questo caso, apparentemente, la carenza di organico (43 unità) sarebbe del tutto irrisoria ed invece tale problematica è molto più importante, grave e complessa. Infatti, mancano 11 Commissari, 74 Ispettori e 93 Sovrintendenti. Ci troviamo solo 43 unità mancanti perché vi sono in servizio 135 unità del ruolo Agenti/Assistenti rispetto a quelli previsti dalla pianta organica che distorcono quella che è la statistica “reale”.

Fatto ancora più grave, degno di nota, è che in Calabria, da oltre 6 anni, manca il Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria. Dopo il suicidio di Paolo Quattrone, il Ministro della Giustizia che procede su proposta del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria, non ha più nominato un Dirigente Generale in pianta stabile a capo del Provveditorato calabrese. Attualmente, la reggenza del Provveditorato per la Calabria con sede in Catanzaro, è stata assegnata alla Dott.ssa Cinzia Calandrino, che ricopre l’incarico di Provveditore Regionale per il Lazio, l’Abruzzo ed il Molise.

All’esito delle ispezioni, oltre a relazionare in merito al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, alla Magistratura di Sorveglianza competente ed al Garante Nazionale dei Diritti dei Detenuti presso il Ministero della Giustizia, solleciteremo anche la presentazione di una dettagliata Interrogazione Parlamentare sul “Caso Calabria” al Governo Gentiloni affinché vengano presi gli opportuni provvedimenti per risolvere le gravi problematiche che affliggono il sistema penitenziario calabrese.

Le Delegazioni visitanti, autorizzate dal Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento dell’Amministrazione Penitenziaria Roberto Calogero Piscitello, su disposizione del Capo del Dipartimento Santi Consolo, oltre da Quintieri, saranno composte da Valentina Moretti, Maria Ferraro, Ercole Blasi Nevone, Manuel Pisani, Annabianca Iero e dagli Avvocati Sebastiano Brancati del Foro di Locri, Nicola Galati del Foro di Palmi e Carmine Curatolo del Foro di Paola.

Trento, detenuto trovato impiccato in cella. Gli Agenti Penitenziari : “Niente medici di notte”


Carcere di Trento“Un detenuto che si toglie la vita in carcere è sempre una sconfitta per lo Stato”. Le parole di Donato Capece, segretario generale del Sappe (sindacato autonomo polizia penitenziaria) danno il senso di quello che sta vivendo il personale del carcere di Trento, dell’amarezza e dell’impotenza degli agenti della polizia penitenziaria in servizio a Spini, un edificio modernissimo, aperto solo sette anni fa, ma che paga la cronica carenza di personale.

La scorsa notte c’era un solo agente per coprire quattro posti di servizio. Non c’era alcun medico o infermiere. La cella dell’infermeria dove era detenuto il trentacinquenne Luca Soricelli, della Bassa Vallagarina era stata controllata da poco. Il tempo di finire il giro di verifiche, ma quando l’agente è tornato ha trovato l’uomo impiccato al cancello della cella.

La chiamata disperata ai sanitari del 118 e i tentativi da parte del personale in servizio di rianimare il trentenne non sono bastati a salvarlo. Per lui non c’era purtroppo nulla da fare. L’uomo (di cui omettiamo il nome per rispetto della famiglia ndr) era stato arrestato lunedì notte dai carabinieri per l’incendio appiccato al distributore di benzina di via Cavour a Rovereto. Un gesto di follia. Quando i carabinieri lo avevano fermato l’uomo era stato trovato in stato confusionale e poco lucido.

Il trentacinquenne pochi minuti prima aveva pagato di tasca propria 150 euro di benzina, poi aveva cosparso il carburante le pompe di benzina del distributore Eni-Agip e aveva appiccato il fuoco. Le fiamme in una manciata di secondi avevano giù lambito le due pompe ed erano arrivati fino al tetto della pensilina. Era stato uno dei gestori, che abita poco distante, il primo ad accorrere, nel cuore della notte, per tentare di spegnere con l’estintore l’incendio. Ha scaricato sei estintori sulle fiamme, poi l’intervento dei vigili del fuoco aveva scongiurato il peggio, ma i danni sono comunque ingenti.

Nella prima stima si era parlato di circa 80.000 euro. L’uomo, che pare abbia alle spalle da anni problemi di natura psicologica, non aveva saputo giustificare il suo gesto neppure davanti al giudice Carlo Ancona durante l’udienza per direttissima. Non aveva proferito parola. Per lui si erano aperte le porte del carcere. Il medico che l’aveva visitato aveva infatti ritenuto le condizioni del trentacinquenne compatibili con il regime carcerario.

Era stato portato a Spini di Gardolo e messo nella cella dell’infermeria insieme ad un altro detenuto, ma l’uomo non ce l’ha fatta. Tre giorni dopo il suo ingresso nella casa circondariale, colto dalla disperazione, ha deciso di farla finita. Una tragedia immensa che ha colpito tutti ieri. “Un dramma che deve far riflettere” commentano i sindacati di polizia che in una nota unitaria dell’Uilpa, Sinappe, Fns Cisl, Uspp, Cgil, al Provveditorato regionale un intervento urgente e il distacco di 20 agenti da destinare al carcere di Trento, da tempo sotto organico.

I detenuti a Trento attualmente sono 337 a fronte di un organico di 214 agenti, ma gli effettivi sono di fatto sono solo 108 e di questi molti vengono impiegati per i piantonamenti all’ospedale. Il Sappe parla di una vera e propria “emergenza”.

La scorsa notte doveva esserci qualcuno a sorvegliare il trentacinquenne, ma l’agente incaricato doveva coprire quattro posti contemporaneamente. Pochi minuti di assenza e la tragedia. È il terzo suicidio in sette anni che accade nel carcere di Trento. “Quanto accaduto ci deve far riflettere” commenta il consigliere provinciale del Pd Mattia Civico che ha presentato un disegno di legge per istituire la figura del garante del detenuto a Trento, una proposta che dovrebbe andare in commissione consiliare nei prossimi mesi.

“È una battaglia che porto avanti da sette anni – spiega – al di là del caso specifico bisogna rendere il carcere un luogo aperto, va reso una parte della comunità, ci vogliono strumenti, risorse e sguardi positivi, altrimenti diventa un luogo di disperazione e invece deve essere un luogo di rinascita”. Intanto sul caso scoppiato nei giorni scorsi e sulle accuse del garante nazionale dei diritti dei detenuti contenuti in un rapporto nel quale viene denunciata la presenza di una “stanza delle percosse”, la Procura, che dopo l’esposto aveva aperto un’indagine, ha chiesto l’archiviazione del fascicolo, ritenendo le accuse infondate. Ma il garante ha presentato opposizione al decreto. Ora si attende l’udienza davanti al gip.

Dafne Roat

Corriere del Trentino, 18 dicembre 2016

Polidoro (Camere Penali) : Orlando è l’unico Ministro ad esser impegnato sulle Carceri


avv-riccardo-polidoroNonostante non vi sia stato un concreto mutamento va riconosciuto all’attuale Guardasigilli di avere posto le basi per un possibile cambiamento culturale. Il 30 novembre, l’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali ha visitato la Casa circondariale di Sollicciano a Firenze. Tornava nell’istituto dopo esserci stato il 6 maggio 2015. Un disastro. Al peggio, è vero, non c’è mai fine.

L’Istituto fu aperto nel 1983. Progettato con velleità artistiche e con grandi ambizioni, avrebbe dovuto ricordare la forma di un giglio, simbolo della città di Firenze, ed ispirarsi all’idea del carcere città, con ampi spazi aperti destinati alle attività ricreative e trattamentali. Ma questa originaria ispirazione illuminata fu abbandonata ancor prima del collaudo, perché ritenuta incompatibile con le concrete esigenze di sicurezza.
Dopo poco più di trenta anni, oggi il muro di cinta è inagibile, vi sono infiltrazioni d’acqua dalla copertura e dappertutto. All’emergenza strutturale si aggiunge il sovraffollamento che non lascia ai detenuti quello spazio vitale e quel minimo di decenza indicato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Apprendere, dopo pochi giorni, che il Presidente del Consiglio ha rassegnato le sue dimissioni, che si è aperta un’ennesima profonda crisi istituzionale, che è stato conferito un nuovo mandato per un Governo di “scopo”, mentre in Parlamento giace la riforma dell’Ordinamento Penitenziario, lascia cadere anche quel minimo di speranza che si poteva nutrire per l’affermazione di diritti da tempo cristallizzati nella Carta Costituzionale.
Intendiamoci, non era la riforma che avrebbe potuto creare aspettative reali – da oltre 40 anni, infatti, molte delle norme in materia non vengono rispettate – ma l’impressione era che finalmente se ne parlasse in termini diversi, come se si fossero compresi valori, principi ed idee sino ad oggi del tutto trascurati.

Nonostante non vi sia stato, infatti, un concreto e sostanziale mutamento delle condizioni di detenzione e Sollicciano ne è la prova, va riconosciuto all’attuale Ministro della Giustizia di avere posto le basi per un possibile mutamento culturale in ordine alle innumerevoli problematiche che affliggono l’esecuzione penale. Un percorso difficile e lungo, appena iniziato e che aveva trovato, negli Stati Generali, la rotta da seguire.
Nessun Ministro aveva, in precedenza, dedicato tanto impegno all’impopolare tema del carcere, nel tentativo di trovare soluzioni praticabili per porre fine agli abusi che l’Europa ci ha contestato. Un solitario impegno istituzionale che aveva finalmente dato ascolto alla voce, o meglio al grido di dolore, dei radicali, delle associazioni e, fra gli addetti ai lavori, degli Avvocati che da sempre hanno denunciato la violazione di diritti fondamentali. In un recente convegno il Ministro ha manifestato la sua “frustrazione” per non vedere ancora presi in considerazione i lavori degli Stati Generali. Delusione che è anche delle oltre 200 persone che all’iniziativa hanno partecipato, mossi esclusivamente da una sana passione civile.
Cosa accadrà ora ? Il vento che spira non è favorevole. La politica internazionale sta percorrendo mari impraticabili per il debole vascello dei diritti dei detenuti, che, appena restaurato e messo a mare, rischia di naufragare ancora.

Riccardo Polidoro, Avvocato, Responsabile Osservatorio Carcere Unione Camere Penali Italiane

Il Dubbio, 15 dicembre 2016

Taranto, 8 medici indagati per omicidio colposo del detenuto Antonio Fiordiso


Carcere di TarantoAntonio Fiordiso, 32 anni, è morto in carcere un anno fa, l’8 dicembre 2015. Rigettando la richiesta di archiviazione della procura, il gip chiede di effettuare ulteriori indagini sulla sua morte. Sono otto gli iscritti al registro degli indagati per la morte di Antonio Fiordiso, morto in carcere un anno fa, l’8 dicembre 2015.
Sono i medici che erano di guardia presso l’ospedale di Taranto quella maledetta notte in cui Antonio morì, ridotto ad un fantasma, immerso nelle sue feci: A. S., 34 anni di Lizzano; A. M., 43 anni di Terlizzi (Ba); N. M., 50 anni di Taranto; F. S., 39 anni di Conversano; O. B., 36 anni di Pulsano; B. P. 38 anni di Locorotondo; e gli psichiatri O. N. 47 anni di Noci e M. M., 34 anni di Lizzano, tutti indagati per avere, per ragioni in corso di accertamento, causato per negligenza, imperizia e imprudenza e con violazione delle leges artis, la morte di Antonio Fiordiso.
La sostituta procuratrice della Repubblica Maria Grazia Anastasia ha anche disposto “accertamenti tecnici irripetibili”, come aveva richiesto il giudice delle indagini preliminari Pompeo Carriere, accogliendo la richiesta di Oriana Fiordiso, zia di Antonio e sua unica parente.
La Procura ha nominato i consulenti Alberto Tortorella, medico legale e Salvatore Silvio Colonna, anestesista rianimatore. Per Paolo Vinci, avvocato della zia di Antonio, tra i maggiori esperti italiani di malasanità, è una “bella pagina della Giustizia coniugata con la Verità, la cui ricerca deve essere sempre perseguita e mai sottesa”.
Infatti il pm Lelio Festa, chiedendo l’archiviazione aveva rilevato una “insussistenza di profili di responsabilità penale” nella condotta del personale sanitario e della sorveglianza coinvolti. Invece il gip ha disposto la prosecuzione delle indagini, perché il pm “avrebbe dovuto disporre la riesumazione della salma e un esame autoptico urgente”, come aveva chiesto, inascoltata, la zia nella sua denuncia all’indomani della morte del nipote.
Nel caso poi che l’autopsia sia impraticabile, si procederà ad una perizia medico-legale “di scienza” che accerti le cause della morte.
Il gip inoltre, rigettando la richiesta di archiviazione del pm, ha disposto che vengano sentiti i detenuti, il personale penitenziario e il personale dell’ospedale SS. Annunziata e Moscati di Taranto, dove fu ricoverato Antonio, ormai quasi incosciente, disidratato e denutrito.
Antonio Fiordiso aveva 32 anni, una vita ai margini, abbandonato dalla madre e con il padre che, con problemi psichiatrici ed entrando e uscendo per piccoli reati dal carcere, aveva condannato il figlio alla stessa vita. Antonio aveva sempre goduto di ottima salute, arrestato per piccoli furti, non aveva mai fatto uso di droghe pesanti. Poi la situazione nel carcere di Lecce precipita e in tre mesi Antonio, prima trasferito ad Asti, comincia ad essere spostato in altri istituti di detenzione e ospedali.
La zia, quando lo rivede dopo tre mesi in cui nessuno le aveva comunicato, nonostante numerose richieste, dove lo stessero trasferendo, si ritrova davanti ad un simulacro d’uomo. Ha la prontezza di spirito di filmarlo e fotografarlo. Antonio è semi-incosciente: denutrito, contratto, con vistosi ematomi lunghi e stretti sui fianchi, escoriazioni.
Alle interrogazioni dei deputati Elisa Mariano e Salvatore Capone (Pd), il Ministro della Giustizia risponde ricostruendo gli ultimi mesi di vita. Così si apprende che Antonio era stato picchiato in carcere da alcuni detenuti di origine rumena. Tre mesi dopo morirà, ridotto così: “Stato settico in paziente con polmonite a focolai multipli bilaterali. Diabete tipo 2. Grave insufficienza renale. Tetraparesi spastica”, versava in uno stato di “progressiva astenia, con tremori, ipoalimentazione e progressiva chiusura relazionale”. Non si conoscono le cause della sua fine disumana, ma l’iscrizione nel registro degli indagati dei medici di guardia e degli psichiatri, è l’inizio di una pagina della Giustizia tutta da scrivere.

Marilù Mastrogiovanni

Il Manifesto, 15 dicembre 2016

Morire di Carcere, Sono 104 i detenuti morti nei Penitenziari italiani nel corso del 2016


Carcere di PordenoneUn suicidio a settimana, celle dove si pratica la tortura, celle lisce che distruggono mente e corpo dei prigionieri. Ecco la vergogna dei penitenziari italiani

L’ultimo decesso è avvenuto il 5 dicembre, nel carcere di Cagliari. L’uomo si chiamava Igor Diana. Aveva 28 anni e dallo scorso maggio – accusato di aver ucciso i genitori adottivi – stava scontando la pena dell’ergastolo nel carcere dell’isola sarda. Ed è lì, in cella, che si è suicidato, impiccandosi. Inutile il tentativo di rianimarlo da parte del personale medico, è l’unica scarna informazione trapelata dal penitenziario di Cagliari Utta, che ha il primato dei suicidi in cella e dove nello scorso anno si sono verificati 250 casi di autolesionismo, 7 scioperi della fame collettivi, 16 detenuti hanno tentato il suicidio.

Ma la situazione carceraria è esplosiva in tutto il Paese. Sono 104 i detenuti morti nei penitenziari italiani, nel corso del 2016. Secondo una ricerca condotta da openpolis.it prendendo in esame i dati forniti dal Ministero della Giustizia, nelle carceri italiane c’è un suicidio ogni 7 giorni. È a Napoli, Poggioreale, il carcere dove di muore di più. Trentacinque sono i suicidi già censiti nell’anno in corso, accaduti soprattutto nelle galere del Sud. Senza contare le morti meno chiare, con cause ancora da accertare, ma comunque legate al disagio della detenzione. Infatti, rispetto ai dati diffusi dal Governo (prendendo in considerazione i decessi avvenuti dal 2000 ad oggi) il centro studi Ristretti orizzonti ha scoperto che i casi di suicidi in cella sarebbero di più. Già, perché in effetti quando si muore in carcere, le dinamiche non sono mai del tutto chiare. Lo sanno bene i genitori di Youssef Mouhcine, 31 anni, nazionalità marocchina, deceduto presso la casa circondariale di Paola dove era detenuto, a pochi giorni dalla sua dimissione per fine pena. Era la notte tra il 23 e il 24 ottobre 2016. È una storia che si tinge subito di giallo, perché per alcuni giorni rimane nascosta, anche alla famiglia. A farla saltar fuori è l’esponente dei radicali calabresi Emilio Enzo Quintieri il quale racconta a DINAMOpress che “nessuno aveva diffuso la notizia del tragico evento ma tramite i nostri informatori siamo riusciti a venirne a conoscenza”. E ancora: “non è la prima volta che qualcuno cerca di nascondere decessi o altri eventi critici accaduti nel carcere di Paola, come i tentativi di suicidio o come i casi di aggressione al personale dell’Amministrazione Penitenziaria.

Emilio Quintieri qualche giorno dopo le denunce è stato oggetto di una lettera pubblicata sul quotidiano La Provincia di Cosenza con la “firma anonima” di un detenuto che contribuisce a tingere di giallo, anzi di nero, i contorni di questa ennesima storia di morte in carcere. Perché è una missiva che appare molto strana, tant’è che lo stesso attivista radicale ha scritto una dura replica al direttore del quotidiano calabrese: “non le nascondo che la lettera, più che essere quella di un detenuto mi sembra quella del Direttore del Carcere o del suo difensore”, scrive Quintieri: “ho letto con attenzione la lettera apparsa sul suo giornale redatta da tale R. M. in riferimento al decesso del detenuto marocchino Youssef Mouhcine ed essendo stato chiamato più volte in causa ritengo doveroso replicare”. In particolare, rigetta al mittente l’accusa contenuta nella lettera del “detenuto” di “strumentalizzare la questione a fini politici o propagandistici facendo leva persino sul dolore dei familiari della vittima”. È chiaro che si tratta piuttosto di un tentativo di manipolazione mediatica della verità, magari involontario. Spiega l’attivista radicale: “se così non fosse, sarebbe la prima volta in assoluto che un detenuto scrive una nota pubblica per difendere l’operato del Corpo di Polizia Penitenziaria violando quello che prevedono le ‘leggi non scritte’ che i carcerati sono tenuti ad osservare rigorosamente, per di più dopo due suicidi”. E ancora: “da anni, ricevo ogni giorno decine di lettere di detenuti ma mai sino ad ora mi era capitato di leggere qualcosa di simile; una lettera perfetta, senza errori, con un lessico impeccabile”. Sarà. Quel che è certo è che intanto la procura di Paola indaga, disponendo l’autopsia; nel frattempo, i senatori Peppe De Cristofaro e Loredana De Petris di Sinistra Italiana il 16 novembre interrogano i Ministri della giustizia e degli affari esteri, per sapere perché “i familiari di Mouhcine sono stati informati del decesso soltanto diversi giorni dopo, per la precisione in data 27 ottobre 2016”. Nonostante la legge che disciplina l’ordinamento penitenziario, la n. 354 del 1975 preveda che, in casi del genere, “debba esserne data immediata notizia ai familiari con il mezzo più rapido e con le modalità più opportune”.

Non solo. La legge sulle carceri – scrivono i parlamentari: “è stata violata anche quando Mouhcine veniva tumulato presso il cimitero di Paola, nonostante i parenti dell’uomo avessero chiesto la restituzione del corpo per poter celebrare il rito islamico”. Anche qui: l’art.44 al comma 3 stabilisce che – in questi casi – la salma debba essere messa immediatamente a disposizione dei congiunti e che questa venga sepolta dall’amministrazione nel caso in cui i congiunti non vi provvedano. Ma non era questo il caso, evidentemente. Così anche il consolato generale del Regno del Marocco di Palermo – su sollecitazione dei familiari – ha chiesto lumi sulla questione. Ottenendo nessuna risposta. Come del resto, non ne hanno avuta alcuna i senatori in questione. Si sa soltanto che – secondo quanto riferito dalla direzione dell’istituto carcerario ai congiunti – Mouhcine si sarebbe suicidato nella sua cella, inalando il gas dalla bomboletta che aveva in dotazione, avvolgendosi la testa con un sacchetto di plastica. Sempre secondo quanto racconta la famiglia: l’uomo, nel corso della sua detenzione a Paola, “sarebbe stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti” a pratiche di detenzione che si configurano come di vera e propria tortura, ancora oggi tollerate dall’ordinamento italiano, come lo è la cosiddetta cella liscia, il non-luogo dove era rinchiuso Mouhcine, appunto.

La chiamano così perché è una cella completamente vuota, spoglia, priva di mobili, brande, di qualsiasi oggetto che possa essere usato come appiglio. Quasi tutti i reparti di isolamento dei penitenziari italiani ne contengono almeno una. Lì dentro viene rinchiuso chi è vittima di crisi isteriche o psichiatriche, chi disobbedisce agli ordini della disciplina carceraria. È buia, stretta “dentro ha un odore nauseabondo, perché è lì, sul pavimento, che si esercitano i bisogni primari e fisiologici. Ed è disteso a terra, che il detenuto dorme. Nella cella liscia non ci sono letti”, lo racconta così, l’inferno dei penitenziari italiani, un ex dirigente del Ministero della Giustizia che preferisce rimanere anonimo: “è per non vedere più violazioni dei diritti umani, che ho lasciato il mio lavoro. Le celle lisce sembrano le segrete del Medio Evo”. Continua: “di vera e propria tortura si tratta, dal sapore medievale”. Si può essere rinchiusi lì dentro per qualche ora, qualche giorno, al massimo due settimane, prima di impazzire. Non di più. Il Dap ( dipartimento amministrazione penitenziaria) questo lo sa ed è per questo che in passato ha emanato direttive di questo tipo.

In una cella liscia ci era finito pure Mouhcine, dunque, costretto a dormire anche lui per terra sul pavimento. Raccontano i familiari: “ci disse di aver subito non meglio definiti maltrattamenti”. Quel che è certo è “che non gli veniva consentito di intrattenere, con regolarità, corrispondenza telefonica con la sua famiglia” si legge così nell’interrogazione parlamentare presentata dai senatori di Sinistra Italiana, dopo che sulla vicenda erano intervenuti – tra gli altri – i Radicali italiani, il Dipartimento politiche per l’immigrazione della Cgil di Cosenza ed il Movimento italiano diritti civili. Denunciando l’ennesimo decesso avvenuto nel carcere di Paola e stigmatizzando l’operato della direzione carceraria “per aver tenuto nascosta la notizia, e per aver provveduto alla tumulazione della salma, nonostante la richiesta di restituzione avanzata dalla famiglia per il funerale”.

Quelle strane morti nel carcere di Paola

Non è la prima volta che presso il carcere di Paola avvengono “eventi critici” del genere – scrive il senatore Giuseppe De Cristoforo che è anche membro della Commissione parlamentare straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Facendo riferimento alla morte avvenuta ad aprile scorso, nello stesso penitenziario, del detenuto Maurilio Pio Morabito, 46 anni, di Reggio Calabria, in prossimità del fine pena. Mancava un mese alla sua liberazione. Anche Maurilio si è suicidato. Aveva già manifestato intenti autolesionistici. Eppure era stato collocato – anche lui – in una cella liscia, dove si sarebbe impiccato con una coperta alla grata della finestra. Ora la Procura della Repubblica di Paola ha aperto un fascicolo di inchiesta, al momento nei confronti di ignoti, per istigazione al suicidio. Anche questa vicenda è finita in Parlamento, all’attenzione del Ministro della Giustizia Orlando. Nel dettaglio, in una interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati il 7 giugno 2016 dall’on. Vincenza Bruno Bossio, a cui lo stesso Ministro della giustizia non ha ancora fornito risposta.

Nel testo si legge che “grazie ad una visita ispettiva effettuata il 4 maggio 2016 da una delegazione dei Radicali Italiani nei giorni successivi al decesso del Morabito, si è potuto verificare che la cella n. 9 in cui si è impiccato lo stesso detenuto era liscia. Cioè era priva di ogni arredo. Non solo. Sporca e maleodorante, si legge negli atti parlamentari: “il citato detenuto non era stato sottoposto a sorveglianza a vista nonostante, già in altre occasioni, avesse compiuto vari atti autolesionistici e distrutto due celle”. Intanto, dalla relazione seguita all’ispezione dei Radicali italiani nell’ottobre scorso è emerso che nello stesso carcere quasi la metà dei detenuti sono stranieri, eppure non risultano in organico mediatori culturali, né traduttori.

Ma è l’eccessivo ricorso alle “celle zero” che inquieta particolarmente. Un modus operandi che riguarda diversi penitenziari italiani, dove l’osservatorio sulle carceri Ristretti Orizzonti – nell’ambito della ricerca Morire di carcere– ha calcolato che dagli inizi del 2000 ad oggi, 10 dicembre 2016, sono morte 2.599 persone. 925 sono stati complessivamente i suicidi. Il 77% avviene di questi atti autolesionisti avviene per impiccagione, la restante parte per asfissia da gas o avvelenamento.

Ciò che era in gioco, non era la cornice troppo frusta o troppo asettica, troppo rudimentale o troppo perfezionata della prigione, era la sua materialità nella misura in cui è strumento e vettore di potere, era tutta la tecnologia del potere sul corpo, che la tecnologia dell’«anima» – quella degli educatori, dei filosofi e degli psichiatri – non riesce né a mascherare né a compensare, per la buona ragione che essa non è che uno degli strumenti. E’ di questa prigione, con tutti gli interventi del potere politico sul corpo che essa riunisce nella sua architettura chiusa, che io vorrei fare la storia. Per puro anacronismo? No, se intendiamo con questo fare la storia del passato in termini del presente. Sì, se intendiamo con questo fare la storia del presente.

cit. Foucault. M. Il corpo del condannato in “Sorvegliare e Punire” Einaudi, 1976

Gaetano De Monte

http://www.dinamopress.it, 12 Dicembre 2016

Mica bisogna essere “amici dei mafiosi” per accorgersi degli eccessi del regime 41 bis


casa-circondariale-di-tolmezzoSecondo la Cassazione ai detenuti per mafia è legittimo limitare il diritto a essere genitori. Giusto. Ma lo è anche dal punto di vista dei figli? Un caso a Trieste.

Questa rubrica si è già occupata del 41 bis: il cosiddetto regime carcerario “duro”, riservato ai mafiosi e ai detenuti ritenuti particolarmente pericolosi.

Lo abbiamo scritto in luglio, poco prima che Bernardo Provenzano morisse in cella anche se da tempo totalmente incapace d’intendere e di volere: se sono più che giustificate le regole che cercano d’impedire contatti esterni a chi dal carcere potrebbe condizionare o guidare gli affiliati di un’organizzazione criminale, pare assai meno corretto imporre altre norme, del tutto vessatorie, che con quella logica non hanno nulla a che spartire. Per esempio il divieto di cucinare. O l’obbligo di andare in bagno sempre e soltanto sotto l’occhio vigile di un agente di polizia penitenziaria. O anche l’isolamento nelle cosiddette “aree riservate”, dove i “41 bis” non possono nemmeno rivolgere la parola agli agenti. Hanno senso?

Perfino la presidente della commissione Antimafia, Rosi Bindi, che non ha mai avuto particolari propensioni garantiste, si è posta il problema, sia pure a livello squisitamente teoretico: “Sul 41 bis – ha detto – siamo disponibili a fare tutte le valutazioni per capire se ci sono regole non rispettose della dignità della persona”.

Questa rubrichetta si è permessa anche di criticare, ma una volta o due soltanto, la Corte di cassazione per alcune sentenze almeno apparentemente illogiche. Ecco, in questo caso i due temi si fondono insieme. Perché una recentissima sentenza della prima sezione penale della suprema corte (la numero 47939 dell’11 ottobre 2016) ha rigettato il ricorso di un boss della camorra, in carcere a Trieste per una sfilza di reati lunga così. Che cosa succede?

Che il boss è separato dalla prima moglie e ha avuto una seconda compagna (mai sposata) in Spagna, dove a lungo è stato latitante ed è stato catturato nel 2012. Da entrambe le relazioni il boss ha avuto figli, e dalla seconda in particolare è nato un figlio che è ancora minorenne. Per questo il recluso ha chiesto di poter dialogare telefonicamente una volta al mese con il ragazzino. Ma il Tribunale di sorveglianza di Trieste ha respinto la richiesta e stabilito che, in base al 41 bis, il recluso abbia diritto a un solo colloquio telefonico mensile con un familiare.

Questione chiusa. O forse no – Così il boss ha sollevato una questione di legittimità costituzionale, lamentando che fossero stati violati gli articoli 3, 29 e 30 (uguaglianza, rapporti familiari e doveri paterni all’educazione), perché la legge fondamentale non prevede “un numero di colloqui maggiore per i detenuti che abbiano figli nati fuori dal matrimonio”. Il Tribunale ha respinto l’eccezione, sostenendo che la vera ragione per cui gli veniva rifiutato il colloquio fosse da cercare nelle “difficoltà logistiche derivanti dal suo essere dimorante in Spagna”.

Il boss ha quindi fatto ricorso in Cassazione. Che ha respinto la richiesta. Confermando che il 41 bis, laddove limita a una sola telefonata mensile i rapporti familiari del recluso, non viola alcun suo diritto costituzionale: “La norma – scrivono i giudici – ha ripetutamente superato il vaglio di legittimità in considerazione delle esigenze di ordine e di sicurezza che giustificano le limitazioni previste”. E pertanto è legittimamente limitato anche l’esercizio del diritto a essere genitori. Fine della questione.

Tutto bene, tutto giusto. E nessuno prova particolare simpatia per un boss della camorra, ci mancherebbe. Ma i supremi giudici, così come la Corte costituzionale nelle valutazioni pregresse cui fa riferimento la Cassazione, hanno visto la questione dal punto di vista di un bambino? Hanno provato a immedesimarsi nella sua lontananza da un padre? Chissà…

Maurizio Tortorella

Tempi, 11 dicembre 2016